Pirandello, Luigi - Uno, nessuno e centomila

Vitangelo Moscarda, detto Gengè, è un uomo benestante che abita nel piccolo paesino di Richieri.
Una mattina sua moglie Dida gli fa notare un suo piccolo difetto: Vitangelo ha il naso che pende leggermente verso destra. Viene così a conoscenza di altre sue piccole imperfezioni e capisce che, dei piccoli difetti, ignorati da lui stesso, erano invece familiari a chi gli stava intorno.
Moscarda si rende allora conto di non essere più lui, ma un altro, anzi, uno per ogni persona che incontra e per ogni azione che compie.
In un crescente bisogno di autenticità, Vitangelo compie atti del tutto inusuali agli occhi di chi lo conosceva prima della crisi: sfratta una famiglia per poi regalarle un appartamento nuovo; decide di liquidare la banca ereditata dal padre per riavere indietro i suoi risparmi; esplode improvvisamente dall’ira, pronunciando strani discorsi, sino a sembrare matto, tanto da far fuggire sua moglie e rischiare di venire interdetto.
Moscarda finirà i suoi giorni in un ospizio per i poveri, fondato da lui stesso, paradossalmente più felice di prima, nel tentativo di liberarsi di quell’Uno e di quei Centomila, allo scopo di diventare, per tutti e per se stesso, Nessuno.

Un romanzo pieno di messaggi ancora molto attuali, un capolavoro di quel grande artista che è Pirandello...bello, bello, bello!
 

Sant'uomo

Mac Member
Ho letto questo libro molto tempo fa, e penso che in un certo senso abbia cambiato il mio modo di crescere e di pensare....grande romanzo, consigliato a tutti!:ad:
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Un'opera teatrale tra le più belle di Pirandello, bella anche da leggere oltre che da vedere rappresentata sul palco.
Dove nulla è oggettivo e tutto è relativo, di una modernità assoluta
 

ayla

+Dreamer+ Member
Letto un pò di tempo fa xò è sicuramente un gran bel libro, tipico di Pirandello con il suo contorto e filosofico modo di ragionare!!!!!!!
 

erin

New member
L'ho letto tre volte...e sicuramente ci sarà una quarta...credo sia un libro da leggere più volte in diverse fasi della vita
 

elena

aunt member
Pirandello riesce ad essere sempre attuale.....in questo libro si possono cogliere diversi significati.......e credo che ognuno di noi possa ritrovarsi nella descritta necessità di conoscere veramente se stesso......per arrivare ad un risultato non sempre prevedibile........che può anche essere quello di scoprirsi nessuno ed essere ben felici di esserlo :roll:!!!!
 
Peccato che questo libro abbia così pochi commenti! Più statico e meno "romanzo" rispetto a Il Fu Mattia Pascal, ma da allora io sono fermamente convinto di essere per ognuno una persona diversa, e alla fine è così! :D Da leggere!
 

Dorylis

Fantastic Member
Stupendo nella sua filosofia complessa che racchiude una semplicissima verità: tra le migliaia di maschere che gli vengono attribuite in realtà l'uomo è nulla... Pirandello con grande abilità ed eloquenza ci conduce attraverso parole magiche a un messaggio difficile da accettare, sicuramente è un libro di fortissimo impatto emotivo!! Grande Pirandello!
 

Masetto

New member
A me non ha fatto una grande impressione.
Qui il complesso discorso sulle molteplici identità che costituiscono la persona, cardine della poetica e della visione del mondo dell’autore, ha nettamente la preponderanza sulla trama.
E ne vengono fuori i limiti. In un universo senza più Dio, dove molti altri hanno sentito l’angoscia per l’impenetrabile mistero che circonda il senso della nostra esistenza, a Pirandello il male supremo sembra non essere altro che la frammentazione dell’identità, il fatto che ciascuno di noi è per ognuno degli altri una persona diversa. Certo le cose stanno come dice lui, ma sinceramente non mi pare che questo sia un male così terribile, vedo che la gente vive anche se è così e credo che a rendere tragica la condizione umana sia ben altro.
Inoltre il finale è proprio fuori dal mondo: che cosa vuole insegnarci Pirandello facendo approdare Moscarda ad una sorta di eremo, alla solitudine più assoluta? Dobbiamo rinunciare alla società perchè ad X appariamo in un modo, ad Y in un altro e a Z in un altro ancora? Dobbiamo tornare a vivere nelle caverne per questo?
Oppure è un finale solo simbolico? E se è così, di che cosa? Sempre e solo della nostra impossibilità di conoscerci veramente l’un l’altro forse? Se è così, non aggiunge nulla a quanto il libro ha detto fin là...
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
a Pirandello il male supremo sembra non essere altro che la frammentazione dell’identità, il fatto che ciascuno di noi è per ognuno degli altri una persona diversa.

Nient'affatto.
Per Pirandello il dramma si nasconde nell'inconoscibilità di se stessi.
Già il titolo sottende la sottigliezza: nel rappresentarmi a me medesimo come terzo-da-me, finisco per perdere il contatto con la mia identità autentica. Essere terzi dagli altri è poca cosa, male curabile, ma come risolvere il problema quando io stesso divento quel che mi rappresento, trascurando quello che sono?

Questa è la chiave di volta di tutto il grande edificio del pensiero pirandelliano:
adeguarsi ad un sistema significa rappresentarsi gli altri secondo delle regole ben precise, mutevoli nel tempo, ma precise in un intervallo relativamente breve. Ciò conduce inevitabilmente a smarrire anche l'unicità che ci fa, appunto, unici. Siamo uno, ci vediamo come dei terzi, e siamo nessuno, perché anche a noi "possessori" è negato l'accesso al flusso attivo della vita che sta dentro di noi.
 

Masetto

New member
Per Pirandello il dramma si nasconde nell'inconoscibilità di se stessi.
Sì, hai ragione, questo è più corretto di quello che ho scritto io. Non solo siamo diversi per ciascuno degli altri, ma anche a noi stessi siamo “inafferrabili”, impossibili da conoscere nella nostra interezza.

Anche questo però a me sembra solo un lato della “tragedia umana”, che consiste più in generale nel nostro ignorare il senso ultimo, se c’è, della vita. Anche nel fatto che ogni giorno io possa scoprirmi differente da come mi conoscevo il giorno prima non mi getta nella disperazione…
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Sì, hai ragione, questo è più corretto di quello che ho scritto io. Non solo siamo diversi per ciascuno degli altri, ma anche a noi stessi siamo “inafferrabili”, impossibili da conoscere nella nostra interezza.

Anche questo però a me sembra solo un lato della “tragedia umana”, che consiste più in generale nel nostro ignorare il senso ultimo, se c’è, della vita. Anche nel fatto che ogni giorno io possa scoprirmi differente da come mi conoscevo il giorno prima non mi getta nella disperazione…

Questo "scoprirti differente da com'eri il giorno prima", si chiama continuità dell'io: non siamo una interiorità statica e sempre fedele, ci evolviamo in qualunque momento e verso direzioni inaspettate.

Ma se non posso pretendere di conoscermi nel mio stesso io, potrò mai avere dei riscontri oggettivi della realtà? La risposta ovviamente è negativa.
Relativismo, la mancanza di punti saldi è il male dell'uomo.

Non c'è progresso né nello spirito né nella materia, se l'oggetività si riduce mera illusione.
Il senso della vita o non esiste, o è irrangiungibile o è relativo. :mrgreen:
 

Masetto

New member
Ma se non posso pretendere di conoscermi nel mio stesso io, potrò mai avere dei riscontri oggettivi della realtà? La risposta ovviamente è negativa.
Già, sembrerebbe così.
Ma possiamo davvero esserne certi? Potrebbe anche esistere una realtà oggettiva che l’uomo non riesce ancora a vedere. Nemmeno tra i filosofi c'è accordo su queste cose. Nè è sicuro che “il senso della vita o non esiste, o è irrangiungibile o è relativo”...



Comunque sia, questa del relativismo è una di quelle questioni su cui la filosofia si arrabatta da secoli ma che pressochè tutti, filosofi compresi, alla fine vivono come se non ci fossero (e comportandosi, appunto come dice Pirandello, come se ciò che vediamo e sentiamo ogni giorno fosse proprio la realtà). Ma abbiamo ragione a fare così: di fronte a tutti i problemi, grandi e piccoli, che abbiamo quotidianamente di fronte, a cosa ci servirebbe finire come Moscarda? E che ne sarebbe della Scienza e di tutti i meravigliosi progressi umani se non credessimo più nella realtà? Come potremmo affrontare le malattie, le ingiustizie, la violenza?
Inoltre il relativismo deve per forza mettere la parola fine sulla nostra ricerca del senso della vita?
A parer mio il guaio di questo libro è proprio che Pirandello, come convinto d’aver trovato l’uovo di Colombo, riduce tutto quanto ad uno sterile discorso filosofico sull’inconoscibilità del reale. Anzi, peggio che sterile, perché quando Moscarda cerca di calare questo discorso nel quotidiano e trova una soluzione “pratica” alle sue elucubrazioni, questa è totalmente inutile a chiunque, in particolare a noi lettori. Né mi risulta che lo stesso Pirandello si sia mai ritirato in un eremo. E allora, che razza di conclusione è?
 
Ultima modifica:

mariangela rossi

New member
Già, sembrerebbe così.
Ma possiamo davvero esserne certi? Potrebbe anche esistere una realtà oggettiva che l’uomo non riesce ancora a vedere. Nemmeno tra i filosofi c'è accordo su queste cose. Nè è sicuro che “il senso della vita o non esiste, o è irrangiungibile o è relativo”...



Comunque sia, questa del relativismo è una di quelle questioni su cui la filosofia si arrabatta da secoli ma che pressochè tutti, filosofi compresi, alla fine vivono come se non ci fossero (e comportandosi, appunto come dice Pirandello, come se ciò che vediamo e sentiamo ogni giorno fosse proprio la realtà). Ma abbiamo ragione a fare così: di fronte a tutti i problemi, grandi e piccoli, che abbiamo quotidianamente di fronte, a cosa ci servirebbe finire come Moscarda? E che ne sarebbe della Scienza e di tutti i meravigliosi progressi umani se non credessimo più nella realtà? Come potremmo affrontare le malattie, le ingiustizie, la violenza?
Inoltre il relativismo deve per forza mettere la parola fine sulla nostra ricerca del senso della vita?
A parer mio il guaio di questo libro è proprio che Pirandello, come convinto d’aver trovato l’uovo di Colombo, riduce tutto quanto ad uno sterile discorso filosofico sull’inconoscibilità del reale. Anzi, peggio che sterile, perché quando Moscarda cerca di calare questo discorso nel quotidiano e trova una soluzione “pratica” alle sue elucubrazioni, questa è totalmente inutile a chiunque, in particolare a noi lettori. Né mi risulta che lo stesso Pirandello si sia mai ritirato in un eremo. E allora, che razza di conclusione è?
Pirandello non ha creato una filosofia,nè si è atteggiato mai a filosofo, è uno scrittore del primo novecento alle prese con un mondo in disgregazione, dove tutti i valori di un tempo si sono persi e le certezze sono tutte decadute, di qui l'angoscia di esistere, di vivere una vita senza un senso, uno scopo, di qui l'incapacità di comprendere gli altri, di conoscerli e soprattutto il dramma di non conoscere se stessi,l'io si frammenta in tanti aspetti diversi ed opposti che si annullano inevitabilmente
l'uno con l'altro. Pirandello è un grande narratore del suo tempo che ancora oggi si legge con passione perchè ne avvertiamo tutta la sofferenza di vivere in balia di eventi senza una causa razionale.
L'uomo positivista ha ceduto il passo al decadentismo, in tutta europa smarrimento ed inquietudine per un presente instabile che condurrà inevitabilmente alla guerra.
 

Masetto

New member
Pirandello non ha creato una filosofia, nè si è atteggiato mai a filosofo
Non si sarà atteggiato a filosofo di professione, ma nei suoi libri di filosofia parla eccome. E in questo in particolare Moscarda addirittura sceglie un modo di vivere coerente con la sua visione totalmente relativistica del mondo. Dunque non solo qui c’è una filosofia, c’è anche un tentativo di applicarla alla vita pratica.


L'uomo positivista ha ceduto il passo al decadentismo
Vero, il positivismo è finito, ma il Novecento ha egualmente visto progressi scientifici incredibili. Il che non sarebbe mai successo se l’uomo avesse ceduto al relativismo come fa Moscarda.


Che Pirandello sia stato un grande testimone di una crisi di valori sono d’accordo; io gli contesto il fatto che non sa vedere altro che questa crisi, che per lui il relativismo è tutto.
 

mariangela rossi

New member
Non si sarà atteggiato a filosofo di professione, ma nei suoi libri di filosofia parla eccome. E in questo in particolare Moscarda addirittura sceglie un modo di vivere coerente con la sua visione totalmente relativistica del mondo. Dunque non solo qui c’è una filosofia, c’è anche un tentativo di applicarla alla vita pratica.


Vero, il positivismo è finito, ma il Novecento ha egualmente visto progressi scientifici incredibili. Il che non sarebbe mai successo se l’uomo avesse ceduto al relativismo come fa Moscarda.

Che Pirandello sia stato un grande testimone di una crisi di valori sono d’accordo; io gli contesto il fatto che non sa vedere altro che questa crisi, che per lui il relativismo è tutto.

Il novecento, dopo una totale distruzione con la seconda guerra mondiale è risorto dando vita a tecnologie avanzate tanto che si potrebbe definire il secolo dell'elettronica, certo questo non vuol dire che l'uomo del XX secolo sia privo di angosce, è anch'esso vittima di un sistema sociale disgregato, i valori in cui credere non esistono, vuoto e solitudine lo circondano, si affida solo a strumenti tecnologici che non fanno altro che aumentare il senso del nulla che lo circonda.

La vita è filosofia, ogni giorno quando pensiamo, agiamo, applichiamo la nostra filosofia e scegliamo di vivere a seconda del pensiero che ci guida, così fa Moscarda, esasperando la concezione relativistica dell'autore, portando agli estremi il pensiero contemporaneo, dimostrando l'assurdo del vivere, la disgregazione di valori che erano le fondamenta dell'epoca passata, ma siamo comunque in letteratura...in filosofia l'autore avrebbe creato dei postulati su cui dibattere, qui non c'è teoria ma solo smarrimento dell'essere uomo.
 
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