Debenest, Fabien: I Lanternieri

Fabien Debenest

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Bonjour tout le monde,


Buongiorno a tutti,


mi chiamo Fabien Debenest e sono un autore francese.
Vorrei presentarvi il mio romanzo, I Lanternieri, ora disponibile anche in lingua italiana.


Il protagonista, Samuel, è un giovane liceale appassionato di musica. Insieme ai suoi amici, forma un gruppo musicale per partecipare a un concorso scolastico. Ma la storia prende una piega inaspettata quando Samuel scopre una misteriosa valigetta contenente un libro antico. Questo libro lo trasporterà, insieme a un’amica, in una terra lontana nel tempo, nel cuore di un racconto biblico.


Attraverso la musica, l’amicizia e la fede, I Lanternieri esplora le paure e le domande profonde che ognuno di noi si pone, soprattutto nel passaggio dall’adolescenza alla vita adulta.


Il testo è stato inviato a varie case editrici italiane, ma nel frattempo sarei felice di condividerne un estratto con chiunque desideri leggerlo.

Grazie per la vostra attenzione,
Fabien Debenest
 
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Fabien Debenest

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25 agosto 1973, Repubblica Dominicana

Il passo frenetico di un paio di tacchi alti risuonava lungo il corridoio che portava alla torre di controllo. Quegli stessi passi si placarono il tempo di un ascensore, poi ripresero la corsa.
Una giovane donna in un elegante tailleur porse un foglio al controllore del traffico aereo.

«Misericordia, Christine ha cambiato rotta, sta deviando verso sud-sud-ovest!»
«Controllo subito gli aerei in quella zona, Charles.»
«Georges,» fece Charles afferrando il braccio del collega, «a che ora è decollato l’aereo dei Galli?»
«Circa due ore fa.»
«Contattali, subito!»

Un po’ più a sud-sud-ovest, un piccolo aereo stava affrontando una tempesta.

«Ma da dove arriva questo temporale?» chiese Henri Martinez, il batterista del gruppo “I Galli”, entrando nella cabina di pilotaggio e barcollando più di un ubriaco.
«Mayday, mayday, stiamo affrontando una forte tempesta, c’è qualcuno che mi sente?» gridava il pilota nel microfono, con una voce allarmata e un marcato accento ispanico.
«Possiamo atterrare da qualche parte?» urlò Henri per farsi sentire.

Raffiche di grandine e pioggia colpivano il parabrezza della cabina di pilotaggio, scuotendo l’aereo come se fosse fatto di carta.

«Siamo sopra l’oceano, non possiamo atterrare.»
«Il meteo era buono quando siamo partiti», si stupì Henri.
«Dev’essere la tempesta Christine, deve aver deviato», rispose il pilota aggrappandosi con tutte le forze alla cloche.
«Ce la faremo? Cosa devo dire ai miei compagni?» si agitò Henri.
«Gli strumenti di bordo non rispondono più! Stiamo volando alla cieca!» si allarmò il pilota.

Si voltò bruscamente verso il giovane musicista:

«Vai da loro, e aggrappati a tutto quello che puoi!»

2


Al suo zenit, un sole potente e al tempo stesso dolce inondava di luce blu l’estensione iridescente dell’oceano. Le onde correvano gioiose, stendendo i lembi delle loro vesti di schiuma sempre più in là, sulla riva. Un giovane, seduto sulla sabbia, contemplava quello spettacolo, incantato dallo scoppiettio e dall’odore salmastro della spuma che il mare veniva a posargli sui piedi.

«Ah! Mimizan! Quanto amo questo villaggio, il suo cielo, la sua spiaggia…»

Un oggetto nero, di forma rettangolare, galleggiava tra le onde.

«Che cos’è quel rifiuto?» pensò.

Altri detriti, che apparivano e scomparivano a seconda della marea, spinsero il ragazzo ad alzarsi.

«Sembrano i resti di un aereo!» gridò, portandosi la mano sopra gli occhi per vedere meglio.
«Che hai detto?» rispose poco più in là una voce deliziosa.

A qualche metro sulla destra, tra grandi rocce, una ragazza dai lunghi capelli castani cercava conchiglie.

«Dicevo, sembrano...
— Sam!» gridò lei.
«Che c’è, Léana?» rispose Samuel.
«Ho il piede incastrato in un buco. Vieni!»

Il ragazzo non se lo fece ripetere e corse in aiuto della bella.

«Vedo qualcosa, là, tra le onde… Non so cos’è ma si sta avvicinando! Presto!» si agitò la ragazza.

Scrutando l’oceano con i suoi occhi azzurri, il ragazzo individuò un’ala d’aereo che si dirigeva dritta verso la giovane.

«Aaah!!!» urlò lei terrorizzata. «Sta arrivando! Samuel!»
«Resisti!» disse lui, prendendo la rincorsa.

Corse verso di lei e salì sulle rocce con l’agilità di uno stambecco. Ogni onda avvicinava pericolosamente il pezzo d’aereo alla ragazza, sollevandolo a un’altezza indecente per poi lasciarlo ricadere senza pietà. Léana tentava invano di liberarsi il piede, tirandosi la caviglia. Allora, vedendo l’impatto imminente, Samuel si lanciò con tutto il corpo verso di lei. La ragazza gli porse la mano, gridando il suo nome. L’ala d’aereo coprì d’ombra la giovane. In quell’attimo, quello che precede una tragedia e che sembra durare un’eternità, il giovane, sospeso in aria, ebbe il tempo di ammirare per un istante la bella Léana. Il suo volto terrorizzato non toglieva nulla alla sua bellezza. Le sue spalle abbronzate erano coperte da capelli lisciati dall’acqua, con qualche ricciolo castano che aveva resistito al mare. La sua bocca, dai contorni perfetti… lasciò all’improvviso uscire una voce maschile:

«Signor Samuel Lanternier!»

Quella voce colpì il ragazzo come una scossa elettrica che si propagò in tutti i suoi arti. Sempre sospeso nel rallentatore dell’azione, Samuel si riscosse e completò il suo straordinario salto. Nell’istante in cui le loro mani si toccarono, i due giovani si ritrovarono immediatamente sulla spiaggia, sani e salvi, mentre l’ala si infrangeva in mille pezzi contro le rocce.
Samuel strinse forte a sé la ragazza, mentre osservava i detriti sparpagliarsi nell’acqua, a pochi metri da loro.

«Sam, tu mi hai… mi hai salvato la vita!»

Léana chiuse gli occhi e tentò di baciarlo, ma la sua bocca, sebbene tanto delicata, si deformò, si dilatò fino a riempire tutto lo spazio, e le crebbe un baffo. Da essa uscì di nuovo quella strana voce:

«Signor Samuel Lanternier, per favore!»

Le parole elettrizzarono di nuovo tutto il corpo del ragazzo. La ragazza, l’oceano e la spiaggia svanirono. Samuel alzò faticosamente la testa. Davanti a lui si ergeva un uomo gigantesco, vestito con un camice bianco. Decine di occhi lo fissavano. Rapidamente, guardò intorno a sé. Sedie, tavoli, teste e quel gigantesco signore arrabbiato. Dov’era? Il gomito di un compagno lo sfiorò sulla spalla sinistra. Improvvisamente, capì.

«Signor Samuel Lanternier, posso ancora tollerare che si chiacchieri, ma non tollero che si dorma durante la mia lezione.»

Il professore di storia non stava scherzando.

«Prenda le sue cose ed esca!»

Samuel obbedì, vergognandosi troppo per osare lanciare un ultimo sguardo a Léana, diligente allieva seduta in prima fila.
 

Fabien Debenest

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14 marzo 1997, Saint-Albret

Nel Sud-Ovest del Sud-Ovest della Francia esisteva una valle, con i suoi villaggi e i suoi borghi, chiamata Val d’Albret. Al centro di questa valle viveva pacificamente una cittadina di ottomila abitanti che gli abitanti del Val d’Albret amavano chiamare comunemente il gioiello della valle, o più semplicemente Saint-Albret.

Quel giorno, la pioggia si abbatteva a torrenti sulla piccola città. Le gocce di questa rugiada celeste sembravano organizzarsi in piccoli ruscelli che correvano lungo le viuzze strette del vecchio quartiere, prima di gettarsi gioiosamente nella Baïse, fiero fiume che scorreva più in basso. Risalendo uno di questi rivoli, attraversando il Ponte Vecchio e costeggiando il Corso Romas fino a una grande torre con orologio, si poteva scorgere Samuel Lanternier, dall’altro lato della strada, in attesa del suo autobus. L’inverno, pur in declino, amava ancora farsi sentire, costringendo i passanti ad alzare il bavero del cappotto.
Samuel, da parte sua, si era fatto spazio dentro la pensilina di vetro, riscaldandosi in mezzo a persone d’ogni sorta.

«Come ho fatto ad addormentarmi in piena lezione? Maledetto mal di testa!» si lamentava tra sé.

La giornata al liceo stava per concludersi, portando con sé un sollievo che però sarebbe presto stato infranto dai compiti della sera, triste incombenza dello studente. Per non pensarci, Samuel preferiva abbandonarsi agli ultimi frammenti del suo sogno, assaporando l’impronta dolce che quello aveva lasciato nella sua mente. E là dove la memoria vacillava, l’immaginazione prendeva subito il sopravvento, trascinando il ragazzo verso le onde ondulanti di Mimizan, quel villaggio sull’oceano dove amava trascorrere le vacanze. I suoi pensieri vagarono così lontano che finì per perdere l’autobus e dovette attendere il successivo.

La pioggia continuava a cadere a scrosci, e gelide raffiche colpivano di tanto in tanto il volto di Samuel. Una donna alla sua sinistra teneva in braccio un neonato così ben avvolto che se ne vedevano solo il naso e la bocca. Alla sua destra, un ometto baffuto, vestito con cappello e completo grigio, cupo come il tempo, stringeva a sé una valigetta con la stessa premura della donna col bambino.
Samuel sorrise.

«Se avessi una macchina fotografica...» pensò.

L’autobus arrivò, si fermò di colpo, sputò fuori i suoi passeggeri per ingoiarne altri. Un giovane adolescente, appena sceso, sembrava aver adocchiato la valigetta dell’omino baffuto. Samuel lo riconobbe. Aveva già avuto a che fare con dei ragazzi della sua banda. Per estorcere qualche spicciolo, mostravano un bastone, o talvolta perfino un piccolo coltellino.
Ma quel giorno, la preda non era lui. Il bersaglio era il piccolo uomo baffuto, il quale non sospettava nulla. Samuel provò prima disprezzo per l’incoscienza dell’uomo, poi pietà. In fondo, non era colpa sua.

All’improvviso, con la rapidità di un ghepardo, il giovane fuggì via, una valigetta in mano.
L’omino, diventato paonazzo, urlò furibondo, ma era inutile.
Il suo disperato grido mosse Samuel, che si lanciò all’inseguimento del ladro.

« Prendetelo! Quella valigetta è tutta la mia vita! » gridò l’omino, commosso dall’atto di coraggio.

Il giovane, credendosi ormai al sicuro, si fermò in un vicolo per scoprire il suo bottino.
Samuel, benché la pioggia gli avesse martellato il viso per tutto il tragitto, non aveva perso di vista l’adolescente, rimanendo però abbastanza discreto da non farsi notare.

Si avvicinò al vicolo, respirò a fondo e sbucò davanti al ladro.

« Restituiscila, non è tua!
« Non vale niente questa valigetta, ci sono solo dei fogli. La vuoi? Eccotela! »

Gliela lanciò brutalmente e scappò via.

« E se ti rivediamo, sei morto! »

Samuel rimase muto, immobile, col sangue gelato da quelle ultime parole. Raccolse i fogli, un grosso libro, richiuse la valigetta e si allontanò.

Per fortuna è solo un ragazzino, e non mi ha visto abbastanza da ricordarsi di me, si rassicurava. Sono le 19:10, se mi sbrigo prendo l’autobus delle 19:15.

Avvicinandosi alla pensilina, si accorse che era deserta.

Dov’è finito quell’uomo? Non ho rischiato la vita per niente!

La notte cominciava a calare. Il cielo continuava a piangere le sue lacrime.

È vero, oggi è venerdì, l’ultimo autobus passa prima delle 19!
« Eccolo, è lui! »


Samuel si voltò, livido. Aveva riconosciuto la voce del ragazzo. Era lì, a cinquanta metri, con la sua banda.

Ora sono nei guai seri, pensò Samuel con angoscia.

Una macchina frenò accanto a lui, facendolo sobbalzare.

Sono dappertutto!, pensò.

Il finestrino posteriore si abbassò:

« Ciao Samuel, hai perso l’autobus? » disse una ragazza dal volto familiare.
« Léana! »

Samuel non poteva credere ai suoi occhi. La presenza della ragazza gli ridiede speranza.

« Sì... mi puoi portare a casa, per favore?
« Aspetta, chiedo a mia madre. »

Léana sparì dal finestrino.

« Mi stavi cercando? Ora la paghi! » minacciò il ragazzo, con una mazza da baseball in mano.

Samuel si precipitò verso la macchina.

« Léana, svelta, apri! »

Ma prima che la ragazza reagisse, la banda si era già scagliata contro Samuel Lanternier.
La mazza lo colpì con violenza alla tempia. E mentre vacillava, una pioggia di colpi si abbatté sul suo ventre e sulla schiena.
La portiera si aprì allora, e le braccia di Léana afferrarono Samuel, trascinandolo dentro l’auto con una forza inaspettata. La madre, senza esitazione, partì a tutta velocità sotto le grida furiose degli aggressori, frustrati di non aver potuto portare a termine il loro pestaggio.

Samuel si accasciò, la testa sulle ginocchia di Léana. A lampi, i suoi occhi gli rimandavano l’immagine di un volto preoccupato chinato su di lui. Le labbra della ragazza si muovevano, ma Samuel non sentiva nulla. Solo un fischio acuto e lancinante gli trafiggeva il cranio da un timpano all’altro. Le mani di Léana, più dolci di un balsamo, gli tenevano il viso come per strapparne via il dolore.

« Léana… » mormorò.

L’auto, il dolore alla testa, la valigetta, l’omino baffuto, l’autobus, il professore — tutto vorticava attorno a lui a una velocità vertiginosa.

« Léana… » ripeté, con un mezzo sorriso sulle labbra, prima di sprofondare nel nulla.
 

Fabien Debenest

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«Samuel! Samuel!»

La voce dolce e melodiosa di Léana svegliò Samuel meglio di un canto di usignolo.

«Léana? Dove sono?»

«Uff! Ti sei svegliato. Ho avuto tanta paura!» disse lei con una voce strozzata che giustificava l’improvviso abbraccio.

Samuel si rizzò, talmente incuriosito da non riuscire a godersi le braccia che lo stringevano.

«Mi sento molto meglio, è strano, ho l’impressione di non avere più nulla!»

Léana si alzò di scatto e aprì le imposte. Un sole mattutino inondò immediatamente tutta la stanza. Si sentirono anche canti d’uccelli e suoni di corde pizzicate.

«Che rumore è questo? Sento della musica», chiese Samuel.

«È mio fratellino, sta suonando la chitarra. E ti presenterò i miei genitori, se vieni a fare colazione in giardino, giù.»

«Colazione? Ho dormito tutta la notte a casa tua?»

«Sì, e… nel mio letto.»

«Nel tuo letto, e nella tua stanza?» disse il ragazzo mentre osservava l’immensa stanza.

Dominavano, in quella camera, un bell’armadio e una magnifica scrivania, le cui modanature e sculture lignee testimoniavano un’epoca lontana. Alle pareti si stendevano foto ricordo, il poster di un cavallo, di un delfino, di un gatto, riportando il visitatore al suo secolo. Su una piccola mensola, attirava lo sguardo un oggetto particolare. Era una scatola metallica dorata a forma di pianoforte a coda. Samuel si alzò e osò avvicinarsi.

«Si apre, fa musica?»

«No, è solo una scatola dove metto le mie preghiere.»

«Le tue preghiere?»

«Sì, le scrivo su un pezzetto di carta. Poi le nascondo lì dentro. Appena vengono esaudite, le tiro fuori e le butto.»

«Posso?» disse lui, poggiando le dita sul piccolo pianoforte dorato.

«No!»

Lei afferrò subito il coperchio con la mano. Poi, tornando più dolce:

«Capisci, è… intimo.»

Scesero la scala in quercia e attraversarono la cucina da cui proveniva un gradevole profumo di pasticceria.

«Guarda, mamma ha fatto i cookies», disse Léana fermandosi davanti a un piatto. «Che profumo!»

«Inzuppati in una ciotola di latte, non c’è niente di meglio.»

«Ti prego, lo trovo disgustoso», fece Léana con una smorfia.

«Non sai cosa ti perdi! Quel morbido che scivola in gola come una spugna strizzata…»

«Ok, non fai colazione con me.»

«Allora me ne vado», osò Samuel voltandole le spalle.

«No! Resta! Hai vinto, potrai inzuppare», si arrese la ragazza trattenendo il suo ospite.

«E tu potrai assaggiare», sorrise Samuel.

«Neanche per sogno», ribatté Léana, facendo il solletico sulla pancia al suo invitato.

I due giovani, ridenti, sbucarono in giardino. Il riso di Samuel si fermò davanti allo splendore del luogo. Tutto respirava purezza. L’erba era verdeggiante e i fiori cantavano i colori di un mattino di primavera. Una tavola vestita con una tovaglia a quadretti rossi e bianchi era apparecchiata sotto un cedro, offrendo una ricca colazione. Una coppia, che si presentò come i genitori, beveva tranquillamente il caffè, l’uomo leggendo il giornale, la donna scarabocchiando parole. Un bambino suonava qualche nota alla chitarra con un cornetto in bocca. Samuel si estasiò davanti a quella visione degna delle più belle pubblicità di marmellata.

L’uomo abbassò il giornale.

«Ah, ecco i nostri piccioncini!»

«Caro!», ribatté la signora.

«Papà!», aggiunse Léana. « È un amico, non è il mio fidanzato! Mamma, sta molto meglio. Non ha neanche più mal di testa.»

«Magnifico! E prenderai un caffè, Samuel?», propose la madre.

«Non avete cioccolata calda? Amo troppo la cioccolata calda», rispose Samuel.

«Allora, giovane, da quanto sentiamo parlare di te… cosa fai nella vita?», chiese il padre con una certa insistenza.

«Ehm, sono al liceo, indirizzo scientifico.»

«Allora ti piaceranno le scienze?», domandò la madre con una voce un po’ più moderata.

Era elegante e bella, con i capelli castani raccolti in uno chignon. I suoi modi e il suo portamento distinti sprigionavano una certa classe che si armonizzava perfettamente con il decoro.

«Preferisco di gran lunga suonare la chitarra.»

«Davvero? E allora perché mai sei in un liceo scientifico?», si stupì il padre.

«Io…»

Samuel non osò perdersi in troppe spiegazioni.

«Cosa avete in programma per oggi?», chiese la mamma. « Andrò in città solo stasera. Non potrò riportare Samuel prima. »

La giovane dai lunghi capelli castani a stento conteneva la gioia.

«Fantastico! Perfetto! Allora andremo dai Jonfleur a Cazette, voglio fargli vedere i cavalli. Vedrai Samuel, hanno cavalli magnifici, e una giumenta… oh, devi proprio vederla…»

Ma Samuel non ascoltava più. Un odore terribilmente familiare aveva catturato tutta la sua attenzione.

«Non puoi portarlo dai Jonfleur », replicò la madre, « sono partiti in vacanza. Portalo allo stagno, è così bello!»

Samuel cercava di determinare la fonte di quell’odore.

«No mamma, sono tornati ieri, Aurélie ha telefonato.»

«Conosco questo odore », si diceva il ragazzo, « sembra, sembra…»

«Samuel!»

Una voce molto strana lo chiamava. Da dove veniva?

«Samuel?», chiese Léana.

«Sì?», disse lui per tornare al discorso.

«Allora sei d’accordo per andare poi allo stagno? Passeremo a prendere Aurélie, la mia amica, e andremo a fare il bagno. Ci sono dei canneti come non ne vedrai mai altrove.»

Ma Samuel non ascoltava più. Il dolore alla testa ricominciava a farsi sentire.

«Samuel!»

La voce lo chiamava. Si voltò. Veniva proprio dall’ingresso della casa. Guardò Léana, i genitori, il fratellino, ma nessuno sembrava turbato. Era l’unico a sentire? La voce risuonò di nuovo, risvegliando le sofferenze craniche. Léana parlava ancora, con un’insostenibile leggerezza. Samuel si voltò di nuovo verso l’ingresso. Una voce proveniente da chissà dove sembrava cercarlo.

«Samuel!»

«No!», si infuriò il ragazzo. «Léana, non senti questa voce che mi chiama?»

Ma Léana si era immobilizzata, così come tutta la sua graziosa famiglia. Anche gli alberi, l’erba e i fiori si erano fermati. L’immagine che Samuel aveva davanti agli occhi si staccò dallo sfondo e volò via, come una cartolina portata via dal vento.

«Léana!», gridava Samuel, tendendole le braccia.

Ma lei svanì, come tutto il resto, fino a diventare solo un punto.
 

Fabien Debenest

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5


Aprì gli occhi.
Uno sguardo familiare era chinato su di lui.

«Ahi, la mia testa… Dove sono?»
«Sei nella tua stanza, ma prima di dire qualsiasi cosa, dimmi subito come ti chiami!»
«Samuel Lanternier... Perché me lo chiedi, mamma?»

Madame Lanternier scrutò il volto del figlio per alcuni istanti. Poi sospirò profondamente, sollevata, e lo strinse forte a sé.

«Meno male… Non hai nulla… Mi hai fatto prendere uno spavento terribile!»

Samuel si sollevò sul letto.

«Dov’è Léana?»
«La ragazza che ti ha riportato a casa? È appena andata via. A quanto pare, qualcuno voleva farti del male, così mi ha detto. Sono preoccupata per te, figlio mio… Spero che tu non abbia problemi di droga con quei ragazzi…»
«Ma no, mamma. Sono solo dei pazzi. Mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.»

Si portò una mano alla fronte e fece una smorfia.

«Ahi, la testa… A proposito, oggi ero da Léana, c’era un bel sole…»

Si lasciò ricadere sul cuscino. Sua madre aggrottò la fronte.

«Bel sole? Ha piovuto tutto il giorno. Non sei andato a scuola?»
«Cosa?»

Samuel si tirò su di scatto e, nonostante la notte, scorse le gocce d’acqua scorrere sul lucernario.

«È ancora… venerdì?»
«Oh cielo, hai preso davvero un bel colpo! Spero che starai bene per lunedì. Sai che non puoi perdere le lezioni, altrimenti potrebbero toglierci la borsa di studio. E come potremmo vivere allora? È già tutto così difficile…»
«Lo so, mamma. Senza la mia borsa di studio, non potresti fare la spesa, e soprattutto comprare tutte quelle bottiglie. Non ti preoccupare, sto già meglio. Andrò a scuola lunedì.»

La donna borbottò qualcosa. Chiuse la porta della stanza e si precipitò in cucina. Si appoggiò al piano di lavoro, fissando un pensile in alto. Resse per qualche secondo, poi lo aprì, prese una bottiglia e si versò un bicchiere di quel liquido devastante. Il suo volto, così delicato, così morbido, non lasciava immaginare una tale decadenza. Né le parole del figlio, né la triste realtà riuscirono a trattenere le due lacrime che le scivolarono sulle guance.

In quel preciso istante, se ci si fosse allontanati di qualche metro dall’appartamento dei Lanternier, fluttuando nell’aria, si sarebbe potuto scorgere, dietro la finestra della cucina, una madre che gettava con rabbia ciò che restava nel bicchiere nel lavandino. E salendo un po’ più in alto, si sarebbe potuto distinguere il piccolo edificio in pietra in cui vivevano madre e figlio, all’ultimo piano.

Il vantaggio di quell’ultimo piano era che lo allontanava dai rumori della strada e lo faceva beneficiare di una splendida esposizione al sole. L’appartamento, del resto, era sempre perfettamente ordinato e splendidamente decorato. Salendo ancora più in alto, un po’ sotto le stelle, si sarebbe potuto sfiorare il campanile della vecchia chiesa, piantato come una bandiera nel vecchio quartiere di Saint-Albret. E ridiscendendo, avvicinandosi alle tegole del piccolo edificio, sporgendosi sopra un lucernario, si sarebbe allora visto, ancora seduto nel suo letto, Samuel, perso nei suoi pensieri.

«Sembrava tutto così reale, non è possibile. I sogni non sono così veri. Ma allora…»

Sua madre lo fece sussultare riaprendo la porta.

«Ah, ha lasciato questa valigetta per te. Le ho detto che non era tua, ma mi ha risposto che ce l’avevi in mano.»

Richiuse la porta, lasciando sul letto una valigetta nera.
La valigetta nera.








6


La pioggia e il freddo imperversarono per tutto il fine settimana, spingendo i più pigri a restare al caldo sotto il piumone. Poi venne un sole, tiepido ma colorato, che ridiede un po’ di motivazione ai mattinieri del lunedì. Come al solito, Samuel prese l’autobus all’orologio e raggiunse il magnifico liceo Armand Fallières. A gruppi, i giovani studenti si accalcavano attorno ai cancelli d’ingresso, per poi spargersi nel cortile e nel portico, dimenticando che sopra le loro teste si ergeva una maestosa facciata, con le sue grandi pietre squadrate e le alte finestre, testimonianza senza tempo del Rinascimento.

«Ma che stai dicendo? Ha piovuto tutto il weekend!»
«Ti giuro, Tony, sono andato da Léana, sembrava estate! Non ci capisco più niente. Ho visto i suoi genitori. Ha persino un fratellino che suona la chitarra!»
«Hai solo troppa fantasia, tutto qui!» concluse Tony, chiudendo la questione.

Tony possedeva uno scetticismo che non era disposto a mollare senza prove inconfutabili. Per lui, tutto doveva essere misurabile. Il tavolo su cui sedevano, il professore che lasciava cadere un quaderno sulla cattedra, la traccia bianca del gesso sulla lavagna nera. Tutto rispondeva a una logica universale, la legge di causa ed effetto.
Le lezioni del mattino finirono, e dopo un salto alla mensa, i due amici entrarono da Ronald, uno snack molto amato di fronte al liceo, con una sala da pranzo e una sala giochi.

«Ciao Cédric, ciao Xavier, ci fate spazio?»
«Ciao ragazzi, sì, venite!» risposero i due liceali spostandosi un po’.

I quattro amici inseparabili si ritrovarono attorno a un tavolo, seduti su panche comode, separati dal freddo della strada solo da un grande vetro.

«Non mangiate alla mensa?» chiese Samuel.
«Oggi ci sono le carote, e io odio le carote,» rispose Cédric con la bocca piena. «E qui gli hamburger sono divini! Ci mettono una salsa arancione troppo buona!»
«L’ho trovato!» gridò Tony per rilanciare il discorso del mattino. «Sam, hai fatto un’esperienza extracorporea!»
«Impossibile,» disse Xavier. «Non avrebbe potuto vivere una giornata di sole se ha piovuto tutto il weekend. No. Samuel, forse mi sbaglio, ma potresti essere finito in una falla temporale.»

Xavier era appassionato di tutto ciò che riguardava la relatività di Albert Einstein. Era magro e slanciato, e il suo volto biondo si nascondeva dietro un riso continuo. Non era il più grande confidente di Samuel, ma su di lui si poteva contare. Appena scoppiava un conflitto, preferiva allontanarsi per non prendere posizione. Poteva infastidire all’inizio, ma alla fine la sua natura pacata aveva la meglio.

«Dai, ti ascolto.»
«Ebbene,» disse ridendo, «vedo due possibilità. O ti sei trovato in una fase di aberrazione spazio-temporale, in cui il tempo non ha mantenuto la sua traiettoria lineare ma ha generato un ciclo, proiettandoti, per un lasso di tempo più o meno lungo, in un futuro prossimo...»
«Wow!» esclamò Cédric. «Affascinante!» disse inghiottendo un altro morso del suo hamburger.

Cédric era basso e robusto. Il suo piacere, profondo quanto il suo appetito, si riassumeva nello stupirsi di tutto, come un bambino che scopre il mondo.

«Mah…» fece Tony ammirando il fondoschiena tondo di una cameriera che passava. «Attento Cédric, il tuo hamburger sta colando!»
«Scusa! A proposito ragazzi, questo weekend ho trovato una pista, credo di essere vicino.»
«Concentrati sul tuo cibo, Cédric, ci parlerai della tua pista dopo,» suggerì Tony vedendo la salsa arancione colare tra le fette del panino.
«E allora, Xavier, qual è la tua seconda possibilità?» chiese Samuel.
«La mia seconda possibilità!»

Rise. Tutti lo guardavano, incuriositi. Rise di nuovo, si rese conto dell’impazienza del pubblico, bevve un sorso, riprese un’aria seria e disse:

«Penso, e questa è l’ipotesi più probabile, che tu sia finito, non so come, in una sorta di realtà alternativa. Alcuni scienziati sono d’accordo con l’ipotesi che esista un’infinità di realtà parallele che si estendono da…»
«Sì, grazie, conosciamo gli universi paralleli!» lo interruppe Tony, mentre faceva attenzione che la maionese che colava dalle dita di Cédric non toccasse la sua bella camicia. «Io ho una terza spiegazione, più razionale, meno avvincente. Il colpo in testa ti ha fatto delirare, ti sei fatto un bel viaggio nel paese delle meraviglie, e ti sei svegliato con una bella sbronza. E poi, tutto quello che hai visto, i dettagli, i luoghi, probabilmente non esistono, perché sono solo una produzione della tua fantasia. E sono sicuro che Léana non ha nessun fratellino che suona la chitarra. Detto questo, chiediamo il conto e andiamo, perché sono quasi le 14.»
«Va bene Tony. Lo chiederò a Léana e vedremo se hai ragione.»
«Senti Xavier,» chiese Cédric, «il tempo fa molte di queste… “lup”?»
«Forse. Non si sa bene, è tutto molto teorico… Ma perché me lo chiedi?»
«Mi sento pesante… mi chiedevo se la “lupa” non mi avesse riportato due volte all’inizio del pasto.»
«Hmm!» fece Xavier aggrottando le sopracciglia.

Si chinò verso il ventre ben teso del suo compagno e disse:

«Una “lupa” potrebbe anche nasconderne altre…»
 
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