Yehoshua, Abraham B. - Viaggio alla fine del millennio

elena

aunt member
Già dal titolo di questo libro, ho pregustato una storia ad ampio respiro.

Il termine “viaggio” può essere utilizzato con varie accezioni: tragitto fisico, percorso spirituale, esplorazione di nuovi siti, evasione dai propri luoghi di origine. E tutto ciò fa volare la fantasia che si lascia facilmente guidare verso terre, popoli, culture e religioni diverse, stimolata dall’innato desiderio di scoprire l’ignoto.

Anche la locuzione “alla fine del millennio” risveglia l’immaginazione, perché colloca la vicenda a ridosso del “fatidico” anno 1000, caratterizzato da grandi speranze, sogni e timori legati ad un futuro tanto imminente quanto ritenuto inintelligibile.

Se poi il connubio tra questi termini viene realizzato da un autore quale Yehoshua, il quale riesce a sviluppare una storia avvincente, profonda e godibile a diversi livelli di lettura………l’appagamento del lettore curioso è assicurato:wink:!

La vicenda prende le mosse dalla traversata che il ricco mercante ebreo Ben-Atar compie da Tangeri a Parigi (piccolo e sperduto villaggio nel cuore dell’Europa :D) non per motivi di lavoro, come nei precedenti viaggi, ma per riaffermare una dignità calpestata. Già dalle prime pagine si coglie il divario tra la civiltà mediorientale, in pieno splendore, e l’occidente, profondamente turbato dal passaggio del millennio e in fase di decadenza nonostante la vanagloria e l’illusoria superiorità. Ma non è solo un incontro tra culture diverse (egregiamente dipinte dall’autore) ma anche tra religioni diverse e, nell’ambito di queste, tra diversi modi di vivere e interpretare una comune fede. Bellissime le disquisizioni tra ebrei ashkenaziti del nord Europa e gli ebrei del nord Africa (motivo della divergenza di idee è la praticata poligamia da parte di Ben-Atar): due diversi modi di vivere l’ebraismo, ciascuno animato da un senso di correttezza e onestà basate su antiche tradizioni e su una profonda educazione religiosa.
Nel confrontare mondi diversi, l’autore non fa emergere alcuna supremazia di parte ma al contrario, nonostante la presenza di innegabili conflitti religiosi, giuridici, sociali ed etici (inquadrati nel primo millennio ma adattabili anche alla realtà dei nostri giorni), lancia un messaggio di pace ed amore, visti come gli unici elementi in grado di garantire una società giusta.



Ennesimo 5/5 :wink:
 

ayuthaya

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L'ho iniziato la settimana scorsa e mi sta prendendo moltissimo... Avevo letto alcune recensioni pessime, che lo davano come un libro lento e pesante, ma anche altre che mi hanno fatto intuire la sua grandezza... Ho idea che Yehoshua non mi deluderà neppure questa volta!
 
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ayuthaya

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Di questo romanzo ho letto recensioni talmente contrastanti da convincermi che mi sarebbe piaciuto per forza. Passavo da “un libro illeggibile, lento e pesante, in cui per centinaia di pagine non succede nulla” a “un romanzo denso, ricco di contenuti, pensieri profondi, sfumature, storia” e sempre più mi convincevo che mi sarei schierata dalla seconda parte, se non altro perchè Yehoshua è un autore che conosco piuttosto bene e si tratta di uno dei miei scrittori moderni (non più contemporanei, ahimè) preferiti. Ebbene, non mi sbagliavo: questo libro mi ha conquistato fin dalle prime pagine. Il ritmo è lento, sì, ma della stessa maestosa lentezza che possedevano le navi mercantili dell’epoca, quelle che dalle terre del Nordafrica salpavano per raggiungere la Spagna, meta degli scambi commerciali che poi avrebbero aperto la strada per il cuore dell’Europa. E fin dalle prime pagine lo sentiamo benissimo questo ritmo, il dondolio della nave, il profumo del mare, delle spezie, l'afrore degli animali chiusi nrlls stiva e dei marinai in attività

La nave con la quale viaggiamo ha una storia e uno scopo ben precisi; il suo proprietario è Ben Atar, un ricco mercante ebreo, il quale ha due soci: uno è un Abu-Lutfi, musulmano, incaricato di reperire e acquistare la merce di origine africana che potrebbe incontrare il gusto dei compratori europei, l’altro è il nipote di Ben Atar, Abulafia, che da anni ha lasciato la sua terra d’origine per stabilirsi in Francia, laddove si occupa di vendere la merce consegnata dallo zio in cambio di denaro e altri oggetti di fattura europea. I lori incontri abituali avvengono in Andalusia, fino al momento in cui il nipote non si presenta più: la causa è il disprezzo che la sua Nuova Moglie (l’uomo era vedovo) nutre nei confronti della bigamia di Ben Atar. Temendo che in qualche modo lo zio possa avere una cattiva influenza sui principi etici del marito, la donna, ashkenazita, si oppone fermamente a che i due intrattengano qualsiasi tipo di rapporto.

Deciso a salvare la relazione con suo nipote, nonchè il proficuo sodalizio commerciale, Ben Atar parte con la sua nave alla volta di Parigi, ma, poichè siamo alle soglie del fatidico e temuto anno Mille, decide di farlo attraverso un itinerario meno consueto: quello lungo la linea costiera di Portogallo, Spagna, Francia fino alle foci della Senna. Lo accompagnano in questo viaggio non privo di rischi il socio ismaelita, un rabbino vedovo col suo unico figlioletto, e le due mogli di Ben Atar: la Prima e la Seconda. Chi meglio di loro potrà convincere la Nuova Moglie della legittimità della bigamia, non solo dal punto di vista della fede (compito del rabbino) ma dell’amore?

L’antefatto, dal punto di vista narrativo, occupa poco spazio: qualche decina di pagine, per cui è vero che in questo romanzo la trama è poca cosa. Il resto del romanzo si basa sul confronto, sul dialogo. E questo confronto è solo apparentemente di natura “religiosa”: è vero che l’opposizione più evidente è fra corrente ashkenazita e corrente sefardita (e anche qui si potrebbe obiettare che le motivazioni comunque non sono teologiche, ma collegate alla tradizione, trattandosi di due gruppi di ebrei di provenienza geografica differente), ma ci rendiamo presto conto che la religione è solo un pretesto, un bellissimo pretesto, per parlare di molto altro: dei rapporti umani e soprattutto delle relazioni amorose, del rispetto fra uomo e donna, del rispetto fra culture e fra convinzioni differenti.

C’è una parola che ricorre spessissimo nel romanzo, specialmente nella prima metà, ed è disapprovazione: la Nuova Moglie disapprova il modo di vivere dello zio di suo marito e questa sua disapprovazione determina la rottura fra i due parenti. Nel tentativo di sanarla, i due uomini dovranno scavare dentro se stessi, ritrovare le proprie radici e il senso profondo delle proprie scelte. Sembra che Yehoshua voglia suggerirci che non è tanto l’azione a contare, ma ciò che l’ha determinata. È forse Ben Atar, bigamo come era consuetudine all’epoca nella sua regione, una “cattiva persona” come teme la Nuova Moglie di suo nipote? Può essere la bigamia un peccato di per se stesso?
Quel che certo non ci aspettiamo è la reazione della Seconda Moglie quando sarà chiamata a testimoniare, davanti a un giudice, l’amore di e per suo marito... Non svelo nulla per non rovinare quel poco di “effetto sorpresa” che questo romanzo può offrire, ma ciò che conta è che fino alla fine si vuole affermare la supremazia della realtà sulle definizioni, anche a costo di provocare “scandalo”.

Non si tratta certamente di un romanzo di “avventura” in senso stretto, ma di un viaggio attraverso terre e culture sconosciute, che arrivano ai protagonisti – e a noi – attraverso tutti e cinque i sensi. Gli incontri che ne derivano sono tanti e ognuno di essi reca in sè l'occasione di un cambiamento, di un arricchimento. Ma si tratta soprattutto viaggio dentro se stessi, alla ricerca della propria capacità di mettersi in discussione, perchè la disapprovazione si trasformi non tanto in approvazione, ma superi totalmente il livello del “giudizio” per diventare accoglienza vera nei confronti dell’Altro. Una bella lezione anche per noi oggi.
 
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