Canetti, Elias - Auto da fè

elena

aunt member
Non è semplice dare un giudizio equo su un'opera del genere.
Sicuramente l'impatto emotivo è forte: il lettore si sente coinvolto in un clima di ossessioni, sogni, pensieri, realtà irreali o surreali, perfidie umane, raffinata erudizione, rozza malvagità.
Non si resta sicuramente indifferenti a tante stimolazioni diverse e paradossali.
Il romanzo ruota intorno alla figura di Kien, che incarna la figura del grande studioso, e Therese la governante-moglie, prototipo della cupidigia e bassezza umana.
Kien è un uomo completamente chiuso nel suo mondo di libri: esperto e stimato sinologo nonché possessore di una meravigliosa biblioteca, è del tutto incapace di stabilire rapporti con gli altri esseri umani, considerati delle vere nullità. La mancata conoscenza degli altri lo porta ad essere completamente anaffettivo ed estremamente vulnerabile e immaturo dal punto di vista emotivo.
Il suo amore patologico per lo studio e per la sua biblioteca lo porta a riconoscere dignità e valore umano solo ai suoi libri: una delle parti più grandiose del romanzo è, a mio parere, la “mobilitazione”, ossia la preparazione della guerra al nemico (Therese). Il misantropo Kien si accinge a schierare tutti i suoi fieri combattenti (ovviamente i suoi libri) avendo cura di stilare un preciso proclama: ma laddove introduce il concetto di democratizzazione (ossia abolizione di ogni distinzione derivante da nobile passato, reputazione, grandezza e valore pecuniario) suscita una palese ribellione da parte dei suoi fidi libri. Schopenhauer annunciò la sua volontà di vivere, rivelando un postumo attaccamento a questo peggiore tra i mondi. Comunque si rifiutava di combattere spalla a spalla con Hegel. Schelling rispolverò le sue vecchie accuse e dimostrò l'identità fra la dottrina di Hegel e la sua, che era di precedente formazione. Fichte fece l'eroe gridando “Io!”. Immanuel Kant sostenne più categoricamente di quanto non avesse fatto in vita la necessità di una pace perpetua. Nietzsche enumerò a gran voce i propri titoli Dionisio, Anti-Wagner, Anticristo, Salvatore. Altri approfittarono di quel momento, proprio di quel momento per lamentare la loro condizione di geni incompresi. Alla fine Kien volse le spalle al fantastico pandemonio della filosofia tedesca”.
Accanto al pressoché folle studioso e alla sua non meno folle maligna governante, sfilano una serie di personaggi , ognuno proiettato in un mondo individualistico permeato da una notevole dose di follia.
L'intero romanzo sembra la rappresentazione di un universo surreale che è avvincente quanto sconvolgente: si ha proprio la sensazione di essersi immersi in un magnifico mondo incomprensibile.
Senza dubbio da leggere.
 

El_tipo

Surrealistic member
non vedo l'ora di leggere questo libro, è nella mia wishlist mentale da diversi anni...prima o poi ci riuscirò
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Difficile recensire un libro come questo di Canetti, surreale, con personaggi grotteschi ed una storia estrema, dove le persone sono meschine, violente, misogine, egoiste, anafettive, e chi più ne ha più ne metta nella gamma dei difetti umani.
Affascinante e coinvolgente pur nella sua visionarietà estrema, lo si legge con fatica proprio per una certa monotonia di temi spesso intrisi di violenza e di pochezza umana.
Il personaggio principale è il simbolo dell'ossessione che si esprime nella passione estrema per i libri, il collezionismo e la cultura enciclopedica. Gli antagonisti sono personaggi così grotteschi nel loro attaccamento al denaro e violenti fino alla crudeltà cinica, simboleggiano l'umanità senza cultura e senza ideali. Sarebbe un esercizio affascinante di stile e di fantasia se non che da lì a poco ci saranno i campi di sterminio dove tanta crudeltà e indifferenza umana si esprimeranno in modo concreto e devastante. Un romanzo preludio della follia del nazismo, da leggere secondo me in questa chiave, anche il protagonista, così simile a certi ritratti di Egon Schiele preannuncia drammaticamente la scheletrica magrezza di tanti uomini avviati alla soluzione finale.
 
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Biblio50

New member
Come dimenticare i personaggi di questo capolavoro:la rozza governante Therese, il fratello di Peter Kien, lo psicanalista junghiano Georges, il rude e marziale portinaio Benedikt Pfaff, il nano e scacchista fallito Fischerle.
Tutti a comporre un quadro unico impregnato di colori che parlano di meschinità, di scelleratezza, d’oscenità e di ottusità del consorzio umano.
Imperdibile!
 

velmez

Active member
decisamente un bel romanzo, i personaggi intricati, contorti, meschini e profondamente egoisti conquistano da subito il lettore che si perde nelle loro perversioni maniacali!
devo dire però che in certi punti ho faticato a continuare (anche se poi mi è dispiaciuto, una volta arrivata al termine..) certe fasi del racconto diventano pesanti eun po' noiose...
nel complesso è comunque un libro da leggere!
 

Dallolio

New member
Quando ho aperto questo thread sono stato contento di vedere che è stato iniziato dall'utente Elena in quanto leggo i suoi commenti sempre con piacere e interesse, anche se di recente ne ho incrociati meno. Ho letto anche i commenti seguenti e devo dire che la parola più adeguata che ho trovato è "anaffettivi" rivolto ai personaggi di questo romanzo.
Sono circa a metà, e devo dire di aver difficilmente letto un romanzo in cui fosse più difficile l'identificazione e l'empatia... i protagonosti sono nevrotici, maniaco depressivi e, come ha detto Elisa appunto, Anaffetivi.
La realtà di questo romanzo è trasfigurata, folle, priva di ogni ordine e direzione, è un coro di deliri, che lascia una sensazione assolutamente agghiacciante... forse nel prosieguo qualcosa cambierà... forse i protagonisti cercheranno di essere dei solisti della follia...
Appena avrò terminato darò il mio voto come di consueto, anche se in questo caso la valutazione è molto difficile...
La scena della mobilitazione però segna a mio avviso la rottura da un romanzo normale e interessante e un romanzo irrimediabilmente perduto nei segreti della follia senza speranza... è stato da quel momento che ho iniziato a trovare il romanzo pesante, e il folle rapporto con il nano (punto in cui sono ora) non aiuta di certo.
 

Frundsberg

New member
Per leggere Canetti è indispensabile essere dotati di yiddish humour.
Io questo libro lo trovo eccezionale, irresistibile, folgorante, superbo.
La metafora del nano è semplicemente unica.
La fine stessa del romanzo è genialmente autocritica, e si sposa con l'inizio in maniera indissolubile.
 

Dallolio

New member
In generale sono sprovvisto di umorismo; comunque la figura di Kien mi ha profondamente coinvolto, finchè non sono subentrati elementi surreali, come il pensiero di essere diventato di pietra per resistere alle percosse della moglie o quello di estrarre i libri dalla propria mente. Sarebbe accettabile se fosse la descrizione delle manie del personaggio (invero ci sono numerose persone che purtroppo hanno allucinazioni o suggestioni di questo tipo) ma più mi addentro nel romanzo e più vedo che manie simili sono la costante di tutti i personaggi, come ad esempio lo sdoppiamento onirico del nano gobbo.
Ciò mi rende la lettura sgradevole e monotona, anche se occasionalmente vedo affiorare a tratti il grande scrittore; mi riservo di finirlo prima di pronunciarmi ...
 

Dallolio

New member
Conclusione.
Faccio alcune mie considerazioni:
1) Il personaggio di Peter Kien è profondamente inquetante, e ora ho capito perchè. Ogni amante della lettura ha a mio avviso il sospetto di assomigliargli troppo, di raggiungere un tale punto nella propria passione da rasentare la mania e l'ossessione. Ciò detto, tra i personaggi che Canetti mette in scena è senza dubbio il meno disumano e spietato, eccezion fatta per il suo doppio, lo psichiatra.
2) Non si può non odiare Therese. Therese è l'essere più odioso di tutta le letteratura. Non è cattiva, perchè ella non riesce a guadagnarsi questo aggettivo, ma è totalmente meschina, senza nemmeno giungere al titanismo del meschino assoluto: ella è meschinamente meschina. Ancora la sua gonna inamidata blu mi resta in mente.
3) Il portiere è un personaggio davvero rivoltante: i suoi giganteschi pugni e i suoi capelli rossi non possono non restare impressi indelebilmente.
4) Il nano Fischerle forse è il meno disumano, il più simpatico nella sua ossessione per il furto e il raggiro...
5) La scena madre della discussione tra Peter Kien (tornato temporaneamente in sè) e il suo doppio, il fratello psichiatra, è tra i vertici di tutta l'opera.
L'ho rivalutato molto nelle ultime 200 pagine, quindi come voto assegno un 8/10.
P.s. come intepretate il suicido di Peter?
 

fernycip

New member
Il mio giudizio sul libro è senz'altro positivo: ho trovato il racconto appassionante, divertente e carico di significati soprattutto sociologici ed antropologici.
La caratterizzazione paradossale, a tratti surreale, dei personaggi comunica l'opinione dell'autore sulla società e sull'umanità in genere, che viene descritta come ipocrita, opportunista, vanitosa, avida, violenta, meschina e chi più ne ha più ne metta.
Peggio di tutti viene raffigurata la donna, che viene additata quasi come la causa di tutte le disgrazie del mondo.
Solo i pazzi, in quanto avulsi dalla società malata, possono essere considerati di buon grado e salvarsi così dal declino generale.
Per finire una curiosità: il nano Fischerle (diminuitivo del vero cognome Fischer), è un appassionato, ma improbabile, scacchista, che sogna di diventare campione del mondo in America. Ebbene nel 1972 (a distanza di 37 anni dalla pubblicazione del romanzo, 1935) l'americano Bobby Fischer (nato nel 1943) è diventato campione mondiale di scacchi!
Che Canetti avesse anche doti divinatorie?
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Un libro deve per forza essere verosimile? Deve necessariamente presentarci personaggi e situazioni realistici, nei quali siamo in grado di immedesimarci e che comunque in qualche modo riusciamo a comprendere? Indubbiamente no. Se così fosse, di certo saremmo costretti a cestinare questo romanzo come qualcosa di totalmente assurdo e ridicolo. Ed è proprio l’utilizzo di questi due aggettivi a richiamare alla mia mente altri libri e altri autori che, proprio per aver dato vita a qualcosa di “grottesco”, ho amato profondamente. Penso ad esempio a Faulkner, oppure, per restare in terra europea, a Cèline o al capolavoro di Günter Grass (anche solo la deformità fisica di uno dei personaggi non poteva non richiamarmi alla memoria il mitico Oskar). Oppure Bernhard, il mio amato Bernhard.
In effetti, per quanto magari distanti l’uno dall’altro, ci sono autori che ci parlano non attraverso la ragione e la verosimiglianza, ma attraverso la deformazione, l’esagerazione. Sono libri di denuncia, che più che conquistarci sembra vogliano respingerci.

Ad aggravare la situazione Auto da fè dà vita a personaggi talmente odiosi da risultare quasi insopportabili. A essere sincera, nelle prime pagine, provavo abbastanza simpatia per Peter Kien, sinologo di fama mondiale, erudito e misantropo, il cui unico interesse al mondo è la sua preziosa biblioteca. Kien è talmente radicale nel suo odio per l’umanità e nella sua adorazione per i libri da aver suscitato in me un sorriso.
Ben diverso è il caso della governante, poi moglie con l’inganno, Therèse, dell’ex funzionario di polizia Pfaff e del nano Fischerle: ognuno di essi sembra rappresentare un aspetto diverso, ma ugualmente sordido, meschino dell’umanità.
A ben vedere, se questi sono i rappresentanti della razza umana, non ha tutti i torti Kien a rifuggirla come la peste. Il problema è che i suoi sforzi risultano vani, perchè il nostro protagonista, dalla cultura smisurata, è anche un uomo assolutamente inerme di fronte alla cattiveria dei suoi simili. Egli è talmente distante da loro, parla un linguaggio talmente “altro”, da non riconoscere le loro intenzioni nemmeno quando queste risulterebbero evidenti a un bambino. La misantropia/misoginia di Kien, la sua “paura” dell’uomo e il suo disprezzo per la donna vanno di pari passo con una sorta di “innocenza” che rasenta la stupidità e la follia: non ci stupisce quindi che egli diventi un burattino nelle mani dei suoi approfittatori, senza che per questo lo si possa compatire più di tanto.


Ma quello che trovo a chiedermi è: perché Elias Canetti ha voluto rappresentare tutto questo? Di certo Kien non era un modello di virtù, e magari si è meritato ciò che gli è accaduto, ma era forse meglio una Therese o uno Pfaff? Forse l’unico personaggio che si salva, in questo romanzo, è Georges Kien, fratello del protagonista, ginecologo prima e psichiatra per vocazione poi, che non a caso troverà la propria ragion d'essere e il senso della vita nella follia dei suoi pazienti.
Un’ulteriore conferma, se ancora ne avessimo bisogno, che il vero oggetto di questo romanzo è l'incomunicabilità: l'uomo è talmente sprofondato in se stesso, nel raggiungimento dei propri gretti scopi o, al contrario, nella fantomatica adorazione di un mondo immaginario, da non poter instaurare alcuna vera relazione.

È sicuramente una visione molto pessimistica: prendo a prestito un'espressione felice per affermare che Canetti mette in scena "un grandioso circo della piccineria e della bestialità umana", "con attori pazzi che danno vita ad un deprimente spaccato di mondo senza relazioni dove l’incomunicabilità soverchia tutti", dove la corsa all’inganno e al fraintendimento diventa talmente frenetica da portare a risultati di pura idiozia e autolesionismo.

In questo senso Canetti supera persino il pessimismo di Bernhard, con cui in effetti molto ha in comune: lo stile, ostico o comunque di non immediata lettura, e i temi di profonda denuncia, che però non presuppone alcuna possibilità di redenzione, ma al contrario, sembra si esaurisca nell’atto stesso di far “sprofondare” (“estinguere” potrebbe essere il termine adatto per entrambi) tutta la meschinità umana.
Magari dalle ceneri di questa “estinzione”, un giorno, potrà rinascere qualcosa di totalmente nuovo e purificato.
 
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