Bianchi, Matteo B. - La vita di chi resta

francesca

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Ad un anno dal terribile gesto di mio nipote che si è tolto la vita, ho deciso di leggere questo libro, perché come dice il suo autore, il suicidio è ancora un tabù, e i familiari di chi fa questo gesto estremo, chiamati i “soppravvissuti”, oltre allo strazio per la perdita di una persona cara, oltre ai devastanti sensi di colpa, sono additati per sempre come quelli il cui figlio/compagno/parente si è suicidato.
Ho versato lacrime su ogni pagina di questo libro, ritrovandomi in quasi tutto il percorso di Bianchi, rivivendo tanti momenti, sensazioni, eventi. Bianchi ci ha messo 17 anni per riuscire a scriverlo. Non è un libro consolatore, perché, come dice giustamente l’autore, chi subisce una perdita in generale e soprattutto una di questo tipo, non vuole essere consolato e il dolore non si può scansare, ma bisogna attraversarlo. Aiuta però a capire che questo dolore rimarrà per sempre e piano piano diventerà una parte di noi con cui imparemo a convivere.
“Non si guarisce.
Non si smette di soffrire.
Non ci si perdona.
Non ci si salva.
Si sceglie di.”
 
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