Il Giornalino di Forumlibri - N. 16 - novembre 2022

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
@ayuthaya , il tuo articolo mi è piaciuto tantissimo ed è fra quelli che devo ancora commentare causa periodo incasinatissimo. 😫 Non conosco le tue divinità preferite, ma se parliamo di miti sono sempre stata affascinata dall'epopea di Gilgamesh e dal mito della ricerca dell'immortalità.
A dire il vero a me sta molto più simpatico Enkidu, ma questa è un'altra storia.😄

Per i commenti che ho tralasciato, scusatemi, devo procurarmi un attimo di relax.
😗
 

MaxCogre

Well-known member
Che bello il giornalino! Alla metà lettura mi sono gustato tutti gli articoli, ben scritti e ragionati, ma mi ha proprio commosso quello di @qweedy, dove la poesia e il commento/racconto si fondono e si confondono, proprio come il limite della pioggia che la poetessa vanamente testardamente insegue. Che modo meraviglioso di presentare una meravigliosa poetessa - una doppia rivelazione. Continuo la lettura!
 
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ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
@ayuthaya , il tuo articolo mi è piaciuto tantissimo ed è fra quelli che devo ancora commentare causa periodo incasinatissimo. 😫 Non conosco le tue divinità preferite, ma se parliamo di miti sono sempre stata affascinata dall'epopea di Gilgamesh e dal mito della ricerca dell'immortalità.
A dire il vero a me sta molto più simpatico Enkidu, ma questa è un'altra storia.😄

Per i commenti che ho tralasciato, scusatemi, devo procurarmi un attimo di relax.
😗
Dovevo specificare: solo mitologia greca please! 😁
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Anch'io devo ancora completare la lettura ed i commenti... con la fretta di finire le letture per la RC entro dicembre ho accantonato tutto il resto, ma riprenderò il giornalino in questi giorni!
 

Pathurnia

if you have to ask what jazz is you'll never know
Commento a "LE ERINNI, DEE DELLA VENDETTA"............................ di @ayuthaya

Ayu, il lavoro che hai fatto è pregevole per molti motivi, ma in primo luogo perché nel breve spazio di cinque pagine sei riuscita a condensare molti aspetti di questo mito, hai sintetizzato le vicende della Guerra di Troia, poi l'Orestea e gli aspetti sociali e politici sottesi a queste narrazioni, hai ben delineato la fisionomia generale delle tre vezzose fanciulle;), il loro compito e infine ciò che rappresentano: la colpa e il rimorso, funzionali al mantenimento del comportamento individuale entro i limiti stabiliti, e la punizione-vendetta che permette ad una comunità l'espulsione violenta di chi trasgredisce in modo cruento, specialmente riguardo ai legami di parentela. Ho apprezzato in particolare il passaggio da questa vendetta rabbiosa e cieca, quasi speculare al delitto commesso, alla punizione "civilizzata", attraverso le leggi.
Mi sembra molto importante l'accostamento tra culture di stampo matrilineare e vendetta brutale, da un lato, e avvento di una legislazione razionale riferita ad una cultura di stampo patriarcale, dall'altro.
Questo però mi fa pensare a tutti i pregiudizi storicamente legati al femminile visto come universo molto vicino alla biologia e all'animalità, con il suo portato di corporeità, intriso di sangue e di umori, di passionalità ed emotività incontrollate. Giudizi che ci siamo portati dietro fino a pochissimo tempo fa.:cry:
Se erano questi i due poli opposti della questione, allora l'asettica Athena nata ma non partorita mi appare il vessillo di una cultura tesa a sterilizzare il lato femminile della società e a negare l'importanza della donna, "tanto in fondo è solo un contenitore", ma tesa anche ad attuare una pesantissima rimozione generalizzata di tutti i lati oscuri, viscerali, indicibili della natura umana individuale e collettiva.
Le erinni cosa fanno? Ridimensionano l'importanza del delitto compiuto da una donna (Clitennestra) nei confronti di un uomo, paragonato al ben più criminoso matricidio di Edipo. Ma Athena (cioè in definitiva la classe dominante ateniese in piena espansione, e quindi bisognosa di trovare la propria legittimazione ideale) capovolge le sorti del processo, fa assolvere Oreste con un cavillo legale, e impone alle sconfitte erinni una di quelle promozioni fasulle che servono ad allontanare i rivali dai posti di potere. Esiliate in una specie di megacomunità agricola a sovraintendere alla fertilità dei campi, vivranno il loro destino di divinità in prepensionamento sì ma fino a quando?
Forse fino al momento che qualcuno non libererà e riscoprirà il loro oscuro potenziale sia creativo che distruttivo andando a tuffarsi di nuovo in un mondo ctonio, gravido di mostri primordiali e oscuri che si chiamerà....inconscio.

**
Quando ho cominciato questo commento non sapevo dove mi avrebbe portata, ma adesso che mi accorgo di aver compiuto un volo pindarico in maniera forse un po' troppo ardita...
perdonami ti prego, io mi son divertita.:whistle:
 
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alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Al prossimo mi piacerebbe partecipare come scrittevolina salvo imprevisti, se c'è il tempo. Potrei provare a seguire il 3d con l'aiuto di un volontario non scrittevole che riceva i racconti in modo da garantire l'anonimato. Però in tal caso si rischia di procedere al rallentatore perché anche con tutta la mia buona volontà questo è per me un periodo un po' difficile.
sono offline per parecchi giorni tra il 24 e l'8, chiediamo a @Minerva6 o @alessandra
 

lettore marcovaldo

Well-known member
Come una pasta al forno fatta con i maccheroni e le polpette del giorno prima?😄
(scusa non ho resistito)🙋‍♀️
E non hai forse descritto una delle massime espressioni del genio umano??
Per non parlare della cucina "povera", la sostenibilità, ecc...

🤔...oppure potrei buttarle da qualche parte nel forum se dovessero interessare a qualcuno...mi facessero la muffa!!

Intanto a dire il vero mi erano venuti in mente argomenti nuovi 🤫
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Il concorso io vorrei tanto gestirlo. Il punto però è che ormai posso collegarmi solo dallo smartphone e ricordo che quando lo feci due edizioni fa ebbi problemi, ma allora avevo ancora possibilità di accedere dal pc perciò riuscii a risolvere. Se sono tutti scritti in maniera normale potrei anche provarci. Ma se sono come quelli di @GermanoDalcielo e di @malafi dell'ultima volta potrebbero crearmi difficoltà 🤷.
 
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lettore marcovaldo

Well-known member
Io ne butto una qui ... diciamo tipo "inserto" o "allegato" ... se piace metto le rimanenti

Una giornata d'Ottobre

Cattainin (Caterina) prende la sporta piena di verdure che le porge la Bisagnina. La ragazza paga e inizia a incamminarsi per tornare con la spesa dalla sua padrona. Si gira e scorge la sua amica Maiétta (diminutivo di Maria) e le va incontro per salutarla.
Siamo nel quartiere di Ponticello davanti al Barchile: una fontana pubblica che si presenta come un pilastro di marmo, alto più di tre metri, adornato da decorazioni scolpite. Alla sommità un ampio bacile dello stesso materiale. L'acqua sgorga all'interno del bacile e scorre giù da alcuni augelli posti sul fondo. Così ricadono all'esterno dei zampilli d'acqua. Da sotto quindi si può raccoglierla con secchi e recipienti.
Maiétta insieme ad altre camalle d'aegua (portatrici d'acqua) è in fila e aspetta il suo turno davanti al Barchile per raccogliere l'acqua da portare poi a destinazione. Lei e le altre sono attese in quelle abitazioni dove non c'è pozzo o cisterna a disposizione. Quando c'è bisogno d'acqua, per pochi soldi, si può chiedere a una camalla di portarne.

Maiétta è forte e molto abile, come ogni camalla d'aegua. Riesce a mettersi direttamente sotto a uno degli zampilli portando un grosso secchio sulla testa. Vede Cattainin e la saluta e iniziano parlare.
Fanno un breve tratto di strada insieme mentre si allontanano dalla piazza che ospita il Barchile. Passano vicino al gruppo di Bisagnini che espongono la loro merce, dove si è rifornita prima Cattainin. I Bisagnini sono i venditori di verdura e frutta che prendono il nome dal torrente Bisagno. Il torrente scorre a levante della città e incontra vicino alla foce una vasta pianura che periodicamente travolge con le sue piene. Li il terreno è destinato principalmente a colture d'ortaggi e ospita qualche capanno improvvisato e pochi casolari.
Le due arrivano davanti alla salita che conduce all'antica porta Soprana, varco delle antiche mura medioevali, presso il colle di San Dria (Sant'Andrea).

Cattainin oltrepassa la porta, prende per il vicolo di Ravecca e saluta l'amica che prosegue per una strada diversa. Nel vicolo quasi non si vede il cielo per i panni stessi da una casa all'altra. Ci sono piccole botteghe di artigiani e venditori che si affacciano lungo il percorso e il loro vociare arriva fino ai piani più alti della case. Ad esempio c'è Steva (Stefano) u caegà (il calzolaio) che grida al suo garzone di tornare presto da una commissione o una venditrice di latte che a gran voce offre la sua bevanda.
Uscita dal vicolo che sbuca in un ampio piazzale, Cattainin passa vicina alla Chiesa del Salvatore e vede un capannello di gente accanto alla porta. Passando sente il pianto di un neonato e nota un uomo che ne tiene in braccio uno. Sembra il signor Antonio, il marito della Teresa! Allora il nuovo arrivato deve essere il fratello o la sorella del piccolo Carlo!
Si avvicina e vede che si tratta proprio del signor Antonio, il "ligaballe" (quelli che fanno gli imballaggi in porto) che ama tanto suonare la chitarra. Tiene in braccio il bambino avvolto in uno scialle di lana. Siamo a Ottobre, quasi Novembre. E' il 28 ottobre del 1782.
La ragazza si avvicina per salutare e il signor Antonio le mostra il nuovo venuto dicendole che è un maschio nato giusto il giorno prima. Dallo scialle spunta un piccolo viso un poco lungo, leggermente arrossato per il pianto. E una manina con dita particolari. Lunghe e sottili. Sembrano le zampette di un ragno. Proprio bello non è... però Cattainin fa le congratulazioni e le accompagna con un sorriso.
La ragazza chiede all'uomo informazioni sulla moglie e il nome del bambino: "Nicolò" dice Antonio Paganini. "E tra qualche giorno per festeggiarlo faremo una bella suonata con le chitarre e i mandolini. Vedete che dita che ha? Io dico che verrà su buono anche per suonare il violino!".
Cattainin saluta e si avvia a passo svelto verso la casa della padrona. Si affretta perchè non vuole far tardi: ha ancora tanto lavoro da fare.

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Il barchile - La zona di Piazza Ponticello è stata demolita per fare spazio a nuove costruzioni durante gli anni 30. Il barchile esiste ancora ma non è più alimentato. E' stato spostato in un punto diverso del centro storico.
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Chiesa di San Salvatore - La chiesa è diventa un auditorium a servizio della Università di Genova.
 

lettore marcovaldo

Well-known member
Vedo che nessuno protesta: termino il conferimento.

Acque agitate

Nel settecento la Repubblica di Genova affrontava un periodo altalenante di declino economico.
Di conseguenza i soldi da destinare alle spese militari erano ridotti all'osso. In particolare per la difesa sul mare le autorità spesso si affidavano a privati. Questi armavano navi destinate a fronteggiare eventuali minacce oppure armavano direttamente le imbarcazioni commerciali. Le principali minacce erano due.

La prima era quella dei pirati barbareschi. Provenivano da Tunisia e Algeria per razziare imbarcazioni e uomini. I prigionieri erano destinati al mercato degli schiavi o alla prigionia in attesa dell'incasso di un riscatto. Non si trattava però di una attività intensificata rispetto al passato ma piuttosto il risultato delle risorse incerte destinate a fronteggiarla.
Un ulteriore problema legato a questi pirati derivava dal fatto che periodicamente stringevano accordi con questa o quella potenza.
L'intento era quello di garantire l'incolumità delle navi della potenza interessata. In genere erano accordi destinati a durare poco.
Comunque si verificavano situazioni paradossali come quella accaduta nell'estate del 1780. In quell'anno una galea della Marina Genovese aveva catturato l'equipaggio di una nave algerina che aveva fatto una incursione a Laigueglia. Dopo qualche tempo, le autorità Genovesi erano state costrette a rilasciare i pirati prigionieri, a causa delle forti pressioni della Francia che aveva stretto un trattato con la Reggenza Algerina. Inoltre poichè la nave barbaresca era andata persa, la Repubblica fu costretta a farne costruire una nuova da consegnare agli algerini.

La seconda minaccia era quella dei corsari Corsi. Dal 1729 l'isola, dominio della Repubblica Genovese, era in rivolta.
Niente di nuovo in realtà. Periodicamente nei secoli precedenti il cattivo governo della Repubblica e l'indole bellicosa dei Corsi producevano le condizioni per far scoppiare insurrezioni, sistematicamente domate.
Questa volta però c'era un condottiero abile e carismatico, Pasquale Paoli, che a partire dal 1755 era riuscito per la prima volta a riunire la maggior parte delle diverse fazioni dell'isola (spesso in disaccordo tra loro). Aveva organizzato un esercito agguerrito e creato una flotta, ricorrendo anche a navi straniere che furono dotate di "patenti di corsa" per essere legalmente autorizzate ad attaccare il naviglio genovese.
Inoltre si era formata una rete marittima di supporto dove primeggiavano gli equipaggi napoletani e siciliani. Questi approvvigionavano i Corsi di armi e beni di prima necessità. Garantivano inoltre l’esportazione dall’isola di vari prodotti, oltre a offrire una via di fuga per i disertori delle truppe genovesi. Infatti la già citata cronica penuria di fondi causava pagamenti irregolari delle paghe e scarsità nei viveri e nell'equipaggiamento. Le ripercussioni sul morale e la salute delle truppe della Repubblica, in gran parte costituite da stranieri (tedeschi ma anche toscani, lombardi, svizzeri), erano causa di numerose diserzioni. Questi uomini scappavano per tornare a casa o andare ad arruolarsi in eserciti che garantissero migliori condizioni.

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Ex-voto relativo alla vicenda del pinco genovese "Nostra Signora Dell'Acquasanta" uscito vittorioso dall'assalto di due vascelli barbareschi (1796).
Il Pinco era una imbarcazione tipica della marineria genovese.
Per il coraggio dimostrato al comandante venne consegnata una medaglia d’oro e l’equipaggio fu ricompensato con altri doni. Per l'unico componente dell'equipaggio rimasto ucciso fu stanziata una dote destinata alla prima delle sue figlie che si fosse sposata.

Tra i molti episodi della guerra ai corsari uno dei più notevoli fu quello della nave "San Francesco da Paola".

Uno dei più rilevanti successi di un vascello commerciale genovese contro i corsari Barbareschi risale all'ottobre del 1763.
La "San Francesco da Paola", nave armata “in guerra e in mercanzia”, comandata dal capitano Domenico Castellino era partita da Genova munita di buoni cannoni e circa 200 soldati di fanteria, per affrontare eventuali minacce. A bordo erano presenti come passeggeri anche dei soldati tedeschi che dovevano prendere servizio in Spagna. La destinazione era Ibiza. Durante la navigazione la "San Fracesco" incontrò una flotta di cinque sciabecchi e una fregata barbareschi. Il comandante non si perse d'animo e decise di dare battaglia. Contando sulla superiorità dei cannoni a bordo rispetto a quelli avversari, la nave riuscì prima a manovrare dividendo lo schieramento avversario, per infliggere poi pesanti perdite alle due navi nemiche che le erano più vicine, mettendole fuori combattimento. Attaccata infine da uno dei vascelli rimasti, dopo una sanguinoso arrembaggio, ricacciò indietro gli assalitori infliggendo ulteriori perdite e catturando prigionieri. A quel punto il resto delle navi barbaresche decise di ritirarsi.
La San Francesco Da Paola arrivò a Formentera contando quasi 80 tra morti e feriti ma con il carico in salvo e la certezza di aver distolto i pirati dall’attacco all’isola, probabile obiettivo nelle prime intenzioni della flotta barbaresca.
Il capitano Castellino fu molto lodato per la sua capacità di comando e addirittura gli furono dedicati componimenti poetici a Genova e in Spagna. Pare che a Ibiza gli fosse stata dedicata anche una piazza. La vicenda ebbe inoltre una certa eco in diversi paesi europei.
 
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lettore marcovaldo

Well-known member
I Serenissimi

La Repubblica aristocratica di Genova (fondata nel 1528) era retta da un Doge eletto ogni due anni. Era affiancato da due collegi formati rispettivamente da dodici governatori e otto procuratori che svolgevano funzioni finanziarie ed esecutive, mentre una coppia di assemblee, il Maggior Consiglio di trecento membri e il Minor Consiglio di cento, esercitavano un ruolo consultivo e legislativo. Una serie di magistrature con mandati più limitati si occupavano del governo del territorio, della manutenzione dei porti e della difesa.
Per le nomine era previsto un sistema di sorteggi ed elezioni.
Coloro che potevano essere eletti venivano estratti a sorte tra gli iscritti al registro della nobiltà.
L’elezione del Doge in particolare avveniva attraverso una serie di votazioni successive.
La figura del Doge era sottoposta a regole rigide che ne controllavano i movimenti e gli atti. Praticamente non si poteva spostare dalla sede del palazzo ducale, se non in poche occasioni. Era tenuto a rinunciare a tutti i suoi affari durante il mandato e il suo operato era successivamente esaminato da una commissione (i supremi sindacatori). Passato il vaglio l'ex doge era nominato "procuratore perpetuo" con la facoltà di ricoprire cariche in alcune magistrature.

Queste le vicende che videro coinvolti quattro di loro nel secolo XVIII.

Giovanni Francesco Brignole Sale - Eletto nel 1746 nel pieno del coinvolgimento della Repubblica nella guerra di Secessione Austriaca. L'anno precedente era al comando delle truppe genovesi al seguito degli alleati franco-spagnoli. Rimase in città come previsto dalla sua carica, durante l'occupazione Austriaca.
In particolare al momento della rivolta del Balilla si trovò ad affrontare l'animosità di parte della popolazione contro il governo. Le autorità erano incolpate di essersi fatte coinvolgere troppo facilmente nella guerra e di aver poi mantenuto un comportamento ambiguo verso gli occupanti durante la rivolta. In più non si perdonava a molti nobili di aver abbandonato la città durante l'occupazione o di essere rimasti in disparte (anche se alcuni presero parte alla sollevazione). Infatti dopo la cacciata degli Austriaci per alcune settimane la città rimase di fatto sotto il controllo di un comitato di cittadini e solo a fatica il governo tornò sotto il controllo dell'oligarchia. Si tramanda che un tale Giovanni Carbone, ventiduenne garzone di una osteria, durante la fase più calda dei combattimenti ritrovò presso la Porta di San Tommaso (uno dei principali punti di scontro) le chiavi della città. Con un gruppo di combattenti volle riportarle personalmente al Doge Brignole Sale e i suoi consiglieri. Le avrebbe restituite con queste parole:
“Signori, queste sono le chiavi che con tanta franchezza loro signori Serenissimi hanno dato ai nostri nemici: procurino in avvenire di meglio custodirle perché noi col nostro sangue recuperate le abbiamo.”
C'è da dire che altre cronache contemporanee (spesso però di parte governativa) riportano frasi più concilianti e rispettose. Ad ogni modo Carbone morì nel 1762 e fu seppellito in una basilica della città con gli onori della Repubblica.

Stefano Lomellini - Eletto il 28 marzo 1752 all'età di 79 anni. Si era distinto durante l'attacco austriaco del 1747. Accolse nel suo palazzo la notizia dell'elezione. Con evidente contrarietà visto che fu necessario farlo accompagnare a forza dalle guardie al palazzo Ducale. Appena arrivato pregò di essere immeditamente esonerato. Non si era mai vista una scena del genere per un Doge appena eletto.
Dopo tre mesi tornò a chiedere l'esonero per motivi di salute. A fronte del pagamento di una ammenda di 30.000 lire genovesi, fu libero di abdicare il 7 giugno 1752. Morì nei primi mesi del 1753.

Matteo Franzoni - Eletto nel 1758 fu una figura piuttosto avversata. Ai tempi della rivolta del Balilla era un membro del Minor Consiglio. Fu mal visto dalla popolazione perchè ritenuto ondivago rispetto all'atteggiamento con gli austriaci (anche se era uno dei nobili che non era scappato).
Come Doge fu molto criticato per l'atteggiamento accentratore e dispotico.
Il suo mandato inoltre fu contraddistinto da forti contrasti con la Chiesa. L'origine di questi contrasti stava nella rivolta in Corsica e nella volontà della Repubblica di nominare vescovi e provinciali a lei fedeli, mentre la Curia e i generali degli ordini religiosi erano contrari. Nel 1759 fu decretata l'espulsione dai territori della Repubblica di tutti i cappuccini proprio per questioni legate alla Corsica.
Addirittura Franzoni venuto a conoscenza del fatto che un visitatore apostolico pontificio si era recato nell'isola, fece emettere una specie di "taglia" sulla sua testa perchè fosse catturato. Considerava quella azione un appoggio implicito ai ribelli. Sembra che ad un certo punto avesse decretato che i sacerdoti si dovessero levare il copricapo mentre passava per la città e diede istruzioni alla sua scorta affinchè facesse rispettare l'obbligo. Di conseguenza durante le processioni cui interveniva si sentiva intimare spesso dai soldati "leva berretta, leva berretta". Per cui fu soprannominato "il doge leva berretta".
Era arrivato a farsi tanto odiare che si moltiplicarono contro di lui le voci di cattiva gestione, nella speranza che alla fine del mandato fosse messo sotto accusa dai supremi sindacatori. Però nulla fu eccepito contro il Franzoni e quindi diventò procuratore perpetuo senza problemi.

Marcello Durazzo - Eletto nel 1767 è il doge che conclude l'annosa vicenda della Corsica. Dall'inizio della rivolta nel 1729 si erano alternati nella gestione della vicenda il partito "del pugno di ferro" e quello della "trattativa". Il primo si opponeva a qualunque trattativa e si affidava solo all'intervento militare, il secondo propugnava una qualche forma di accordo con la concessione di gradi diversi di autonomia o il passaggio da dominio a territorio metropolitano.
Nessuno in realtà aveva ottenuto successi. Il doge Durazzo ritenendo ormai ingestibile la situazione dell'isola era deciso a cederla alla Francia.
Tra l'altro non si trattava solo di tener testa ai ribelli ma era necessario guardarsi da altri paesi. Infatti nel tempo i Savoia, l'Inghilterra e perfino la Francia avevano occasionalmente appoggiato, direttamente o indirettamente, la rivolta. Proprio i francesi negli ultimi anni avevano dimostrato interesse all'isola e avevano fornito diverse volte alla Repubblica dei contigenti militari (a caro prezzo) per affrontare gli insorti. Già prima della sua elezione Durazzo aveva proposto nell'assemblea del Minor Consiglio la cessione dell'isola. Durante il suo incarico riuscì, dopo numerose votazioni contrarie, a far approvare l'accordo che avrebbe portato al Trattato di Versailles del 1768, con il passaggio sotto il controllo francese. La formula prevedeva la cessione a fronte dei debiti contratti dalla Repubblica con la Francia. Sostanzialmente era stato possibile far approvare l'accordo sulla base di una postilla che permetteva ai senatori di "salvare la faccia": era previsto una specie di diritto di riscatto, saldando il debito ... opzione che non fu mai utilizzata vista la cifra altissima da pagare.

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Ritratto di un Doge negli anni 40 del XVIII secolo.
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Il palazzo Ducale di Genova. Sede del Doge e luogo delle assemblee del Maggior e Minor consiglio.
 
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lettore marcovaldo

Well-known member
Il cibo degli dei

Giacomo cammina lungo il molo: in base alle indicazioni ricevute il veliero del portoghese dovrebbe essere quasi in fondo.
Il ragazzo borbotta a bassa voce:
"Vai a bottega dal signor Francesco mi dicevano, ti troverai bene: è un'arte che offre belle soddisfazioni. Ed eccomi qui a girare come un ladro...allora ... dovrei vedere un tipo alto con i capelli rossi. Eccolo sembra lui!"
Il garzone si avvicina e dice: "Cerco Joao. Sai dove si trova?".
Il portoghese si avvicina e iniziano a confabulare rapidamente. Poi il marinario si porta dietro a una catasta di botti e gli fa cenno di seguirlo.
Li dietro, con rapide mosse, Giacomo lega a una specie di imbragatura di corde che indossa sotto il mantello gli involucri che gli porge il marinario, cavandoli da un grosso sacco.
Si guardano attorno per vedere se nessuno fa caso ai loro movimenti. Ci sono scaricatori, marinai, gente che va e che viene.
Giacomo consegna al marinaio alcune monete e subito inizia a incamminarsi verso il varco più vicino, per uscire dal porto.
"Speriamo che Giobatta sia al suo posto, in modo da farmi passare senza controlli".
"Ma non c'è! maledetto!! sarà andato a cercare qualche bagascia!! dovrebbe essere già al suo posto!!"
Giacomo si guarda attorno e vede con sgomento che si sta avvicinando una pattuglia di tedeschi per la ronda.
Cerca di darsi coraggio dicendo che non sono li certo per controllare lui.
"Oh Madonna delle Grazie: sei ceri ti porto se mi tieni lontano dai guai!".
Va avanti e indietro per qualche minuto e poi torna verso il varco dove vede finalmente Giobatta...tira un sospiro di sollievo e con passo rapido si avvicina alla porta.
"Signor Giobatta, saluti! ci vediamo alla taverna di Ponticello, vero?"
La guardia del dazio gli fa un cenno a indicargli la via libera e Giacomo esce accellerando il passo ma cercando allo stesso tempo di tenere un portamento dignitoso e indifferente.
Attraversa i vicoli affollati di gente e arriva sul retro della bottega. Gli apre la porta proprio il signor Francesco che era in ansiosa attesa.
Gli aromi dolciastri del laboratorio investono Giacomo: i primi tempi ne era inebriato ma adesso non ci fa più caso e ha quasi un senso di nausea.
Poggia sul bancone i sacchetti che il mastro pasticciere apre subito per esaminare la merce.
"Belle queste fave di cacao... questa roba vale i soldi che costa! Buon prezzo comunque: senza pagare il dazio! e poi il marchese vuole la roba pronta fra poco tempo e i carichi nuovi stanno arrivando adesso con prezzi altissimi. Poi mi fa anche storie sul conto della spesa quel bel figuro..."
Giacomo annuisce con la testa, ma sta zitto e pensa:
"Eh bravo! però me la devo vedere io con le guardie e ci finisco io davanti al magistrato nel caso...e magari prendo anche una nerbata.
Ma poi varrà tanto questo cacao? Una volta Lucia che lavora dai Grimaldi, di nascosto, mi ha fatto assaggiare un pochino di cioccolata che era avanzata da una merenda dei padroni e certi ospiti. Era fredda e rappresa, il fondo di un bricco. Lei diceva che era buonissima. A me non piace mica tanto ... è roba da ricchi per me: capricci e pazzie! Comunque se continua così io alla prima occasione faccio di tutto per riuscire a cambiare arte e tanti saluti a mastro Francesco!".

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Genova nel XVIII secolo, è uno dei principali porti di approdo di generi coloniali del mediterraneo, in particolare per quanto riguarda il cacao. Intorno al 1770 i rapporti con il principale esportatore, il Portogallo, erano molti floridi. Il diretto concorrente era il porto di Nizza, ma i molti tentativi francesi di sopravanzare Genova era stati vanificati dalla migliore posizione di quest'ultima e dagli ottimi rapporti stabiliti a Lisbona. Genova ad esempio era la principale fornitrice di Milano per il cacao.
La diffusione di quel commercio era tale che si possono trovare negli archivi molti verbali contro i trasgressori dei regolamenti di portofranco, con decine di soggetti denunciati per introduzione clandestina di cacao nel perimetro urbano. I fermati erano soprattutto “garzoni” o “giovani di scagno”, con il corpo del reato sotto il mantello o nella tasche della marsina.
 
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