Fontamara, nome di fantasia dato dall’autore ad un piccolo villaggio tra la collina e la montagna nella regione abruzzese della Marsica, è un romanzo che denuncia i soprusi perpetrati da parte dei ricchi proprietari e del governo fascista a danno dei fontamaresi, i poveri braccianti analfabeti che abitano il villaggio. Ridotta in miseria anche dalla rovina delle colture causata dal prosciugamento del lago del Fucino, e dalla mancata assegnazione ai fontamaresi delle nuove terre ricavate dal prosciugato lago a risarcimento del danno, Fontamara è il simbolo di tante simili realtà meridionali dell’epoca, e di numerose altre di ogni tempo e collocazione geografica, continuamente vessate da ingiustizie ed angherie che costringono la povera gente allo sfruttamento e alla fame quasi fosse una condizione naturale ed immutabile inserita nell’ordine prestabilito delle cose.
Fa rabbia vedere come i fontamaresi vengono raggirati, defraudati, irrisi, e come le stesse persone in cui ripongono la fiducia per salvaguardare i loro diritti e la loro dignità approfittino dell’ignoranza e dell’ingenuità della loro condizione di “cafoni” per depredarli fino all’osso in favore dei propri esclusivi interessi. E quando alla cattiveria e all’infida astuzia degli istruiti e benestanti cittadini si aggiungono le violenze compiute e autorizzate dal nuovo governo fascista, vien voglia di mettersi al fianco del protagonista Berardo Viola, che per la sua prestanza fisica e il suo carattere audace, impavido e insofferente è il punto di riferimento di quanti ardiscono a ribellarsi, e indurlo finalmente all’azione chiamando a raccolta tutti i fontamaresi per far esplodere compatti la dinamite di una rivoluzione contro tutti gli ignobili soverchiatori.
Devo dire però che, forse per via del tipo di aspettative che avevo, questo crescendo di ingiustizie e prepotenze, che ho trovato molto coinvolgente nella prima parte del romanzo, mi è sembrato disperdersi nella parte finale, che invece ho trovato un po’ affrettata e priva di quel mordente che sarebbe potuto scaturire dall’insostenibile accumulo di prevaricazioni senza scrupoli che ci presenta il racconto. Per quanto all’inizio la paura, la mancanza di istruzione, di denaro, di mezzi a disposizione, portano comprensibilmente ogni fontamarese a cercare di sopravvivere pensando solo per sé e accettando tutto con rassegnazione senza compromettersi in prima persona, mi aspettavo che il progressivo drenaggio di ogni risorsa di sostentamento attuato con abusi, inganni, dissimulazioni, insieme alle violente repressioni di ogni forma di pensiero discordante, fossero accompagnate da una presa di consapevolezza della situazione attorno a loro, che facessero da pungolo alla sete di conoscenza e di riscatto, e che sfociassero in una forte reazione di protesta mossa da uno spirito condiviso di giustizia sociale. Al contrario, il romanzo non evolve verso un’apertura degli orizzonti personali o verso uno sconfinamento della dimensione del singolo in una sfera comune. Anche Berardo Viola ad un certo punto si rintana, per amore, nella dimensione egoistica di chi lascia scorrere tutto pur di non avere problemi, per quanto alla fine, dopo una tragica notizia le cui ragioni mi sono sembrate piuttosto forzate e non approfondite, si lasci indurre da uno scaltro e misterioso sovversivo verso un atto dalla parvenza eroica e altruista per la causa fontamarese che mi è sembrato più che altro un rassegnato gesto di un uomo che non ha più nessun motivo per vivere e che decide di compierlo nel pensiero che possa almeno servire da esempio ed impulso per un’azione condivisa di dissenso dei fontamaresi in una prospettiva comune di intenti. Non ho insomma ritrovato nella sua scelta quell’incontenibile forza primigenia trascinatrice e commovente in grado di infiammare gli animi della popolazione polarizzandone tutto il malcontento, la delusione, lo sfinimento e la rabbia nella direzione di una decisa reazione collettiva contro gli oppressori. Per quanto il conseguente atto dei fontamaresi possa forse apparire come una coraggiosa rivolta in questo senso, dal mio punto di vista è un ennesimo ingenuo tentativo portato avanti senza una vera consapevolezza del gesto, con la differenza che se prima erano manipolati dai cittadini che a loro insaputa li imbrogliavano e li spennavano, questa volta sono sobillati da quel ribelle incontrato da Berardo, che facendo leva sul gesto del loro compaesano li porta ad un improvvisato e quasi inconsapevole moto di protesta inserito in una più ampia cornice generale di contestazioni che aveva già aizzato altrove, lasciandoli allo sbaraglio senza una mirata e ragionata organizzazione, ignari della situazione politica e sociale in corso e dei pericoli a cui sarebbero andati incontro.
Nella fantasia dell’autore, Fontamara è il frutto dei fatti che alcuni suoi ex compaesani fontamaresi gli riportano, e che lui traduce in italiano affinché tutti possano sapere della condizione degli ultimi della scala sociale e venire a conoscenza delle prepotenze e delle violenze attuate da chi sta in alto. Pur fotografando un periodo storico ben preciso, i meccanismi delle ingiustizie messi in luce da questo romanzo sembrano purtroppo per tanti aspetti ancora molto attuali. Il linguaggio semplice che sembra appunto provenire dalla voce diretta dei fontamaresi contribuisce a realizzare con efficacia il punto di vista interno, quello degli ultimi, favorendo una viva partecipazione degli accadimenti. Nella trasposizione del racconto, l’autore però non si eclissa completamente, ma anzi spesso frappone delle parti ironiche che, nello smorzare la tensione di certe situazioni, sembrano quasi mirate a sottolinearne gli aspetti assurdi e spietati.
Fontamara, il primo libro che leggo di Ignazio Silone, è in definitiva un importante romanzo su uno spaccato di storia del nostro paese e sulle perenni sopraffazioni a danno degli ultimi, scritto in modo semplice ma incisivo e coinvolgente, che però nel volgere alla conclusione non mi ha del tutto convinto, quasi che sul finire l’autore stesso sia stato colto dall’incertezza del “che fare?” dei fontamaresi, senza riuscire a convogliare il così ben intessuto climax di eventi in uno strutturato, pragmatico e vigoroso finale, che invece sembra perdersi in una dimensione più astratta, debole e non ben caratterizzata. Ma chiaramente è un’impressione strettamente personale che forse riflette solo un mio limite o un’aspettativa non appagata. Resta la personale curiosità di leggere altri scritti dello stesso autore.