Ieri ripensandoci mi sono ricordata una frase che suona più o meno che
Dio non turba mai la gioia dei suoi cari se non per prepararne una maggiore.
Mi era rimasta molto impressa perché ha la proprietà speciale di farmi tenere la pancia dal ridere
Anche anni fa, pur essendo molto più giovane meno cinica e più ottimista di adesso, non ce la facevo a non pensare alla vita reale, così diversa non solo dai caroselli :wink: ma anche dai romanzi rosa a lieto fine stile Promessi Sposi
dove in effetti, dopo qualche peripezia, per dimostrare l'assunto e la di Lui bontà, i cattivi muoiono o si pentono, tutto si appiana e si avvera il proverbiale "
vissero felici e contenti".
Il lieto fine!!!
Il lieto fine dei P.S. comunica un messaggio ben diverso da quello più realistico del cattolicesimo, che ci insegna che in questa vita si soffre e si sputa sangue ma poi nell'aldilà... e sono ben altri i motivi per cui Dio turba la gioia dei suoi cari, non certo preparare loro una
vita migliore (lo dice il cattolicesimo, non io).
Certo che il lieto fine è più allettante... che ne sarebbe stato del romanzo se fosse finito tragicamente, alla Romeo e Giulietta? Troppo simile alla vita vera :roll:
Cominciamo da questo: se c’è scritto
gioia maggiore, perché nel tuo discorso quest’espressione è diventata
vita migliore? Non mi dirai che è la stessa cosa!
Quando, per prendere un esempio dal libro, Fra Cristoforo entra nell’ordine francescano, comincia per lui una vita di povertà, sacrifici, obbedienza, offese subite e perdonate, che si conclude con la morte in servizio degli altri (gli appestati del Lazzaretto). Non è certo una
vita migliore, eppure, per lui che l’ha scelta volontariamente per profonda convinzione religiosa, è una
gioia maggiore di quelle della sua vita di prima. Vedi dunque come l’espressione
gioia maggiore può significare “una vita piena di sofferenze, ma vissuta in grazia di Dio e quindi con gioia”.
Ma può significare anche un’altra cosa. Come dici tu stessa, “il Cattolicesimo ci insegna che in questa vita si soffre e si sputa sangue ma poi nell'aldilà...”: ecco dunque che questa
gioia maggiore (ripeto: non dice “vita”), questa gioia che il Dio dei cristiani prepara immancabilmente ai suoi figli, può essere benissimo quella dell’aldilà. Il credente non è certo di raggiungere la felicità qui, ma è sicuro che, se saprà meritarsela, di là Dio la sta approntando per lui.
Interpretando in una di queste due maniere (cioè come hanno sempre fatto i commentatori, e meno male che dici di averli letti!), la nostra frase viene ad essere una (bellissima) espressione di una delle tre Virtù teologali, la
Speranza, per la quale “si attende con fiducia la vita eterna e il soccorso della grazia divina”. Non deve sorprendere trovare un’espressione di questo genere in uno scrittore così profondamente cristiano.
Ma veniamo alla tua interpretazione: secondo te per
gioia maggiore qui Manzoni intende una vita materialmente più felice, dove tutto si è appianato e la malvagità è scomparsa. E sarebbe veramente un’idea infantile, da ridere, se fosse giusta.
A te naturalmente centocinquant’anni di critica tutta concorde nel definire Manzoni grande scrittore, uomo di enorme cultura e profondo conoscitore del Cristianesimo ti fanno un baffo, e non sei nemmeno sfiorata dall’idea che la tua interpretazione, che invece lo fa sembrare un’idiota, sia sbagliata.
Ma questo è ancora niente.
Perché potrebbe anche essersi rincitrullito per un momento. Peccato che il libro sia pieno di frasi, paragrafi, capitoli interi che contraddicono come più non si potrebbe la tua interpretazione.
Basterebbe ricordare i tanti capitoli sulla carestia e la peste, dove sono largamente descritti immani flagelli, per vedere quanto Manzoni sia lontano dal mostrarci un Dio buono e caro che si contenta di metterci alla prova per qualche anno per poi lasciarci in pace. Al contrario, il nostro ci ricorda (cap. 32) che nel Nord Italia quell'epidemia fece oltre un milione di morti.
Solo nella mente del più sprovveduto lettore del mondo un matrimonio felice può cancellare il ricordo di un milione di morti!! E spero non vorrai dirmi che tutti questi morti erano "cattivi". E ancora, non c’è anche la madre di Cecilia nel romanzo?
Manzoni mette in fortissimo rilievo la figura di una donna che si vede morire le figlie sotto gli occhi e non può fare niente per aiutarle, e tu dici che il senso del libro è "alla fine vissero tutti felici e contenti"?. Ma ti rendi conto di quello che dici?
Ma ascoltiamo anche il discorso di padre Felice, il frate a capo del Lazzaretto, ad un gruppo di guariti che sta per tornare a casa:
"
Diamo un pensiero ai mille e mille che sono usciti di là -; e accennava la porta che mette al cimitero [...] - diamo intorno un’occhiata ai mille e mille che rimangon qui, troppo incerti di dove sian per uscire; diamo un’occhiata a noi, così pochi, che n’usciamo a salvamento.
Benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia! benedetto nella morte, benedetto nella salute! benedetto in questa scelta che ha voluto far di noi! Oh! perché l’ha voluto, figliuoli, se non per serbarsi un piccol popolo corretto dall’afflizione, e infervorato dalla gratitudine? se non a fine che, sentendo ora più vivamente, che la vita è un suo dono, ne facciamo quella stima che merita una cosa data da Lui, l’impieghiamo nell’opere che si possono offrire a Lui? se non a fine che la memoria de’ nostri patimenti ci renda compassionevoli e soccorrevoli ai nostri prossimi? [...]
Cominciamo da questo viaggio, da’ primi passi che siam per fare, una vita tutta di carità. Quelli che sono tornati nell’antico vigore, diano un braccio fraterno ai fiacchi; giovani, sostenete i vecchi; voi che siete rimasti senza figliuoli, vedete, intorno a voi, quanti figliuoli rimasti senza padre! siatelo per loro! E questa carità, ricoprendo i vostri peccati, raddolcirà anche i vostri dolori"
e, poco dopo, quello con cui Padre Cristoforo si congeda da Renzo e Lucia:
" [...]
Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira d’allevarli per Lui, d’istillar loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto. [...]
Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori [...]"
Spostiamoci infine all'ultimo capitolo: qui ritroviamo Don Abbondio, il quale finché Renzo non gli conferma che Don Rodrigo è morto, trova ancora scuse per non celebrare il matrimonio: è dunque lo stesso identico egoista che era nel primo capitolo. E tu dici che tutti i "cattivi" ancora vivi sono diventati buoni?
Troviamo poi questa similitudine:
"
l’uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s’è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima. "
E infine, nel famoso "sugo" di tutta la storia:
"
i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili".
Ci sarebbero molti altri esempi, ma mi sembra che questi siano più che sufficienti a provare come la tua interpretazione sia improponibile, e che, se in tutto questo c'è qualcosa che "fa tener la pancia dal ridere", è precisamente il modo in cui tu hai letto la frase in questione.