Per commentare questa volta partirei dalla coda. Perché ho definito eroi gli studenti che hanno scelto questa poesia per il tema di maturità? Un po' sul serio e un po' per scherzo.
Quando ho letto la traccia ho pensato: mamma mia, Pascoli, così lontano dalla sensibilità attuale.. che pesantezza! Sbagliavo, ma la prima reazione è stata questa. E pensare che a scuola mi piaceva.
Però devo dire che la colpa di questo pensiero grezzo non è tutta mia. Come faccio spesso, allora sono andata a cercare in giro altre opinioni sull'argomento.
Riporto alcune righe di un articolo:
<<
In questi cento anni trascorsi dalla sua morte, il poeta della “Cavallina storna” è stato sacralizzato nel Pantheon della letteratura italiana, fossilizzandolo a poco a poco, come se non potesse più essere un modello da prendere a esempio per nessuno. Insomma, che farsene dei valori collettivi del dolore e dell’utopia socialista, dell’umanitarismo agrario e del nazionalismo pietistico, dell’imperscrutabilità del mistero cosmico e della realizzazione affettiva o sentimentale dell’uomo nel dato immutabile della natura?>>
L'articolo poi continua rivalutando la poetica di Pascoli, che alla regressione culturale dell'uomo medio <<
oppone il recupero dei miti naturalistici e il richiamo colto a un neoumanesimo lirico>>.
Assodato che la mia reazione istintiva ha un suo riscontro in un pensiero più generale, anche se erroneo, vediamo come si sviluppa il ragionamento. D'accordo, Pascoli può essere considerato un fossile, ma solo per colpa di una cultura che ne ha fatto un mostro sacro, un monumento. Ma la sua poetica è poi così distante da noi?
Consideriamo questa poesia.
Una prima strofa descrittiva, idilliaca ma statica, riflette un mondo stabile e rassicurante, in cui la via ferrata brilla ma sembra solo un dettaglio del paesaggio; nella quartina successiva si sviluppa il movimento, una fuga di pali la cui trama porta verso un altrove che diviene via via più inquietante.
A tutto ciò si aggiunge il rumore, che nell'onomatopea del "
di gemiti e d’ululi rombando cresce" ci porta verso un presagio funesto, quel
femminil lamento che non può essere altro che il coro della prefiche. Ma se il coro funebre accompagna la fine dell'idillio raffigurato nella prima strofa, ciò è poi così lontano da ciò che realmente è accaduto? Se la via ferrata e poi le altre conquiste del cosiddetto progresso ci hanno aperto il futuro per regalarci il devastante presente che stiamo vivendo, come rifiutare la prospettiva di Pascoli che già allora si mostrava giustamente dubbioso?
Solo le ultime due righe ci restituiscono un po' di serenità, quella monumentale arpa eolica rappresentata dai fili che squillano nel vento. E chissà se anche per noi bisnipoti di Pascoli ci sarà musica e speranza attraverso (o nonostante) il progresso tecnologico, ma se ciò avverrà sarà proprio grazie all'arpa eolica di una cultura diversa, centrata sul rispetto della terra e non sullo sfruttamento.
E allora viva (i) Pascoli
P.s.: L'articolo che ho citato è qui: https://www.mangialibri.com/lattualita-di-pascoli-nel-centenario-della-morte