Ad un anno dal terribile gesto di mio nipote che si è tolto la vita, ho deciso di leggere questo libro, perché come dice il suo autore, il suicidio è ancora un tabù, e i familiari di chi fa questo gesto estremo, chiamati i “soppravvissuti”, oltre allo strazio per la perdita di una persona cara, oltre ai devastanti sensi di colpa, sono additati per sempre come quelli il cui figlio/compagno/parente si è suicidato.
Ho versato lacrime su ogni pagina di questo libro, ritrovandomi in quasi tutto il percorso di Bianchi, rivivendo tanti momenti, sensazioni, eventi. Bianchi ci ha messo 17 anni per riuscire a scriverlo. Non è un libro consolatore, perché, come dice giustamente l’autore, chi subisce una perdita in generale e soprattutto una di questo tipo, non vuole essere consolato e il dolore non si può scansare, ma bisogna attraversarlo. Aiuta però a capire che questo dolore rimarrà per sempre e piano piano diventerà una parte di noi con cui imparemo a convivere.
“Non si guarisce.
Non si smette di soffrire.
Non ci si perdona.
Non ci si salva.
Si sceglie di.”
Ho versato lacrime su ogni pagina di questo libro, ritrovandomi in quasi tutto il percorso di Bianchi, rivivendo tanti momenti, sensazioni, eventi. Bianchi ci ha messo 17 anni per riuscire a scriverlo. Non è un libro consolatore, perché, come dice giustamente l’autore, chi subisce una perdita in generale e soprattutto una di questo tipo, non vuole essere consolato e il dolore non si può scansare, ma bisogna attraversarlo. Aiuta però a capire che questo dolore rimarrà per sempre e piano piano diventerà una parte di noi con cui imparemo a convivere.
“Non si guarisce.
Non si smette di soffrire.
Non ci si perdona.
Non ci si salva.
Si sceglie di.”