Alighieri, Dante - La Divina Commedia

oea

New member
Come fare odiare la Commedia agli studenti... :mrgreen::mrgreen:

Esatto. Personalmente, dopo l'esame di maturità, mi ci sono voluti quindici anni, molti passati a perseguire una leurea e una specializzazione in una materia scientifica, per dimenticare gli effetti dei miei professori di liceo, e trovare il coraggio di riprendere in mano la Divina Commedia per conto mio. Che esperienza è stata rileggere, e capire per la prima volta:
"Ahi quanto a dir qual'era è cosa dura
esta selva selvaggia ed aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura.
Tanto è amara che che poco più è morte ..."

Ero allora, appunto come Dante, nel mezzo del cammino della mia vita: 35 dei 70 anni che la Bibbia assegna all'uomo. E, come lui, avevo smarrito la "diritta via" del senso e della speranza: ero depresso. La selva come metafora della depressione ... Dante come mio fratello nello spirito ... L'amore per l'umanità (Beatrice) e la guida dell'arte e della scienza (Virgilio) per ritrovare un senso all'esistenza ... da lì, è cominciata la mia guarigione.
Ne sono passati molti altri di anni, e mai da allora sono ripiombato in quella cupa selva.
Dante, direi, è il mio Virgilio, anche ora che da anni arranco sulle salite del Purgatorio.
 

marea

New member
Esatto. Personalmente, dopo l'esame di maturità, mi ci sono voluti quindici anni, molti passati a perseguire una leurea e una specializzazione in una materia scientifica, per dimenticare gli effetti dei miei professori di liceo, e trovare il coraggio di riprendere in mano la Divina Commedia per conto mio. Che esperienza è stata rileggere, e capire per la prima volta:
"Ahi quanto a dir qual'era è cosa dura
esta selva selvaggia ed aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura.
Tanto è amara che che poco più è morte ..."

Ero allora, appunto come Dante, nel mezzo del cammino della mia vita: 35 dei 70 anni che la Bibbia assegna all'uomo. E, come lui, avevo smarrito la "diritta via" del senso e della speranza: ero depresso. La selva come metafora della depressione ... Dante come mio fratello nello spirito ... L'amore per l'umanità (Beatrice) e la guida dell'arte e della scienza (Virgilio) per ritrovare un senso all'esistenza ... da lì, è cominciata la mia guarigione.
Ne sono passati molti altri di anni, e mai da allora sono ripiombato in quella cupa selva.
Dante, direi, è il mio Virgilio, anche ora che da anni arranco sulle salite del Purgatorio.

A ottobre compirò quarant'anni, che non sò se è esattamente "in mezzo al cammin di nostra vita" ma comunque siamo lì, lustro più lustro meno. E già da qualche mese, parlando incidentalmente del mio 40°, ho specificatamente richiesto alla persona che amo di regalarmi la "Divina Commedia". Me ne andrei volentieri su un'isola deserta per tutto il tempo necessario a leggerla, ma ho il sospetto che sia cosa poco praticabile. Mi accontenterò quindi di leggerla (ché quella scolastica non la ritengo una "lettura") a cominciare dagli "anta", prendendomi tutto il tempo necessario.
 

oea

New member
A ottobre compirò quarant'anni, che non sò se è esattamente "in mezzo al cammin di nostra vita" ma comunque siamo lì, lustro più lustro meno. E già da qualche mese, parlando incidentalmente del mio 40°, ho specificatamente richiesto alla persona che amo di regalarmi la "Divina Commedia". Me ne andrei volentieri su un'isola deserta per tutto il tempo necessario a leggerla, ma ho il sospetto che sia cosa poco praticabile. Mi accontenterò quindi di leggerla (ché quella scolastica non la ritengo una "lettura") a cominciare dagli "anta", prendendomi tutto il tempo necessario.

Che bel regalo hai chiesto! Posso consigliarti di cercare Nove Saggi Danteschi di J.L. Borges (c'è sicuramente nel secondo volume dell'opera omnia di Borges pubblicato dai Meridiani Mondadori, io ho una vecchia edizione di queso solo testo pubblicata da Franco Maria Ricci, temo ormai introvabile salvo da qualche Remainders).
Borges amava profondamente Dante, ed è capace di farlo amare a chiunque.

Non so cosa fari tu, ma io leggo sempre un solo canto alla volta, prima di getto e fermandomi sulle note quando un verso è oscuro, e poi lo riprendo subito dall'inizio, terzina per terzina, per assaporarle. A volte, lo assaporo tanto che dopo aver ri-letto solo un paio di terzine mi accorgo che sono volate via un paio d'ure, e devo lasciare lì il libro.
 

marea

New member
Che bel regalo hai chiesto! Posso consigliarti di cercare Nove Saggi Danteschi di J.L. Borges (c'è sicuramente nel secondo volume dell'opera omnia di Borges pubblicato dai Meridiani Mondadori, io ho una vecchia edizione di queso solo testo pubblicata da Franco Maria Ricci, temo ormai introvabile salvo da qualche Remainders).
Borges amava profondamente Dante, ed è capace di farlo amare a chiunque.

Non so cosa fari tu, ma io leggo sempre un solo canto alla volta, prima di getto e fermandomi sulle note quando un verso è oscuro, e poi lo riprendo subito dall'inizio, terzina per terzina, per assaporarle. A volte, lo assaporo tanto che dopo aver ri-letto solo un paio di terzine mi accorgo che sono volate via un paio d'ure, e devo lasciare lì il libro.

Come farò non me lo sono ancora chiesto. per ora ho solo stabilito, intimamente, che mi prenderò tutto il tempo necessario.
Preso nota dei tuoi suggerimenti, grazie!
 

klosy

Cicciofila Member
Penso che non basti tutta l'esperienza di lettrice per comprendere al meglio questo capolavoro,
soprattutto l'Inferno, dato che le altre due Cantiche le trovo molto meno appassionanti della prima.

Oea, è molto interessante quello che hai scritto nel primo topic, riguardo i differenti livelli di lettura dell'opera,
è un po' quello che mi era stato detto al liceo dalla mia prof, ma che nessuno -a mio parere- è in grado di cogliere negli anni del liceo; alcuni dei livelli di lettura da te descritti si riesce ad afferrarli solo nel momento in cui si legge la Commedia per puro piacere personale.

Detto questo, mi stupisce che quest'opera io la trovi meravigliosa -ripeto: soprattutto i primi 100 canti- dal momento che ho imparato a conoscerla a 15 anni sui banchi di scuola, eppure mi ritrovo ancora ad aprire a caso il primo libro e leggere alcune terzine.
Evidentemente è davvero un capolavoro (qualcuno oserebbe negarlo?) se, nonostante la mia propensione a dispezzare le costrizioni scolastiche, è rimasta una delle mie letture preferite.

Oea, io Shakespeare e Dante non li affiancherei neppure, non ci sono paragoni su chi reputo più grande.

Ah, rispondendo alla domanda di Elena: io sarei senza dubbio Ciacco,
il mio peccato mortale è la gola...
anche tutti gli altri a dire il vero, ma la gola di più! :YY
 

oea

New member
il mio peccato mortale è la gola...
anche tutti gli altri a dire il vero, ma la gola di più! :YY

Beata te... qualche anno di paziente disciplina e te la cavi. Il mio è l'ira, ed è una vita che mi do' da fare per cercare di restare calmo.

A proposito: conosci l'antica dottrina, secondo la quale il nostro peccato capitale è l'altra faccia della nostra migliore virtù?
La virtù double face con l'ira è l'amore per la giustizia. Quella corrispondente alla gola è la disposizione a soccorrere amorevolmente gli altri.
Il consiglio che ne consegue è, per l'iracondo, giudicare se stesso con giustizia PRIMA di giudicare gli altri. Per il goloso, è amare se stesso e proteggersi PRIMA di farlo con gli altri (se pensi a proteggerti dai livelli troppo alti di colesterolo, vedrai che non sarà difficile, con qualche anno di pazienza, uscire dal girone dei golosi:): ripeto che a noi iracondi occorre molto ma molto più tempo, e inoltre siamo e restiamo anche assai meno simpatici ed amabili dei golosi).
 

klosy

Cicciofila Member
A proposito: conosci l'antica dottrina, secondo la quale il nostro peccato capitale è l'altra faccia della nostra migliore virtù?
La virtù double face con l'ira è l'amore per la giustizia. Quella corrispondente alla gola è la disposizione a soccorrere amorevolmente gli altri.
Il consiglio che ne consegue è, per l'iracondo, giudicare se stesso con giustizia PRIMA di giudicare gli altri. Per il goloso, è amare se stesso e proteggersi PRIMA di farlo con gli altri (se pensi a proteggerti dai livelli troppo alti di colesterolo, vedrai che non sarà difficile, con qualche anno di pazienza, uscire dal girone dei golosi:): ripeto che a noi iracondi occorre molto ma molto più tempo, e inoltre siamo e restiamo anche assai meno simpatici ed amabili dei golosi).



No, non conoscevo questa (interessante) dottrina.
Il problema è che non ho nessuna intenzione di uscire dal girone,
vado a braccetto col mio amico Ciacco e sono ben felice:
sono dannata, non c'è più nulla da fare. :mrgreen:

Ora la smetto con gli ot!
 

Medea

Dancing member
Impossibile scegliere... Due poeti accomunati soltanto dall'etichetta di un sostantivo e dall'essere indispensabili in egual misura, perchè così diversi tra loro... Due menti geniali, due penne sublimi, du e autori che non posso fare a meno di rileggere costantemente.
 

oea

New member
Impossibile scegliere... Due poeti accomunati soltanto dall'etichetta di un sostantivo e dall'essere indispensabili in egual misura, perchè così diversi tra loro... Due menti geniali, due penne sublimi, du e autori che non posso fare a meno di rileggere costantemente.

il cerchio dell'orizzonte, Shakespeare. La verticale di qui al cielo, Dante. Più che diversi: opposti. Eppure abbiamo bisogno quotidiano di entrambi.
Senza Shakespeare, cosa sapremmo e mai potremmo capire della miriade di coscienze umane -- la coscienza di Otello, quella diversissima di Amleto, quella così amabile di Falstaff, quella terribile di Macbeth, quella folle di Lear, quella amorosa di Giulietta, quella astuta e potente di Marco Antonio .... ?
Senza Dante, come capire la profondità della mente umana universale, che appare unica nella sua tensione verso l'alto e nel suo poter sprofondare nell'abisso, unica al fondo delle diverse manifestazioni di questo percorso verticale incarnate nei personaggi della Commedia?

Da un lato il molteplice come realtà tangibile, dall'altro l'Uno come aspirazione o come perdita.

Sì, a pensarci bene sono d'accordo, Medea: ci servono, ci sono indispensabili entrambi.
 
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Candy Candy

Active member
IO SONO PIA!!! credo sia il personaggio più dolce e "cortese" della Divina Commedia, e poi la storia di Pia è un po una puntata di Beautiful:mrgreen:.

“ ‘Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via’ seguitò il terzo spirito al secondo, ‘ricorditi di me che son la Pia.Siena mi fe’ disfecemi Maremma: salsi colui che inanellata pria,
disposando, m’avea con la sua gemma.’“​

Premettendo che credo non ci sia libro più Divino al mondo, Dante ha riassunto in libro i vizi e i pregi del mondo che sono gli stessi da secoli e che per secoli resterrannno uguali, la divina commedia è il libro dell'uomo.
è scontato dire che la parte pi "divertente" è il purgatorio e quella stilisticamente migliore il paradiso ma è così!
La divina commedia è un libro con infinite chiavi di lettura, con infiniti messaggi e sottointesi dei qual si cercano ancora le chiavi di lettura e a quanto pare potrebbe essere la descrizione del percorso che porta al graal :??
che uomomini quelli di una volta....:ad:
e poi quale finale migliore....per un opera Divina se non:

" l'amor che move il sole e l'altre stelle"
 

Lauretta

Moderator
uno dei passi più belli!!!!! Divina!!!!


Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me fia diviso

la bocca mi baciò tutto tremante,
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.
Quel giorno non vi leggemmo avante
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
La scena più raccapricciante, un horror nell'horror, il conte Ugolino che rosicchia il cranio dei propri figli, nel canto XXXIII

"La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a'capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto."
 

oea

New member
La scena più raccapricciante, un horror nell'horror, il conte Ugolino che rosicchia il cranio dei propri figli, nel canto XXXIII

"La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a'capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto."

Non il cranio dei propri figli, scusami!
Quello del suo persecutore. Questo è detto esplicitamente nel Poema.

Borges poi si è ribellato, con tanti altri commentatori, contro l'interpretazione in chiave cannibalistica del famoso "poscia più che il dolor poté il digiuno". L'espressione di questo verso famosissimo non significa, come commentatori attratti dall'horror pensano, che Ugolino abbia ceduto alla fame divorando il cadavere dei propri figli. Vuol dire che il dolore immenso per vederli finire così non riuscì a uccidere anche il Conte (non morì di crepacuore): ci riuscì invece il digiuno. Il Conte Ugolino dice: avrei voluto e dovuto morire di crepacuore, e invece sono morto anche io per la fame. Il Conte Ugolino, prima di morie, non fu mai antropofago. Questo ci spiega magistralmente Jorge Luis Borges in uno dei suoi splendidi Nove Saggi Danteschi. Mi pare di ricordare, ma non sono sicuro e non ho ora tempo per controllare (scusate), che Sermonti sia d'accordo con lui.
 

Elena.90

Curly member
Borges poi si è ribellato, con tanti altri commentatori, contro l'interpretazione in chiave cannibalistica del famoso "poscia più che il dolor poté il digiuno". L'espressione di questo verso famosissimo non significa, come commentatori attratti dall'horror pensano, che Ugolino abbia ceduto alla fame divorando il cadavere dei propri figli. Vuol dire che il dolore immenso per vederli finire così non riuscì a uccidere anche il Conte (non morì di crepacuore): ci riuscì invece il digiuno. Il Conte Ugolino dice: avrei voluto e dovuto morire di crepacuore, e invece sono morto anche io per la fame. Il Conte Ugolino, prima di morie, non fu mai antropofago. Questo ci spiega magistralmente Jorge Luis Borges in uno dei suoi magistrali Nove Saggi Danteschi. Mi pare di ricordare, ma non sono sicuro e non ho ora tempo per controllare (scusate), che Sermonti sia d'accordo con lui.

Uffa ma che "guastafeste" che è Jorge Luis Borges!
Con tutto il rispetto, il bello del canto sta proprio nella sua ambiguità, nel dubbio del lettore che si domanda "ma... ha mangiato la carne dei figli?!".
Il famoso verso "poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno" può essere interpretato come "la fame era tale, che il mio dolore non bastò trattenermi (dal cibarmi delle loro carni)".
Per tutto il canto sono sparsi riferimenti al mangiare e al mordere, come se Dante volesse lasciare intendere un avvenimento troppo terribile per essere narrato apertamente: l'occhio freddo e distaccato dell'accademico ha scelto di ignorare le suggestioni che questi elementi suscitano nel lettore...
 

Masetto

New member
Borges poi si è ribellato, con tanti altri commentatori, contro l'interpretazione in chiave cannibalistica del famoso "poscia più che il dolor poté il digiuno". L'espressione di questo verso famosissimo non significa, come commentatori attratti dall'horror pensano, che Ugolino abbia ceduto alla fame divorando il cadavere dei propri figli. Vuol dire che il dolore immenso per vederli finire così non riuscì a uccidere anche il Conte (non morì di crepacuore): ci riuscì invece il digiuno. Il Conte Ugolino dice: avrei voluto e dovuto morire di crepacuore, e invece sono morto anche io per la fame. Il Conte Ugolino, prima di morie, non fu mai antropofago. Questo ci spiega magistralmente Jorge Luis Borges in uno dei suoi splendidi Nove Saggi Danteschi.
Veramente Borges non disse proprio questo. Nell'edizione Mondadori di tutte le Opere si trovano i suoi Saggi Danteschi, tra cui uno intitolato Il falso problema di Ugolino, dove si legge:
<< Volle Dante che pensassimo che Ugolino mangiò la carne dei suoi figli? Io arrischierei la risposta: Dante non ha voluto che lo pensassimo, bensì che lo sospettassimo. L'incertezza è parte del suo disegno. Ugolino rode il cranio dell'arcivescovo; Ugolino sogna cani dalle zanne acuminate che lacerano i fianchi del lupo; Ugolino, spinto dal dolore, si morde le mani; Ugolino sente che i figli gli offrono inverosimilmente la loro carne; Ugolino, pronunciato l'ambiguo verso, torna a rosicchiare il cranio dell'arcivescovo. Tali atti suggeriscono o simboleggiano il fatto atroce. Adempiono ad una duplice funzione: li crediamo parte del racconto e sono profezie. >>
Borges sarebbe stato insomma d'accordo con Elena, che dice:
il bello del canto sta proprio nella sua ambiguità, nel dubbio del lettore che si domanda "ma... ha mangiato la carne dei figli?!".
Il famoso verso "poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno" può essere interpretato come "la fame era tale, che il mio dolore non bastò trattenermi (dal cibarmi delle loro carni)".
Per tutto il canto sono sparsi riferimenti al mangiare e al mordere, come se Dante volesse lasciare intendere un avvenimento troppo terribile per essere narrato apertamente: l'occhio freddo e distaccato dell'accademico ha scelto di ignorare le suggestioni che questi elementi suscitano nel lettore...
 

lillo

Remember
Leggendo questo topic sulla Divina Commedia, mi sono venuti in mente i ricordi sul X canto dell’Inferno quello di Farinata e Cavalcante.
Dante incontra per primo Farinata degli Uberti che così si rivolge al poeta


O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.



La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto


Farinata per Dante è l’uomo politico a cui chiede notizie sulle sue origini e se guelfo o ghibellino.
La seconda figura che Dante incontra è Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido Cavalcanti, che così si rivolge al poeta:

piangendo disse: "Se per questo cieco
carcere vai per altezza d'ingegno,
mio figlio ov'è? e perché non è teco?".


E io a lui: "Da me stesso non vegno:
colui ch'attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno".

Le sue parole e 'l modo de la pena
m'avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena.

Di sùbito drizzato gridò: "Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv'elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?".

invece si preoccupa di avere notizie del figlio. Lui sa che nel passato il figlio è vivo, nel futuro è morto; ma nel presente?
Quando sente usare il verbo “ebbe” capisce che il figlio è morto ed allora pone le domande a Dante e soprattutto nella terza domanda “non fiere li occhi suoi lo dolce lume?” c’è tutta la tenerezza paterna di Cavalcante (Gramsci).
Devo dire che in questo canto La figura di Cavalcante è la più intima, la più vera ed in cui più mi immedesimo; lui oramai non si preoccupa più degli affari della città di Firenze; ma l’unica cosa che gli preme è di sapere come sta suo figlio. Fa un salto qualitativo rispetto a Farinata ancora legato agli affari terreni.
Secondo me a dimostrazione di come per Dante i legami affettivi siano più importanti delle questioni politiche.
Ottimo il commento che a questo canto fa Antonio Gramsci sui Quaderni del Carcere, in cui mette l’accento sulla figura paterna di Cavalcante e sul diverso animo dei due personaggi. Farinata al silenzio di Dante, che segue alle domande di Cavalcante, rimane pressoché impassibile, mentre Cavalcante “supin ricadde e più non parve fora”. In una Lettera dal Carcere scritta nel 1931 alla cognata Tatiana scrive: “Si capisce la differenza tra Cavalcante e Farinata. Farinata, sentendo parlare fiorentino ridiventa l'uomo di parte, l'eroe ghibellino; Cavalcante invece non pensa che a Guido e al sentir parlare fiorentino si solleva per sapere se Guido è vivo o è morto in quel momento”.

La cosa che mi ha colpito di questa analisi è che per alcuni critici, Gramsci stesso si sente come Farinata-Cavalcante e scrive queste righe, non tanto per aggiungere il suo parere a quello di tanti illustri critici ma piuttosto, per trasmettere un suo sentimento. Ai compagni che dall’esterno della prigione gli chiedono pareri sulla situazione politica attuale non sa rispondere, perché lui conosce il passato, sa che nel futuro ci sarà il ricongiungimento con il partito, ma non sa dare un giudizio sul presente.

Ma in Antonio Gramsci c’è soprattutto la figura di Cavalcante, quella dell’uomo preoccupato per la condizione dei suoi cari affetti.

Questa analisi su Gramsci – di cui ho riassunto una parte di un lungo articolo pubblicato alcuni anni fa e trovato su Internet – mi ha lasciato piacevolmente sorpreso, perché nel mio immaginario ero legato alla figura del rivoluzionario scientifico sempre pronto ad analizzare la situazione socio-politica e a dare indicazioni di lotta. Nelle Lettere dal Carcere mi aveva colpito la severità con la quale si rivolgeva ai figli spingendoli allo studio ed all’impegno; la poca affettività con cui si rivolgeva alla moglie; affetto che sembrava quasi esclusivamente rivolto alla cognata.
Sicuramente questa analisi mi avvicina ulteriormente a questo grande intellettuale del ‘900 a dimostrazione di come l’amore per i propri cari vada aldilà di qualsiasi impegno nella sfera sociale.
 
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