XI CONCORSO LETTERARIO: I RACCONTI

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bouvard

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Si dice che la prima volta non si dimentica mai, speriamo di non doverci ricordare questa mia "prima volta" per aver fatto saltare il concorso o peggio... il forum (con me non si sa mai :ROFLMAO:)
Questa discussione è solo per i racconti, perciò datemi il tempo di postare tutti i racconti (forse ci vorrà un pò perché 2 scrittevoli non hanno avuto compassione per me :ROFLMAO:) e poi aprirò un'altra discussione per i commenti ed il toto-autore, si, lo so che queste cose le sapete benissimo infatti le sto scrivendo come promemoria per Bouvard!
Allora i racconti sono postati in ordine alfabetico del nick che gli scrittevoli si sono scelti

e sono:

- Una bambina da salvare
- Possessione
- La tentazione
- Prurito al naso
- Coriandoli di cenere
- Incontri
- L'abisso
- M re di C
- Undicesima strada


mentre gli scrittevoli, in ordine casuale, vi ricordo sono:

- Max Cogre
- Qweedy
- Ondine
- Carcarlo
- Alessandra
- Ayuthaya
- Germano Dal Cielo
- Dory
- Estersable


Ho scritto tutto? Sicuramente no, ma fa niente
 
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bouvard

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UNA BAMBINA DA SALVARE

(di ARMOCROMIA)

Venerdì sera, ore 18:00. L'uomo alto chiuse a due mandate la porta blindata del suo ufficio, inserì gli
allarmi, attivò gli impianti di videosorveglianza notturna e finalmente lasciò la banca. Dirigeva quella filiale
da tre anni e tutto sommato era soddisfatto della posizione raggiunta. Non era certo da tutti dirigere, a 47
anni, la filiale di una delle banche più importanti, in pieno centro cittadino. S'incamminò lungo il viale
tentando di schivare i capannelli di ragazzine vocianti. Si chiese distrattamente perché fossero così tante e
così su di giri, poi ricordò: nella libreria all'angolo c'era il firmacopie del nuovo disco di quel rapper di cui
parlava la sua segretaria. Svoltò lasciandosi alle spalle le vetrine luccicanti dei negozi di lusso e s'incamminò
a passo lento e cadenzato, protetto dai palazzoni tutti uguali e anonimi, la mente ormai sgombra da
impegni e scadenze, per la lunga strada che l'avrebbe condotto da lei. D'un tratto gli tornò in mente la
cliente a cui aveva dovuto rifiutare l'ennesimo prelievo ingente proprio quella mattina. Il pensiero giunse
improvviso, come una fitta allo sterno che pungente mozza un respiro a metà. L'immagine del suo
caschetto di un biondo sfacciato che ondeggiava deciso ad ogni sua manifestazione di incredulità gli ferì gli
occhi come un flash improvviso. "Deve morire male! Pezzo di merda senza palle!" - gli aveva urlato contro
prima di turbinare via, furente, masticando minacce. L'ombra di un sorriso illogico gli aveva inclinato
appena le labbra al pensiero di quant'era diversa, a fine conversazione, quella parvénue sofisticata, finta
come una banconota da un euro, tutta griffe e moine. Mica era colpa sua se aveva dovuto bloccare il
prelievo dal conto condiviso: il marito, al telefono, era stato chiaro. "Mainetti, mia moglie sta cercando di
prosciugarmi il conto prima di prendere il volo col suo amante. Sono già cinque prelievi in due mesi, faccia
in modo che non ce ne sia un sesto o ci saranno conseguenze". E siccome il marito era, incidentalmente,
uno dei più importanti azionisti della sua banca… beh, era toccato a lui inventarsi scuse su scuse con la
signora. Ma siccome lui di scuse non ne aveva mai sapute inventare… e siccome non aveva neppure la testa
per preoccuparsi dei guai coniugali del suo capo, alla fine gliel'aveva detto: "Suo marito mi ha minacciato".
E lei si era infuriata, gliene aveva dette di tutti i colori, fino a quell'ultimo augurio, l'unico che gli aveva fatto
male.
E fu allora che capì. Le spalle incassate, il volto seminascosto dal bavero del pesante cappotto nero, mentre
a passi pesanti si dirigeva verso un'altra notte difficile, fece il collegamento. Quella donna odiosa gli era
tornata in mente perché subito prima stava pensando a lei… stava pensando alla notte che lo attendeva,
seduto accanto a un letto d'ospedale, a tenere nella sua mano gigante le piccole dita inerti di una bambina.
Stava pensando, inconsciamente, che non voleva rivedere gli occhi chiusi, spenti di sua figlia, che non
voleva sentire il bip delle macchine che tenevano in vita un'anima di cinque anni. "Devi morire male", gli
aveva urlato la stronza. E sì, lui avrebbe proprio voluto morire, andare a fare compagnia a sua moglie, la
donna che amava sin da quand'erano ragazzini, che appena due mesi prima aveva deciso di buttarsi dal
sesto piano con la loro piccola in braccio. "Non ce la faccio più, Giorgio, perdonami", aveva scritto nel
biglietto buttato sul tavolo della cucina, dove fino a quella mattina avevano preso il caffè insieme
scambiandosi sorrisi e tenerezze. Non gliel'aveva mica detto, lei, che non ce la faceva più… e lui, mica li
aveva visti i segnali… e ora avrebbe voluto morire anche lui, per non aver capito. Ma non poteva farlo, lui
non poteva morire. C'era una bambina da accudire… una bambina senza colpa che, se fosse sopravvissuta,
avrebbe avuto solo lui. In quelle lunghe notti, con lo sguardo perso nell'oscurità impenetrabile dei suoi
piccoli occhi serrati, l'aveva pure pensato che se fosse morta anche lei lui sarebbe stato libero di farla finita
(e caschetto biondo avrebbe dovuto minacciare qualcun altro), poi si era odiato anche per questo. Solo su
quel viale nel viavai dell'ora di punta, dovette fermarsi, sfinito, e poggiarsi allo stipite d'un portone. Lo
attrasse l'insegna di un caffè a due passi da lì. Entrò. Il viso immobile in una maschera impenetrabile. Le luci
soffuse, l'ambiente caldo e saturo di fumo e vapori, i tavolini vuoti dietro i separé in fondo, le bottiglie di
superalcolici in fila dietro al bancone… tutto lo attraeva come una promessa di calore e conforto. Fece due
passi verso il barista già in attesa. Si fermò, fotografò tutto in un unico sguardo, poi qualcosa lo indusse a
voltarsi. Uscì di nuovo nel freddo della sera e riprese a camminare a passi decisi. Checché ne dicesse
quella donna, lui doveva vivere. Aveva una bambina a cui pensare. Aveva una bambina per cui sperare…
una bambina da salvare.
 

bouvard

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POSSESSIONE
(di ATTICO FRINGUELLO)

Sanatorio di Davos, Svizzera​

“Pssss, la sai l’ultima? Mentre dormivo ho sentito Svetlana che confessava a Imma di aver ceduto finalmente alle avances di Don Giulio, ma al momento di mostrare la sua virilità lui non è stato all'altezza delle aspettative!"

“Ma dai... Così attenta ai pettegolezzi pure quando dormi?”

“Allora Svetlana, per ripicca, voleva consolarsi fra le braccia di Matteo, ma come sai bene Matteo è un monogamo convinto e allora...”

“E piantala, Annie! Nemmeno da morta saresti capace di tenere il becco chiuso! Piuttosto passami quella bottiglia, che mi verso un goccio”

“Certo, Loreno, e adesso mi dirai che è l'ultimo, no? Il tuo famoso "u.b.v."! Peccato che la prossima volta mi dirai la stessa cosa..."


--- sei mesi prima ---​

La prima cosa che pensai fu che forse avevo mangiato troppo. Stavo rientrando nel mio studio, dopo la pausa pranzo, quando mi sentii chiamare: “Buongiorno, avvocato... sono Bianca O’Brien e ho bisogno di lei. Abbiamo tutti bisogno di lei”.

Mi girai. Nessuno. Feci finta di nulla e proseguii, ma la voce riprese: “Può darsi che mi dessi un po’ troppo arie, lo ammetto, ma avevo tutte le ragioni per farlo: sono molto più raffinata di quella campagnola di Scarlett e il ruolo avrebbe dovuto essere mio. Chissà in che modo l’avrà corrotta, quella piccola smorfiosa...”

Mi girai di nuovo, ma era evidente che fossi solo. La voce dunque proveniva dalla mia testa. Mi sentii come Oda Mae Brown quando si rende conto che la voce di Sam è quella di un vero spirito. Ma io non ero un medium, neppure per finta, ero un brillante avvocato nel pieno della carriera.

Beh, e cosa dovrei dire io?” aggiunse una voce energica dall'accento russo. “Rifiutato a causa della mia solerzia! 'Troppo zelante' mi è stato detto! Si è mai sentita una bestialità simile?

“Chi... chi è lei?” balbettai, sempre più confuso.

Sono Rabotov” rispose il russo con affettata dignità. “E nessuno mi toglierà dalla testa che se fossi stato scelto io al posto di quel nullafacente, avrei potuto realizzare grandi progetti

Vogliamo parlare di me, allora?” si intromise un’altra voce “Sono un uomo dalle mille qualità e meritavo di vederle riconosciute!
“Abbiate pazienza, non ci capisco niente! Si può sapere una buona volta chi siete e cosa volete da me?"
Assez, assez, quelle confusion! Ci penso io.” Una voce molto distinta fece tacere gli altri e cominciò: “Bonjour, monsieur. Mi presento: sono Achille Parrot e ci tengo innanzitutto a precisare che sono un autentico francese. Adesso le spiegherò tutto. Nous sommes les personnages alternatifs."
“Alternativi? Alternativi a chi?”
Bon Dieu, monsieur, usi le sue celluline grigie! Alternativi a quelli che hanno ottenuto la parte! Come pensa che funzioni la genesi di un romanzo nella testa di uno scrittore? Un’idea unica, semplice e lineare? Un personaggio tutto d'un pezzo, definito una volta per tutte? Ce n'est pas si simple! È una sorta di, di... comme on dit... “provino”, voici! L'autore ha davanti a sè più personaggi, ognuno con le proprie caratteristiche, dalle quali dipenderà l'evolversi della storia. Quindi, come in un provino, l'autore ci esamina, soppesa pregi e difetti e enfin... fait sa sélection.”
“E quindi, se non ho capito male, voi sareste gli scarti?” Azzardai.
L’uomo non prese molto bene la mia definizione. “Déchet? Déchet?! Ça ne s'est jamais vu! Moderi le sue parole, monsieur, noi non siamo scarti, siamo letteratura inespressa! Guardi me, pour exemple, non avevo nulla da invidiare a quel belga dalla testa d’uovo, anzi. Solo perché mi capitava di perdere la testa pour une belle famme, parfois...” borbottò un po’ imbarazzato.

Cerchi di capire, avvocato, siamo personaggi in cerca di riabilitazione” spiegò un uomo molto serio che rispondeva al nome di Caliston Black. “Ci appelliamo a lei per ottenere solo ciò che ci spetta: il riconoscimento della nostra dignità letteraria. Pensa che se fossimo stati scritturati noi al posto delle nostre controparti il mondo non avrebbe goduto di altrettanti capolavori?

Potevano anche aver ragione, ma tutta la faccenda mi sembrava talmente assurda che rifiutai decisamente; che figura ci avrei fatto a perorare la causa di individui immaginari?
Eppure la cosa non finí lí: scoprii che queste creature avevano covato (a volte per secoli) un risentimento talmente grande, da non fermarsi di fronte a nulla. Iniziarono a tormentarmi giorno e notte, mi perseguitavano ovunque, impedendomi qualsiasi attività. Sia il lavoro sia la mia (magra) vita privata ne risentirono e alla fine fui costretto a capitolare. Dimenticai tutto il resto e mi immersi in settimane di febbrile lavoro, per ottenere giustizia per i miei clienti.

Giunse il momento di parlare davanti alla giuria. Fu un processo molto particolare: un processo "letterario" come penso non se ne vedranno mai più nella storia della mia professione.
Ad uno ad uno, mi soffermai sulla natura degli Alternativi e su quello che avrebbero potuto dare al mondo della letteratura se solo avessero avuto la possibilità di esprimersi.

“(...) Signore e signori, se al posto di Oblomov ci fosse stato Rabotov, i secoli a venire non avrebbero forse celebrato un modello di zelo e operosità?
E se il protagonista del capolavoro pirandelliano fosse stato Matteo Pasquale, con il suo rifiuto ostinato di sostituire la prima moglie, fosse anche post mortem, quale mirabile esempio di fedeltà coniugale per i giovani d’oggi!
Pensate invece che, proprio a causa della loro virtù, Rabotov e Pasquale sono stati condannati all’oblio... anzi, a una non esistenza!
Ancora più sfortunata è stata Svetlana Karinina, talmente bella che la sua rivale, accecata dall'invidia, l'ha gettata sotto un treno per potersene sbarazzare. La poverina, viva per miracolo, è rimasta menomata e da allora grida vendetta.

Ma facciamo un passo oltre. Vi invito a riflettere: solo la virtù ha diritto a esistere? Basta guardarsi attorno per capire che, ahimè, non è così. Vorremmo allora negare dignità a un personaggio, solo perché presenta qualche trascurabile difetto?
Ecco il principe Fiskyn: un giovane intelligente, affabile, vittima, talvolta, di attacchi isterici a causa dei quali, senza che gliene si possa attribuire un'effettiva responsabilità, finisce per aggredire chi gli sta intorno... vorremo metterlo al bando per questo? Quanti ladri e assassini esistono nella letteratura e godono tuttavia del nostro pieno rispetto?
Per non parlare del povero Loreno Casini: gli potremo mica negare tutti gli sforzi fatti per uscire dal tunnel dell'alcolismo? L'ultima sigaretta sì e l'ultimo bicchiere di vino no? È una discriminazione inaccettabile, dovete ammetterlo!
Quante donne, mi perdoni il gentil sesso, non sono capaci di tenere la bocca chiusa per più di due minuti? E perché fra tutte solo Annie Bundrel dovrebbe pagare un così alto prezzo?

E infine vi sottopongo il caso più triste di tutti: Giacinto e Toccodoro, una coppia di giovani innamorati vittime di una vera e propria discriminazione sessuale. D'accordo, si dirà, i tempi non erano ancora maturi ed è proprio per questo che dichiaro: è nostro dovere rimediare! Non possiamo accettare che nell'epoca del "politically correct", delle pari opportunità, della lotta a qualsiasi forma di emarginazione, questi personaggi, varianti di quelli da noi tutti amati o odiati, ma comunque universalmente riconosciuti, si vedano negare il proprio diritto a esistere.
Per quanto sopra esposto, a nome di questi personaggi senza storia, poiché nella maggior parte dei casi i loro creatori sono passati a miglior vita e non possono più restituire loro i romanzi mancati, chiedo formalmente che da questo momento in poi qualsiasi casa editrice abbia l'obbligo di inserire, come postfazione all'opera pubblicata, una scheda dettagliata di tutti i personaggi alternativi a quelli dell'opera stessa, una scheda che descriva l'aspetto, le caratteristiche, i gusti e tutto ciò che i personaggi in questione riterranno consono
."

Contro ogni aspettativa, l'arringa conquistò la giuria. La richiesta fu accolta ed io raggiunsi una grande popolarità.
All'inizio gli Alternativi sembrarono soddisfatti dell'esito del processo e mi dimostrarono la loro riconoscenza lasciandomi finalmente in pace. Ma da alcune settimane a questa parte sento che le cose stanno cambiando... le voci sono tornate, ma senza che formulino richieste precise o intavolino una qualche conversazione con me. A volte sono brusii indistinti nella mia testa, altre volte parlano tra loro, ignorandomi. In rari momenti è come se perdessi totalmente coscienza di me stesso, ridestandomi qualche minuto dopo con un senso di smarrimento.
L'altro giorno mi è successa una cosa strana: mi sono ritrovato nella mia stanza, davanti a uno specchio, vestito completamente di nero e molto elegante; mi miravo e rimiravo senza posa e sembravo molto soddisfatto del mio aspetto. Il problema è che non ricordavo assolutamente di essermi vestito a quel modo, né riuscivo a trovare una spiegazione plausibile per quel mio gesto (non sono per nulla vanitoso). Semplicemente, è come se non fossi stato io.
 

bouvard

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Scrivo queste pagine cercando di dare un senso a ciò che mi sta accadendo, ma non lo trovo e comincio ad avere paura...
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L'avvocato degli Alternativi arrestato per omicidio e internato in un manicomio.
Sopraffatto dai personaggi che lo avevano reso celebre, il brillante avvocato perde la testa e commette un brutale assassinio.

Berna. Ieri mattina, l'uomo noto al grande pubblico come "l'avvocato degli Alternativi" è stato trovato nei pressi della propria abitazione con le mani sporche di sangue e in evidente stato confusionale. Sospettato dell'assassinio di una vicina di casa, un'inerme vecchietta, e interrogato dalla polizia, l'uomo, che sostiene irragionevolmente di chiamarsi Raskaya’nikov, ha dichiarato che a differenza di "quell'imbecille del suo alter ego" (cit.) non si pente di ciò che ha commesso, ma anzi si sente orgoglioso del suo misfatto e lo rifarebbe ancora. Dopo un'accurata visita psichiatrica, la quale ha dato esiti inequivocabili, il giovane avvocato è stato rinchiuso nel sanatorio di Davos.
 

bouvard

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LA TENTAZIONE
(di BAGNOSCHIUMA DI POLLO KNORR)


Era seduto davanti a me, su una poltrona che pareva un trono, e tra i due c’era una gigantesca scrivania di quercia annerita dai secoli. Dietro di lui, che lo illuminava dall’alto, un’enorme vetrata di vetro antico, di quello al piombo, che leggermente traslucido lasciava vedere la cattedrale di Ginevra con le sue bianche guglie di pietra alpina.

Alla terza boccata di Montecristo, con quella falsa indifferenza che il suo ruolo richiede, ruppe il silenzio e mi domandò – e tu come mai hai scelto la via? –

Gli risposi col silenzio altrettanto falso e indifferente di altre tre lunghe boccate rubate al mio Cohiba, e poi gli raccontai tutto con indifferenza, ma con indifferenza vera, quella giusta per stuzzicare il suo interesse.

-Tutto iniziò – dissi posando il mio sigaro e prendendo la coppa di calvados che mi aveva generosamente offerto – quando decisi di abbandonare la strada che avevo intrapreso anni prima e iscrivermi a ingegneria. Fu una decisione che se da una parte presi con gioia, dall’altra fu molto sofferta perché mi resi conto che facevo soffrire coloro che tanta speranza avevano riposto in me. Comunque, se ci ripensi, lo sai: restiamo sempre qui ad aspettarti mi dissero, io ringraziai di cuore e partii. –
-Però! –
-Presi perciò quella che credevo fosse la mia strada, e lo dimostrai a tutti e a me stesso laureandomi in meno di sei anni col 110. Senza lode, ma col 110! –
-Complimenti!! –
-Mi trovai subito un lavoretto, tanto da permettermi di andare a vivere da solo con Gianna, la mia ragazza, che lavorava pure lei, e poi cercarmi un lavoro vero, da ingegnere. –
Assaporai un sorso di quel nettare squisito che mi riempiva il palato di sentori di pera williams.

Il primo colloquio di lavoro avvenne in una piccola ditta famigliare, dove il padrone, che così si presentò, mi disse chiaramente che quella non era un’azienda qualunque ma una grande famiglia di cui lui era il padre, e che per lui io sarei stato come un figlio… ma non proprio il padre – divagai - no, lui era proprio il Padre e io sarei stato proprio il Figlio, e che perciò non sarebbero stati i soldi quelli che mi avrebbe dato in cambio del mio lavoro, ma l’occasione per crescere e che bla, bla, bla! Insomma che tornai a casa abbastanza deluso: dopo tanti sacrifici per studiare mi aspettavo qualcosa di più, un piccolo riconoscimento, qualcosa. Cercai di farmi consolare da Gianna che però era nervosa perché al lavoro aveva litigato, come al solito mi rispose malamente di no, salì la tensione e ne venne fuori una bella discussione. –

Feci una pausa per riprendere il mio Cohiba e dal silenzio che ne seguì, capii che avevo suscitato il suo interesse.

Me li ricordo bene quei mesi lì, in dettaglio – ripresi accarezzando la coppa di calvados. - Poi venne la volta di un secondo colloquio, in un’azienda di medie dimensioni, dove il CEO mi disse che quello che mi offriva lui non era un lavoro, no, era una missione, e che perciò se avevo in mente orari, fine settimana e vacanze, lasciassi perdere subito. Insomma che tornai a casa sconsolato, mi avvicinai a Gianna che aveva litigato col capo e alla fine litigammo pure noi. –

Lui fece un cenno con la testa, come a dirmi di continuare, ma senza parlare che evidentemente si stava godendo il calvados pure lui.

Insomma – ripresi io – che al terzo colloquio di lavoro in una grande azienda, il responsabile commerciale mi disse che cercavano un tecnico commerciale che fosse capace di convincere i potenziali clienti a mollare la nostra concorrenza e a passare dalla nostra parte, perciò non voleva un semplice commerciale, no, voleva uno che evangelizzasse il mercato portando il verbo aziendale per il mondo. Tornai a casa, andai dalla Gianna che era al lavello della cucina, la abbracciai da dietro mugolando una melensaggine da giovincelli, e lei nevrastenica per non so cosa sul lavoro, iniziò una sfuriata che non le dico. –

Lui fece un altro cenno silenzioso, stavolta godendosi una profonda golata del suo Montecristo. Era evidente che il mio racconto lo interessava.

-Ero disperato: vedevo svanire tutti i miei sogni, crollare le mie certezze, mi pareva di assistere al crollo del tempio. Mi ricordo che fu una notte insonne, piena di pensieri struggenti, e quando mi sentii come un santo arso dai tormenti della fede, capii che negli ultimi anni avevo sbagliato tutto e dovevo tornare sui miei passi. Perciò, senza esitare un attimo, il giorno seguente, dopo tanti anni d’assenza, mi ripresentai al seminario, parlai col padre superiore che mi accolse a braccia aperte come se fossi partito solo il giorno prima, mi abbracciò e mi confortò. Tornai dalla Gianna, le spiegai tutto, all’inizio pensò ad uno scherzo, ma quando mi vide fare veramente le valigie andò su tutte le furie, e quando presi la porta di casa mi urlò di tutto dalla finestra. Quella sera dormii in seminario, e dopo qualche annetto ero un ingegnere che vestivo il clergyman. –
-E poi? – domandò lui sorridendo come se il dramma fosse diventato una commedia.
-E poi, cosa vuole? Seguii la via. Mi affidarono una piccola parrocchia in campagna, mi diedero una casa con un giardino piccino ma carino, una Volkswagen Golf per andare a trovare i fedeli, i soliti milletrecento euro al mese di quando uno è agli inizi, due signore che si occupavano delle faccende domestiche, dicevo la messa e ascoltavo le confessioni. Adesso, a ripensarci, mi accorgo di quanto fui immaturo a non godermi tutto quel tempo libero che avevo a disposizione! Infatti, finita l’estate, iniziai a insegnare anche religione a scuola, che per carità, erano altri millecinquecento euro al mese che facevano sempre comodo, ma tempo libero ne avevo sempre meno, che poi giovane e intraprendente com’ero, il tempo libero pareva darmi noia e non facevo altro che cercarmi nuove attività, perciò iniziai a dare una mano giù in città a sua eminenza. -
-E la Gianna? Gianna si chiamava, vero? –
-Sì, Gianna. Mi contattò lei via facebook. Ci incontrammo una sera a casa sua, che poi era ancora la nostra di un tempo, disse che stava male e che doveva aprirsi con qualcuno. –
-Eh? –
-Eh… che mi strappò il colletto, che disse che avevo troppi bottoni e finì che fece prima a tirar su la sottana… e insomma, che facemmo l’amore come chi non si vede da anni. –
-E poi? – domandò il cardinale lisciandosi noncurante la porpora.
-E poi… cosa vuole! Ci rimettemmo insieme. –
-E il suo caratterino…? –
-Era cambiata. Cambiò per sempre: da allora sempre dolce con me, tutta moine. –
-Ci mancherebbe altro! – disse il cardinale – e qual è la moglie che ringhia al marito che si è fatto prete! –
-Non è solo quello. –
-Ah no? –
-No. E’ che a quel punto, con quasi tremila euro al mese, anche se con qualche sacrificio, lei poté lasciare il lavoro, andare in piscina, fare yoga, rilassarsi… -
-Ma state ancora insieme? -
-Sì, sì: è una cosa seria, anche perché nel frattempo abbiamo avuto due figli. Certo, io non ho potuto riconoscerli: sa, se no poi si viene a sapere e la gente parla; ma per lei è lo stesso se siamo sposati o meno, che portino il mio cognome o il suo, e anch’io non mi formalizzo più di tanto per queste cose. –
 
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bouvard

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-Ma no, ma poi oggi bisogna essere moderni e non badare a quelle cose: una madre deve essere liberissima di dare il proprio cognome ai figli. Ma… e tornando alla carriera? – domandò felice che mi andasse bene.
-Tornando alla carriera, sa com’è…Erano gli anni delle crisi vocazionali, perciò preti ce n’erano pochi e quelli che c’erano, erano per lo più filippini, equadoregni, nigeriani… -
Il cardinale sbuffò facendo tremare la propria pappagorgia, come quello che già sapeva dove sarei andato a parlare.

Non mi dica nulla – disse lui facendo un gesto con la mano – erano gli anni in cui tutti i cummenda e i cavalieri avevano almeno una squadra di calcio e stravedevano per giocatori brasiliani, ghanesi, marocchini… ma poi quando moglie e figlie dovevano confessarsi… -

Fu allora che il cenno lo feci io e lo interruppi – …allora preti e buoi dei paesi tuoi! – e il cardinale si mise a ridere, non che non l’avesse mai sentita, ma è che tra noi uomini di fede, quella battuta era come un toccasana che faceva ridere sempre.

-A volte – ripresi il discorso dopo una breve riflessione – penso alla mia giovinezza, e più ci penso, e più sono convinto di essere stato messo alla prova dal Signore. Non sono cerco un Padre Pio o una Teresa d’Avila, ma a volte penso che è come se il Signore, prima avesse voluto darmi la possibilità di conoscere il mondo del seminario, e poi anche l’alternativa dello studio, del lavoro sotto padrone e di una moglie che vuole fare quello che le pare, come per darmi l’occasione di scegliere se intraprendere o meno il cammino della fede o una vita spensierata. -
-Potrebbe anche essere stato l’esatto opposto. –
-E cioè? –
-Che il Signore ti ha messo sulla retta via facendoti entrare fin da subito nel seminario, ma il Diavolo ti ha tentato, tu sei caduto in tentazione, sei uscito dal seminario, hai studiato ingegneria, hai provato a lavorare, a farti una vita da laico, ma per fortuna la tua fede è stata più forte e sei tornato all’ovile. –
Rimasi assorto in silenzio: era evidente che il cardinale, fine teologo, vedeva più lontano di me. Poi, come a darmi la possibilità di pensarci da solo, cambiò discorso
-E adesso di cosa ti occupi di preciso? Come mai da queste parti? –
-Mi occupo di plusvalenze. –
-Ah! – esclamò lui sorpreso – per quale squadra di pallone? –
-No, no – risposi io – per le mogli di cummenda e cavalieri, ma… non posso fare i nomi! –
-Ma certo, si capisce. Ho letto i giornali, ma che fanno: comprano e vendono calciatori pure loro per taroccare i bilanci famigliari? –
-No, no – mi ripetei – importano Madonne dalla Svizzera.
-Madonne svizzere? –
-Più o meno. Ha presente la casa d’aste qui a Ginevra in Place Guillaume Tell? –
-Sì certo. –
-Ecco, si sono specializzati in Madonne, icone e reliquie miracolose. Hanno un paio di storici dell’arte di Basilea che gliele valutano la cifra che chiedono i miei clienti… pardon, fedeli, mentre io invece ne certifico la genuinità da un punto di vista religioso. –
-E valgono molto? –
-Nulla, è tutto ciarpame. –
-E allora, perché se le comprano? –
-Perché così, quando se le aggiudicano all’asta, spediscono dall’Italia un pagamento di centomila euro, per dire, sul conto corrente della casa d’aste; il dieci per cento resta lì, il settanta per cento glielo giriamo su un conto corrente cifrato nel canton Uri, e l’altro venti per cento lo porto a Roma per opere di bene. –
-S’intende! –
-Eh certo! –
-E la Madonna svizzera che fine fa? –
-Ah be’, anche quella la porto io in Italia, la consegno alla famiglia che l’ha acquistata e la dona a qualche santuario, così se poi l’Agenzia delle Entrate fa domande, interviene sua eminenza per spiegare tutto, così oltre a mettersi 70.000 euro puliti in un paradiso fiscale, ne scaricano 100.000 per beneficenza. –
-Giusto, giusto. Ma… - e ingoiò quasi frettoloso un sorso di calvados – ma queste continue assenze come si ripercuotono sulla sua famiglia? Un padre, un marito (per così dire, s’intende) deve essere sempre presente! -
-Oh, quello non è un problema – risposi io – adesso i ragazzi sono cresciuti: il più grande studia qui a Ginevra, perciò lo vedo spesso; il più piccolo invece, è figlio d’arte ed è entrato in seminario dai salesiani; mentre mia moglie va e viene con me. Devo solo stare attento a quando gira per i negozi qui sotto con la mia carta di credito – conclusi ridendo.
Ah le donne! – esclamò il cardinale ridendo pure lui
 

bouvard

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PRURITO AL NASO
(di CIRANO)

Beth era fantastica. A prima vista, aveva un aspetto ordinario: una ragazzina di dodici anni come
tante altre; eppure, tutti i miei compagni di classe pendevano dalle sue labbra, facevano a gara a
sedersi vicino a lei, entravano in ansia se un giorno non veniva a scuola.
Leggevo tutti i libri che mi capitavano a tiro, ma lei di più, e sapeva raccontare storie straordinarie;
prendevo sempre voti alti, ma tutti i nostri insegnanti non facevano che lodarla, lei era eccezionale;
me la cavavo bene in tutti gli sport, lei per niente, ma una volta che arrivai terza nella corsa
campestre e lei tra gli ultimi, tutti la festeggiarono per essere stata coraggiosa ad arrivare fino in
fondo. Facevo del mio meglio, eppure ero sempre un passo indietro. Avrei dovuto odiarla, o
invidiarla, e invece no, nemmeno per sogno.
Bramavo anch’io di passare del tempo con lei. Quando avevo la sua attenzione, quando riuscivo a
farla ridere, mi sentivo intelligente, felice. E scema. Di fatto, mi sembrava una cosa stupida tutto
questo vorticarle attorno come moscerini intorno a un lampione, ma eravamo tutti come schegge di
ferro attratte da un grosso magnete, non potevamo farne a meno.
Puoi immaginare come mi sia sentita quando, una mattina, mi chiese di vederci il pomeriggio per
fare una passeggiata. Ero al settimo cielo e spaventata al tempo stesso. Ti chiederai il perché. Beh,
perché lei, Beth, era anche un po’ inquietante. Sveglia, arguta, divertente, eccentrica, con le
lentiggini e occhi affilati come schegge di vetro. Non eravamo mai state sole, lei e io. Una volta, ero
stata invitata a casa sua con altre mie compagne di classe. Una casa immensa, di tre piani, con un
piccolo giardino intorno popolato da alti alberi e cespugli lasciati crescere qua e là in modo
disordinato, selvatico, che strabordavano oltre la recinzione in ferro battuto. Dell’interno ricordo
poco: una luce giallastra che illuminava il pesante mobilio in legno massello scuro, lo scalone, un
vecchio pianoforte a coda. Ricordo che giocammo a un gioco da tavolo, e che ci propose di fare una
seduta spiritica. Rise delle nostre facce sconcertate - devo dire che rideva parecchio - poi fece quel
gesto che faceva sempre che a me pareva quasi ipnotico: si premette le dita sulla punta del naso e se
lo strofinò con movimenti circolari – cerchio, cerchio, in senso orario - sempre due, né più né meno.
Ci preparammo dunque per la seduta spiritica: una stanza buia, tre candele accese, cinque ragazzine
intorno a un pezzo di cartone con lettere e simboli scribacchiati sopra. Non successe niente di
particolare, ovvio, ma mi rimase addosso un senso di inquietudine crescente, per giorni e giorni,
come polvere che si deposita lentamente su un pavimento non spazzato per mesi.
Mi chiesi se le altre mie compagne provassero la stessa sensazione, non trovai mai il coraggio di
chiederglielo. Gli leggevo negli occhi una certa agitazione: ma non era forse sempre così, quando
c’era lei?
Insomma, uscita da scuola, partì il conto alla rovescia del tempo che mi separava dall’ora
dell’appuntamento. A pranzo, mangiai di fretta guardando distrattamente la TV. Non mi lamentai
neppure quando mia sorella, più piccola di me e rompi scatole suprema, accese la radio a tutto
volume e si mise a saltare sul letto, solo per infastidirmi. Svuotai l’armadio alla ricerca
dell’abbigliamento adatto, poco pretenzioso, ma che mi facesse sentire originale. Non credo ci
riuscii: a sentirmi sempre inadeguata ero imbattibile. I minuti si susseguivano con una lentezza
esasperante. Dopo l’ennesimo passaggio davanti allo specchio, pensai di spulciare nella mia libreria
alla ricerca di un libro interessante di cui parlare con Beth, sapendo che quello che stavo leggendo
davvero non rientrava nei suoi gusti, lo avrebbe senz’altro definito troppo “melenso” (parola sua).

Infine, ci incontrammo. Era incredibile con quale naturalezza e confidenza riuscivo a parlare con
lei. Camminavamo, ridevamo, la conversazione non scemava mai, non annoiava mai. Quel
pomeriggio non c’era molta gente in giro per i negozi; pure la piazza davanti la chiesa e il parco
cittadino, solitamente molto frequentati da mamme con bambini urlanti al seguito, erano quasi
deserti. Mi propose di inoltrarci per le stradine del centro storico, fiancheggiate da muri di grosse
pietre dalla forma irregolare, le case alte e strette addossate l’una all’altra, con porte e finestre
anch’esse alte e strette, e rari balconcini. Iniziò a raccontarmi una storia che aveva sentito, la storia
di un vecchio che abitava nei dintorni, in una di quelle poche case con balconcini sulla facciata. Da
uno di questi, pendeva una cassetta da frutta di legno legata alle inferriate con dei catenacci. “E
quando un bambino passa là sotto, Sbam!, gliela fa cadere sulla testa e lo tramortisce! Poi apre il
portoncino di sotto, lo tira dentro, e nessuno lo rivede più.” mi disse, sussurrando nell’eco dei nostri
passi che risuonavano nel silenzio della strada. Spalancai la bocca per l’orrore, ma allo stesso tempo
non le credetti del tutto. Si strofinò il naso in quel modo strano – cerchio, cerchio, in senso orario -
poi allungò il braccio indicando qualcosa alle mie spalle. Mi voltai ed era lì: la cassetta di legno
appesa al balcone, proprio davanti ai miei occhi. Era davvero inquietante, ma fu quando abbassai lo
sguardo e vidi il portoncino marrone scuro che sussultai: le assi di legno erano spaccate e scrostate,
e si mosse, giuro che si mosse. Oscillò appena un poco, come se qualcuno dall’interno l’avesse
appena socchiuso per sbirciare fuori. Dalla bocca mi uscì quel suono, sai, quella cosa tipo… che
sembra un misto tra una risata e un colpo di tosse, hai presente? Il mio cuore batteva furioso e sarei
scappata via a tutta velocità, ma ero in qualche modo pietrificata. Proposi di girare al largo da quella
strana e terrificante casa, da cui tuttavia non riuscivo a staccare gli occhi. Si era mosso o non si era
mosso, quel vecchio portone? Forse era stata solo la mia immaginazione.
Ci infilammo in un altro vicolo. Avvertivo un senso di vertigine, e improvvisamente mi resi conto
di avere una gran sete. Il cielo si era leggermente coperto, il Sole iniziava a calare e i muri si
tingevano di un arancio cupo. Ci dirigemmo verso una piazzetta in cui sapevamo esserci una
fontanella. Mi lanciai avida verso la cannula, bevendo a grossi sorsi. Poi fu il turno di Beth, che
bevve, poi raccolse con la mano una manciata d’acqua e me la spruzzò addosso, ridendo. Io
ricambiai e avviammo una guerra di schizzi, correndo di qua e di là attorno alla fontana.
Quando ci fermammo, esauste e con il fiatone, Beth raccolse ancora un po’ d’acqua e si fece il
segno della croce, come a voler officiare la conclusione della nostra baruffa.
“Aaaaaaaaaah”. Un urlo dietro le mie spalle mi fece sobbalzare. “Li hai visti pure tu! Li hai visti! Li
hai visti! Dillo! Dillo!”. La voce apparteneva ad una vecchia, bassa e grassoccia, con tanto di
gonnellone, scialle e pantofole di feltro, che continuò a ripetere quelle parole finché non mi riscossi
dalla sorpresa e le chiesi a cosa si riferisse.
“I fantasmi, lì, nella casa degli spiriti” e indicò le finestre di una grande casa abbandonata che si
ergeva proprio di fronte alla fontana. “Li sento la notte, li sento che sussurrano, che tirano le tende,
che battono sui muri, e nessuno mi crede, nessuno mi crede. Ma tu li hai visti, ti sei fatta il segno
perché li hai visti, dillo!” Urlava, guardando Beth, solo lei, anche se ero io a parlare. Beth se ne
stava immobile e muta, le labbra serrate e le guance appena arrossate per lo sforzo di trattenere le
risate, mentre a piccoli passettini la vecchia si avvicinava sempre di più.​
“No.. No-oi non abbiamo visto proprio niente, ci scusi, arrivederci.” Intervenni, prendendo Beth per
mano e trascinandola via. Imboccammo un altro vicolo e iniziammo a correre a tutta velocità.
 

bouvard

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Quando ci fummo allontanate a sufficienza, ci fermammo per riprendere fiato. Tra un respiro e
l’altro, Beth non la smetteva di ridere, cosa che, devo dire, stava iniziando a irritarmi.
“Dobbiamo tornare là”. Mi disse all’improvviso, facendo quel gesto, quello di strofinarsi il naso.
“A fare che?”
“Dobbiamo tornare, voglio dare un’altra occhiata”
“A cosa, alla casa? Ma ci credi sul serio? Che ci siano i fantasmi?”
“Tu no?”
“No”
“E allora suoniamo”
“Suoniamo?”
“Il campanello. Suoniamo il campanello.”
“Ma non ci abita nessuno, perché vuoi suonare?”
“Così… se non credi ai fantasmi, suona no? Che ti costa?”
Sì, non credevo ai fantasmi, non ci credevo neanche un po’. I film horror non mi avevano mai fatto
davvero paura, perché sapevo che non erano reali, i fantasmi non sono reali (non come il vecchio
dietro il portone… solo a pensarci… oddio… ma non lo dissi). Così acconsentii, ma a patto di
controllare prima che la vecchia se ne fosse andata. Ci sporgemmo poco da dietro un angolo, la
piazzetta era deserta. Avvicinandoci alla casa, lo ammetto, tanto tranquilla non lo ero più. Era quasi
buio ormai, e mentre accostavo la mano al campanello scrostato e polveroso, un filo di inquietudine
mi stava lentamente stringendo lo stomaco.
“Dai, dai, dai” mi incoraggiò Beth.
Suonai e scappammo. Non era previsto, lo facemmo entrambe come un riflesso automatico. Ma non
andammo lontano. Fummo sorprese dalla nostra stessa, strana, fifa. Ci guardammo in silenzio, poi
tornammo indietro. Non era successo nulla, la strada era ancora deserta, nessun rumore sospetto.
Vidi Beth abbassarsi a raccogliere qualcosa da terra: erano due pezzi di pietra che si erano staccati
dal muro, non saprei dire se fossero stati già lì o se fossero caduti in quel momento. I due pezzi
combaciavano. Beth me ne porse uno: “Li porteremo a casa come ricordo di questo bel pomeriggio,
che dici?”. Eh sì, era ora di tornare a casa… di già… che peccato. Tutto a un tratto, volevo solo
tornarmene a casa al più presto. Presi la pietra e la misi in tasca. In silenzio, ci incamminammo
verso il posto dove i nostri genitori sarebbero venuti a prenderci.
La sera, prima di mettermi al letto, poggiai la pietra sul comodino. La stavo contemplando,
ripercorrendo mentalmente i fatti del pomeriggio, quando mia sorella entrò in camera e si infilò nel
suo letto.
“Cos’è?”
“Un pezzo di muro della casa degli spiriti”
“Chi te l’ha dato?”
“Beth. L’abbiamo preso oggi pomeriggio. Durante la notte, da qui dentro escono i fantasmi”
sussurrai alterando un po’ la voce, per prenderla in giro.
“Mammaaaaaaa!!” l’urlo di mia sorella mi trapassò un timpano e subito dopo mia madre accorse,
intimandomi di togliere la pietra dal comodino.
Riluttante, mi alzai e la portai in un’altra stanza, chiudendola in un cassetto.
Mi rimisi al letto e chiusi gli occhi, infilandomi interamente sotto le coperte, testa compresa. Il
sonno non arrivava, pensavo alla pietra, ridacchiavo per aver spaventato a morte mia sorella… mi
sfregai il naso – cerchio, cerchio, in senso orario - mi prudeva un poco.
Nel silenzio della notte, un lieve “clic”.
 
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bouvard

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CORIANDOLI DI CENERE
(di ELISA)


Cari mamma e papà,
oggi è il 164esimo giorno dall’inizio della Desolazione. E’ così che ho chiamato quella che per me è la non-vita dopo la fine del mondo, quel 12 giugno 2022. Voi non avete fatto in tempo ad accorgervi di niente, o almeno così mi hanno detto all’obitorio, ma quel giorno Sputin ha lanciato cinque missili nucleari su altrettante capitali europee: Londra e la parte sud-est dell’Inghilterra sono state spazzate via da uno tsunami alto 500 metri dopo che il missile è caduto nel canale della Manica per un errore di coordinate; Parigi, Berlino, Roma e Bruxelle sono state centrate invece con precisione millimetrica e non esistono più. Le esplosioni hanno provocato milioni di morti e feriti, e la maggior parte di chi si è miracolosamente salvato ha i mesi contati a causa delle radiazioni.
Gli Americani hanno reagito uccidendo Sputin una settimana dopo, ma la domanda che tutti ci siamo fatti è: perché non lo hanno fermato prima del 12 giugno? Le avvisaglie che fosse fuori di testa c’erano eccome, e sei milioni di innocenti, come voi, oggi sarebbero ancora vivi.
Io mi sono salvata per puro caso, la mia fortuna è stata la mia insofferenza per il caldo. Mi dicevate che ero esagerata ad andare al mare già a fine aprile, vi ricordate? Ero in acqua quel giorno, e a un certo punto mi ricordo il boato impressionante, diverso da qualsiasi suono avessi mai sentito in vita mia, e subito dopo il calore, fortissimo, sulla pelle del viso. Se non ho riportato ustioni è perché mi sono immersa subito con tutta la testa. Lì per lì ho pensato fosse scoppiata una fabbrica, tipo di fuochi d’artificio, ma poi, quando sono riaffiorata e ho visto la gente che scappava terrorizzata, mi è venuto il dubbio che si trattasse di qualcosa di ben più grave. E avevo ragione.
Qui a Ostia l’aria è ancora irrespirabile dopo cinque mesi. Nei campi non cresce più nulla, sugli scaffali dei supermercati si trova solo cibo in scatola. Che cosa darei per risentire ancora una volta il sapore zuccherino di una fragola fresca o di un succo d’arancia appena spremuto… Quante cose davamo per scontate, e quanto mi mancano adesso! L’aria tersa che d’inverno mi sferzava il viso mentre aspettavo di entrare a scuola, il cinguettio degli uccelli che annunciava la primavera, l’erba fresca del prato dove ci sdraiavamo a studiare per le ultime interrogazioni di giugno… E quanto mi mancate voi!
Ora non c’è rimasto altro che coriandoli di cenere e desolazione. Eppure, anche nel deserto si può trovare un’oasi, no? È a questo che ho pensato quando stamani, mentre passeggiavo senza meta ai limiti della zona della Ricostruzione, ho visto un dente di leone farsi strada caparbio tra due ciottoli di un marciapiede. C’è una strofa di una bellissima canzone di cui non ricordo il titolo che dice che “un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole e non qualcosa che non c’è”. Ecco, lui ha voluto vedere il sole, incurante di tutte le difficoltà che aveva davanti e fregandosene dell’impossibile, e da oggi voglio provarci anch’io: voglio provare a rivedere la luce là dove finora era tutto buio.
Perché la vita è più forte. E perché io sono la vostra Sailor Chibiusa, la piccola guerriera del vostro cartone animato preferito.
Ciao mamma, ciao papà.
Vi voglio bene.
 
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bouvard

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INCONTRI
(di GLITTERWOLF)

08.02.2023
Lonewolf: Buonasera…
GlitterGirl: Buonasera a te…come è andata oggi?
L. Oggi avevo la lezione di diritto pubblico …du’ palle… dovrei mettermi a studiare seriamente ma chi ne ha voglia?
G. Quando hai gli esami?
L. Boh…sto andando a rilento, riesco a studiare solo in biblioteca… a casa è un casino con i miei che vanno e vengono e quando sono in casa litigano…
G. A chi lo dici…mi sono chiusa nella mia stanza e mi sono sparata Blanco a palla per non sentirli…
L. Puuuuuaaah! Ma come fai ad ascoltare quelle schifezze? E poi è uno stronzo, hai sentito cosa ha fatto a Sanremo?
G. Va be’, tutti sbagliano… si è scusato… e poi non è una schifezza, come ti permetti? Voi ragazzi, tutti uguali… fate finta di ascoltare musica impegnata per fare i fighi… a mio fratello nemmeno gliel’ho detto che ascolto Blanco, se no mi prende per il culo a vita… lui ascolta solo roba vecchia di decenni, Pink Floyd, roba così…
L. Sì, certo, robetta così… Tuo fratello sì che ne capisce! 😊 Che fai stasera? Devi uscire?
G. Non lo so…forse…
L. Non mi racconti mai niente…
Silenzio.
L. Ci sei?
G. Sì.
L. Ti sei offesa?
G. No però nemmeno tu mi racconti molto… a proposito tu invece che fai stasera?
L. Faccio un salto in quel nuovo locale che hanno aperto. Parliamo di cose serie… quando mi mandi la tua foto?
Silenzio.
L. E dai ma perché? Che c’è di strano? Ti imbarazza?
G. Un po’ sì (faccina che arrossisce) Aspetto che tu mi mandi la tua…
L. Te l’ho detto, devo aspettare di avere il cellulare nuovo e al momento non ho soldi… questo ha la memoria piena, ho dovuto cancellare tutte le immagini… Però io ti ho mandato la mia descrizione, tu che aspetti??
Silenzio.
L. ???
G. Dai, domani… Ora devo aiutare mia mamma a preparare la cena.
L. Seeee… buona serata…
G. Anche a te…ciao 😊
L. (cuoricino)

Lonewolf (seduto nel nuovo locale davanti a uno Spritz) - Mi stuzzica, forse proprio perché è così misteriosa.
Amico – Ma lascia perdere, se non ti vuole mandare la foto vuol dire che è brutta!
Amica – Sei sempre il solito stronzo… embé, anche se non fosse bellissima? Mica le persone sono tutte come te, ci si innamora per altri motivi, non solo per la bellezza esteriore!
Amico – Innamorano? Oh cazzo non mi dire che ti sei innamorato di una che non hai mai visto… ti prego, dimmi che non è vero, ahahah!
Lonewolf – Ma che innamorato! – Arrossisce. – Un po’ incuriosito, forse… Non le ho detto con chi uscivo per vedere come reagiva e lei non me l’ha chiesto…boh, a volte sembra che non gliene freghi niente, mentre altre volte… non so…
Amica – Scusa, non offenderti… ma magari… cioè, non per dire… tu non è che sei da buttare via, però non si può piacere a tutti…ha fatto commenti sulla tua foto?
Lonewolf abbassa il capo con la faccia sprofondata nello Spritz.
Amica (ride) – Non ci posso credere! Non gliel’hai mandata nemmeno tu la foto!!! E pretendi di avere la sua, che faccia tosta! Ahahahah!
Amico ride e scuote la testa.
Lonewolf (rosso in volto) – Ho la memoria piena…
Amica – Sì, certo, come no!
Amico – Ehi, l’hai vista quella tizia strafiga nel tavolo dietro di me? Quella con i capelli castani lunghi?
Amica – Bah.
Lonewolf si volta a guardare la tizia con aria indifferente.

09.02.2023
G. Ciao…
L. Ehi…ciao!
G. Che fai?
L. Sono appena tornato dalla palestra… ora mi faccio la doccia e poi a nanna, sono stanco morto… tu?
G. Ho studiato un po’ con la mia amica e poi siamo uscite.
L. Uscite dove?
G. Eh, uscite…
L. Ecco, ci risiamo con i misteri… Non mi hai nemmeno chiesto come era il locale!
G. Ah già è vero, come era?
L. Non male… è pieno di f... ehm, di belle ragazze…
Silenzio.
L. Non dici niente? Sei gelosa? Eheheh…
G. Noooooo ma cosa vai a pensare? È che non mi piace quando sei volgare.
L. Dai, scusa...Ehi Glitt ora ti saluto…ma quando me lo dici il tuo nome vero? Io aspetto eh!
G. Perché, tu forse mi hai detto il tuo?
L. Ehhhh il-mio-nome-è-un.segreto-segretissimo-che-nessuno-deve-sapere-fine-modalità-robot-----scherzo. Il mio nome non mi piace. Mi piace che mi si chiami Lonewolf, il mio nick rispecchia il mio carattere.
G. Sei un tipo solitario?
L. No, sono un lupo cattivo uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuhhhhh
G. Scemo 😊
L. Senti cara io vado…sono distrutto!!!
G. Ok ciao…buonanotte 😊
L. Sogni d’oro! (cuoricino)

10.02.2023
GlitterGirl – Giacomo, esci dal bagnooooo! Devo andare a lezione!
Fratello (doccia scrosciante) – Ma ti vuoi dare una calmata???? Ho quasi finito!!!
GlitterGirl – Sono in ritardooo! Che palle! Muoviti!
Fratello (doccia non scroscia più) – Ceertoo – canticchia – ti sei svegliata tardi perché di notte sei sempre lì col cellulare tra la la la A cercare siti di incontri erotici tra la la la
GlitterGirl – E smettilaaaa! Quei siti li frequenterai tu!
Fratello (giro di chiave) – Qualche volta! Ho finito, contenta? – Lieve sgambetto a GlitterGirl che per poco non cade.
GlitterGirl – Stronzo!!!!!!
GlitterGirl a lezione – Quel deficiente di mio fratello oggi mi ha fatto troppo incazzare bla bla bla
Amica – Dai, simpatico! – GlitterGirl la guarda come se volesse mangiarsela – Ma è vero che frequenti quei siti?
GlitterGirl – Macché, lo dice per prendermi in giro – arrossisce – frequento un gioco online…un gioco normale, non erotico… e ho conosciuto uno…
Amica – Evvaiiii! Era ora! - GlitterGirl fa l’offesa – Va be’, scusa, mi è venuto spontaneo… E com’è? Alto? Occhi? Capelli? Spalle?
GlitterGirl – Non lo so… mi piace come si comporta. Fa un po’ il fighetto, si fa desiderare. Non mi dice mai con chi esce e io per orgoglio non gli chiedo niente. Però mi piace il modo che ha di scherzare con me.
Amica – Come non lo sai? Non ti ha mandato la foto?
GlitterGirl – No… mi ha detto che ha la memoria piena.
Amica – guarda GlitterGirl con aria di commiserazione - Seee… ma possibile che ti bevi tutto? Ma scusa, il profilo whatsapp?
- Non ci siamo scambiati il numero. Nessuno di noi due l’ha proposto. Secondo me anche lui è un po’ timido…
 
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bouvard

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- Mmmm… O bruttissimo o un po’ sfigato…
- Va be’, allora vale anche per me. Nemmeno io gli ho mandato la foto…mi vergogno… ho paura di non piacergli.
- No, io queste cose non le posso sentire…alla tua età hai ancora questi complessi? È impossibile che non gli piaccia, con quei ricci e quegli occhi color nocciola… E poi sei simpatica, intelligente! - GlitterGirl arrossisce – Dovresti solo essere più audace! Io al posto tuo taglierei la testa al toro e a questo qui gli chiederei subito un appuntamento, altro che foto. Così prima di tutto vedi se trova una scusa per non incontrarti, e in tal caso ciao, anzi addio… e poi, parlando seriamente, è meglio non farsi film su uno sconosciuto, meglio affrontare subito la realtà e vedere se ti piace piuttosto che lasciar passare troppo tempo e affezionarti a un fantasma per poi magari avere una delusione quando vi deciderete a incontrarvi!
GlitterGirl – Un appuntamento? Sei matta? Non ho il coraggio di mandargli la foto e gli chiedo di vederci? Lo sai come sono, mi vergogno da morire… e poi se non viene ci resto troppo male… e se gli faccio schifo… ho paura di leggerglielo in faccia… e se invece fosse uno che ci prova al primo incontro? Io non sono così, lo sai… non saprei come comportarmi…
Amica – Lo so, lo so… e nel frattempo con tutte queste pippe mentali sono passati quasi due anni dalla tua ultima storia!
GlitterGirl – No, non me la sento … Potrebbe anche essere uno stupratore… certo, sembra un bravo ragazzo, ma in fondo chi lo conosce…
Amica (ride) – Mi sembri mia madre! Dai, quante probabilità ci sono che lo sia? Un appuntamento innocuo. Domenica pomeriggio al bar, per un caffè. Fidati di me. Ti presto la mia gonna che ti piace, quella rosa in pelle 😊

GlitterGirl a casa – Forse ha ragione devo tirare fuori il coraggio da qualche parte ce l’avrò che ansia ma perché gliel’ho raccontato no non ce la faccio e poi di sicuro non accetta uno che non mi manda la foto e non mi dice come si chiama sì lo so nemmeno io gliel’ho detto per puntiglio ma anche se accettasse io non saprei come comportarmi mi agito troppo ho paura di fare figuracce e poi di certo non gli piacerò però che bello sarebbe incontrarlo chissà come è fisicamente mi ha detto altezza media capelli neri occhi neri non è molto ma non mi interessa tanto l’aspetto secondo me è un bravo ragazzo mi ha detto dolce scherzoso l’istinto mi dice che è soltanto timido magari ha la ragazza ah sì ce l’ha altrimenti perché non mi dice con chi esce di sicuro sarà bellissima e magra sono nel panico che faccio sì mamma! Arrivo! Uff quello scemo di mio fratello mi sta prendendo in giro perché ho la testa fra le nuvole non voglio sentirlo meno male che sta uscendo ciao! Byebye! Vado da mamma

Qualche ora più tardi
G. Senti, devo dirti una cosa.
L. Wowww! Che tono serio! Se fossi la mia ragazza avrei detto che volevi lasciarmi.
G. 😊
L. (un po’ nervoso) Che c’è?
G. Finora non ti ho mandato la mia foto perché provo imbarazzo… sono un po’ timida, come mi dici sempre tu...
L. (ironico) Ma dai!!! Non dirmelo! 😊
Silenzio.
L. (incuriosito) Ti sei offesa? Dai, stavo scherzando… Non è un difetto essere timidi… Cosa volevi dirmi?
G. (nervosa) So che ti stupirò molto ma… Non mi capita spesso di trovare un ragazzo così simpatico, tantomeno in chat… e pensavo… se cercassimo entrambi di mettere da parte l’imbarazzo e i misteri… e ci incontrassimo dal vivo, da persone mature?
Silenzio.
L. (dopo qualche secondo) Dici sul serio? (un po’ diffidente) Ma sei la stessa GlitterGirl di ieri?
G. (pentita, ma ora non può più tornare indietro) – Ahahah sì… lo so, non è da me… ma ho riflettuto e ho pensato che forse è l’unico modo per rompere il ghiaccio. Giusto una mezz’oretta per salutarci… ti andrebbe bene domenica pomeriggio al Krapfen?
Silenzio.

Dopo un po’.
L. (titubante) Non me l’aspettavo…Sono stupito, certo…Però per me va bene…se tu sei sicura…
G. (in fretta) Allora ci vediamo domenica alle 17?
L. Ok…
G. Ok. Buona serata 😊
L. Anche a te (cuoricino)

GlitterGirl sola nella sua stanza
No non posso crederci gliel’ho detto davvero sono completamente pazza non è coraggio è incoscienza e ora come faccio non bastano tutti i rossetti e le gonne del mondo resto grassa brutta e impacciata come faccio non mi presento ma no non posso se no non mi scrive più ma non mi scriverà comunque dopo che mi conosce di persona magari ci prova sicuramente è più esperto di me ma cosa sto dicendo non ci proverà mai accidenti a me che ascolto i consigli degli altri devo pensare con la mia testa come faccio adesso sono disperataaaa aiuto che bello finalmente lo vedrò no non ci vado non ci vado

Lonewolf solo nella sua stanza
Boh, certo che questa qui è proprio strana! Una non mi vuole neanche dire se è alta e bassa o se ha i capelli biondi o scuri e poi mi chiede di incontrarla? Però proprio perché è così mi intriga di più. Perché mi somiglia. Speriamo sia carina. Va be’, non pretendo chissà che, soprattutto quando una mi piace così tanto come persona. Sto parlando come se la conoscessi bene, magari sarà una delusione! O sarò io una delusione per lei? Brutto non sono. Nemmeno bello, va be’. Almeno mi ha detto che le sono simpatico… Spero di riuscire a essere un po’ spigliato… però certo che questa proposta è proprio strana! E se fosse una trappola? Magari è un ragazzo! Certo, come ho fatto a non pensarci prima? I conti tornerebbero perfettamente…L’imbarazzo e tutto… Va be’, basta pippe. Vedremo.

DOMENICA ORE 15
GlitterGirl – Giacomoooo! Cheppalleee! Ma possibile che sia sempre in bagno???
Fratello (doccia scrosciante) – Ecchepppalle che sei tu!!! Ma uno non può nemmeno farsi la doccia in santa pace??? –
GlitterGirl – Ti prego, esci! – Quasi piange.
Mamma – Volete smetterla? Ma possibile che non facciate altro che litigare voi due?
GlitterGirl – Giacomo, sbrigati, ti supplico!
Fratello (doccia non scroscia più) – Sto uscendoooo! (Esce) - Ma che cacchio hai? Sei isterica!
GlitterGirl – Senti chi parla! Fatti gli affari tuoi! (Entra e chiude di scatto)

DOMENICA ORE 16,06
GlitterGirl – Corre come una matta, è in ritardo.
Per colpa di quello stronzo di Giacomo sempre il solito anche lui era nervoso però strano in genere a quest’ora non esce la domenica magari ha la ragazza ma chi se ne frega non voglio arrivare sudata da LUI magari mi abbraccia seeeee come no ma chi vuoi che voglia abbracciarti
GlitterGirl (arrivata al luogo dell’appuntamento, sgrana gli occhi stupita) - E tu che ci fai qui?
Giacomo – Che ti frega? Cosa ci fai tu, piuttosto!
GlitterGirl – Vattene. Devo vedere una persona.
Giacomo – Una persona? E chi? Qui al Krapfen??? IO devo vedere una persona, vattene TU!
Guarda il giubbotto nero di suo fratello. Il ciuffo perfetto, sistemato col gel. Gli occhiali da sole. Il look che usa per andare alle feste. Oppure. Quando. Ha. Un. Appuntamento.
E, d’un tratto, capisce. Capisce che tutto è finito. Capisce che non ci saranno più le chiacchiere in chat e i misteri e le fantasie. E che non conoscerà mai l’ansia e l’adrenalina del primo incontro, quella che pensava di avere fino a pochi minuti fa. Non con LUI, almeno.
Che stupida. Lonewolf! Come ho potuto dimenticarlo? Era quel fumetto che leggevi da piccolo. Un uomo solitario che all’occorrenza diventava un lupo. Un lupo buono, che salvava i deboli. E non me lo sono ricordata nemmeno quando ne abbiamo parlato in chat. È proprio vero che vediamo solo ciò che vogliamo vedere.

Giacomo (vede lo schermo del cellulare di sua sorella) – Gamefox? Ma stai scherzando? Frequenti questo gioco online? Stai attenta, è pieno di ragazzi che abbordano le donne… (guarda l’orologio. Si incupisce) Come me per esempio…che stupido… è lì che ho conosciuto la ragazza che dovevo vedere oggi. Ormai non viene più, è tardi… Magari ci ha ripensato, c’era da aspettarselo strana come è … ma proprio lei doveva capitarmi? Che figuraccia! Guai a te se lo dici a qualcuno, eh?
Francesca ex Glittergirl (lo guarda fisso negli occhi) – Giacomo. Non è così. In realtà… lei è qui.
Guarda sua sorella, ferma in piedi davanti a lui, con il rossetto e gli orecchini, con quella gonna strana che non le aveva mai visto addosso, l’aria delusa e il cellulare in mano aperto in quella stupida schermata. La guarda inebetito e finalmente anche lui capisce. Resta lì per qualche secondo a fissarla negli occhi, incredulo, mentre in un attimo vede sfumare i misteri, le battute scherzose, l’adrenalina, la delusione appena provata.
E poi gli sale su per la gola un rimescolio strano, come una cosa che ha bisogno di esplodere e non può più essere trattenuta, e scoppia in una risata di quelle belle, che partono dalla pancia. Francesca lo guarda stranita. E poi inizia a ridere anche lei.

E ridono e ridono e Giacomo la abbraccia, e lei pensa che non è vero che nessuno vuole abbracciarla e che questo è un abbraccio d’amore, d’amore fraterno e di tenerezza e complicità e affetto, malgrado i battibecchi e le prese in giro e le docce infinite, e allora anche lei lo abbraccia mentre lui le dice sorellina ma sei scema che dai appuntamento gli sconosciuti, lo sai che è pericoloso, non sai chi puoi trovare mica sono tutti come me e lei ride e gli dice perché forse pensi che per i ragazzi non ci siano pericoli, e lui le dice finalmente ti posso dire che GlitterGirl fa cagare, e lei gli dice come ti sei permesso di dire che sono strana, e si prendono a colpi per scherzo e vanno via così, e quando arrivano a casa stanno ancora ridendo e la madre li guarda e pensa che i suoi figli sono completamente pazzi, proprio come il padre.
 
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L'ABISSO
(di Hanna)

Cosa c’è di meglio che leggere un libro sdraiata in riva al mare su un comodo lettino, con la brezza, il sole e il rumore delle onde?
Beh magari qualcosa di meglio c’è…
Ignorando il sottofondo rumoroso degli altri bagnanti, sono totalmente immersa nella storia che sto leggendo, e non mi accorgo dell’avvicinarsi di nuvoloni minacciosi, dei primi tuoni accompagnati da grosse, lente gocce di pioggia, e del fuggi fuggi generale che in pochi istanti svuota la spiaggia.
Solo quando i primi goccioloni mi bagnano, alzo gli occhi dalla pagina e mi rendo conto di essere rimasta sola in spiaggia. In un secondo raccolgo maglietta, asciugamano e libro e velocemente raggiungo l’hotel.
Un insolito assembramento mi accoglie entrando, a quanto pare l’ambulanza sta portando via un corpo coperto dal lenzuolo e la polizia sta interrogando i presenti. Cerco Luca con lo sguardo, ma non lo trovo. Salgo nella nostra stanza, ma un poliziotto mi sbarra l’ingresso. Comincio a preoccuparmi, grido: “Che succede?” I minuti successivi sono confusi, non ricordo più nulla. Il corpo di Luca è stato trovato fulminato nella vasca da bagno, il phon ancora acceso.
Stando alle testimonianze raccolte, la cameriera che l’ha scoperto non è entrata per caso nella stanza, ma aveva un appuntamento con lui. Sono caduta dalle nuvole, non mi ero resa conto della tresca che andava avanti da un po’, sotto i miei occhi.
La polizia mi chiede di verificare se manca qualcosa dalla stanza, e seppur sconvolta mi rendo conto che mancano tutti i gioielli e anche una certa somma in contanti.
Nei giorni successivi mi muovo come in trance, in un turbinio delirante di polizia, giornalisti e televisione. Nonostante l’angoscia mi sforzo di mantenere il controllo e un po’ di lucidità.
La cameriera a quanto pare aveva dei precedenti per furto e rapina, in cui aveva agito insieme a un complice.
Sono rimasta a disposizione della polizia per lungo tempo, poi con l’arresto della cameriera e del suo complice la situazione viene chiarita e pare normalizzarsi. Certo, non per Luca, che non c’è più.
La polizia successivamente rilascia la cameriera, mentre in carcere rimane il suo compagno, accusato di omicidio e furto. Il compagno, gelosissimo, dopo aver scoperto la tresca della sua amata aveva tramortito Luca, allestito la messa in scena nella vasca da bagno e rubato gli oggetti di valore dalla stanza.
Cosa c’è di meglio che leggere un libro sdraiata in riva al mare su un comodo lettino, con la brezza, il sole e il rumore delle onde?
Beh magari qualcosa di meglio c’è…
Come essermi liberata di un uomo egoista e violento, che mi ha reso per anni la vita un inferno, senza che nessuno potesse sospettare di me.
Come aver riscosso una bella cifra con la polizza vita stipulata da Luca, di cui ero la beneficiaria.
Come aver trovato una compagna ideale, Lisa, chioma nera e occhi blu, bellissima e affettuosa. Siamo sempre insieme, e so che potrò sempre contare sul suo affetto. Lisa è intenta a leccarmi una gamba, quando un’ombra si staglia davanti a noi: è quel gran pezzo del bagnino, che mi redarguisce: “Signora, non si possono portare i cani in spiaggia!”
Cosa c’è di meglio che leggere un libro sdraiata in riva al mare su un comodo lettino, con la brezza, il sole e il rumore delle onde?
Beh magari qualcosa di meglio c’è…
Eppure non sono felice, c’è qualcosa che mi turba e mi disturba. So di aver usato tutte le precauzioni possibili quando ho avvisato il compagno della cameriera della tresca in atto, non si può in nessun modo risalire a me. Sono un’abile osservatrice, ho puntato sulla sua gelosia e sulla sua rabbia per ottenere la mia libertà, senza doverne pagare il prezzo. Però, ora che potrei gioire della mia nuova situazione, ora che sono finalmente libera, un’inquietudine senza nome mi attanaglia. Le mie mani sono pulite, ma la mia coscienza urla. In quale terribile voragine sono precipitata? Ho aperto una porta che si è spalancata sull’abisso. E ora quest’abisso mi fa orrore.
 

bouvard

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M re di C
(Di KAMMAMURI)

M non può saperlo, ma si è appena innamorato. Certo, a ben vedere i sintomi ci sono tutti. Ad esempio la incontrollabile erezione che gli ha preso quando, in piscina F si è presentata col costume rosso a pois bianchi trasparenti, e hanno giocato, i ragazzi con la testa semisommersa, le ragazze sopra a cavalcioni, alla lotta dei cavalieri. L’altra coppia era S e S, che aveva stravinto tra le risate generali. E improvvisamente M sente l’imbarazzante bisogno, sfuggendo all’abbraccio finale, di andarsi a posizionare contro la parete al bordo, a braccia conserte sul marmo. S esce con guizzo da folletto e cammina tronfio sul bordo, e quando arriva da M si piega e gli fa all’orecchio “quando ti decidi, sempre troppo tardi … ” e poi forte “dai esci che giochiamo a carte, non fare lo stronzo che ci fai aspettare”. Perché S è davvero un folletto, e per quanto voglia bene a M, non resiste allo scherzo, anche cattivo. Dunque l’unica è farsi passare l’asciugamando e, fanculo, andarsi a sfogare nelle docce della piscina. Che poi, che cavolo, non c’è un lucchetto, e le porte sono mezzeporte in legno (in legno!) apribili con una spinta, stile saloon … what the fuck! Ad ogni modo al ritorno, non così presto, F ha un sorrisetto strano, ma grazie S. Ma poi sì che lo sa, è chiaro, che M è cotto a puntino, e si diverte come il gatto col topo. Purtroppo non c’è storia, quando lei è due anni più grande, ha anche amici più grandi con cui sparisce, ha viaggiato - è stata a Londra ! dove ci davvero sono i punk, i dark, i Culture Club! Ma che ci sta a fare con quella banda di ragazzini? Sarà che abita vicino alla piscina e le fa comodo quando non ha altro da fare? O forse la diverte il modo in cui M perde una decina di battiti cardiaci ogni volta che lei sta per ridere e fa quella forma dolce buffa a paperino con le labbra? Diosanto, ha pure il Ciao carta da zucchero – e avere un passaggio a casa, stando dietro la massa dei suoi capelli shampati a melaverde e a contatto con i suoi calzoncini da maschio, quelle gambe bianchissime, è per paradosso l’esperienza più trascendentale che M abbia provato in vita sua. I mille libri che ha già letto, in giardino ogni giorno – fino a scuro, possibile che non lo avessero minimamente preparato a questo schianto? Che non gli sovvenisse nessuna bella frase detta da Ettore a Andromaca, da Lancillotto a Ginevra, o perdiana, almeno da Winston a Julia? Anche buttare lì “sei molto pneumatica” da Huxley sarebbe andato bene, l’avrebbe fatta ridere di gusto. Ma niente, imbranato totale, merluzzato, trasceso. Ma spostiamo la attenzione all’altra femmina del gruppo S. Anche lei è lì di striscio, solo perché è la sorella più grande del roscio, e non si sa perché viene. S dice che gli piace S così fa fico e ci facciamo i film assieme, io con F e lui con S, ma non credo abbia la minima intenzione, non so perché ma i folletti mi sembrano poco adatti alle romanticherie, e poi S è sì dai con un po’ di fantasia, carina, mentre F, F è la cosa più bella dell’universo! Beh, mi sa che dovremo starcene tra maschi anche questa estate, tanto la routine del trimestre (noi si sta dall’ultimo al primo giorno di scuola) è fitta e ci tiene impegnati che manco gli yuppies in sala trading.

Per cominciare al mattino quartier generale al ‘boschetto’ davanti casa mia (quattro pioppi spelacchiati inzeppati in un’aiuola sterrata) in sella alle nostre moto (le biciclette, ognuno ha quella più adatta al suo carattere e alla pecunia dei genitori), per fare i piani della giornata, che avrebbero previsto solo un ritorno per pranzo, e uno al tardo pomeriggio, visto che oramai eravamo grandi abbastanza. Uno sguardo e ripassavamo subito i rispettivi ruoli e gerarchie. Il capo era sicuramente S, folletto dispettoso ok, ma anche generoso organizzatore delle nostre giornate, intrattenitore, un po’ matto, aspirante teatrante e animatore. Poi c’erano due fratelli, A e F, figli di un noto architetto, con la mia famiglia si era amici, e proprio loro ci convinsero a prendere casa con i sudati risparmi a C, ridente località di villeggiatura tra L e SM (eh questa cosa delle iniziali non aiuta…). Ad ogni modo A il maggiore era l’artista, quello che faceva già collezione di anelli, pietre, buccheri trafugati (diceva lui) da una delle vicine necropoli etrusche mal custodite, questo è vero. F, il nostro alain delon, super bello e spericolato e affascinante pure quando era quindicenne, dal carattere forte e matto capace di tutto. Poi c’era talvolta la guest star, il roscio, che però rispetto a noi stava a C nuova, e chiamavamo solo perché talvolta portava la sorella. E l’altra guest star, S, l’unico locale, che abitava a C tutto l’anno. Era S un tipo strano, fissato con le cose militari (la mimetica sarà tantino calda d’estate?), attorno a cui aveva costruito una certa mitologia. Ma era un buono e, col suo aspetto grassottello e il capello biondiccio, certo non incarnava il prototipo del militare, semmai le solo sparava grosse. Però era divertente: nel giardino di casa i suoi gli avevano allestito una roulotte, sempre ferma, dove di fatto viveva. E dove un giorno ci aveva invitato e fatto vedere i suoi tesori, una borraccia e un vero coltello militare identico a quello di Rambo, cazzo. Grosso errore, perché per scherzo (sempre colpa del folletto), o forse per punirlo dell’ennesima sparata, organizzammo un’incursione in roulotte per fregargli tutto. E poi c’era il nostro protagonista, M. Un protagonista un po’ strano, visto che non aveva né un’animo coraggioso, né un carattere forte, e neanche skills che lo rendessero degno di questo consesso di strani supereroi. Ma qualcosa lo aveva. Ad esempio, era una colla naturale. Capiva bene i caratteri degli altri e quando collidevano le teste calde S e F, ad esempio, sapeva sempre come metterci una pezza. Era il mediatore, il narratore del gruppo, anche perché diceva figo ad ogni strampalata proposta, e portava, unico con vocazione di testa per aria, un po’ di letteratura nella comitiva, e viceversa la comitiva verso la propria personale letteratura. Regalava discorsi notturni e confidenze, stramberie psicologiche e letture, riceveva in cambio azione, e come!

Ad esempio, dopo una febbrile lettura di pet cemetary, aveva propagato l’idea di visioni serali cinematografe dei film horror (genere che negli 80s andava alla grande, con gli zombie di Romero e profondo rosso di Dario Argento), ma subito S aveva portato il terrore nella realtà, procurandosi chi sa come il sangue di scena (ricordate la vocazione teatrale) e organizzando scherzi a destra e manca, e invenzione di prove e racconti horror che sarebbero diventati il nostro must serale, fino a trasformare il ritorno a casa in bici, a notte fonda e nella semioscurità, in un’esperienza ‘veramente’ terrorizzante. Che poi non capisco perché questa esperienza la dovevo provare solo io, visto che loro stavano, mortacci, tutti nella stessa strada. Di giorno si ribadiva questa fissa giocando a dungeons & dragons, sempre a casa di S, dove stava solo con la madre che spesso non c’era quindi OK a tapparelle chiuse e luce di candela per fare più doom (l’umidità perenne da grotta era garantita invece dalla vicinanza del mare da una parte, e della vegetazione intorno alla adiacente statale A dall’altra).

Ah ma non crediate che la azione era tutta qui! nono, si organizzavano vere e proprie avventure, e proprio perché quel microcosmo di C ci proteggeva con i suoi limiti evidenti (lo sa chi ha avuto la fortuna di stare in un posto dove gli adolescenti posso essere vagabondi senza troppi problemi), noi proprio questi limiti ci divertivamo ad esplorarli tutti e se possibile portarli un po’ più in là. La notte ad esempio a volte si confondeva col giorno. Si andava in bici a L, pace se ci voleva tutta la mattinata e non avevi soldi, né telefonini per avvisare (dove cazzo siete stati!!!). Si andava a fregare l’uva fragola per i campi. Si andava in quel palazzo perennemente in costruzione, oramai abbandonato dove ci stava la carcassa di un cane in putrefazione, a respirare l’odore della morte vera, stavolta. Si andava, mi vergogno un po’, a rubare una bicicletta ad un’altra comitiva che ti stava sul c…, nonché – nemesi storica – a menare (seee…..) gli zingari giostrai, se avessimo avuto le prove che avevano come sospettavamo fregato stavolta le nostre biciclette. E sempre in bici si andava al campo da cross vicino alla ferrovia, saltando come in moto e rischiando i coglioni ad ogni atterraggio (e quella volta che tornai a casa lordo di sangue con il morso della corona nel polpaccio e mia nonna anziché medicarmi voleva menarmi, anzi mi menò!). E ancora dietro la stazione, dove stanno gli alberi di fico profumati che saturano l’aria, sperando e alla fine riuscendo a trovarci i fumetti porno abbandonati. O in quella stessa stazione, scivolando col sedere sul tetto inclinato del sottopassaggio, in una specie di parkour casereccio. E le Cinzia, le Graziella, o Safari, o quella specie di ibridi stile harley davidson con gli ammortizzatori portate ai limiti sul discesone del cavalcavia verso il mare, sfrenate, storte, impennate, derapate, modificate! Manca ancora una pagina, ricorda ancora, M!
 

bouvard

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E poi c’erano le avventure casalinghe, ricordi ancora spensierati, di vacanze felici e durature e strappate che sulla carta non ci stavano, come non ci stavamo in 50mq in cinque, con me e nonna mamma papà e sorella, e ci credo che noi figli stavamo sempre fuori! E l’amicizia col vicino A, detto A (ok, sta cosa delle iniziali è un po’ limitante), con cui papà è andato qualche volta a pescare o raccogliere le cozze allo scoglio di C. E i pranzi al mare col pollo con sabbia (è proprio così la ricetta) e non si fa il bagno se non dopo 3 ore, e gli ombrelloni collegati cogli asciugamani finchè non diventa un campo tuareg, e, tanto non ci vede nessuno, pa’ mi fai guidare la 128 verde pisello che ancora mi ricordo l’odore della vilpelle dopo una giornata sulla sabbia. E i bicchieri di rosso di C, che andavamo a prendere direttamente alla cantina sociale coi boccioni, e che mi erano concessi già a 12 anni (poi dici perché la testa per aria). E la testa per aria, la sabbia tra le dita, i pensieri, e crescere e leggere leggere leggere fino a che il libro non diventa te e tu diventi il libro (ma sempre non sai parlare ad F). E nuotare nuotare nuotare fino a che il mare non diventa tuo e tu diventi il mare (ma sempre occhio se prima hai visto lo squalo di spielberg). E quando sei stanco, ti aspetta un abbraccio e merende di cui non esiste più neanche la memoria, lo zabajone, l’arancio con lo zucchero, pane e burro (dopo se hai il coraggio ti mangi pure la Fiesta).

E’ strano. Da adulto ritorno casualmente a C. Nulla di quello che vedo mi restituisce il senso di questa epica. Vedo un posto piccolo, abbandonato, spelacchiato rispetto al ricordo. Era così scosceso il cavalcavia? Era così distante L? Era così grande la piscina? Così bella F? Gli zingari giostrai hanno mai rubato biciclette (noi invece sì, che avevamo rubato)? Non ci esco, o ci esco pazzo. I ricordi mi assediano, mi travolgono a valanga, tridimensionali, sensoriali, iperrealistici. I pattini a 4 ruote e farci il figo sul marmo del centro commerciale, il walkman, il mio registratore – la prima chitarra (classica) e cederla, nella piazza davanti al bowling, a quel tipo strano - era Richard Benson! - i primi videogiochi i ghiaccioli i topolini gli urania muffuti sullo scaffale le pietre di spiaggia smaltate e riposte nel barattolo la stella di mare il caldo di crema solare e il freddo di notte in t-shirt salate il sudore gli odori il pesco il giardino il windsurf usato tre taglie più enorme A P M S G A S F S M F MFMFMFMMMMM … mi gira la testa, chiudo gli occhi.

Quando li riapro, ho 15 anni. Sono nel mio regno, anche se è una tinozza. Per la prima volta guardo intorno a me con la intenzione rapinosa di prenderne veramente possesso, la novità di questa idea mi acceca, la novità di tutto mi acceca. Io sceglierò con libertà e chiamerò mio quel che mi aggrada e lo renderò magnifico e grandioso perché io lo scelgo come mio specchio.

Io, io sono M, re di C.
 

bouvard

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UNDICESIMA STRADA
(di LILLY)


Paul: Ma chi è lei? Cosa fa nel mio appartamento?
Sandra: Oh… sei tornato prima del previsto! Ma solitamente non torni a casa alle venti?
Paul: Mi dispiace per lei ma stasera il mio ultimo appuntamento è stato cancellato, doveva informarsi meglio prima di venire a rubare a casa mia!
Sandra: Guarda che non è come sembra, posso spiegarti…
Paul: Spiegherà per bene alla polizia, ora la chiamo…
Sandra: No! Per favore ascoltami… ma non mi riconosci?
Paul: Si, so benissimo chi è lei, una ladra!
Sandra: Ancora con questo del lei? E va bene, vuoi continuare a far finta di nulla, ho capito.
Paul: Io non faccio finta di nulla, davvero non la conosco.
Sandra: Sono Sandra!
Paul: Sa… Sandra?!
Sandra: Si Paul, sono io, sono venuta a trovarti e per l’occasione mi sono vestita e pettinata in modo diverso dal solito, come sto? Mi dona questo nuovo taglio di capelli corti e questo abito da sera di velluto nero? Bello il corsage di rose gialle appuntato al corpetto, non è vero? O preferivi come ero prima, con pantaloni e camicia? Spero non ti dispiaccia se ho tolto i boccoli che tanto ti piacevano e che mi facevi ogni mattina con spazzola e fon.
Paul: Sei così diversa… non ti avevo riconosciuta… Ma come hai fatto ad entrare? Hai tenuto le chiavi?
Sandra: Proprio non riesci a farmi un complimento eh? Mi chiedi se ho tenuto le chiavi? Certo, le porto sempre con me, come ricordo del nostro anno di convivenza. Ma, guardandomi intorno, vedo che sei tornato ad essere disordinato… le pantofole, come al solito, sono vicino al divano e sull’attaccapanni sono appesi i tuoi maglioni e le tue camicie. Ho dato uno sguardo anche alla camera da letto e il letto è ancora sfatto. Scusami ma la curiosità di andare a guardare è stata troppo forte… Hai dormito da solo o con qualcuna?
Paul: Non dormo con nessuna, non c’è stata più nessuna dopo di te.
Sandra: Mi pensi ancora vero? Lo so che mi pensi e che mi sogni.
Paul: Ho cercato di cancellarti dalla mia mente ma il pensiero di te mi tormenta. So che non mi crederai ma dopotutto ti ho voluto bene.
Sandra: Mi hai voluto bene, forse si, ma non mi hai mai amata.
Paul: Ho avuto paura di lasciarmi andare ai sentimenti. Prima di incontrarti non avevo avuto nessuna storia impegnativa, la verità è che non volevo impegnarmi.
Sandra: Con me ti sei impegnato, chiedendomi di andare a convivere, anche se in verità non ti ho mai sentito totalmente coinvolto.
Paul: Sono una persona molto razionale, ho imparato nel tempo a controllare le mie emozioni.
Sandra: Si, l’ho capito tardi, all’inizio pensavo fossi solamente timido. Quando ci siamo conosciuti, incontrandoci ogni giorno al bar dove lavoravo, eri molto gentile e dolce con me. Avevo percepito che eri un uomo solitario e che non amavi molto parlare di te ma speravo con il tempo di conquistare la tua fiducia, mi incuriosivi e ti trovavo una persona affascinante, soprattutto per il tuo modo di parlare calmo. Mi parlavi dei tuoi poeti preferiti e mi facevi leggere le tue poesie. Ricordo il batticuore che provavo quando ogni mattina, alle otto in punto, sentivo il suono dell’acchiappasogni della porta del bar e tu ti avvicinavi al bancone e ordinavi il solito cappuccino e cornetto. Io ti preparavo il cappuccino e sopra la schiuma ti disegnavo sempre un cuore e tu sorridevi.
Paul: Sei sempre stata troppo romantica ed emotiva, dal mio punto di vista, e credo che tu mi abbia idealizzato troppo… hai voluto vedere in me tutte quelle qualità che stavi cercando in un uomo.
Sandra: Si, è probabile.
Paul: Ora te lo posso confessare… Quando ho smesso per un po’ di giorni di venire al bar a fare colazione volevo vedere se saresti poi venuta tu a cercarmi in negozio, ed infatti così è stato. Sei venuta con la scusa di prendere un appuntamento per un taglio di capelli dopodiché mi hai chiesto come mai non mi fossi più fatto vivo.
Sandra: E dopo qualche mese mi hai invitato ad uscire. Se non l’avessi fatto tu avrei aspettato ancora un po’ di giorni e dopo ti avrei invitato io.

Paul: Per me è stato difficile ammettere a me stesso che volevo la tua compagnia, che sentivo la tua mancanza quando non ero con te. Significava stravolgere la mia vita, cambiare comportamenti radicati nella mia mente. E poi diciotto anni di differenza non erano pochi.
Sandra: La differenza d’età era solo uno dei tuoi tanti alibi. Per me invece è stata un motivo che mi ha attirato ancora di più a te… ti vedevo come una persona matura e in grado di darmi quella sicurezza emotiva che non avevo trovato negli uomini della mia età che avevo conosciuto.
Paul: Non ero la persona giusta per te. Durante la nostra convivenza ho capito che avevi bisogno di tanto amore, cosa che io non potevo darti perché non ho conosciuto la tenerezza dei gesti d’amore e facevo fatica anche a darti un abbraccio se non eri tu a farlo per prima, non ero abituato. Mi trovavo bene con te a livello mentale, avevamo tanti interessi da condividere, e poi perché rovinare tutto con la fisicità? Ho sempre pensato che la passione inquinasse la purezza del nostro rapporto.
Sandra: Un rapporto platonico non era quello che volevo. Mi sentivo più una tua amica che la tua compagna.
Paul: Non eravamo fatti nello stesso modo. Probabilmente non sono fatto per stare in coppia.
Sandra: Però eri sicuro che non ti avrei mai lasciato e mi torturavi con la tua freddezza. Penso che tu mi volessi accanto perché ti faceva stare bene sapere di avere qualcuno che dipendeva emotivamente da te, evidentemente io rafforzavo il tuo ego.
Paul: Non tormentarmi più Sandra, non riesco più a dormire e quando ci riesco ti sogno.
Sandra: Lo so, è per questo che stai prendendo le pillole per dormire? Le ho viste sul tuo comodino. E’ a causa di quella notte, vero? Era esattamente un anno fa ed erano le ventitre, ricordi? New York era illuminata dalle luci natalizie e stavamo addobbando l’albero dentro casa, davanti la porta-finestra che dava sul balcone.
Paul: Zitta!
Sandra: Era una notte con una luna splendida, la porta-finestra era aperta perché volevamo guardare meglio la neve che scendeva lenta sull’undicesima strada. La luce della luna illuminava il salotto e c’era un’atmosfera così avvolgente che ti ho abbracciato forte e ti ho detto che ti amavo tantissimo e ho cominciato a baciarti ma tu sei rimasto indifferente e ti sei staccato da me.
Paul: Ti prego non continuare!
Sandra: Ho sentito in quel momento una rabbia dentro di me, ho cominciato ad urlarti che ti odiavo, che eri freddo come la neve che c’era fuori. Mentre urlavo e piangevo ho urtato contro l’albero di Natale che è caduto sul balcone portandosi dietro anche me. E’ stato un attimo, mi sono alzata e ho guardato di sotto. Ho visto sulla strada una coppia che camminava mano nella mano. Ho avuto una sensazione di vertigine e ho perso l’equilibrio. Ho fatto un volo dal sesto piano e sono caduta sull’undicesima strada dove i passanti mi hanno soccorsa ma ero ormai senza vita. Portavo ancora, nella tasca dei pantaloni che indossavo, le chiavi di casa.
Paul: Il caso è stato archiviato come suicidio ma in realtà sono stato io a spingerti giù dal balcone, non te ne sei accorta vero?
Sandra: Avevo avuto il dubbio che mi avessi spinta e ora che me l’hai confessato posso andarmene per sempre… non ti preoccupare, non ti disturberò più! Ma cosa stai facendo con tutte quelle pillole in mano? No, fermo!
Paul: Troppo tardi amore mio, è la prima volta che te lo dico vedi? Ti chiamo amore mio adesso che non ne hai più bisogno. Questo bicchiere di whisky mi aiuterà a mandare giù le pillole, ho sempre una bottiglia di whisky nell’armadio da un anno a questa parte. Vuoi farmi compagnia ancora un po’? Avvicinati, voglio abbracciarti prima che tu te ne vada, prima che io chiuda gli occhi.
Sandra: Eccomi, sono qui tra le tue braccia…
Paul: Sei bellissima…
 
Stato
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