Forse le raccolte di racconti non sono un genere che prediligo, o forse dopo aver letto tanti commenti entusiasti avevo delle aspettative troppo alte, oppure semplicemente non sono all’altezza della cultura dell’autore che traspare in questi racconti e che purtroppo non sono riuscito ad apprezzare a pieno. Fatto sta che, terminata la lettura, sono rimasto un po' deluso.
Quasi tutti i racconti sono attraversati da un filo conduttore comune, quello dell’identità personale, sviluppato non solo in riferimento al sé, ma anche in relazione agli altri e spesso in una più ampia prospettiva temporale di corsi e ricorsi, di cause ed effetti. Identità che possono essere illusorie, smarrite, convertite, ritrovate, rinnegate, ricostruite, soppresse, a seconda degli eventi e delle reazioni consce o inconsce dei personaggi.
In tutto ciò si perpetua continuamente una sorta di legge del taglione o del contrappasso, spesso con gli interessi: chi osa usurpare il ruolo di qualcuno viene ammazzato, chi per realizzarsi a scapito di altri arriva a causarne la morte finisce col perire allo stesso modo, chi è sospettato di aver derubato e fatto del male è vendicato a morte, chi si burla di un suo pari con un pericoloso scherzo è contraccambiato con un'atroce vendetta omicida, chi uccide viene a sua volta giustiziato.
Tutto ciò non mi ha particolarmente coinvolto ed entusiasmato, mi ha lasciato per lo più insoddisfatto. Forse mi è mancata una maggiore tensione narrativa o una più autentica e profonda indagine delle questioni umane.
Solo quattro racconti li ho trovati più interessanti, o comunque li ho apprezzati più degli altri: La città degli immortali, Lo zahir, La scrittura del dio, L'aleph. Quattro racconti che, trattando il tema dell'infinito nelle sue diverse declinazioni, ci portano a riflettere sul valore della vita, sul fatto che proprio la finitezza e la limitatezza, che la caratterizzano in ogni sua espressione, diano forma all'identità personale, infondano la vita e il mondo di mistero e fascino, forniscano quell’imprescindibile spinta propulsiva costituita di emozioni, sentimenti, curiosità, che insieme definisce e dà scopo e significato; mentre, al contrario, ciò che invece porta con sé la connotazione dell'infinito, che sia il tempo eterno della città degli immortali o l'attrazione totalizzante dello zahir o la conoscenza e comprensione di ogni cosa dell'intero universo per mezzo dell'aleph o di una rivelazione, estinguerebbe ogni afflato vitale e ogni possibilità di essere.
Questi temi e le riflessioni che ne scaturiscono, però, ai miei occhi non riscattano questo libro che in generale ha fatto fatica ad attrarmi e trascinarmi con sé, e in cui mi sono sentito spesso spaesato e incapace di comprenderne il senso. Ma con tutta probabilità si tratta di un mio limite. Non avevo mai letto niente di Borges prima d’ora, e per il momento, dopo questa esperienza, non credo che leggerò altre sue opere.