Quando lei lo ha raccontato, è stata insolitamente sintetica, asciutta. Si avvertiva lo sforzo di gola per contenere il pianto. Sono rimasta in silenzio. Dopo un po' ha avuto bisogno di un argomento banale, con il consueto spreco di chiacchiere.
Ci ho pensato qualche volta, se avevo motivi per dubitare della sua disgrazia. Non ne avevo. L'unico, sleale, poteva essere l'ostinata determinazione a conservarmi il meraviglioso nonno Fioravante che mi portava in braccio a cogliere i fichi.
Ho cercato un nesso tra quell'amore molesto e la mezza madre che poi è stata. Le sono mancate per me attenzioni, tenerezze, contatto. Le sue mani erano d'ossa, mi arrivavano scarse e perpendicolari, i gesti dell'accudimento efficienti, con poche sbavature affettuose. Quasi come occuparsi degli agnelli.
Volevo salvarla, ho provato a immaginare una ragazza obbligata ad astenersi con la sua creatura per il ricordo ancora fresco, scritto sul corpo, delle orrende carezze subite. Era il suo modo di rispettarla, proteggerla, era il suo amore. Amava al contrario, non dava per paura del dare a forza che aveva conosciuto come preda.
Non so se è vero. Volevo salvarla. I conti non si chiudono mai tra me e lei. Tutta la vita l'ho cercata, accattona che non sono altro. Ancora la cerco. Non la trovo. La cerco. Madre dolorosa.
Mia madre è un fiume, Donatella Di Pietrantonio