5
Aprì gli occhi.
Uno sguardo familiare era chinato su di lui.
«Ahi, la mia testa… Dove sono?»
«Sei nella tua stanza, ma prima di dire qualsiasi cosa, dimmi subito come ti chiami!»
«Samuel Lanternier... Perché me lo chiedi, mamma?»
Madame Lanternier scrutò il volto del figlio per alcuni istanti. Poi sospirò profondamente, sollevata, e lo strinse forte a sé.
«Meno male… Non hai nulla… Mi hai fatto prendere uno spavento terribile!»
Samuel si sollevò sul letto.
«Dov’è Léana?»
«La ragazza che ti ha riportato a casa? È appena andata via. A quanto pare, qualcuno voleva farti del male, così mi ha detto. Sono preoccupata per te, figlio mio… Spero che tu non abbia problemi di droga con quei ragazzi…»
«Ma no, mamma. Sono solo dei pazzi. Mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.»
Si portò una mano alla fronte e fece una smorfia.
«Ahi, la testa… A proposito, oggi ero da Léana, c’era un bel sole…»
Si lasciò ricadere sul cuscino. Sua madre aggrottò la fronte.
«Bel sole? Ha piovuto tutto il giorno. Non sei andato a scuola?»
«Cosa?»
Samuel si tirò su di scatto e, nonostante la notte, scorse le gocce d’acqua scorrere sul lucernario.
«È ancora… venerdì?»
«Oh cielo, hai preso davvero un bel colpo! Spero che starai bene per lunedì. Sai che non puoi perdere le lezioni, altrimenti potrebbero toglierci la borsa di studio. E come potremmo vivere allora? È già tutto così difficile…»
«Lo so, mamma. Senza la mia borsa di studio, non potresti fare la spesa, e soprattutto comprare tutte quelle bottiglie. Non ti preoccupare, sto già meglio. Andrò a scuola lunedì.»
La donna borbottò qualcosa. Chiuse la porta della stanza e si precipitò in cucina. Si appoggiò al piano di lavoro, fissando un pensile in alto. Resse per qualche secondo, poi lo aprì, prese una bottiglia e si versò un bicchiere di quel liquido devastante. Il suo volto, così delicato, così morbido, non lasciava immaginare una tale decadenza. Né le parole del figlio, né la triste realtà riuscirono a trattenere le due lacrime che le scivolarono sulle guance.
In quel preciso istante, se ci si fosse allontanati di qualche metro dall’appartamento dei Lanternier, fluttuando nell’aria, si sarebbe potuto scorgere, dietro la finestra della cucina, una madre che gettava con rabbia ciò che restava nel bicchiere nel lavandino. E salendo un po’ più in alto, si sarebbe potuto distinguere il piccolo edificio in pietra in cui vivevano madre e figlio, all’ultimo piano.
Il vantaggio di quell’ultimo piano era che lo allontanava dai rumori della strada e lo faceva beneficiare di una splendida esposizione al sole. L’appartamento, del resto, era sempre perfettamente ordinato e splendidamente decorato. Salendo ancora più in alto, un po’ sotto le stelle, si sarebbe potuto sfiorare il campanile della vecchia chiesa, piantato come una bandiera nel vecchio quartiere di Saint-Albret. E ridiscendendo, avvicinandosi alle tegole del piccolo edificio, sporgendosi sopra un lucernario, si sarebbe allora visto, ancora seduto nel suo letto, Samuel, perso nei suoi pensieri.
«Sembrava tutto così reale, non è possibile. I sogni non sono così veri. Ma allora…»
Sua madre lo fece sussultare riaprendo la porta.
«Ah, ha lasciato questa valigetta per te. Le ho detto che non era tua, ma mi ha risposto che ce l’avevi in mano.»
Richiuse la porta, lasciando sul letto una valigetta nera.
La valigetta nera.
6
La pioggia e il freddo imperversarono per tutto il fine settimana, spingendo i più pigri a restare al caldo sotto il piumone. Poi venne un sole, tiepido ma colorato, che ridiede un po’ di motivazione ai mattinieri del lunedì. Come al solito, Samuel prese l’autobus all’orologio e raggiunse il magnifico liceo Armand Fallières. A gruppi, i giovani studenti si accalcavano attorno ai cancelli d’ingresso, per poi spargersi nel cortile e nel portico, dimenticando che sopra le loro teste si ergeva una maestosa facciata, con le sue grandi pietre squadrate e le alte finestre, testimonianza senza tempo del Rinascimento.
«Ma che stai dicendo? Ha piovuto tutto il weekend!»
«Ti giuro, Tony, sono andato da Léana, sembrava estate! Non ci capisco più niente. Ho visto i suoi genitori. Ha persino un fratellino che suona la chitarra!»
«Hai solo troppa fantasia, tutto qui!» concluse Tony, chiudendo la questione.
Tony possedeva uno scetticismo che non era disposto a mollare senza prove inconfutabili. Per lui, tutto doveva essere misurabile. Il tavolo su cui sedevano, il professore che lasciava cadere un quaderno sulla cattedra, la traccia bianca del gesso sulla lavagna nera. Tutto rispondeva a una logica universale, la legge di causa ed effetto.
Le lezioni del mattino finirono, e dopo un salto alla mensa, i due amici entrarono da Ronald, uno snack molto amato di fronte al liceo, con una sala da pranzo e una sala giochi.
«Ciao Cédric, ciao Xavier, ci fate spazio?»
«Ciao ragazzi, sì, venite!» risposero i due liceali spostandosi un po’.
I quattro amici inseparabili si ritrovarono attorno a un tavolo, seduti su panche comode, separati dal freddo della strada solo da un grande vetro.
«Non mangiate alla mensa?» chiese Samuel.
«Oggi ci sono le carote, e io odio le carote,» rispose Cédric con la bocca piena. «E qui gli hamburger sono divini! Ci mettono una salsa arancione troppo buona!»
«L’ho trovato!» gridò Tony per rilanciare il discorso del mattino. «Sam, hai fatto un’esperienza extracorporea!»
«Impossibile,» disse Xavier. «Non avrebbe potuto vivere una giornata di sole se ha piovuto tutto il weekend. No. Samuel, forse mi sbaglio, ma potresti essere finito in una falla temporale.»
Xavier era appassionato di tutto ciò che riguardava la relatività di Albert Einstein. Era magro e slanciato, e il suo volto biondo si nascondeva dietro un riso continuo. Non era il più grande confidente di Samuel, ma su di lui si poteva contare. Appena scoppiava un conflitto, preferiva allontanarsi per non prendere posizione. Poteva infastidire all’inizio, ma alla fine la sua natura pacata aveva la meglio.
«Dai, ti ascolto.»
«Ebbene,» disse ridendo, «vedo due possibilità. O ti sei trovato in una fase di aberrazione spazio-temporale, in cui il tempo non ha mantenuto la sua traiettoria lineare ma ha generato un ciclo, proiettandoti, per un lasso di tempo più o meno lungo, in un futuro prossimo...»
«Wow!» esclamò Cédric. «Affascinante!» disse inghiottendo un altro morso del suo hamburger.
Cédric era basso e robusto. Il suo piacere, profondo quanto il suo appetito, si riassumeva nello stupirsi di tutto, come un bambino che scopre il mondo.
«Mah…» fece Tony ammirando il fondoschiena tondo di una cameriera che passava. «Attento Cédric, il tuo hamburger sta colando!»
«Scusa! A proposito ragazzi, questo weekend ho trovato una pista, credo di essere vicino.»
«Concentrati sul tuo cibo, Cédric, ci parlerai della tua pista dopo,» suggerì Tony vedendo la salsa arancione colare tra le fette del panino.
«E allora, Xavier, qual è la tua seconda possibilità?» chiese Samuel.
«La mia seconda possibilità!»
Rise. Tutti lo guardavano, incuriositi. Rise di nuovo, si rese conto dell’impazienza del pubblico, bevve un sorso, riprese un’aria seria e disse:
«Penso, e questa è l’ipotesi più probabile, che tu sia finito, non so come, in una sorta di realtà alternativa. Alcuni scienziati sono d’accordo con l’ipotesi che esista un’infinità di realtà parallele che si estendono da…»
«Sì, grazie, conosciamo gli universi paralleli!» lo interruppe Tony, mentre faceva attenzione che la maionese che colava dalle dita di Cédric non toccasse la sua bella camicia. «Io ho una terza spiegazione, più razionale, meno avvincente. Il colpo in testa ti ha fatto delirare, ti sei fatto un bel viaggio nel paese delle meraviglie, e ti sei svegliato con una bella sbronza. E poi, tutto quello che hai visto, i dettagli, i luoghi, probabilmente non esistono, perché sono solo una produzione della tua fantasia. E sono sicuro che Léana non ha nessun fratellino che suona la chitarra. Detto questo, chiediamo il conto e andiamo, perché sono quasi le 14.»
«Va bene Tony. Lo chiederò a Léana e vedremo se hai ragione.»
«Senti Xavier,» chiese Cédric, «il tempo fa molte di queste… “lup”?»
«Forse. Non si sa bene, è tutto molto teorico… Ma perché me lo chiedi?»
«Mi sento pesante… mi chiedevo se la “lupa” non mi avesse riportato due volte all’inizio del pasto.»
«Hmm!» fece Xavier aggrottando le sopracciglia.
Si chinò verso il ventre ben teso del suo compagno e disse:
«Una “lupa” potrebbe anche nasconderne altre…»