Individualismo o Accomunismo

MaxCogre

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Allora, sono stato molto in dubbio sul 'dove' mettere questo post, ad esempio sembrerebbe un off-topic, ma mi sembrava di degradarlo. In realtà l'argomento-nonostante la forma al solito scherzosa, è abbastanza serio, e per questo, e perché sia oggetto di discussione, condivido - in perfetta comunione di intenti - il manifesto di un movimento di pensiero, che ho testè fondato lol. E ritorna qui perchè è largamente ispirato e fomentato dagli ultimi libri che ho letto e dalle discussioni che qui ne abbiamo avuto, nonchè da come sono fatto io naturalmente e dalle 'malamicizie' rosse che vado frequentando ultimamente (lol se mi sente marco). Insomma a voi leggerlo, demolirlo, emendarlo, contestarlo, discuterlo, contribuirvi, o addirittura 'accomunarvicisi' come direbbe la Marchesini. Buona lettura/discussione!
 
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MaxCogre

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MANIFESTO DELL’ACCOMUNISMO

L’Accomunismo è un movimento apolitico volto a combattere l’individualismo esasperato delle società occidentali. Viviamo in un mondo di individui sempre più soli e indifferenti agli altri, e l’Accomunismo invece, come dice il nome, lungi dal voler distruggere la proprietà privata e disconoscere il merito individuale (come il suo degenerato fratello maggiore, quello senza prefisso), vuole riportarci a Stare Assieme Davvero, non come quando stiamo assieme nel metrò che ognuno si fa bellamente gli affari suoi.

Incidentalmente però, visto che l’instaurazione dell’ Individualismo è la pietra miliare del Capitalismo, funzionale da una parte alla legittimazione degli obiettivi del capitalista con tutti i mezzi e dall’altra alla disattivazione di qualsiasi capacità organizzativa dei poveracci, l’accomunismo torna ad essere un movimento politico, e rischierebbe di essere tanto più efficace quanto più scavalca la politica tradizionale che oramai partecipa gli stessi valori.

L'Accomunismo non razionalizza, l’accomunismo agisce in base all’individuazione dell’individualismo come nemico numero uno della comune felicità (individualismo inteso sia come valore che come condizione materiale). Già Bertrand Russell coglieva la concentrazione su sé stessi come il male del secolo (oramai scorso) e la cura in un genuino interesse e amore per il mondo fuori di sé. Siamo peraltro individui così sociali che anche per cogliere la realtà fisica quasi quasi abbiamo bisogno di stare con gli altri, per sapere che un albero è un albero e una mela è una mela dobbiamo guardarla assieme e parlarci su.

Ancora, il nostro cervello usa quasi tutte le sue risorse per attività relazionali, eppure sempre più siamo isolati, e soli. Tutto congiura perché lo siamo: ci vengono venduti come privilegi e comodità il fatto di poter - fare tutto da casa, comprare quello che vogliamo, comunicare con chi vogliamo, avere il cinema a casa, essere autarchici, e poter facilmente applicare misure protezionistiche per difendere il nostro territorio. Quando ci vengono sane voglie di socialità, ci vengono proposti succedanei strani sotto forma di tinder, facebook, whatsapp, i social, l’affitto di fidanzati/fidanzate, il colloquio con l’AI, la consulenza a pagamento se abbiamo un problema.

Ovviamente tutto questo anzichè unirci ci definitivamente separa, e ci priva della nostra felicità come esseri sociali. In più è funzionale al mantenimento di un alto livello di consumo, perché un individuo, un solitario, consuma di più, compra di più: perché deve compensare l’infelicità, perché del tempo libero non sa che farci, o anche semplicemente perché non può comprare per tutti, ma solo per
 

MaxCogre

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sé stesso. Un’automobile, telefono, televisore, computer, tablet, per CIASCUNO. E nonostante tutto ciò, noi lavoriamo come scemi per consumare il triplo, e ci isoliamo dietro ai social, e lo facciamo contenti perchè ci viene venduto che l’individualismo è un valore positivo e ci dà il successo: stiamo pensando a noi dopo tutto, ci diamo la priorità. No, stiamo perseguendo la priorità di qualcun altro invece.

Ma come si diceva, se individualismo fa rima con capitalismo, accomunismo non fa rima con comunismo, e quindi senza rivoluzione, cerchiamo - come invece le antiche scuole filosofiche, delle semplici norme di comportamento che poco a poco, senza pretendere il mondo, ci riportano fuori dalla bolla e a uno stile di vita più felice.

Pensiamo prima di tutto agli acquisti, che lì gli facciamo male assai, nel portafoglio. Io e l’altro redattore di questo semiserio in apparenza manifesto, ci siamo ad esempio conosciuti perché io acquistavo un oggetto che lui vendeva usato (si trattava di uno strumento musicale, che si sa per noi musici ha un certo significato anche esoterico). Avrei potuto acquistarlo nuovo, certo. Meglio, avrei potuto ordinarlo su Amazon, proprio il modello che volevo io e non quello di cui lui si voleva disfare. E invece, guarda un po’, sono voluto scendere in strada a luglio a Roma, col caldo, e ho conosciuto questo amico con cui poi abbiamo condiviso diverse avventure che non è qui il caso di raccontare. La vita è l’arte dell’incontro, chi lo disse? Ma se io compravo online quest’incontro e queste avventure sarebbero svaporate e me ne tornavo a casa senza niente da raccontare (anzi con amazon già ci stavo a casa). Eh ma sei stato fortunato! Gli altri puzzano, sono banali e non ti mai cagano su FB…può darsi, ma come vedete non sempre lol.

E possiamo dire un’altra non secondaria cosa? Il risparmio. Quell’oggetto era praticamente nuovo, aveva solo il marchio deplorevole del ‘non esclusivamente mio’ perchè era stato usato da altre mani. E io dico, è questo un disvalore? Semmai un valore! Prima di tutto perché l’oggetto già utilizzato ha un ‘anima’ che l’oggetto nuovo se la scorda. Secondo poi perché il Non Esclusivamente Mio è il valore etico ed ecologico della condivisione, del non spreco, del riutilizzo (e non del riciclo all’isola ecologica, che per quanto OK significa sempre consumare più del dovuto e alimentare il il concetto che il consumismo sia etico perché ‘tanto poi si ricicla’...).

E’ inoltre un paradosso come moltissima della nostra socialità di uomini, di stare assieme, si sia svolta ‘al mercato’, pensate agli antichi romani, alle infinite contrattazioni dei bazar orientali, alle agorà dei greci - quando incontri e scambi culturali e umani
 

MaxCogre

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col commercio si mischiavano senza poter più distinguere. E guardate come siamo finiti quando le mani sul mercato ce le ha messe il capitalismo globale. Cosa ci hanno levato? Tutto questo ci hanno levato, una grande occasione di felicità e di accomunismo. (beffa delle beffe: l’erede della grande tradizione del mercato come luogo di incontro privilegiato è oggi chiamato col vilnome di mercatino. E’ tuttavia una gioia andarci, ai mercatini, perché non solo lì ci si mischia parecchio, ma ci si va magari assieme con un amico, e con tutt’altra disposizione d’animo avventuroso e perditempesco rispetto all’anaffettivo acquisto tradizionale).

E allora, questa regola pratica? Prima di tutto valutare se davvero abbiamo bisogno, a fronte di tutti questi discorsi, dell’acquisto online, che è il male maggiore. Secondo, ove possibile recarsi al negozio, quello sotto casa (non al frustrante grande centro commerciale), e rompere le balle al commesso ciarlando come si fosse al mercato egizio. Terzo, ove possibile, compriamo usato: al grado massimo del risparmio corrisponderà anche il grado massimo del bene e della soddisfazione - una relazione che ‘accomuna’ chi vende e chi compra.

Per seconda cosa pensiamo all’ambiente. Come possiamo essere ambientalisti e salvarci il culetto se questo ambiente, fuori, all’aperto con tutti gli altri lo frequentiamo il meno possibile? E’ un distacco assurdo dalla natura se ci pensate, stare 8 ore bene che vada al lavoro e passare il tempo che rimane in un altro ambiente chiuso a guardare uno schermo piccolo o grande. Anche qui alzare il culo dal divano ed andare fuori in mezzo agli altri significa non solo recuperare socialità ma anche un maggior equilibrio dentro-fuori all’aperto, e anche essere inquilini più responsabili di un ambiente che a questo punto è il nostro. Poi la sola esposizione al sole per dire, per 10 minuti al mattino (come dice quel matto di Marcol su Youtube) ti può svoltare l’intera giornata e a sua volta riverberare anche sulla tua capacità di relazionarti con gli altri (se non ci credete chiedete ai finlandesi che un clima bello come il nostro lo vedono col binocolo). Chi può dirlo? Anche questo, poi, pensare di poterci ignorare animali, che hanno bisogno di stare all’aperto, è un bel far finta di niente rispetto ai nostri limiti naturali: le conseguenze non tardano a farsi sentire. Regola: uscire, uscire, uscire di casa!

Passiamo al consumo. Regola facile, consumare da soli distrugge, consumare con gli altri costruisce. Un cinema, un gelato, un avventura. Non ha lo stesso valore se non hai un compagno di cinema, gelato, avventura. Il consumo è un godimento, e chi lo nega: ma da soli è uno spreco, perché non dà il giusto valore esperienziale a questo consumo, lasciandoci con un senso di vuoto da colmare con un ulteriore consumo. Viceversa, assieme si consuma di meno e si gode
 

MaxCogre

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di più. C’era una volta che consumare assieme era la regola, perché non s’aveva nulla e bisognava mettersi assieme per fare il quorum. Gente riunita davanti all’unico televisore, ad abboffarsi alla festa del paese, a organizzare prima lo spettacolo da consumarsi poi - e questo a sua volta generava solidarietà. Ora la necessità non c’è più, ma si può tornare ad un consumo condiviso, e che ci accomuni anziché dividerci. Ritornando un attimo indietro all’acquisto perchè non dovrebbe valere lo stesso? Perchè non prestarsi le robe, usarle assieme, scambiarsele? Stiamo andando un po’ oltre? Acceleriamo!

Il successo. Ah, ecco qui. E che problema c’è? Mica è sbagliato, anzi è naturale. Ma vale lo stesso: il successo da soli è figo, ma in due è ancora meglio. D’accordo, a volte bisogna ‘ritirarsi dal mondo’ per raggiungere i propri obiettivi: e non sempre c’è i partner giusti, e poi diamine, almeno su questo si potrà essere un po’ concentrati su sè stessi? LoL si è giusto. Ma allora dopo? E’ sempre possibile accomunarsi ‘dopo’, fare una bella festa e invitare l’urbe condita, tirare dentro gli altri non solo come followers, ma come soci in affari. Essere un leader che piuttosto che elevarsi sopra gli altri li tira dentro in qualche modo, gli dà delle quote di partecipazione. Eh ma per avere successo bisogna essere competitivi. Certo, ma si può anche essere sportivi (e gli atleti sono iper-competitivi per definizione). C’entra forse relativamente, ma ho conosciuto un artista, famoso se vogliamo, che il lancio delle nuove release lo fa fare direttamente ai suoi fan. Per dire.

Facebook, ecco il casus belli. La piattaforma che, quando abbiamo voglia di parlare con gli amici, o di fare nuovi amici, o di socializzare, o per non essere soli (problema che hanno generato loro!), si propone di aiutarci. Sulla carta, sì, ma - è la madre delle truffe ai consumatori - in realtà è proprio il contrario. Facebook, per come è strutturato, premia i comportamenti più asociali e disgreganti. E’ un immenso gioco ipercompetitivo dove vincono i comportamenti più scorretti. Vince chi ha più likes. Ma chi ha più likes? Chi si fa notare di più. E chi si fa notare di più tra milioni di persone? Chi finge di essere una persona che non è, chi adotta i comportamenti più oltraggiosi ed eccessivi. Chi è più provocatore, eclatante, offensivo, inverecondo, arrogante. Dove in tutto questo c’è posto per la socialità? E’ invece facebook teatro di una immensa solitudine. Chi non sgomita in questo modo per avere attenzioni ha zero visualizzazioni e likes. Gli ‘zero like’ daltronde, per avere più likes, fingono di essere qualcuno di figo, tipo rockstar, guru, influencer, artista, intenditore, femme fatal, ma altrettanto buona inopinatamente è ‘la vittima’, ‘il depresso’ etc etc. La cosa bella è che, nella vita vera, quella ‘live’ magari non sono nè violenti, nè rockstar, quindi è un immenso carnevale in cui è quasi impossibile che qualcuno socializzi con qualcuno, e se lo fa con chi sta parlando veramente? La vera persona dietro quelle
 

MaxCogre

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stereotipate maschere sarebbe molto più interessante da conoscere, solo che non lo sapremo mai perché quella persona non vuole l’amicizia, vuole i likes. Nessuno, e neanche io, si espone alla pubblica umiliazione di presentarsi nudo con la propria faccia e i propri pensieri da zero ascolti (e magari ti pure becchi gli haters), quindi non c’è nessuno di reale da conoscere su facebook. Ed è per questo che i social non sono social ma asocial. Regola semplice: meno tempo su Facebook, sembra di stare con gli altri ma è tempo che passiamo in solipsistica gratificazione del nostro ego, cui piace avere la sua vetrinetta in questo immenso talent show. Alla fine però la nostra solitudine aumenta, assorbiamo un sacco di negatività (e de monnezza). Pensavo all’inizio di questa sezione se l’accomunismo potesse proporre un uso diverso di FB, a scopo di dialogo/relazione (un po’ come gli obsoleti Web Forum) ma è un’idea ridicola in quel contesto.
E invece no! Sono questi i pensieri che ci fregano. Fuck da system e che Facebook diventi la piazza del nostro comune e vero dialogo! Che possa poi portare fieramente indosso senza usurparli i nomi amicizia, condivisione, supporto! Viva Facebook, riprendiamocelo e rivoltiamolo come un calzino! E visto che ci siamo, riprendiamoci anche le sedi sfitte del PC, come dice anche Giovanni Truppi in una canzone lol!

Il lavoro. C’era una volta il lavoro che aggregava gli uomini. L’artigiano parlava coi suoi collaboratori e parlava coi suoi clienti. Poi c’è stato il capitalismo. E poi ancora c’è stata la organizzazione capitalistica del lavoro, stile catena di montaggio di Ford, quello delle macchine. E purtroppo per noi, si è dimostrata tanto efficiente che da allora non si è parlato d’altro… Come funziona? Così: un lavoro, complesso a piacere è prima proceduralizzato, ovvero ridotto in mille attività elementari, e ciascuna è descritta per filo e per segno in modo che sia eseguita sempre nello stesso modo e il più velocemente possibile. Poi si prendono mille persone e a ciascuna si dà il suo compito, e poi la catena di montaggio rimette assieme tutte le operazioni nell’ordine previsto. Non c’è più bisogno di parlarsi con nessuno, non tra colleghi né con i clienti, è tutto scritto e proceduralizzato. Si chiama divisione funzionale del lavoro, o se volete chiamatela specializzazione. Lavori manuali o di concetto, il principio è lo stesso. L’attività è già scritta e decisa, il margine di manovra è annullato, l’utilità di parlarsi tra colleghi o con l’esterno decade. Il lavoro siffatto è ovviamente alienante, e svilente, ma in questa sede sopratutto ci interessa che è un ulteriore occasione di esercitare la socialità che ci viene meno. (A volte ci si può mettere a fare lo stesso lavoro in due o impicciarsi di quello che sta a destra e a sinistra. Subito verrà biasimato come inefficienza, spreco o invasione dell’altrui giurisdizione - dobbiamo resistere a
 

MaxCogre

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questa immediata reazione dimostrando sul medio periodo che il tipo di collaborazione è sostenibile e addirittura preferibile)

In generale tutti gli spazi/occasioni di socializzazione sono stati colonizzati dall’economia capitalistica, che tende sempre più a trasformarli in spazi di mera produzione e/o consumo, entrambi programmati alla virgola e votati al profitto dei maggiorenti e all’indottrinamento dei ‘minorenti’. Il risultato dell’individualismo come valore è sì una operazione culturale, ma prima di essere acquisito come valore è introiettato come condizione fisica naturale per causa della disgregazione dei rapporti sociali. L’accomunismo è semplicemente presa d’atto di questa disgregazione e volontà di fare altrimenti, facendo le cose in maniera differente, usando gli spazi in modo differente - cercando sempre di stare con gli altri invece che semplicemente ‘in mezzo’ agli altri. Cercare di stare con gli altri, trovare le cose che ci accomunano, è solo in apparenza un atto piccolo, ma invece molto rivoluzionario, perché mette in discussione le ragioni economiche contrapponendo a queste quelle della comune felicità.

Il pensiero. Abbiamo detto che abbiamo bisogno degli altri quasi pure per godere le esperienze sensoriali, ma io dico che abbiamo bisogno degli altri anche per ‘pensare con la nostra testa’. Di parlare con qualcuno che conosciamo per farci una certa idea nostra, per contrapposizione o per comunanza: un pezzo del nostro cervello sta nel cervello di qualcun’altro. Ed è per questo che la concentrazione su sé stessi non solo ci blocca socialmente, ma anche ferma la nostra crescita individuale.

La percezione dell’altro. In parte lo fanno apposta, quando ci pubblicizzano l’uomo di successo (e come e quanto) a condizionarci all’individualismo e a un certo tipo di mors tua vita mea che fa comodo solo a loro, ma altre volte, ‘loro’ vogliono solo vendere il più possibile. Incidentalmente però il modo in cui lo fanno di nuovo ci individualizza e disgrega. Prendiamo i media, le notizie. Si sa che la notizia buona non vende, la cattiva vende, e tanto più vende quanto più insiste sulla pericolosità ed efferatezza del protagonista, sulla perversità e morbosità dell’accaduto. A volte la rilevanza sociale della notizia è spropositata rispetto al tempo dedicatole, e quest’ultimo è solo colpa di una cosa: la cattiva notizia si vende benissimo, la violenza stravende (e l’unica libertà che interessa al capitalismo è quella di vendere tutto ciò che si ben vende, n’importe qua).
Ora, a che punto ci porta un bombardamento di notizie 24h su 24 di questo tipo? A che uno ci segue per chiederci l’ora e noi cominciamo a correre via pensando che ci vuole accoltellare, ah poi se è di un colore diverso ci vorrà sicuramente prima rapire per accoltellarci comodamente sul divano di casa sua! Esagero? Allora: a chi non è
 

MaxCogre

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capitato di aver paura, a chi non di chiedere una informazione, e quello ti fa finta che sei trasparente anzi prende il telefono e simula una conversazione così ti levi dalle palle?

Parentesi: in merito alla violenza, la escalation di violenza gratuita degli ultimi lustri, anche tra i giovanissimi, dimostra di avere il seme in questa spersonalizzazione dell’altro a causa della assenza di contatto, o del contatto mediato da TV o social appunto, per cui tu per me sei una minaccia, oppure non sei niente, sei solo una immaginetta virtuale o rappresentazione intercambiabile. Non a caso tra le note tecniche di difesa verbale, ultima spiaggia di fronte a immediata minaccia di morte, è gridare il proprio nome sperando che l’assassino si renda conto che non sta sparando nel mucchio ma su una persona che ora invece conosce. E anche una delle cure certificate per razzismo e intolleranza, non consisterebbe in null’altro che conoscere direttamente alcune persone del gruppo che si odia.

Tornando a noi, non è che i problemi con gli altri non ci sono (o la paura è sempre immotivata), eccome se ci sono, ma abbiamo introiettato talmente il modello, assorbito per osmosi, che oramai ci isoliamo in automatico. Ma siccome questo mondo è casa nostra, che solo “Da noi vengono i tesori alla terra carpiti, con che poi tutti gli altri restano favoriti” (non è Dante, è Claudio Lolli) allora cominciamo col riprenderci la cosa che è più a portata di mano ed è per giunta gratis e che è l’inizio del mondo nuovo.

Chiediamo l’ora, attacchiamo bottone, perdiamo tempo con gli altri, conosciamoci, dialoghiamo, facciamoci delle idee assieme, facciamoci un figlio, sballiamoci, usciamo per strada al più possibile, troviamo inventiamo nuovi luoghi/modi ‘non pilotati’ per stare assieme, facciamo avventure, costruiamo cose, decidiamo tutto assieme.

Se ci riprendiamo questa cosa ci riprendiamo prima cosa la perduta felicità, e a questo punto anche noi ‘incidentalmente e visto che ci siamo’, ci riprendiamo pure i soldi, la libertà, il nostro tempo, l’ambiente, la giustizia, la solidarietà, il riposo, la salute mentale, e le sedi sfitte del PC per farci delle balere.

Accomunisti di tutto il mondo !!!
 

Ondine

Logopedista nei sogni
Allora Max, ti ringrazio di questa tua bellissima discussione e ti rispondo riportandoti un episodio accadutomi pochi giorni fa. Quando mi reco al lavoro parcheggio fuori dalla struttura, nel parcheggio dei dipendenti, e poi mi faccio un bel chilometro a piedi per entrare nel mio reparto, tragitto che non è coperto in caso di pioggia (e porto in mano tre borse diverse belle cariche). Giorni fa una persona gentilissima mi dice che potrebbe fare domanda per me per farmi avere il permesso per entrare con la macchina nel piccolo parcheggio davanti al mio reparto (ho una disabilità fisica). Sai che cosa ho risposto? Che non rinuncerei mai e poi mai a fare quel chilometro di strada a piedi, anche sotto la pioggia, perchè a volte in questo tragitto ho modo di scambiare qualche parola con chi mi cammina a fianco e questi piccoli momenti di socializzazione dal vivo per me significano tanto. Ma questo lo estendo in ogni ambito della mia quotidianità, quando posso non faccio colazione a casa ma al bar, faccio la ricarica telefonica andando personalmente in negozio, mai comprato abiti su internet, ultimamente ho ripreso a comprare libri cartacei (non li prendo in biblioteca perchè ho periodi in cui per terminare un libro ci metto una vita, per motivi vari tra cui stanchezza la sera per leggere e la biblioteca ti mette un limite di tempo). Sarebbe bello condividere momenti fuori casa con un amico o amica ma penso che ci voglia anche la fortuna di trovare una compagnia affine (tante volte mi sono sentita sola all'interno di un gruppo). Penso anche che chi si rivolge alle piattaforme per fare cose che potrebbe fare interagendo dal vivo non sempre lo faccia per scelta ma per necessità nel senso che magari potrebbe avere un disagio sociale difficile da abbattere.
 

Pnin

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Veramente interessante!
Voglio rileggerlo con più calma però prima di commentare.
Nel frattempo grazie davvero di tutti questi spunti! 😍
 

MaxCogre

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Allora Max, ti ringrazio di questa tua bellissima discussione e ti rispondo riportandoti un episodio accadutomi pochi giorni fa. Quando mi reco al lavoro parcheggio fuori dalla struttura, nel parcheggio dei dipendenti, e poi mi faccio un bel chilometro a piedi per entrare nel mio reparto, tragitto che non è coperto in caso di pioggia (e porto in mano tre borse diverse belle cariche). Giorni fa una persona gentilissima mi dice che potrebbe fare domanda per me per farmi avere il permesso per entrare con la macchina nel piccolo parcheggio davanti al mio reparto (ho una disabilità fisica). Sai che cosa ho risposto? Che non rinuncerei mai e poi mai a fare quel chilometro di strada a piedi, anche sotto la pioggia, perchè a volte in questo tragitto ho modo di scambiare qualche parola con chi mi cammina a fianco e questi piccoli momenti di socializzazione dal vivo per me significano tanto. Ma questo lo estendo in ogni ambito della mia quotidianità, quando posso non faccio colazione a casa ma al bar, faccio la ricarica telefonica andando personalmente in negozio, mai comprato abiti su internet, ultimamente ho ripreso a comprare libri cartacei (non li prendo in biblioteca perchè ho periodi in cui per terminare un libro ci metto una vita, per motivi vari tra cui stanchezza la sera per leggere e la biblioteca ti mette un limite di tempo). Sarebbe bello condividere momenti fuori casa con un amico o amica ma penso che ci voglia anche la fortuna di trovare una compagnia affine (tante volte mi sono sentita sola all'interno di un gruppo). Penso anche che chi si rivolge alle piattaforme per fare cose che potrebbe fare interagendo dal vivo non sempre lo faccia per scelta ma per necessità nel senso che magari potrebbe avere un disagio sociale difficile da abbattere.
cara Ondy, forse tu penserai di me che sono un estroverso (magari solo per iscritto lol), o che possa non condividere le tue giuste obiezioni. E invece, confiteor, eccomi qua che avrei potuto scrivere le stesse ultime tre righe tue e firmarle col sangue lol. Daltronde: chi ha votato amaretto all'ultimo concorso e capito subito che si trattava di te? Vedi? Ti ringrazio di aver dato il 'calcio d'inizio' a questa discussione (Ondine calciatrice)
 

greenintro

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Ringrazio @MaxCogre per l'interessante spunto di riflessione. Mi piacerebbe qui solo provare a fare delle puntualizzazioni, sperando di non risultare pedante, perché penso forse aiutano a completare il discorso di partenza. La prima è la distinzione tra "individuo" e persona"; tutte le persone sono individui, ma non tutti gli individui sono persone. Per essere individui è sufficiente essere "non-divisi", delle unità, avere qualcosa che tiene unite le nostre parti e ci distingue dal resto del mondo. Anche un sasso è un individuo, ma non è una persona, perché anche se ha un sua "unità" interna, una sostanzialità, non è dotato di ragione. La persona è individuo, ma razionale, cioè individuo che si pone il problema di valutare la sua azione sulla base di princìpi, logici ed etici, a cui dare un valore universale, cioè che reputiamo dovrebbero valere per ogni circostanza e per ogni altra persona, e questo ci porta alla necessità di aprirci alle relazioni con gli altri. L'idea di persona unisce la spinta centripeta, individualista, e quella centrifuga nel rapporto con l'altro, sociale. Noi siamo persone, quindi sia l'individualismo esasperato che il collettivismo che omologa e appiattisce tutto sono visioni che vanno contro la nostra natura, anzi in un certo senso i due errori, apparentemente opposti, partono dallo stesso presupposto, cioè il fatto che siamo individui e basta. Due fotocopie, due prodotti in serie, sono due individui distinti, perché separati dallo spazio, ma mancano di qualcosa che invece ci appartiene come persone, cioè l'unicità qualitativa, il fatto di avere una nota che ci rende unici e irripetibili. L'individualismo non prende in considerazione questa cosa e il collettivismo la schiaccia nella pretesa di scacchiare tutti i bisogni, diversi da persona a persona, sulla base di una pianificazione sociale. I sistemi collettivistici non sono quelli in cui l'uomo perde la sua individualità, come si crede comunemente, ma proprio quelli in cui le persone si trattano solo come individui.

Per questo non amo mai i discorsi in cui si fa collegamento tra analisi dei sistemi sociali e relazioni umane, nel senso che a volte sembra quasi che le seconde debbano dipendere dalle prime, cioè cadere in dei discorsi passatisti e nostalgici in cui si rimpiangono i tempi in cui le persone erano NECESSITATE per sopravvivere a convivere fra loro, di contro al "troppo" benessere che ci rende individualisti. Io invece penso non ci sia niente da rimpiangere di quelle epoche, e che le relazioni veramente sane sono quelle perseguite spontaneamente, per piacere, non per necessità materiale. Le relazioni umane che finiscono perché le persone stanno sufficientemente bene da non aver bisogno le une delle altre, non erano vere relazioni già in partenza, e non ci abbiamo perso nulla. Non spetta alla politica, e nemmeno alla "società" o all'economia, favorire le amicizie, la socialità è un bisogno naturale che a prescindere dal contesto sociale in cui si vive, sarà sempre un'esigenza, perseguita in forme magari diverse, ma sempre incancellabile.

Poi andrebbe anche distinta la solitudine dall'isolamento. La solitudine è una cosa buona, è quello spazio "tutto per sé" in cui avere la tranquillità e il tempo per rielaborare interiormente gli stimoli e le esperienze vissute nel rapporto con gli altri e col mondo esterno, senza per questo che la solitudine escluda il fatto che, quando si abbia voglia di compagnia, ci sia sempre la possibilità concreta di trovarla. Invece l'isolamento, quello sì, insostenibile umanamente, è quando non solo si è soli, ma anche impossibilitati, anche volendo, a coltivare relazioni, Io sono un introverso solitario, ma sono anche fondamentali anche i momenti di interazione sociale, e non c'è nessuna contraddizione tra le due cose, Anzi, trovo che l'amore per la solitudine sia una conditio sine qua non per avere relazioni sane: se si sta bene da soli, allora ci si può permettere di selezionare le compagnie, scegliendo le persone che possono davvero dare qualcosa in più oltre le cose belle della solitudine, mentre se non si sta bene in solitudine, cioè non si sta bene con se stessi, allora finiremmo sempre ad attaccarci a relazioni non adatte a noi, che ci fanno del male, solo perseguite solo per paura della solitudine.
 

MaxCogre

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@greenintro daccordo, non spetta alla politica e alla economia favorire la socialità, ma neanche sfavorirla lol, e guarda, è esattissimamente quello che stanno facendo. A me non mi sta bene.
 

Pnin

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Finalmente ho letto tutto con la dovuta attenzione, interventi compresi, e trovo sia una discussione importante e interessantissima.
Essendo cresciuta in un contesto un po' particolare, cioè in una famiglia estremamente allargata, che comprendeva non solo parentele di sangue ma anche amici che venivano ospitati, in cui c'era una "cassa comune" dove ognuno metteva la quota che voleva/poteva per, appunto, le necessità comuni (spesa, bollette, ecc) e contribuiva al benessere comune in base alle proprie inclinazioni e capacità, direi che non posso che condividere il punto di vista di @MaxCogre.
Da questa esperienza ho imparato l'importanza della collaborazione, l'accoglienza, la fiducia. Del resto, essendo di indole piuttosto solitaria condivido anche il discorso di @greenintro sulla bellezza della solitudine: ho un bisogno fisiologico di poter vivere momenti di solitudine.
Ma nel mio caso la solitudine diventa una scelta, non una condizione (isolamento) che è quello a cui invece il "sistema" sta spingendo sempre più l'umanità, per lo meno nelle società più, come si suol dire, "progredite".
Ho tante altre cose da dire... ma bisogna pur lavorare 😅 quindi a dopo!
 

Pnin

Well-known member
Rieccomi per un attimo.
Tornando al modello in cui sono cresciuta devo aggiungere che non tutti i miei fratelli, amici e cugini venuti su come me hanno avuto la stessa reazione durante la loro crescita. C'è anche chi una volta adulto e uscito di casa ha scelto la strada opposta abbracciando totalmente un modo di vivere individualista e consumistico. I rapporti però sono rimasti intatti tra tutti e anche il rispetto non è venuto meno ed è bello ritrovarsi e scherzare e prendersi pure per il culo sulle reciproche differenze (io e altri viviamo tuttora in un modo meno estremo ma piuttosto simile a quello che ha plasmato la nostra infanzia). L'importante è che il modo di vivere possa essere una scelta consapevole e non indotta. Benvenga quindi il manifesto di @MaxCogre che offre tantissimi spunti per riflettere e prendere consapevolezza sul modo di vivere verso cui pur di vendere si viene anche nostro malgrado indirizzati
 
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