I Serenissimi
La Repubblica aristocratica di Genova (fondata nel 1528) era retta da un Doge eletto ogni due anni. Era affiancato da due collegi formati rispettivamente da dodici governatori e otto procuratori che svolgevano funzioni finanziarie ed esecutive, mentre una coppia di assemblee, il Maggior Consiglio di trecento membri e il Minor Consiglio di cento, esercitavano un ruolo consultivo e legislativo. Una serie di magistrature con mandati più limitati si occupavano del governo del territorio, della manutenzione dei porti e della difesa.
Per le nomine era previsto un sistema di sorteggi ed elezioni.
Coloro che potevano essere eletti venivano estratti a sorte tra gli iscritti al registro della nobiltà.
L’elezione del Doge in particolare avveniva attraverso una serie di votazioni successive.
La figura del Doge era sottoposta a regole rigide che ne controllavano i movimenti e gli atti. Praticamente non si poteva spostare dalla sede del palazzo ducale, se non in poche occasioni. Era tenuto a rinunciare a tutti i suoi affari durante il mandato e il suo operato era successivamente esaminato da una commissione (i supremi sindacatori). Passato il vaglio l'ex doge era nominato "procuratore perpetuo" con la facoltà di ricoprire cariche in alcune magistrature.
Queste le vicende che videro coinvolti quattro di loro nel secolo XVIII.
Giovanni Francesco Brignole Sale - Eletto nel 1746 nel pieno del coinvolgimento della Repubblica nella guerra di Secessione Austriaca. L'anno precedente era al comando delle truppe genovesi al seguito degli alleati franco-spagnoli. Rimase in città come previsto dalla sua carica, durante l'occupazione Austriaca.
In particolare al momento della rivolta del Balilla si trovò ad affrontare l'animosità di parte della popolazione contro il governo. Le autorità erano incolpate di essersi fatte coinvolgere troppo facilmente nella guerra e di aver poi mantenuto un comportamento ambiguo verso gli occupanti durante la rivolta. In più non si perdonava a molti nobili di aver abbandonato la città durante l'occupazione o di essere rimasti in disparte (anche se alcuni presero parte alla sollevazione). Infatti dopo la cacciata degli Austriaci per alcune settimane la città rimase di fatto sotto il controllo di un comitato di cittadini e solo a fatica il governo tornò sotto il controllo dell'oligarchia. Si tramanda che un tale Giovanni Carbone, ventiduenne garzone di una osteria, durante la fase più calda dei combattimenti ritrovò presso la Porta di San Tommaso (uno dei principali punti di scontro) le chiavi della città. Con un gruppo di combattenti volle riportarle personalmente al Doge Brignole Sale e i suoi consiglieri. Le avrebbe restituite con queste parole:
“Signori, queste sono le chiavi che con tanta franchezza loro signori Serenissimi hanno dato ai nostri nemici: procurino in avvenire di meglio custodirle perché noi col nostro sangue recuperate le abbiamo.”
C'è da dire che altre cronache contemporanee (spesso però di parte governativa) riportano frasi più concilianti e rispettose. Ad ogni modo Carbone morì nel 1762 e fu seppellito in una basilica della città con gli onori della Repubblica.
Stefano Lomellini - Eletto il 28 marzo 1752 all'età di 79 anni. Si era distinto durante l'attacco austriaco del 1747. Accolse nel suo palazzo la notizia dell'elezione. Con evidente contrarietà visto che fu necessario farlo accompagnare a forza dalle guardie al palazzo Ducale. Appena arrivato pregò di essere immeditamente esonerato. Non si era mai vista una scena del genere per un Doge appena eletto.
Dopo tre mesi tornò a chiedere l'esonero per motivi di salute. A fronte del pagamento di una ammenda di 30.000 lire genovesi, fu libero di abdicare il 7 giugno 1752. Morì nei primi mesi del 1753.
Matteo Franzoni - Eletto nel 1758 fu una figura piuttosto avversata. Ai tempi della rivolta del Balilla era un membro del Minor Consiglio. Fu mal visto dalla popolazione perchè ritenuto ondivago rispetto all'atteggiamento con gli austriaci (anche se era uno dei nobili che non era scappato).
Come Doge fu molto criticato per l'atteggiamento accentratore e dispotico.
Il suo mandato inoltre fu contraddistinto da forti contrasti con la Chiesa. L'origine di questi contrasti stava nella rivolta in Corsica e nella volontà della Repubblica di nominare vescovi e provinciali a lei fedeli, mentre la Curia e i generali degli ordini religiosi erano contrari. Nel 1759 fu decretata l'espulsione dai territori della Repubblica di tutti i cappuccini proprio per questioni legate alla Corsica.
Addirittura Franzoni venuto a conoscenza del fatto che un visitatore apostolico pontificio si era recato nell'isola, fece emettere una specie di "taglia" sulla sua testa perchè fosse catturato. Considerava quella azione un appoggio implicito ai ribelli. Sembra che ad un certo punto avesse decretato che i sacerdoti si dovessero levare il copricapo mentre passava per la città e diede istruzioni alla sua scorta affinchè facesse rispettare l'obbligo. Di conseguenza durante le processioni cui interveniva si sentiva intimare spesso dai soldati "leva berretta, leva berretta". Per cui fu soprannominato "il doge leva berretta".
Era arrivato a farsi tanto odiare che si moltiplicarono contro di lui le voci di cattiva gestione, nella speranza che alla fine del mandato fosse messo sotto accusa dai supremi sindacatori. Però nulla fu eccepito contro il Franzoni e quindi diventò procuratore perpetuo senza problemi.
Marcello Durazzo - Eletto nel 1767 è il doge che conclude l'annosa vicenda della Corsica. Dall'inizio della rivolta nel 1729 si erano alternati nella gestione della vicenda il partito "del pugno di ferro" e quello della "trattativa". Il primo si opponeva a qualunque trattativa e si affidava solo all'intervento militare, il secondo propugnava una qualche forma di accordo con la concessione di gradi diversi di autonomia o il passaggio da dominio a territorio metropolitano.
Nessuno in realtà aveva ottenuto successi. Il doge Durazzo ritenendo ormai ingestibile la situazione dell'isola era deciso a cederla alla Francia.
Tra l'altro non si trattava solo di tener testa ai ribelli ma era necessario guardarsi da altri paesi. Infatti nel tempo i Savoia, l'Inghilterra e perfino la Francia avevano occasionalmente appoggiato, direttamente o indirettamente, la rivolta. Proprio i francesi negli ultimi anni avevano dimostrato interesse all'isola e avevano fornito diverse volte alla Repubblica dei contigenti militari (a caro prezzo) per affrontare gli insorti. Già prima della sua elezione Durazzo aveva proposto nell'assemblea del Minor Consiglio la cessione dell'isola. Durante il suo incarico riuscì, dopo numerose votazioni contrarie, a far approvare l'accordo che avrebbe portato al Trattato di Versailles del 1768, con il passaggio sotto il controllo francese. La formula prevedeva la cessione a fronte dei debiti contratti dalla Repubblica con la Francia. Sostanzialmente era stato possibile far approvare l'accordo sulla base di una postilla che permetteva ai senatori di "salvare la faccia": era previsto una specie di diritto di riscatto, saldando il debito ... opzione che non fu mai utilizzata vista la cifra altissima da pagare.
Ritratto di un Doge negli anni 40 del XVIII secolo. |
Il palazzo Ducale di Genova. Sede del Doge e luogo delle assemblee del Maggior e Minor consiglio. |