Eco, Umberto - Il nome della rosa

Spilla

Well-known member
Un bel libro, con atmosfere avvincenti. La trama è ben congegnata e i personaggi, anche se un poco anacronistici non sono certo i fantaccini moderni travestiti da medioevali che si trovano nei romanzi di Ken Follett. Il gusto enciclopedico di Eco a volte tende ad eccedere, ma il medioevo mi interessa, perciò ho affrontato con piacere anche i brani prolissi. Alla fine, devo dire, non ho avuto l'impressione di aver letto uno dei massimi capolavori della letteratura, ma di essermi parecchio divertita sì.
 

Nefertari

Active member
Mi ha impegnata parecchio questo libro ma ne è valsa la pena. Ci ho messo un pò ad "entrare" ma è una mia pecca: quando inizio un libro nuovo sento la mancanza di quello appena terminato e dei personaggi lasciati e quindi mi ci vuole un pò x ambientarmi nella nuova situazione. Il nome della rosa è meraviglioso, le descrizioni sono bellissime e ho adorato quella biblioteca e il labirinto. Guglielmo ed Adso sono stati come dei compagni di viaggio. Mi è spiaciuto solo che non avendo conoscenze di latino mi sono goduta meno alcune pagine. Lo consiglio vivamente!!
 

IlLettoreComune

New member
recensione de "Il nome della rosa", Umberto Eco

Con "Il nome della rosa" di Eco ho imparato questo: mai guardare la trasposizione cinematografica prima di aver letto il libro. E purtroppo, ho avuto in mente il volto di Sean Connery per tutte le 500 pagine oltre a conoscere l'assassino prima dell'apertura del libro.
Siamo nel 1327, l'ambientazione è tutta medievale. Eco la descrive soprattutto attraverso le parole dei personaggi, monaci francescani che vivono di credenze mistico-popolari guardando con golosità alle nuove filosofie moderne. Guglielmo da Baskerville è un monaco inglese, ex inquisitore pentito, che viene mandato dall'imperatore per assistere ad un convegno che ha sede in un monastero benedettino dell'Italia settentrionale. Ad accompagnarlo vi è colui che imprimerà su di un manoscritto le vicende vissute quando era monaco novello e allievo di Guglielmo, Adso da Melk.
Il convegno è, in realtà, il contesto attraverso cui Eco può mostrare come in quel periodo vi fosse un non celato scontro fra potere imperiale e potere ecclesiastico. La parte di Chiesa che desidera vivere in povertà (sostenitrice delle tesi pauperstiche appoggiate ovviamente dall'imperatore) e la parte a sostegno della Chiesa come detentrice sia del potere laico che di quello spirituale. Guglielmo da Baskerville rappresenta quella parte di Chiesa sostenuta dallo stesso Francesco d'Assisi, volta al solo bene spirituale.
Il tempo di una sola settimana è scandito ogni giorno dai ritmi della vita monastica (prima, terza, sesta, nona, vespri, compieta): cinque sono i monaci uccisi, tutti con una particolare storia alle spalle e un solo libro dinnanzi che li porterà alla perdizione: la parola proibita.
Le atmosfere, fatte di pochissime luci e di tanta penombra, sveleranno pian piano gli scheletri che i monaci nascondono dentro i propri armadi: i fatti che vedranno Guglielmo e Adso nelle vesti di "moderni investigatori" saranno abilmente intervallati da discorsi filosofici che hanno storicamente occupato il medioevo trecentesco, a partire dalle tesi di Guglielmo d'Occam. "Il nome della rosa" è, in effetti, un libro che può essere letto con due intenti differenti: la conoscenza, grazie alle numerose informazioni storiche, di un dibattito filosofico forse poco conosciuto ai "non addetti ai lavori" e la piacevole compagnia di un'avventura investigativa tipica di un giallo medievale. Certo le due cose si intrecciano ed Eco dimostra pur sempre di essere un abile intrattenitore, che sa costruire trame narrative accattivanti intorno alle sue profonde conoscenze.
 

Nefertari

Active member
Con "Il nome della rosa" di Eco ho imparato questo: mai guardare la trasposizione cinematografica prima di aver letto il libro. E purtroppo, ho avuto in mente il volto di Sean Connery per tutte le 500 pagine oltre a conoscere l'assassino prima dell'apertura del libro.
Siamo nel 1327, l'ambientazione è tutta medievale. Eco la descrive soprattutto attraverso le parole dei personaggi, monaci francescani che vivono di credenze mistico-popolari guardando con golosità alle nuove filosofie moderne. Guglielmo da Baskerville è un monaco inglese, ex inquisitore pentito, che viene mandato dall'imperatore per assistere ad un convegno che ha sede in un monastero benedettino dell'Italia settentrionale. Ad accompagnarlo vi è colui che imprimerà su di un manoscritto le vicende vissute quando era monaco novello e allievo di Guglielmo, Adso da Melk.
Il convegno è, in realtà, il contesto attraverso cui Eco può mostrare come in quel periodo vi fosse un non celato scontro fra potere imperiale e potere ecclesiastico. La parte di Chiesa che desidera vivere in povertà (sostenitrice delle tesi pauperstiche appoggiate ovviamente dall'imperatore) e la parte a sostegno della Chiesa come detentrice sia del potere laico che di quello spirituale. Guglielmo da Baskerville rappresenta quella parte di Chiesa sostenuta dallo stesso Francesco d'Assisi, volta al solo bene spirituale.
Il tempo di una sola settimana è scandito ogni giorno dai ritmi della vita monastica (prima, terza, sesta, nona, vespri, compieta): cinque sono i monaci uccisi, tutti con una particolare storia alle spalle e un solo libro dinnanzi che li porterà alla perdizione: la parola proibita.
Le atmosfere, fatte di pochissime luci e di tanta penombra, sveleranno pian piano gli scheletri che i monaci nascondono dentro i propri armadi: i fatti che vedranno Guglielmo e Adso nelle vesti di "moderni investigatori" saranno abilmente intervallati da discorsi filosofici che hanno storicamente occupato il medioevo trecentesco, a partire dalle tesi di Guglielmo d'Occam. "Il nome della rosa" è, in effetti, un libro che può essere letto con due intenti differenti: la conoscenza, grazie alle numerose informazioni storiche, di un dibattito filosofico forse poco conosciuto ai "non addetti ai lavori" e la piacevole compagnia di un'avventura investigativa tipica di un giallo medievale. Certo le due cose si intrecciano ed Eco dimostra pur sempre di essere un abile intrattenitore, che sa costruire trame narrative accattivanti intorno alle sue profonde conoscenze.



Che meravigliosa recensione!!! Mi ha fatto venir voglia di leggerlo di nuovo!!! :wink:
 

aamente

New member
Dopo aver letto "Il Pendolo di Faucault" e dopo alcuni saggi sul Medioevo non potevo non imbattermi ne "Il nome della rosa". Questo romanzo ha in pratica tutto ciò che manca al suo successore: intreccio, movimento e tempistica. Basterebbe questo per dire che è un romanzo molto più (che) godibile.

Dopo aver letto le due prime opere narrative di Eco posso dire che la mia opinione su di lui è tutt'altro che ferma. Apprezzo molto la sua erudizione ma allo stesso tempo, in certi casi, mi stufa. La cosa che più apprezzo di lui, comunque, è l'impostazione meta-linguistica, il suo "costruire" libri sui libri e questo romanzo (ancora di più "Il pendolo") ne è un esempio lampante con il suo sistema a scatola cinese: un libro su di un libro che racconta la storia registrata su un altro libro.

Ciò che invece a pelle ho più apprezzato è l'aver reso autentico ma leggibile il racconto di Adso, linguisticamente intendo. Se il mondo che Eco ci propone ci appare credibile non solo per le conoscenza nella medievistica dell'autore ma, soprattutto, perchè ci viene raccontato da Adso con un linguaggio credibile.
 
Libro scritto in un modo assolutamente superbo, la storia è molto avvincente, ciò fa passare tranquillamente anche le parti che trattano della politica del tempo che possono risultare abbastanza pesanti, purtroppo non conoscendo il latino ho fatto molta fatica a comprendere i passaggi non tradotti.
A dir poco stupenda la parte dell'iniziazione di Adso, peccato per la misogenia presente nel libro, ma purtroppo quella era la realtà del tempo e così andava descritta. Voto 5/5

Peccato che prima di leggere il libro ho visto il film, cosa da mai fare :W
 

MadLuke

New member
Peccato che prima di leggere il libro ho visto il film, cosa da mai fare :W

Di base sarei d'accordo con te, ma... Conoscere già il finale, non ti ha permesso di non distrarti con "l'ansia di scoprire come finisce" e concentrarti meglio sul contesto del romanzo, la psicologia dei personaggi, i significati che l'autore ha cercato di far passare?

Ciao, MadLuke.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Ormai vegliardo, il monaco Adso da Melk affida ad un manoscritto le sue memorie riguardanti una strana storia accaduta nell’ultima settimana di novembre del 1327. Allora novizio, Adso accompagnava il suo maestro, Guglielmo da Baskerville, presso un’abbazia dell’Italia centrosettentrionale, dove doveva tenersi un importante incontro tra le legazioni pontificie e quelle facenti capo all’imperatore; i delegati dovevano discutere di un argomento assai controverso e spinoso: l’eresia. Ma appena arrivato, Guglielmo, che ha giusta fama di uomo saggio e dotto, nonché di ex inquisitore, viene messo a parte di un delitto accaduto nell’abbazia e proprio l’Abbate gli chiede di venirne a capo. I delitti però continuano e la trama si infittisce. Tutto sembra ruotare intorno all’anima stessa dell’abbazia, la biblioteca: si tratta della più grande biblioteca della cristianità, un sancta sanctorum del sapere i cui tesori e soprattutto i cui segreti vanno custoditi gelosamente e difesi con ogni artificio possibile. Tra labirinti, visioni, versi apocalittici e verità molto più terrene, la storia si dipana in un susseguirsi di scoperte che mettono in luce il grado di corruzione, marciume, empietà in cui versa l’Abbazia e l’intera Chiesa.
E’ fondamentalmente questo il quadro che ci viene da quest’opera che è tante cose insieme: è denuncia della corruzione, è lode al sapere universale ed universalmente accessibile, è critica verso una Chiesa troppo attenta alle apparenze ed alle rigide regole piuttosto che alle persone, ai loro sentimenti ed ai loro bisogni.
Tutto questo in un libro impegnativo, pieno, traboccante di sapienza, la cui lettura non è immediata. Ma l’iniziale difficoltà data dal registro alto e dalla presenza di frasi latine e riferimenti filosofici, religiosi e culturali, viene ben presto superata dalla bellezza dell’opera. Un capolavoro intramontabile della letteratura italiana, un libro che dovrebbe essere nella libreria di ogni lettore. Consigliatissimo.
 

Kira990

New member
Mi trovo in tutto e per tutto nel commento di estersable88.
Bellissimo libro, impegnativo e pieno di contenuti e qualche denuncia neanche troppo velata. Molto bello una di quelle letture da affrontare almeno una volta nella vita.
 

LettriceBlu

Non rinunciare mai
La stragrande maggioranza dei lettori su questo romanzo si divide in due: o si odia, o si venera. E poi ci sono quelle anime quasi solitarie tipo me, a cui è piaciuto molto, superando di gran lunga le aspettative, ma che non riesco a provare quella sorta di elevazione al sublime che molti gli attribuiscono.
Ho certamente apprezzato tantissimo la fedeltà di Eco al periodo storico di cui stava narrando, nei ragionamenti e nell’approntare le descrizioni tenendo in grandissimo conto quanto i medioevali mettessero Dio al centro di tutto, però non ho potuto fare a meno di trovare certe parti molto dettagliate troppo pesanti, cosa che non cerco in un libro.
I miei punti preferiti, togliendo il finale, sono sicuramente state le varie incursioni in biblioteca e la ricostruzione del mistero architettonico che la contraddistingue, il modo di agire di Guglielmo è stato davvero affascinante e ingegnoso.
Ottima la caratterizzazione dei personaggi e della vita monacale in abbazia, che di giorno è come dovrebbe essere, ma di notte si trasforma svelando quanto sia facile cedere a tentazioni varie e molteplici. Il mio personaggio preferito è sicuramente Adso, che non ha potuto fare a meno svariate volte di indurmi a provare una grandissima tenerezza. È un ragazzo che ancora deve imparare molto dalla vita, non privo di ingenuità che lo porta a non avere ancora le forze di affrontare situazioni spinose. Cerca sempre però di essere più retto possibile e di migliorarsi imparando dai propri errori, chiedendo aiuto a chi è più esperto e saggio di lui. Non è privo di intelligenza, tutt’altro, più di una volta è stato fondamentale affinché le cose prendessero la giusta piega.
Guglielmo è un frate molto illuminato e di grandissimo intuito, che sfoggia con parecchio orgoglio. Seppure come “poliziotto” sarebbe stato grandioso, non sono riuscita ad apprezzarlo pienamente perché quando perde il controllo si trasforma e sembra parecchio invasato, in più, è stato spesso troppo severo senza reale motivo con Adso, tranne forse quando avrebbe dovuto esserlo.
L’uomo che ha macchinato l’intero piano... gente, da brividi! C’è stata fin dalla sua prima apparizione qualcosa che mi scombussolava nella sua persona, però mai avrei pensato che si fosse spinto fino al punto in cui è arrivato, e considerando l’età è davvero impressionante quanto sia stato calcolatore nel raggiungere il suo folle scopo, per non parlare della decisione che ha preso per sé...
Le battute finali mi sono piaciute molto, sia la bella botta di adrenalina in tutto il confronto tra Guglielmo e “lo psicopatico”, sia il racconto di Adso che dopo anni rivisita quei luoghi. Tirando le somme il colpevole ha agito in quel modo perché aveva paura della conoscenza e di come questa può portare evoluzione e cambiamento all’uomo, paura di non avere più paura, sentimento che secondo lui è ciò che ci vuole per vivere bene. Il messaggio che Eco vuole comunicarci è molto importante e tutti dovremmo rifletterci su. A lettura finita devo ammettere di essere rimasta con un po’ di amaro in bocca difficile da spiegare; tirando le somme, do a quest’opera un bell’8 come voto finale.
 

Luca979

Member
Forse è vero, come leggo nel precedente commento, che o lo si ama o lo si odia. Sará perchè quando l'ho iniziato avevo aspettative molto alte, ma mi ha parecchio deluso. L'ho trovato un bel racconto di un centinaio di pagine spezzettato all'interno di un noiosissimo trattato storico.
Sembra un libro scritto da Eco per far vedere quanto ha studiato e forse non è un caso che lo stesso scrittore lo considera una delle sue opere peggiori.
 
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