Checco ed io
di Lunapop
Era un’estate di tanti anni fa, di quelle che vedi nei film in bianco e nero, con gli uomini seduti al tavolo di un bar in canottiera a mostrare le braccia flaccide, le donne coi grembiuli traboccanti di anni di pastasciutte al sugo, ragazzini vocianti, bambine frignanti, FIAT 600, tutti che fumavano anche al chiuso e un ventilatore che girava lento senza spostare né il caldo né le mosche dalle brioches.
Se uno aveva 50 lire si comprava qualcosa e scappava via; se no scappava via senza essersi comprato nulla e non si sa come, pedalare per ore sotto il sole di Giarre senza fermarsi, senza bere, senza un berrettino, solo per il piacere di andare via e fare tante sciocchezze lontani dagli sguardi degli adulti sempre pronti a riprenderci.
Poi ci si stufava di fare giochi e dispetti, e ci si buttava in mare dagli scogli e si nuotava leggiadri.
Avevamo le facce di un film di Salvatores: chi il caschetto, chi i riccioli mori, chi rasato, chi non si capiva perché fosse biondo, uno il più forte di tutti, un altro il più piccolo della comitiva…e Checco: magro, dinoccolato, con una testa assurda di ricci e un naso che sembrava un becco.
Checco veniva con noi, ma a volte si appartava e io per curiosità, con lui.
Si parlava. Si parlava di un sacco di cose. Cose a caso.
- Chissà come sarà la Turchia? – domandava lui fissando l’infinito.
- La Turchia? –
- Sì, la Turchia…
- Sarà piena di turchi – supponevo io.
- E Leningrado? –
- Dov’è? –
- In Russia. Un tempo si chiamava San Pietroburgo. –
- Sarà piena di russi – mi sembrava logico concludere.
- A Leningrado c’è un fiume, la Neva, Nevskij in Russo, che dicono essere bellissimo –
- Sarà… -
Poi, a volte invece, attaccava con la Bulgaria.
- So solo che è piena di zingari – dicevo io – zingari, spie e ci fanno lo yogurt: un posto di merda. –
- Ci sarà pieno di danzatori. –
- Ma… - espiravo dubbioso – anche fosse? – mi domandavo.
Io lo ascoltavo, un po’ per curiosità, un po’ perché se ne stava all’ombra e di tutto quel sole non ne potevo più, un po’ perché tra amici ci si prendeva in giro.
Poi mi faceva leggere le sue poesie che non capivo bene, perché mica c’era un soggetto e un predicato chiaro e semplice come a leggere Collodi, ma suonavano bene, strane, un po’ come il rock and roll, ma diverse; strane ma diverse dalle altre stranezze.
Poi una volta mi fece leggere la sua prima canzone.
Io iniziai a leggere e diceva qualcosa del tipo
ti proteggerò da tutte le tue malattie immaginarie.
- Che inizio è? –
- Perché? Cosa c’è che non va? –
- Non so: mi sembra strano. –
Poi andava avanti che
l’avrebbe protetta dalle sue turbe, gli inganni dell’epoca…
- Ma che vuol dire? –
- Vai avanti: poi si capisce. –
Ti proteggerò dai pasticci che per la tua natura combinerai, i tuoi dolori, le tue paturnie che ti fan sballare, le tue manie…
- Ma che c’ha? Ti sei innamorato di una pazza? –
- No, è che sono così. –
- Chi? –
- Le donne. –
Io alzai lo sguardo dal foglio e lo fissai.
- Per riuscire a far ballare una, devo fare tante di quelle storie e salamelecchi che levati. E tu le diresti una cosa così? Se solo ci provo io, prendo uno schiaffo. –
- E’ che non glielo devi dire. –
- Appunto.
- E’ che glielo devi cantare. –
- Che sono più lunatiche delle gatte? –
- Sì, ma non davanti a tutti, perché è una cosa intima. –
- Non capisco… -
Poi feci silenzio e tornai a leggere.
Oltrepasserò l’atmosfera terrestre, viaggerò alla velocità della luce per non farti invecchiare e ti guarirò…
- E dagli con le malattie! Ma adesso la fai anche sentire vecchia? Questa non te la perdonano. E poi, cosa c’entra che voli come Nembo Kid? –
Vagavo per le risaie vercellesi; come c’ero arrivato, chissà!
- Ma dai: questo proprio non si può leggere –
- Volevo dare l’idea dello sconfinato niente –
- Ok, ma mettici un luogo un po’ più esotico; che ne so, prova con le piantagioni di tabacco della Carolina del Sud, i campi di cotone dell’Alabama, il deserto del Nevada… -
- … i campi del Tennessee? –
- Bravo! Quello del Jack Daniels! –
Porgimi fiori bianchi…i miei sogni come i falchi attraversano il mare…
OK, questo può andare bene… -
…
porterò silenzio e pazienza…
- Di nuovo? Ma sei già saltato al 20 anniversario di matrimonio che o uno dei due tace e pazienta o salta tutto per aria? –
…
andremo insieme per mano verso l’essenza… la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi…
- Questa è bella, te lo riconosco. –
…
spazio e luce se no invecchi …
- E dagli! È una fissa la tua. Più che una canzone, sembra che vuoi venderle un anti-rughe. –
…
e avrò cura di te, avrò cura di te…
- Non capisco: l’hai dedicata a una ragazza o a tua nonna? –
Lui rise.
- Non c’è da ridere. Ripeto: se vado da una e le consegno questa canzone, alla seconda strofa accartoccia tutto e me la tira. Stai dando delle matte alle donne! –
- Non è quello. –
- Ah no? –
- È che loro sono consce delle loro debolezze e sotto sotto hanno dei timori. –
- Sarà, non dico di no, ma già è difficile parlare con loro del più o del meno, figurati parlare dei loro timori, paura d’invecchiare, paturnie varie… perché insomma, a una che davvero è così non le lasci nemmeno guidare l’ascensore! –
- Devi fare come un funambolo: tenere l’equilibrio tra quello che sono e quello che si sentono. –
- Ma non facciamo già abbastanza i funamboli quando le invitiamo a ballare davanti al padre, alla madre, ai fratelli, agli zii, alle zie, ai nonni…? –
- Ma vogliono che lo fai anche con loro il funambolo, non solo col parentado. –
- Ma se non riesci nemmeno a parlarci! –
- Perché ci devi cantare. –
- Eeeehhh, ma come la fai difficile! Sfido io che non cucchi mai! Non che io sia un casanova, ma la pazienza ha un limite anche con loro. –
- Appunto, è quello che vogliono capire. –
- Cosa? –
- Quanta pazienza avresti con loro: la pazienza è un’unità di misura dell’amore a lungo termine. –
Restammo in silenzio ma poi aggiunse:
Vedi: se tu dici una cosa, la gente la sente, gli arriva nel cervello, ci ragiona sopra e magari scopre che proprio perché vera si offende; se invece la canti, la gente la sente, gli arriva nel cuore e… non si fa tante domande: gli piace e basta.
La cosa mi sembrava oltre modo complicata, perciò dopo un po’, per rompere il silenzio aggiunsi
- Boh! Se lo dici tu. Ma se riesci a cuccare con quella canzone, me lo dici che ne ho già una in tasca io –
- Sarebbe? –
- Senti: io ti aiuterò… a posteggiare in retromarcia; io ti aiuterò… a leggere la cartina stradale; io ti sosterrò…il trapano elettrico…–
E mi misi a ridere.
- Scemo! – gridò ridendo pure lui, e ci tuffammo in mare!
Passarono gli anni e ci perdemmo di vista.
So che nessuno lo chiamava più Checco, ma solo Franco; che ritoccò la sua canzone un po’ qui e un po’ là, ma il senso restò sempre lo stesso: ed ebbe un grande successo! Ma solo nella musica, non con le donne, almeno che io sappia.
Anche io ebbi successo con la mia canzone: non vendetti nemmeno un disco ma alla fine cuccai e ci sposammo: da allora in centro città che bisogna posteggiare guido solo io, certi lavoretti in casa solo io, alle riunioni condominiali solo io…
Comunque, alla fine, entrambi fummo soddisfatti della nostra vita.