Ho cominciato questo libro con grandi aspettative... non perchè ne avessi su quest'opera in particolare (non l'avrei neanche presa in considerazione se non me l'avessero suggerita!), ma perchè sentivo il bisogno di qualcosa che mi scuotesse profondamente, che mi facesse riflettere. Bè... di certo non sono rimasta delusa! Anzi!
Temevo l'autore “filosofo”, temevo il titolo (sono già fin troppo “nauseata” di mio in questo periodo!!!

), temevo l'assenza di trama... o piuttosto uno scorrere indifferenziato di pensieri di cui fosse difficile cogliere il senso profondo... Quanto mi sbagliavo!
Certamente non è un libro “facile” che si che possa comprendere pienamente ad una prima lettura (e neanche a una seconda, credo...), ma è molto più “unitario” di quanto credessi! Si può persino parlare di una lineare, progressiva (seppur complessa) presa di coscienza che si svolge pagina dopo pagina, per giungere a paragrafi di pura e sublime filosofia, senza che questa risulti minimamente ostica.
Antonio Roquentin comincia a scrivere perchè avverte che qualcosa, intorno a lui, o forse
dentro di lui, sta cambiando... Le cose che lo circondano è come se prendessero vita e questo fatto lo sconvolge, fino a fargli identificare il suo nuovo stato come una “malattia”. La coscienza embrionale dell'
esistenza viva delle cose (che fino a quel momento considerava del tutto inanimate) mette in crisi la
sua stessa esistenza, rendendolo quasi incapace di vivere. Ecco quindi sorgere la Nausea, fin dalle primissime pagine. Non ne comprendiamo l'origine, ma è lì: la realtà acquista una sua consistenza fluttuante, e sembra schiacciarlo.
Ma, come dicevo all'inizio, la cosa che più mi ha sorpreso è la capacità straordinaria di Sartre nell'esprimere questo percorso passo dopo passo, di modo che -attraverso il pensiero tormentato ma limpido, lucido di Roquentin- si arriva a leggere pagine di pura filosofia come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mai mi era capitato di veder svolgere in modo così chiaro la genesi di un pensiero filosofico (in questo caso l'
esistenzialismo ateo, di cui Sartre è stato forse il maggior esponente) a partire da esperienze reali, fisiche, concrete.
In un
excursus inarrestabile, Roquentin mette in crisi tutte le certezze su cui si fondava la sua vita di uomo “qualunque” (l'illusione di poter vivere delle “avventure”, il concetto di tempo e soprattutto di passato come qualcosa di esistente di per se stesso, il “Diritto” di esistere, persino le relazioni umane...). Una dopo l'altra queste certezze crollano e quello che resta è la cosa più incredibile di tutte, uno “squarcio”, un' “estasi orribile”, come la defisce lui stesso:
la percezione fisica dell'esistenza. Del suo non poter non essere. Della sua completa gratuità, che quindi è anche negazione della sua necessità... Non c'è ragione al nostro esserci nel mondo: siamo di troppo. L'Assoluto coincide con l'Assurdo.
Ho trovato questa pagine davvero straordinarie....
Sembra che questa presa di coscienza in Roquentin determini lo spegnimento di qualsiasi desiderio, volontà, azione. Se non c'è senso al nostro esserci, allora non possiamo che “sopravviverci”. Una debole speranza sorge, per poi spegnersi tristemente, durante l'incontro con Anny: è incredibile come si possa giungere alla stessa consapevolezza, alla stessa rassegnazione a sopravviversi, pur essendo così profondamente diversi! Meravigliosa la descrizione delle “situazioni privilegiate” e dei “momenti perfetti”, così intimamente vicina a quella delle “avventure” che Roquentin aveva analizzato nelle prime pagine del suo diario...
Benchè il finale lasci intravvedere una debole speranza di “catarsi” attraverso la letteratura, il messaggio dell'autore resta comunque piuttosto cupo.
Bisogna però sottolineare che (come scrive Sartre stesso in un suo saggio quasi 40 anni dopo ) quest'opera rappresenta comunque una fase della sua vita e del suo pensiero, nella quale la teoria dell' “uomo solo” è talmente esasperata da far sì che un individuo non possa affermarsi che
al di fuori e anzi
in opposizione alla società (pensiamo anche al momento storico in cui è stata scritta, e cioè alla fine degli anni '30). È alla luce di questa posizione quasi anarchica (all'interno della quale si sviluppa un'accesa e inappellabile critica ai valori borghesi) che si deve dunque leggere l'estremo pessimismo di fondo che comunque, ripeto, lascia aperto uno spiraglio su una possibile salvezza.
La gratuità, la contingenza dell'esistenza, sono concetti che secondo me possono interpretati in modo estremamente positivo e fecondo, anche da noi lettori.
Bellissimo.