Dorylis
Fantastic Member
«Acabar», in spagnolo, significa finire e in sardo «accabadora» è colei che finisce. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un'assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. È lei l'ultima madre.
Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia".
Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra...
E' un libro meraviglioso, quasi magico che ci trasporta in questa Sardegna di altri tempi che tratta temi importantissimi come la maternità o la scelta di autodeterminare la propria sorte persino sul letto di morte.. La figura dell'accabadora non si può di certo paragonare all'eutanasia perchè mentre oggi si pretende che il peso della "vita" dell'individuo pesi soltanto sulla famiglia, in questo romanzo si delinea una comunità. I rapporti sociali descritti possono sembrare complessi a prima vista, ma fanno parte di tutta una serie di norme che permettono alla comunità di vivere in pace con sè stessa.. Sono rimasta affascinata da questa sequela di tradizioni e costumi di cui ignoravo l'esistenza e ammaliata da questa scrittura intimista e colorata. Un piccolo gioiello da leggere!
Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia".
Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra...
E' un libro meraviglioso, quasi magico che ci trasporta in questa Sardegna di altri tempi che tratta temi importantissimi come la maternità o la scelta di autodeterminare la propria sorte persino sul letto di morte.. La figura dell'accabadora non si può di certo paragonare all'eutanasia perchè mentre oggi si pretende che il peso della "vita" dell'individuo pesi soltanto sulla famiglia, in questo romanzo si delinea una comunità. I rapporti sociali descritti possono sembrare complessi a prima vista, ma fanno parte di tutta una serie di norme che permettono alla comunità di vivere in pace con sè stessa.. Sono rimasta affascinata da questa sequela di tradizioni e costumi di cui ignoravo l'esistenza e ammaliata da questa scrittura intimista e colorata. Un piccolo gioiello da leggere!