Sorokin, Vladimir - La giornata di un opričnik

Stâncăncap

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Romanzo davvero molto particolare che racconta di una Russia "pura", ortodossa, fedele al suo zar, anzi "Sovrano", ma lo fa utilizzando gli stilemi e il lessico tipico della letteratura occidentale, e il motivo è presto detto: anche se la vicenda è narrata dall'interno, dal punto di vista di Komjaga, l'opričnik del titolo, il narratore è in realtà molto critico nei confronti di una qualunque realtà ultranazionalista e dunque fa emergere il marcio che si annida in un paese dominato dall'autarchia chiusa al mondo esterno (non solo in senso metaforico: la Russia è circondata da muri che a quanto pare solo ai cinesi è permesso attraversare). C'è un grandissimo miscuglio di concetti arcaici - l'opričnina, il Sovrano assoluto come "padre" di tutti i sudditi, la nobiltà, i patriarchi ortodossi - e cose assolutamente fantascientifiche - raggi laser, cellulofoni, cyberpunk ecc. Sono tutte cose affascinanti di per sé, ma secondo me sono di contorno rispetto a due aspetti che l'autore sottolinea: il primo, ben noto nella storiografia e letteratura russa, è la devozione che il popolo russo ha per "l'uomo forte" di turno, che per secoli è stato lo zar, e il fatto di vederlo non come un capo politico, ma come un'autorità morale e salvifica (e qui Tolstoj docet); il secondo è la degenerazione e l'ipocrisia (anche inconscia, tanto è strana la mente umana) che il potere porta con sé, visto che tutti gli opričniki, sebbene formalmente al servizio diretto dello zar e tenuti più di tutti a rispettare i suoi dettami, si abbandonano a quelli che, a quanto pare, sono considerati i reati più gravi di questa società futura ultraortodossa: la perversione sessuale e l'uso di stupefacenti.
Ci sono parecchie scene semplicemente assurde di cui è difficile raccapezzarsi, ma secondo me vale la pena di essere letto, se non altro per la sua originalità
 
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