Raccontami le religioni

Mizar

Alfaheimr
Il gran Racconto, il mitico racconto del mondo e degli uomini, per i Maya porta il nome di Popol Vuh
Eccone l'incipit - cosi affine e diverso da quello biblico

Are utzijoxik wa‘e
k‘a katz‘ininoq,
k‘a kachamamoq,
katz‘inonik,
k‘a kasilanik,
k‘a kalolinik,
katolona puch upa kaj.


ovvero

Questo è il racconto di come
tutto era in sospeso,
tutto calmo,
in silenzio,
tutto immobile,
tutto vibrante,
e vuota era la grandezza del cielo


Ed ancora solo immobilità e silenzio nelle tenebre, nella notte. Solo il Creatore, l'Artefice, Tepeu, Gucumatz, gli antenati erano nelle acque circondati dalla luce. Fu loro chiaro che alla caduta l'uomo dovesse apparire. Cosi progettarono la creazione e la crescita degli alberi, dei boschi e la nascita della vita e la creazione dell'uomo. E gli dei provarono e riprovarono nel creare gli uomini. Creare per adorare quegli esseri. Con il fango provarono e con il legno: ma gli uomini non parlavano, non si muovevano non avevan sangue o anima. L'uomo "vero" fu infine creato con del granturco bianco e del granturco giallo. Cosi fu composta la loro carne.


Quale che fosse il mondo che osservavano

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Mary70

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Il Buddhismo
Il Buddhismo (sanscrito buddha-śāsana), scritto anche Buddismo, è una delle religioni più diffuse e tra le più antiche al mondo. Originato dagli insegnamenti di Siddhārtha Gautama, si compendia nelle dottrine fondate sulle Quattro nobili verità (sanscrito Catvāri-ārya-satyāni). Con il termine Buddhismo si indica più in generale l'insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali, individuali e devozionali, nate dalle differenti interpretazioni di queste dottrine, che si sono evolute in modo anche molto eterogeneo e diversificato. Sorto nel VI secolo a.C., a partire dall'India il Buddhismo si diffuse nei secoli successivi soprattutto nel Sud-est asiatico e in Estremo Oriente.
La parola Buddhismo è di recente coniatura, introdotta in Europa nel XIX secolo per riferirsi a ciò che è correlabile agli insegnamenti di Siddhārtha Gautama in quanto Buddha. In realtà un'unica parola per esprimere questo concetto non esiste in nessuno dei paesi asiatici originari di tale tradizione religiosa. La traduzione dei termini originari letteralmente va intesa come "insegnamento del Buddha" (sanscrito buddha-śāsana, pāli buddha-sāsana, cinese 佛教 pinyin fójiào Wade-Giles fo-tsung, giapponese bukkyō, tibetano sangs rgyas kyi bka' , coreano 불교 pulgyo, vietnamita phật giáo). Originariamente "l'insegnamento del Buddha" si denominava come DharmaVinaya (cinese 法律 fǎlǜ, giapponese hōritsu, tibetano chos 'dul ba, coreano 법률 pŏmnyul, vietnamita phật pháp), ma questa denominazione non ha avuto quella diffusione nelle lingue asiatiche diverse dal sanscrito quanto invece la denominazione buddha-śāsana. Altri termini sanscriti con cui viene indicato il Buddhismo, nella sua accezione di religione esposta dal Buddha Shakyamuni, sono: buddhânuśāsana, jinaśāsana, tathāgataśāsana, dharma, buddhânuśāsti, śāsana, śāstuḥ ma anche buddha-dharma e buddha-vacana.

La storia del Buddhismo inizia nel VI secolo a.C., con la predicazione di Siddhārtha Gautama . Nel lungo periodo della sua esistenza, la religione si è evoluta adattandosi ai vari paesi, epoche e culture che ha attraversato, aggiungendo alla sua originale impronta indiana elementi culturali ellenistici, dell'Asia Centrale, dell'Estremo Oriente e del Sud-Est Asiatico; la sua diffusione geografica fu considerevole al punto di aver influenzato in diverse epoche storiche gran parte del continente asiatico. La storia del Buddhismo, come quella delle maggiori religioni, è anche caratterizzata da numerose correnti di pensiero e scismi, con la formazione di varie scuole; tra queste, le più importanti attualmente esistenti sono la scuola Theravāda, le scuole del Mahāyāna e le scuole Vajrayāna.
All'origine ed a fondamento del Buddhismo troviamo le Quattro nobili verità. Si narra che il Buddha, meditando sotto l'albero della bodhi, le comprese nel momento del proprio risveglio spirituale.
Esse sono riportate nel Dhammacakkappavattana Sutta del Saṃyutta Nikāya del Canone pāli[6] e nel Canone cinese nello Záhánjīng (雜含經, giapp. Zōgon agonkyō, collocato nello Āhánbù, T.D. 99.2.1a-373b) che poi è la traduzione in cinese del testo sanscrito Saṃyuktāgama al cui interno è collocato il Dharmaçakrapravartana Sūtra.
Questo è, sempre secondo la tradizione, il primo discorso del Buddha, tenuto nel parco delle gazzelle nei pressi di Sarnath vicino Varanasi (detta anche Benares) nel 528 a.C. ai suoi primi cinque discepoli, all'età di 35 anni, dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya, nell'odierno stato del Bihar, aveva raggiunto il risveglio spirituale.
Questo discorso è quindi anche detto il "Discorso di Benares", fondamentale per il Buddhismo, che da questo prende le mosse, tanto dal farlo considerare l'evento che dà inizio al Dharma (sans., Dhamma, pāli), ossia la dottrina buddhista. La ricorrenza di questo evento è infatti oggi festeggiato nei paesi di tradizione theravāda con la festa di Magā Puja, il "giorno del Dhamma". Da altri è invece considerato il punto d'inizio della prima comunità buddhista, formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano abbandonato anni prima sfiduciati, dopo essere stati a lungo suoi discepoli.
In questo discorso si identifica il Buddhismo come "La Via di Mezzo" (sanscrito Madhyamāpratipad, pāli Majjhimā pāṭipada) in cui si riconosce che la retta condotta risiede nella linea mediana di condotta di vita evitando tanto gli eccessi e gli assolutismi, quanto il lassismo e l'individualismo.
Nell'esposizione di questo insegnamento il Buddha enuncia le Quattro nobili verità, frutto del proprio risveglio spirituale testé raggiunto. Queste "Quattro Nobili Verità" contemplano l'aspetto pratico della condotta di vita e della pratica spirituale buddhista nel cosiddetto Nobile ottuplice sentiero, che costituisce il secondo cardine dottrinale del Buddhismo.

I punti salienti della visione buddhista della realtà percettiva indirizzata dall'insegnamento del Buddha, sono:
1. la dottrina della sofferenza o duḥkha (sans., dukkha, pāli), ossia che tutti gli aggregati (fisici o mentali) sono causa di sofferenza qualora li si voglia trattenere ed essi cessano, oppure si voglia separarsene ed essi permangono.
2. la dottrina dell'impermanenza o anitya (sans., anicca, pāli), ossia che tutto quanto è composto di aggregati (fisici o mentali) è soggetto alla nascita ed è quindi soggetto a decadenza ed estinzione con la decadenza ed estinzione degli aggregati che lo sostengono;
3. la dottrina dell'assenza di un io eterno e immutabile (ossia di un'anima), la cosiddetta dottrina dell'anātman (sans., anattā, pāli) come conseguenza di una riflessione sui due punti precedenti.

Tale visione è integrata nella:
* dottrina della coproduzione condizionata (sans. pratītyasamutpāda, pāli paṭicca samuppāda), ossia del meccanismo di causa ed effetto che lega l'uomo alle illusioni e agli attaccamenti che costituiscono la base della sofferenza esistenziale;
* dottrina della vacuità (sans. śunyātā, pāli: suññatā) che insiste sull'inesistenza di una proprietà intrinseca nei composti e nei processi che formano la realtà e sulla stretta interdipendenza degli stessi.
Un elemento importante del Buddhismo, riportata in tutti i Canoni, è la conferma dell'esistenza delle divinità come già proclamate dalla letteratura religiosa vedica. Così nel Majjhima nikāya 100 II-212 dove al brahmano Sangarava che gli chiedeva se esistessero i Deva, il Buddha storico rispose: «I Deva esistono! È questo un fatto che io ho riconosciuto e su cui tutto il mondo è d'accordo». Sempre nei testi che raccolgono i suoi insegnamenti, testi riconosciuti tra i più antichi in assoluto e conservati sia nel Canone pāli che nel Canone cinese e che la storiografia contemporanea inquadra nel termine Āgama-Nikāya, il Buddha storico consiglia a due brahmana che, dopo aver dato da mangiare a uomini santi, si debba dedicare questa azione alle divinità (Deva) locali che restituiranno l'onore concesso loro assicurando il benessere dell'individuo (Digha-nikāya, 2,88-89). È evidente, a partire da questi due antichi brani, la certezza da parte del Buddha storico che le divinità esistessero e andassero onorate. A differenza, tuttavia, delle altre correnti religiose dell'epoca, il Buddha ritiene che le divinità non possano offrire all'uomo la salvezza dal Saṃsāra, né un significato ultimo della propria esistenza. Va precisato, peraltro, che non esiste, né è mai esistita alcuna scuola buddhista al mondo che affermi, o abbia affermato, l'inesistenza delle divinità. Tuttavia la totale mancanza di centralità delle divinità nelle pratiche religiose e nelle dottrine buddhiste di tutte le epoche ha fatto considerare, da parte di alcuni studiosi contemporanei, il Buddhismo come una religione 'atea' .

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Mary70

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I fondamenti del Buddhismo Mahāyāna

Nāgārjuna (II sec.d.C.) considerato il padre del Buddhismo Mahāyāna e Vajrayāna in una stampa cinese.
A questo quadro dottrinario, proprio del Buddhismo dei Nikāya e del Buddhismo Theravāda, il Buddhismo Mahāyāna aggiunge le dottrine esposte nei Prajñāpāramitā sūtra e nel Sutra del Loto. All'interno di questi insegnamenti la dottrina della vacuità (sans. śunyātā) acquisisce un ruolo assolutamente centrale in quanto rende correlate, nella Realtà ultima, tutte le altre realtà e dottrine. Questa unificazione nella vacuità, ovvero di privazione di sostanzialità inerente, fa dichiarare al patriarca del Mahāyāna, Nāgārjuna:
« Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. »
(Nāgārjuna, Mūla-madhyamaka-kārikā)

Per il Sutra del Loto inoltre
« A beneficio di chi cercava di diventare un ascoltatore della voce, [il Buddha] rispondeva esponendo la Legge delle Quattro Nobili Verità così che potesse trascendere nascita, vecchiaia , malattia e morte e ottenere il nirvana. A beneficio di chi cercava di diventare pratyekabuddha rispondeva la Legge della dodecupla catena di causalità. A beneficio del bodhisattva rispondeva esponendo le sei paramita, facendo ottenere loro l' anuttara-samyak-sambodhi e acquisire la saggezza onnicomprensiva.»
Questa presentazione delle Quattro Nobili Verità nella parte più antica del Sutra del Loto indica che, secondo le dottrine esposte in questro Sutra e attribuite da questo testo allo stesso Buddha Śākyamuni, la dottrina delle Quattro Nobili Verità non esaurisce l'insegnamento buddhista il quale deve invece mirare all' anuttara-samyak-sambodhi ovvero all'illuminazione profonda e non limitarsi al nirvāṇa generato dalla comprensione delle Quattro Nobili Verità. Nel suo complesso anche il Sutra del Loto non insiste sulle dottrine del duḥkha (la sofferenza, la prima delle Quattro nobili verità) e dell' anitya (impermanenza dei fenomeni) quanto piuttosto su quelle dell' anatman e dello śūnyatā (assenza di sostanzialità inerente in tutti i fenomeni). Il Dharma esposto nei primi 14 capitoli del Sutra del Loto corrisponde alla verità dell'apparire dei fenomeni secondo la causazione che segue le dieci condizioni (o "talità", sanscrito tathata) descritte nel II capitolo del Sutra. Il Dharma profondo è quindi nella comprensione della causa dei fenomeni; la realizzazione spirituale, la bodhi profonda (l' anuttara-samyak-saṃbodhi), consiste nel comprendere questa "causa" dell'esistere, mentre la verità della sofferenza (duḥkha), come anche la dottrina dell' anitya, implica solo un giudizio. Nel Sutra del Loto non viene quindi enfatizzata la verità della sofferenza contenuta nelle Quattro nobili verità. Ecco perché quando il Buddha è sollecitato a insegnare la Legge "profonda" (nel II capitolo) non la esprime con la dottrina delle Quattro Nobili Verità (considerata nel Sutra come dottrina hīnayāna) ma la esprime secondo le dieci talità (o condizioni, sanscrito tathātā, dottrina mahāyāna).

I fondamenti del Buddhismo Mahāyāna-Vajrayāna
La terza grande corrente del Buddhismo oggi esistente, la corrente Vajrayāna (Veicolo del diamante), è essa stessa uno sviluppo del Buddhismo Mahāyāna. Alle dottrine proprie del Mahāyāna quali ad esempio la vacuità (śunyātā), karuṇā, la bodhicitta il Vajrayāna aggiunge, allo scopo di poter realizzare "in questo corpo e in questa vita" l' "illuminazione profonda", alcuni insegnamenti "segreti" denominati come tantra e riportati nella propria letteratura religiosa.


Correnti del Buddhismo

In India
Il Buddhismo si estinse in India, paese d'origine, approssimativamente attorno al XIV secolo. Tuttavia durante più di 1500 anni di storia il Buddhismo Indiano ha sviluppato indirizzi e interpretazioni diverse, anche estremamente complesse. Lo sviluppo di tale complessità si rese necessaria con il continuo confronto dottrinale sia all'esterno delle Comunità monastiche con le scuole brahmaniche e jaina, sia all'interno delle stesse per svelare progressivamente gli insegnamenti (soprattutto i c.d. "inesprimibili", sanscrito avyākṛtavastūni) contenuti negli antichi Āgama-Nikāya. Le scuole nate nel sub-continente indiano nel corso di questi 1500 anni di storia sono suddivisibili in tre gruppi:
* Il Buddhismo dei Nikāya, un insieme di scuole buddhiste sorte nei primi secoli dopo la morte del Buddha Śākyamuni (vedi anche Concili buddhisti) che non riconoscevano la canonicità degli insegnamenti riportati nei Prajñāpāramitā sūtra e nel Sutra del Loto, scritture successivamente denominate come sutra Mahāyāna e che oggi compaiono nel Canone cinese e nel Canone tibetano. Da una di queste scuole del Buddhismo dei Nikāya, la Vibhajyavāda, origina l'importante scuola cingalese, tutt'oggi diffusa nel Sud-Est asiatico, denominata Theravāda.
* Buddhismo Mahāyāna o del «Grande Veicolo», sviluppatosi a partire da alcune comunità buddhiste antiche ma con l'accoglimento degli insegnamenti riportati nei Prajñāpāramitā Sūtra e del Sutra del Loto. Buona parte del Buddhismo Indiano a partire dal II secolo fino alla sua scomparsa è rappresentato o influenzato da questa corrente, in seno alla quale meritano particolare menzione gli indirizzi Madhyamaka, Cittamātra e il Buddhismo Vajrayāna. La quasi totalità delle differenti scuole oggi presenti in Estremo Oriente appartengono a questo Veicolo.
* Il Buddhismo Tantrico è anch'esso Mahāyāna, e rappresenta la controparte buddhista di un fenomeno più ampio nelle religioni dell'India, il Tantrismo, che ha influenzato anche l'Induismo. Si sviluppò in seno al Buddhismo Mahāyāna e ne influenzò profondamente la pratica, almeno dal VI secolo in poi. Anche noto come Mantrayāna, la sua forma più organizzata è più conosciuta come Buddhismo Vajrayāna o Veicolo del Diamante. Antiche cronache del Buddhismo come la "Storia dell'avvento del Dharma in India" (tib. rGyar-gar chos-'byung) redatta nel 1608 dallo storico tibetano Tāranātha Kunga Nyingpo attestano che, almeno dal X secolo, i centri universitari buddhisti in India dispensavano soprattutto insegnamenti tantrici. Pressocché tutte le scuole tibetane, ma anche diverse scuole estremo-orientali come la giapponese Shingon, appartengono oggi a questo Veicolo.

Il Buddhismo fuori dall'India
Un moderno tempio buddhista a Qibao, Shanghai, Cina.
Tra le tradizioni che fuori dall'India hanno avuto una lunga storia e un'evoluzione in parte indipendente ricordiamo:
* Il Buddhismo Theravāda o degli Anziani: Sri Lanka, Myanmar, Thailandia, Cambogia e Laos.
* Il Buddhismo cinese, che è storicamente all'origine del Buddhismo coreano, del Buddhismo giapponese e di una parte del Buddhismo vietnamita. Dal Buddhismo giapponese proviene la scuola buddhista Zen che unitamente al nuova organizzazione religiosa, anch'essa di orgine giapponese, Soka Gakkai, risulta tra le scuole buddhiste più diffuse in Occidente.
* Il Buddhismo tibetano praticato in Tibet e in Mongolia e in epoche diverse in Cina, Ladakh, Bhutan, parti del Nepal, presso i Tatari e i Calmucchi in Europa, nello Yunnan nord-orientale e, un tempo, come Buddhismo Vajrayāna in Asia Centrale, Kashmir, Giava, Birmania e Bengala.
* Il Buddhismo in Occidente presente negli Stati Uniti, in Europa ma anche in Canada in Australia e Italia.

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A quel'incipit che aveva introdotto Mizar, aggiungo il seguito...si tratta sempre di un assaggio, l'inizio del sacro testo, Popol Vuh:

......................................... cancellato...............
 
Ultima modifica:

Sir

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Davvero un'eccellente idea questo thread.
Ci dà la possibilità di condividere quel senso di vertigine che si prova affrontando testi e culture antichissime e colme di storia. Almeno, l'effetto che a me suscita è questo.
In particolare, ringrazio per il frammento della "Genesi" Maya, che non avevo ancora avuto il piacere di leggere.
Sono di fretta e non sono ancora riuscito a scorrere ogni post, provvederò presto e sicuramente contribuirò a mia volta.

Una sola cosa: quando prendiamo stralci da un sito o da un libro, citiamo sempre con precisione la fonte, così chi legge ed è interessato ad approfondire ha già dei punti da cui iniziare. :wink:
 

Sir

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Due parole sullo




Shintoismo


Grand+Gate_+Itsukushima+Shrine_+Miyajima_+Japan.jpg



Il termine Shinto, deriva dal cinese shen (spirito) e to (via), può essere tradotto come via degli spiriti, dove spiriti è un termine che nel caso sta ad indicare esseri extraumani o sovraumani, chiamati in giapponese kami e che è solitamente tradotto con dei. Per comprendere il concetto giapponese di kami è necessario avvicinarsi a questo termine senza tener conto della nozione che abbiamo della parola dio. Nello Shintoismo non esiste l’idea di un unico dio assoluto creatore di tutto. Secondo la mitologia shintoista all’inizio esisteva un’unica cosa, in seguito si ebbe il Cielo e la Terra, dal cielo apparvero i Kami e tra loro una coppia che diedero origine al Giappone, ad altri kami, alla flora, la fauna e le persone. Si può affermare che lo scintoismo sia un culto autoctono che ha avuto origine fra i primi abitanti del Giappone che adoravano come divinità i fenomeni della natura e gli spiriti dei morti. Motori Norinaga, studioso del tardo 18° secolo, afferma:”Tutto ciò che sembrava maestoso e solenne, che possedeva le qualità dell’eccellenza e della virtù ed ispirava un sentimento di meraviglia, era chiamato Kami”. Quindi sia gli elementi naturali, pioggia, vento, montagne, mari, fiumi, tuoni, ecc., ma anche le creature umane sono riverite dopo la morte come Kami ancestrali. Lo spirito delle persone che in vita hanno dato un gran contributo alla comunità od allo Stato è ospitato nei reliquari.
Lo Shintoismo ha i caratteri di una religione spiccatamente rituale, i fedeli, infatti, venerano i kami con preghiere, ma soprattutto con offerte atte a propiziarsi la loro benevolenza, e a scongiurare la loro ira con riti di purificazione.Il Niinamesai è il più importante rito Scintoista, eseguito dall’Imperatore, dove vengono offerti agli Dei i primi frutti della mietitura annuale del grano, ringraziandoli della loro benevolenza. I riti eseguiti dall’Imperatore sono decine in un’anno, per questo l’Imperatore è definito anche “Sovrano dei rituali”. Esistono sacerdoti, sia uomini (Shoten) che donne (Nai-Shoten), con il compito di assistere l’Imperatore nell’esecuzione dei riti.
Anticamente le funzioni sacerdotali erano tramandate per via genealogica, dopo l’era Meiji il sistema ereditario è stato abolito, anche se in alcuni reliquari possono servire solo sacerdoti provenienti da alcune famiglie. Esistono sei gradi per l’ordine sacerdotale:il Superiore, il Primo, il Secondo, l’Intermedio, il Terzo ed il Quarto, e cinque ordini: Johkai, Meikai, Seikai, Gon-Seikai e Chokkai. Le donne possono diventare sacerdote, attualmente su ventimila sacerdoti duemila sono donne, anche se in alcuni reliquari possono servire solo gli uomini, ma solo loro possono effettuare la danza del Kaguramai (danza sacra in onore di Kami).



Storia


Lo Shintoismo nasce in epoca preistorica ma assume caratteri distintivi verso la fine del VI secolo. Paradossalmente è l’introduzione del Buddhismo, proveniente dalla Cina e dalla Corea, a far prendere ai giapponesi coscienza di una propria fede tradizionale. Infatti, l’introduzione della nuova religione scatenò lunghe lotte fra le tre famiglie più potenti: i Soga, i Mononobe e i Nakatomi (questi ultimi, nel sostegno del culto indigeno shintoista, rivendicavano la concezione tradizionale dello Stato, mentre i Soga con la difesa del Buddhismo miravano alla creazione di uno Stato a potere centrale sull'esempio cinese). Lo Shinto si evolve, in ogni modo, in due direzione. La prima in funzione imperiale dove si afferma la discendenza divina dell’uji (clan) imperiale rispetto a tutti gli altri. La seconda è l’origine di un nuovo culto sincretico col Buddhismo, definito Ryobu Shinto (Shinto dei due aspetti). Secondo questa corrente religiosa, le divinità buddiste, in onore delle tradizioni e delle consuetudini locali, non si manifestavano nel loro vero aspetto, ma utilizzavano quello degli dei shintoisti, in modo che ogni Kami venne identificato con una divinità buddista, per esempio Amaterasu-omi-kami, la dea solare genitrice della dinastia imperiale venne ad identificarsi con Tathagata Vairocana.
E’ nel XII secolo, per opera di Yoshida Kanemoto membro di una delle famiglie sacerdotali, il primo tentativo di sradicare il culto sincretico con il Buddhismo per la restaurazione di un puro Shinto, o comunque di uno Shinto che si presumeva originario. Questo processo, di nazionalizzazione dello Shinto, prende ancora più vigore con l’avvento della dinastia Tokugawa, intorno al 1660. Si afferma definitivamente nel 1868, con l’inizio dell’era Meiji, quando con l’emanazione di un editto lo Shintoismo diviene religione di Stato. Nell’Editto Imperiale erano elencate le qualità etiche alle quali si doveva ispirare un buon cittadino: lealtà nei confronti del paese, apprezzamento e rispetto dei genitori, buone relazioni con fratelli e sorelle, rapporti armoniosi di coppia, credere nell’amicizia, essere discreti e modesti, svilupparsi intellettualmente e contribuire nella società con queste abilità intellettuali. Lo Shinto non ha quindi prescrizioni nella forma: “Non devi …….” ma comportamenti da perseguire in base all’espressione “rettitudine, giustizia e purezza di cuore”. In definitiva non esistono differenze sostanziali fra il peccato laico ed il concetto d’etica scintoista. Lo Shinto non crede nel sollievo spirituale dato da Dio, ma crede che la vita umana sarà prosperosa finché un individuo tenterà, in questo mondo, di seguire gli insegnamenti divini, nonostante ci possano essere nella vita momenti alti e bassi.
L’articolo 20 della Costituzione sancisce l’uguaglianza di tutte le religioni di fronte allo Stato, e molti giapponesi aderiscono contemporaneamente a più di una religione, risulta così che il totale dei fedeli sia più alto del totale della popolazione.
Attualmente esistono quattro forme principali di Shintoismo: Shintoismo Koshitsu (Shintoismo della Casa Imperiale), Shintoismo Jinja (Shintoismo dei reliquari), Shintoismo Shuha (Shintoismo delle sette) e Shintoismo Minzoku (Shintoismo popolare). I riti sono divisi in quattro categorie: Taisai (grandi feste come la festività per riverire la Divinità ospitata nel reliquario locale, la Festa di Primavera, Il Ringraziamento Shintoista), Chusai (feste di importanza media come: il giorno della fondazione del Giappone [inteso come nazione], il Giorno del Nuovo Anno), Sposai (feste minori) e Zassai (feste miste). Caratteristica comune a tutte le feste è il concetto di purificazione: sciacquarsi le mani simboleggia la purificazione di tutto il corpo, e deve essere fatta prima di entrare in un reliquario, sì da porsi di fronte al Kami col corpo mondo e la mente pura, eliminando le impurità ed i peccati che potrebbero essere stati commessi anche senza accorgersene. Altre caratteristiche sono: l’offerta di cibo (riso, torte, sakè, prodotti stagionali, ecc.), produrre suoni (suonando la campanella dentro il reliquario, scotendo la scatola dove vengono messe le monete date in offerta, battendo le mani) per richiamare l’attenzione dei kami, inchinarsi (segno di profondo rispetto verso i kami). Altro simbolo di purificazione è il sale: viene posto, in piccoli mucchi, all’entrata dei ristoranti e sparso sul terreno dove si svolgerà un torneo di Sumo. Ma è nella ricerca più autentica del Budo che lo Shinto manifesta la sua più alta espressione. La tensione degli sforzi, dei praticanti, volti a raggiungere un ideale di perfezione portano ad avvicinare la parte divina di se stessi.



Testi Sacri


Kojiki (Memorie degli antichi eventi), redatto intorno al 712 per volere dell’imperatrice Genmei (661-721) sulla base di narrazioni orali,
E’ diviso in tre libri che narrano la storia del Giappone dalle origini al 628 d.C., anno della morte dell’imperatrice Suiko.
Il Kojiki è una delle prime opere in prosa nella storia della letteratura giapponese, ma la sua importanza è legata soprattutto alla legittimazione del primato politico del clan imperiale su tutti gli altri per diritto divino.

Nihon-shoki o Nihongi (Annali del Giappone), redatto verso il 720, narra la storia del Giappone dalle origini mitologiche fino al 627. Si tratta di 30 libri, dove le vicende giapponesi vengono messe in relazione con avvenimenti nel continente asiatico. L’opera contiene inoltre 123 poesie in giapponese arcaico, di notevole interesse filologico.

Engishiki (Cerimoniale dell’Età Engi, 905-927), costituito da 50 libri nei quali vengono elencati i kami, in numero di 3132, dandone la funzione, la localizzazione (santuario dedicato) e la ricorrenza. Si trovano anche 27 testi di preghiera (Norito), ritenuti di fondamentale importanza.

Shinto Gobusho (Cinque libri dello Shinto), redatto nel XII secolo è riservato ai sacerdoti anziani a causa del suo contenuto misterioso.


Il Kojiki narra che all'inizio vi erano tre divinità celesti:
Ama no minakanushi,
Takami musuhi e Kami musuhi.
Queste tre divinità procrearono molte altre divinità nella Piana Celeste, fra cui Izanagi (Maschio che invita) e Izanami (Femmina che invita). I due dei rimossero, con una lancia, il fondo del mare e ne trassero delle isole (le isole nipponiche), scesero su una di queste per consumare la loro unione. Izanami morì ustionata dando alla luce il dio del Fuoco, subito ucciso dall'infuriato Izanagi che inseguì poi la defunta nel regno dei morti per cercare, invano, di trarla in vita. Di ritorno dall'aldilà, Izanagi si sottopose al rituale della purificazione per cancellare da sé le impurità del mondo dei morti. Si purificò mediante un’abluzione rituale e dal lavacro dell'occhio sinistro nacque, Amanterasu o-Mikami (la grande dea che brilla nel cielo) detta Amaterasu, da quello dell'occhio destro la dea della Luna, Tsuku-Yomi, da quello del naso Susanoo, dio del mare e delle tempeste. Così Izanagi divise il mondo tra questi tre figli:
Amaterasu ebbe la Piana Celeste;
Tsuku-Yomi ebbe il Paese della Notte;
Susanoo ebbe la Piana del Mare.
Susanoo era un dio violento e dispettoso e ciò fu causa del suo esilio sulla Terra nella regione di Izumo. Giunto sulla Terra tuttavia il suo comportamento cambiò e diventò un artefice del bene, salvando una vergine offerta in sacrificio ad un potente drago con otto teste. Ucciso il drago , si accinse a tagliarlo a pezzi con la propria spada, ma, giunto alla coda, non riuscì a troncarla, e il filo della sua spada s’intaccò. Aperta la coda per tutta la sua lunghezza, Susanoo vi trovò una grande spada, la Tsumugari (la ben affilata). Consegnò la spada ad Amaterasu, che la diede poi al nipote Ninigi, allorché lo inviò nelle terre del Giappone dicendogli: “Tu, mio nipote, procedi in questa direzione ed accetta il tuo compito. Vai! E possa la prosperità assistere la tua dinastia e possa essa, con il Cielo e la Terra, durare per sempre.”
La spada fu infine ereditata da Jinmu Tenno, nipote di Ninigi, il primo mitico imperatore.
Suigin, decimo imperatore, la fece porre nel tempio di Ise. Il principe Yamato Takeru, figlio del quattordicesimo imperatore, accingendosi a compiere una spedizione contro gli Ainu, si fece consegnare la Tsumugari e la portò con sé in guerra. Un giorno i nemici attrassero il principe in una prateria e diedero fuoco alle sterpaglie. Prontamente il principe falciò l’erba in fiamme creando un varco dal quale si mise in salvo. Da quel giorno, la spada fu chiamata Kusanagi no tsurugi (la Spada Falciatrice d’Erba), essa viene consegnata all’Imperatore del Giappone nel giorno dell’incoronazione, insieme allo Specchio di forma ottagonale e alla gemma, simboli di Amaterasu.



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Mary70

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Induismo


L'Induismo (o, secondo alcuni orientalisti italiani, più correttamente Hindūismo ) tradizionalmente denominato Sanatana dharma (sanscrito सनातन धर्म, IAST Sanātana dharma, «Insegnamento eterno»), è una tra le più antiche delle principali religioni del mondo e, con circa 1 miliardo di fedeli, di cui 900 milioni in India, è attualmente la terza più praticata, dopo il Cristianesimo e l'Islam.
Dare una definizione unitaria dell'Induismo è difficile, poiché esso – più che una singola religione in senso stretto – si può considerare una serie di correnti religiose, devozionali e/o metafisiche e/o filosofico-speculative eterogenee, aventi sì un comune nucleo di valori e credenze, ma differenti tra loro a seconda del modo in cui interpretano la tradizione, e a seconda di quale aspetto diviene oggetto di focalizzazione per le singole correnti.
Il termine italiano «induismo», così come tutti i termini correlati al subcontinente indiano con cui condivide la radice, si fa derivare dall'antico parola utilizzata, fin dall'epoca Achemenide, per indicare il fiume indo . Inizialmente il termine Hindū, prettamente geografico, non faceva quindi alcun riferimento a un sistema di credenze religiose: l'allargamento del suo significato ebbe origine all'epoca della [ per designare gli indiani non convertiti, ovvero coloro che abitavano al di là del fiume Indo, nei territori ancora non sottomessi all'Islam.
Un uomo esegue abluzioni nel Gange a Varanasi (Benares), India.

Dopo la colonizzazione britannica, il termine inglese Hinduism fu impiegato per indicare un insieme variabile di fatti religiosi e tradotto nelle principali lingue europee.

Nel 1966 la Corte suprema dell'India ha definito il quadro dell'induismo sui seguenti principi:

1. l'accettazione rispettosa dei Veda come la più alta autorità riguardo agli argomenti religiosi e filosofici, e l'accettazione rispettosa dei Veda da parte dei pensatori e filosofi induisti come base unica della filosofia induista;
2. lo spirito di tolleranza e di buona volontà per comprendere e apprezzare il punto di vista dell'avversario, basato sulla rivelazione che la verità possiede molteplici apparenze;
3. l'accettazione, da parte di ciascuno dei sei sistemi di filosofia induista, di un ritmo dell'esistenza cosmica che conosce periodi di creazione, di conservazione e di distruzione, periodi, o Yuga che si succedono senza fine;
4. l'accettazione da parte di tutti i sistemi filosofici induisti della fede nella rinascita e preesistenza degli esseri.
5. il riconoscimento del fatto che i mezzi o i modi di raggiungere la salvezza sono molteplici;
6. la comprensione della verità che, per quanto grande possa essere il numero delle divinità da adorare, si può essere induisti e non credere che sia necessario adorare le murti (rappresentazioni) delle divinità;
7. a differenza di altre religioni o fedi, la religione induista non è legata a un insieme definito di concetti filosofici.

L'induismo, tradizionalmente denominato "Insegnamento eterno" in quanto non proveniente dall'esperienza umana), è peraltro più un modo di vivere, di pensare e di organizzare la stessa società in modo religioso, che una religione organizzata. Il riferimento tana Dharma indica che un "induista" è colui che crede alle credenze religiose riportate nei Veda (devanāgarī वेद, "sapere", "conoscere" riferito al sacro). I Veda sono tra le scritture religiose più antiche del mondo e il loro insegnamento complessivo indica nella natura dell'uomo una realtà sacra. Il divino è presente in ogni essere vivente. La religione induista è dunque una ricerca e una conoscenza di sé, una ricerca del sacro presente in ogni individualità.

Tuttavia va riconosciuto il carattere profondamente etnico di questa fede religiosa. Tale base etnica è inequivocabilmente dimostrata dal fatto che presso i principali santuari dell'induismo, appartenenti a differenti darśana, possono avere ingresso solo gli indiani appartenenti ad un varṇa, a prescindere dalla loro fede religiosa, e non i non-indiani, anche se professanti una fede induista.

Il più tardo Vedānta riconosce che ci sono molti approcci diversi a Dio, e tutti sono validi. Non importa quale genere di pratica spirituale si conduca, poiché ognuna conduce al medesimo stato di realizzazione del Sé. Così i Vedānta insegnano il rispetto di tutte le credenze e si distinguono dalla maggior parte delle altre fedi maggiori per il loro forte incoraggiamento alla tolleranza verso questi diversi sistemi di fede.

In sanscrito, il termine Sindhu indica in senso generale una distesa d'acqua (un mare, o un lago), ed in particolare il fiume Indo. Gli Arya chiamavano il proprio territorio Sapta Sindhu, la terra dei sette fiumi (tra i quali appunto l'Indo), con un'espressione attestata numerose volte nel Rig-veda. Il suono /s/ (iniziale e intervocalico) in persiano antico diventa /h/, e così nell'Avesta Sapta Sindhu diventa Hapta Hindhu. La regione a est del fiume Indo diventa così l'Hindustan, e i suoi abitanti sono chiamati "hindu" (indù) dai Persiani e, più tardi, da Greci e Romani. L'utilizzo del termine hindu nell'accezione di "abitanti dell'India", probabilmente per influenza iranica, è attestato in alcuni testi medioevali in sanscrito, quali Bhavishya Purâna, Kâlikâ Purâna, Merutantra, Râmakosha, Hemantakavikosha ed Adbhutarûpakosha.

L'induismo è definito anche "arya dharma", la religione degli Arya (e quindi nobile) e "Vaidika Dharma", la religione dei Veda
Dare una definizione veritiera di induismo sembra un'impresa azzardata, tanto il concetto è complesso e multiforme. È dunque preferibile passare in rassegna l'induismo attraverso le sue idee e le sue pratiche. L'induismo esiste attualmente su due piani differenti, il primo basato puramente sulla fede e il secondo basato sulla filosofia, anche se spesso i due piani si incrociano.
Approfondimento
Si può tracciare un parallelo interessante tra la trinità cristiana e le tre divinità principali del Pantheon induista, che prendono il nome di Trimurti: Brahma, Vishnu e Shiva. Sono i tre aspetti fondamentali del Divino, così come l'onda e il fotone sono due aspetti della luce. Brahma rappresenta il creatore, Vishnu il conservatore e Shiva il distruttore all'interno del ciclo dell'esistenza. Spesso la Trimurti è venerata come un'unica deità, così come nella tradizione cristiana si parla di Dio "Uno e Trino" al tempo stesso.
* Il piano filosofico:
Si contano tradizionalmente sei antiche astika o scuole di filosofia ortodosse (ortodosse perché accettano l'autorità dei Veda), dette Darshana o Shad Dharshana (le Sei Darshana): Nyaya, Vaisheshika, Samkhya, Yoga, Purva Mimamsa (o semplicemente Mimamsa) e Uttara Mimamsa (o Vedānta). Le nastika, o scuole non ortodosse, che non sono qui trattate, sono il giainismo, il buddhismo, il chārvāka, e l'ateismo antico classico dell'India che confuta l'esistenza dell'anima o Ātman.
* Il piano della fede:
Contrariamente all'opinione popolare, il vero induismo non è né politeista né monoteista, ma è propriamente una religione enoteista. Le diverse divinità e avatara adorati dagli indù sono considerati come diverse forme dell'Uno, il Dio Supremo, o Brahman, che egli adotta per rendersi accessibile all'uomo ( attenzione a non confondere Brahman, l'Essere Supremo e fonte ultima di ogni energia divina, con Brahma, il creatore del nostro universo particolare).
Il Brahmanesimo, che è la forma moderna della religione vedica si divide in rami, essi stessi divisi in varie correnti:
* il Visnuismo, o vaishnavismo, che si rapporta all'Uno in quanto Vishnu, o tramite uno dei suoi avatar. I libri sacri sono il Bhāgavata-Purāna spesso chiamato Shrīmad-bhāghavatam, e la Bhagavad-Gītā.
* lo Shivaismo, o shaivismo, che si rifà principalmente al culto di Shiva, divinità pre-vedica adorata inizialmente con il nome di Rudra, a cui è dedicato lo Shiva Purana.
* il Tantrismo che si suddivide in due o tre filoni secondo le classificazioni e il cui scopo è la realizzazione della shakti, l'energia vitale spesso associata a una forma di Devī, la Dea madre dai molti nomi (Kali, Durga, ecc.)
Ciascuno di questi culti si pratica con i medesimi mezzi filosofici o di yoga, sono solo i loro metodi che differiscono. Questi culti non devono essere considerati come delle "chiese", perché non esiste alcun dogma, e perché le credenze individuali sono sempre rispettate. La maggior parte degli indù si considera non appartenente a nessuna "setta" in particolare. Ci sono altresì numerose organizzazioni riformatrici, come l'Arya Samaj ("Società degli Arya") che adottano il monoteismo e la fede nei Veda, ma respingono l'idolatria.

I Vaishnava, che costituiscono approssimativamente l'80% degli indù di oggi, adorano uno dei tre più recenti avatar - o incarnazioni terrestri - di Vishnu come divinità principale. Il settimo avatar di Vishnu è Rama, l'ottavo è Krishna, e il nono cambia secondo le fonti: è identificato con Buddha nella grande maggioranza delle scuole, ma anche, più raramente e meno seriamente, con Gesù Cristo. L'integrazione di Buddha nel pantheon indù è comparsa tardi, probabilmente nell'VIII secolo; questo procedimento - in fin dei conti abbastanza ardito - è l'espressione della controriforma brahmanica al Buddhismo, iniziata nel II secolo a.C. Alcuni riconoscono tutti i personaggi menzionati come veri avatar, aumentando così il numero tradizionale di dieci avatar (incluso Kalki, che apparirà alla fine dell'era presente, il Kali Yuga) fino a 27.

La maggior parte degli indù restanti (il 20% del totale) sono Shivaiti; il resto si consacra a Shakti, o Ishvari, una delle cui forme è la dea Kali, una divinità benefica e terrifica al tempo stesso. Tuttavia, solitamente, il credente induista possiede nella propria dimora le rappresentazioni (murti) di molte di queste (ed altre) forme di Dio (Īśvara).
Credenze e pratiche comuni all'induismo [modifica]

Benché l'induismo sia il nome comune di un insieme di culti diversi, ogni indù condivide un nucleo di valori comuni. La somma di questi valori identifica il credente indù.
Credenze di base e culto

Nella estrema varietà dell'induismo si trovano dei valori comuni a tutti i credenti, ovvero:
* la fede nel Dharma (Legge Cosmica, il modo in cui tutte le cose sono)
* Samsāra (Reincarnazione, rinascita)
* Karma (azione, il ciclo di causa-effetto)
* il Moksha (liberazione, trascendenza) di ogni anima attraverso dei percorsi spirituali quali:
o Bhakti (devozione)
o Karma (inteso come azione personale)
o Jñāna (Illuminazione, Conoscenza)
* e naturalmente con la fede in Dio (Īśvara).
La trasmigrazione dell'anima è regolata dal Karma: la filosofia del Karma è basata sulle azioni compiute dal soggetto, che resteranno impresse sulla sua anima (Ātman) dell'essere individuale (jīva), attraverso un ciclo di nascita e morte fino alla liberazione definitiva (mokṣa)
La teoria secondo la quale ci si possa convertire all'Induismo è contestabile. Infatti l'Induismo non è una fede evangelica come il Cristianesimo o l'Islam essendo totalmente assente dagli scritti induisti il momento della conversione religiosa, per uno straniero l'essere o meno indù dipende dalla sua accettazione come parte della comunità induista. L'Induismo, infatti, riconosce come egualmente validi numerosi cammini spirituali.
Peculiare è anche il fatto che, benché la mitologia indiana riconosca l'esistenza di esseri demoniaci (asura o rakshasa), opposti ai deva, la filosofia indiana non crede all'esistenza di un Diavolo, causa di tutto il male.
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AUM, il suono primordiale
Aum, solitamente translitterato in Om (ॐ), è il simbolo più sacro dell'Induismo, il suono primordiale, sintesi di ogni preghiera, rituale o formula sacra. È un segno carico di un messaggio simbolico profondo: è considerato come la vibrazione divina primitiva (Pranava) da cui ha avuto origine l'universo manifesto; rappresenta quindi la base metafisica di tutte le esistenze, l'abbraccio e fusione di tutta la natura nella Verità Ultima.
Viene utilizzato come prefisso (e talvolta come suffisso) nei mantra, e in quasi tutte le preghiere della tradizione induista.
Il Dio multi-forme ed il Dio "senza forme"
Secondo alcuni non è corretto parlare di "Dio" in un contesto induista. Questo può essere vero solo in seguito ad un'analisi superficiale, poiché tale termine, nella cultura indù, può riferirsi tanto alla totalità del Divino quanto ai Suoi singoli aspetti: ad esempio, l'aspetto personale o quello impersonale, l'aspetto creativo o quello distruttivo, l'aspetto femminile o quello maschile, l'aspetto dolce o quello austero, l'aspetto trascendente o quello immanente, e così via.
Questa tendenza a racchiudere in simbologie aspetti tra loro opposti e complementari spiega l'apparente contraddizione tra le varie forme di Dio venerate nell'Induismo. Ciò si riflette nel sistema delle murti (raffigurazioni di Dio o dei Suoi aspetti): per fare alcuni esempi, Devi (ossia l'aspetto materno/femminile di Dio), a seconda dell'aspetto che si vuole considerare, viene chiamata Kali (aspetto terrifico della Madre Divina che, per amore del devoto, distrugge i demoni) oppure Bhavani (aspetto creativo della Madre Divina, lett. "Colei che dà la vita"); e, allo stesso modo, Shiva (l'aspetto paterno/maschile di Dio) viene chiamato a seconda dei casi Hara (lett. Distruttore) o Shankara (lett. Benefico).
I Veda descrivono il Brahman (/brəh mən/) come la Realtà Ultima, l'Anima Assoluta ed Universale. Il Brahman, un panteistico Spirito Cosmico, è indescrivibile, incorporeo, originale, infinito, assoluto, trascendente ed immanente, eterno. È il principio ultimo che non ha avuto inizio, non ha una fine, è nascosto in tutte le cose ed è la causa, la fonte, la materia e l'effetto di tutta la creazione conosciuta e sconosciuta. Esso è l'origine di tutti i Deva (esseri celesti), e rappresenta la base del manifesto e dell'immanifesto, uno stato indifferenziato di puro essere, eternità e beatitudine, situato al di là di qualsiasi speculazione filosofica o moto devozionale.
Solitamente, con "Dio" in un contesto induista ci si riferisce al Dio-persona (generalmente chiamato Īśvara, che significa "il Signore Supremo"), o il Dio con una Sua individualità, con degli attributi, con Nomi e Forme (in sanscrito, nama-rupa), il Dio dotato di tutti i poteri, al tempo stesso immanente e trascendente, il Dio che per amore dell'uomo si incarna ed impartisce gli insegnamenti necessari per ottenere la realizzazione spirituale. Ishvara (nelle sue innumerevoli forme e nomi) costituisce l'aspetto supremo di Dio presso i principali culti devozionali (Bhakti o Bhakti Yoga) monoteisti, ovvero Shivaismo (monoteismo di Shiva), Vaishnavismo (monoteismo di Vishnu / Krishna) e Shaktismo (monoteismo di Devi, la Madre Divina, chiamata anche Shakti). È importante sottolineare, tuttavia, che nessuno di questi culti nega l'esistenza o la validità delle altre forme/nomi divini; ciò che varia in ognuno di essi è soltanto l'aspetto peculiare (di Dio) su cui ci si vuole focalizzare, per farne oggetto di devozione.
Secondo la scuola di pensiero del Vedānta, in particolare secondo la filosofia Advaita (filosofia della non dualità), esiste un substrato metafisico di tutto ciò che esiste - su tutti i piani, grossolano, sottile e causale - un vero e proprio supporto situato al di là di ogni individualità, sia che essa riguardi l'anima individuale (detta Jīva) o quella universale (Ishvara, o Dio-persona). Questo substrato si trova oltre il mondo dei nomi e delle forme, ed è appunto il Brahman.
Il ciclo della vita
Come ogni religione, l'induismo ha fondato la sua fede su un rituale funebre particolare e su una originale concezione della morte. L'induista crede nella reincarnazione e nella vita dopo la morte, dal momento che il corpo è considerato un mero involucro materiale temporaneo (samsara). Quando giunge il momento di lasciare la vita, l'anima o Ātman abbandona il corpo. Se ha accumulato karma attraverso troppe azioni negative, l'anima si incarna in un nuovo corpo su un pianeta come la terra o inferiore, come l'inferno (Naraka), per subire il peso delle sue malvagie azioni. Se il suo karma è positivo, vivrà come un essere divino, o deva, su uno dei mondi celesti (superiori alla terra, come il paradiso o Svarga) nei quali sperimenterà grandi piaceri spirituali, fino al momento in cui il suo karma positivo non sarà esaurito; allora l'anima ritornerà in un altro corpo sulla terra, facendo parte di una casta (o classe sociale) spiritualmente elevata. Questo ciclo è chiamato Saṃsāra. Quando il karma viene completamente assolto, l'anima abbandona definitivamente il mondo fisico (fatto di sofferenza, poiché soggetto a malattia, vecchiaia e morte) e può infine raggiungere la liberazione, Moksha, ovvero l'unione con Dio. Ma per realizzare questo obiettivo e spezzare il ciclo perpetuo di morte e rinascita, l'indù deve vivere in maniera che il suo karma non sia né negativo né positivo, ovvero agendo solo per dovere (Dharma), senza scopi egoistici, ed offrendo a Dio il frutto delle proprie azioni, così come prescrive la Bhagavad Gita; quest'ultima insegna vari metodi, detti Yoga, tramite cui giungere a questo risultato, lasciando all'individuo la scelta del metodo che gli si addice di più, secondo le diverse scuole di filosofia indiana. Oggi, il credente indù, dal momento che vive in un'epoca estremamente materialista, chiamata Kali Yuga (lett. era delle tenebre, l'era attuale, caratterizzata da una diffusa ignoranza spirituale), preferisce scegliere sentieri spirituali semplici ed efficaci, come ad esempio quello del Bhakti Yoga (la via della devozione) o del Karma Yoga.
I quattro stadi della vita
Secondo la tradizione vedica, l'uomo deve attraversare quattro stadi della vita o ashram (l'altro significato di questa parola designa un eremo di sannyasi). Questi quattro periodi della vita sono:
1. Il brâhmâcârya: il giovane, sotto la guida del suo maestro o guru, osserva un periodo di castità e di formazione, tanto profana quanto spirituale, durante la quale svilupperà il suo sapere e la sua virtù.
2. Il grihastha: il giovane, divenuto adulto, entra nella vita mondana, si sposa e fonda una famiglia, che è anche un dovere religioso. Durante questo periodo, ha il diritto di godere della vita, contemporaneamente imparando ad avere dominio di sé.
3. Il vânaprasthya: dopo aver compiuto il suo dovere sociale, lascia la sua famiglia, a cui ha lasciato mezzi di sussistenza, e va a vivere un periodo di studio delle scritture sacre nel "soggiorno nella foresta", praticandovi la meditazione e il digiuno.
4. Il samnyâsa: ormai anziano, raggiunge lo stato di rinuncia, disinteressandosi dei beni materiali, e diviene un sannyasi. Distaccato dal mondo, può ritornare tra i suoi poiché non teme più le tentazioni materiali e potrà far partecipi coloro che lo circondano della sua esperienza e del suo sapere.

I quattro scopi della vita

In parallelo ai quattro periodi della vita indù, l'induismo ritiene che esistano quattro scopi all'esistenza o purushārtha. Poiché i desideri umani sono naturali, ciascuno di questi scopi serve a perfezionare la conoscenza dell'uomo dal momento che, tramite il risveglio dei sensi e la sua partecipazione al mondo, ne scopre i princìpi. Ciò nonostante, l'indù deve guardarsi dall'essere affascinato da questi scopi, sotto la pena di errare senza fine nel ciclo del Saṃsāra. Gli scopi sono:
1. Artha o la ricchezza: l'uomo deve partecipare alla società creandosi un patrimonio e delle relazioni che saranno il frutto del suo lavoro. Deve fare attenzione però a non farsi ingannare dal fascino di una vita agiata, la quale deve venire usata per trarne un insegnamento. Il periodo del Grihastha è propizio al perseguimento di questo fine.
2. Kâma o il piacere: il piacere non è percepito come un male, anzi è un dono della divinità. Nella mitologia induista, il dio Amore, Kāma, è la sorgente della creazione. Il Kama Sutra espone i mezzi per esaltare i sensi e far fiorire la vita di coppia. Grazie ai piaceri, il campo della conoscenza si allarga e l'atto amoroso ne è il culmine, in cui l'uomo e la donna non si distinguono più, ma formano un tutt'uno che ricrea l'unità divina. Il piacere deve essere diretto allo scopo di conoscere e non deve diventare uno stile di vita che condurrebbe a commettere degli atti immorali o contro il dharma.
3. Dharma o il dovere: il dharma deve dirigere tutti i quattro periodi della vita. Il dovere permette all'uomo di proseguire la propria vita sul retto cammino, conformandosi al diritto e alla morale che sono trascritti nel Dharma Sūtra o nel Manu-Samhitā detto anche Legge di Manu.
4. Moksha o la liberazione: durante i due ultimi periodi della vita dell'indù, questo ricerca Moksha. Si tratta in realtà dello scopo ultimo della vita, che può essere raggiunto attraverso mezzi differenti, come ad esempio il Bhakti Yoga.
La svastikā, più conosciuta con il nome di croce uncinata, è il simbolo stesso dei quattro periodi e scopi della vita. Questo segno, di origine molto antica, si ritrova in molte civiltà e simboleggia la rivoluzione del sole e le forze cosmiche. I quattro bracci simboleggiano gli oggetti e le stagioni della vita che convergono verso il medesimo centro, chiamato bindu. Questo punto centrale, che rappresenta l'etere, il quinto elemento, si irradia sugli altri quattro, così come sui punti cardinali, sugli scopi e sulle stagioni della vita umana. Comprendere questo simbolo e meditarvi permette di realizzare l'unità dell'universo e di Dio.
La vita sociale-Le quattro classi della società
La società indù è tradizionalmente divisa in quattro grandi classi o caste, basati sulle professioni e sul guna da cui sono influenzati:
* Brahmana, sacerdoti ed insegnanti (Sattva guna)
* Kshatrya, re, guerrieri ed amministratori (Rajas)
* Vaishya, agricoltori, mercanti, uomini d'affari (Rajas e Tamas)
* Shudra, servitori ed operai (Tamas)
Queste classi sono chiamate varna, ed il sistema sociale è il Varna Vyavastha
In India si ritiene che la società sia organizzata secondo l'equilibrio del dharma. Questa organizzazione permette l'armonizzazione dei rapporti tra gli uomini e la definizione dei doveri che spettano loro. Questa preoccupazione per l'equilibrio ha un'origine dottrinale, perché essa corrisponde, di fatto, al simbolismo dei Guna, o qualità/sapori. Ai tre Guna corrispondono i tre colori che sono ciascuno associato ad una casta.
All'origine, l'indù non nasce in una casta: acquisterà la sua casta in funzione del ruolo e delle responsabilità che sarà condotto a ricoprire. Molti testi mitologici denunciano l'usurpazione del titolo di brahmino da parte di certi personaggi che, sotto la copertura della nascita, approfittano di uno status importante senza compiere i propri doveri.
Non è chiaro se il sistema delle caste sia o meno parte integrante dell'induismo: i testi Shruti ne fanno raramente menzione, il sistema è invece regolato dai testi Smriti. In precedenza, il sistema era basato esclusivamente sulla professione, e vi sono decine di esempi di matrimoni tra differenti varna e di cambi di professione. Più tardi (sembra intorno al 900 a.C., ma gli storici avanzano differenti ipotesi), invece, il sistema diventò rigido e basato sullo status acquisito per nascita. Successivamente, con lo sviluppo di numerose sotto-caste e di una casta di intoccabili (Dalit) al di fuori del Varna Vyavastha, è nato il sistema delle caste così come lo conosciamo oggi. In seguito alle invasioni e alla colonizzazione britannica, la regola si è fatta ancora più stretta a vantaggio delle caste superiori, relegando i shudra alla posizione di dominati. Dopo l'indipendenza del 1947, anche grazie all'opera di Gandhi, vengono emanate molte leggi per sradicare il sistema delle caste, ma ancora oggi esistono diversi pregiudizi, soprattutto nei confronti degli "intoccabili".
 

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I Templi

Un devoto di Shiva esegue la Puja al Lingam, che ne è il simbolo.
I templi indiani (i Mandir) hanno ereditato dei riti e delle tradizioni antiche e molto elaborate, ed occupano uno spazio speciale all'interno della società indiana. Normalmente sono dedicati ad una divinità principale e a delle divinità subalterne, associate alla divinità principale. Alcuni templi sono tuttavia dedicati a divinità multiple. Quasi tutti i templi maggiori sono costruiti in accordo con gli agama shastra, e sono meta di pellegrinaggio.
Per molti induisti, i quattro Shankaracharya (i responsabili dei monasteri di Badrinath, Puri, Sringeri e Dwarka - quattro tra i monasteri più sacri- e per alcuni anche un quinto, quello di Kanchi) sono considerati come i principali "patriarchi" dell'induismo.
Il tempio è un luogo per ricevere il darshan (la visione della divinità), per la puja, per la meditazione e per altre attività religiose. La puja, o adorazione, è generalmente rivolta ad una murti (statua o icona nella quale si invoca la presenza divina), congiuntamente a canti e preghiere sotto forma di mantra. L'adorazione delle murti è fatta quotidianamente all'interno dei templi, e fa parte integrante della bhakti. La maggior parte delle case indù ha una stanza o uno spazio consacrato per l'adorazione quotidiana e la meditazione religiosa.
La non-violenza e la dieta vegetariana [modifica]
Krishna insieme a Radha e una vacca
Ahimsâ è un concetto che raccomanda la non-violenza e il rispetto per tutte le forme di vita. Il termine ahimsâ compare per la prima volta nelle Upaniṣad e nel Raja Yoga, è la prima delle cinque yama, o voti eterni, le restrizioni dello Yoga.
Molti induisti praticano il vegetarismo come una forma di rispetto per ogni forma di vita senziente. Esso inoltre è raccomandato per le sue virtù purificatrici (sattva) come un modus vivendi sano e igienico. Al giorno d'oggi, secondo le stime, il 30% della popolazione indù adotta una dieta vegetariana: questa è molto praticata soprattutto dalle comunità ortodosse dell'India del Sud, in alcuni stati del Nord come Gujarat, e in molti eremi di brahmana. Questa dieta è basata principalmente su latte e vegetali; qualcuno evita anche l'aglio e la cipolla poiché si crede abbiano proprietà rajasiche, vale a dire passionali.
Gli induisti che mangiano la carne per lo più si astengono dal consumo di carne di vacca, e qualcuno si astiene anche dall'utilizzo di prodotti come il cuoio. La maggior parte degli indù considera infatti la vacca come il miglior esempio della benevolenza degli animali e, poiché è l'animale più apprezzato per il latte, è riverito e rispettato come una madre. Di conseguenza non stupisce il fatto che nella maggior parte delle città sante indù sia vietata la vendita di carne di mucca (spesso di qualsiasi tipo di carne) e che esistano dei divieti sull'abbattimento delle mucche in quasi tutti gli Stati dell'India. La pratica di sacrificare delle capre o altri animali nei templi della Dea madre è scomparsa a causa delle critiche degli altri indù.
La religione vedica: le origini dell'Induismo
Restano pochissime informazioni sull'Induismo primitivo. I documenti più antichi conosciuti sono i Veda, che si ritiene siano stati codificati nella loro forma attuale secoli prima delle prime versioni scritte note e trasmessi con esattezza per tradizione orale. I testi più antichi sono scritti in una variante arcaica di sanscrito, e presentano delle somiglianze con i testi dello Zoroastrismo. Di fatto, il sanscrito e l'avestico, la lingua dello Zoroastrismo, sono lingue molto vicine. L'età dei Veda e l'origine dei loro autori sono dei soggetti controversi, sebbene appaia chiaro che la religione vedica avesse tratti molto arcaici, strettamente connessi con l'arcaica società indoeuropea.
Le scritture sacre
Le scritture sacre dell'India antica si classificano in tre categorie: i Veda, le scritture della religione vedica, da cui deriva l'induismo moderno, le scritture induiste post-vediche, e le scritture dei movimenti dissidenti come il jainismo ed il buddhismo. Questi ultimi testi costituiscono una reazione ai Veda, ma vi restano fortemente legati in termini di insegnamenti e di concezione generale della vita. Qui verranno esaminate solo le prime due categorie.
La Shruti: I Veda
I Veda sono considerati i testi religiosi più antichi del mondo, e vengono definiti in sascrito "Śruti" o "Shruti" (ciò che è stato ascoltato/rivelato). Si dice infatti che siano stati rivelati dallo Spirito Supremo (Brahman) o da Dio ai rishi, durante uno stato di meditazione profonda. I Veda sono stati tradizionalmente trasmessi oralmente da padre in figlio, da maestro (guru) a discepolo. Successivamente vennero trascritti da un saggio chiamato Vyāsa o Vyāsadeva, il compilatore. Sulla base di vari indizi e riferimenti interni ed esterni ai testi, i ricercatori hanno avanzato ipotesi molto diverse sulla datazione dei Veda, dal 5000 al 1500 a.C.
Secondo la visione induista tradizionale, i Veda sono senza inizio né fine, e le verità in essi contenute sono eterne, e non sono creazioni umane, a differenza degli insegnamenti di Buddhismo e Giainismo.
La tradizione vuole che i Veda siano stati suddivisi in quattro parti dal grande rishi di nome Vyasa, ovvero Rig Veda, Yajur Veda, Sama Veda e Atharva Veda.
Il Rig-Veda contiene dei mantra per invocare i deva per il rito del sacrificio del fuoco (Yajña); il Sama-Veda contiene dei canti per lo stesso sacrificio; lo Yajur-Veda contiene delle istruzioni per la celebrazione di riti; l'Atharva-Veda comprende dei carmi filosofici e semi-magici (contro i nemici, le malattie, e gli errori commessi durante i riti).
Ciascuno è diviso in quattro sezioni:
* Samhitâ: mantra e inni
* Brâhmana: testi liturgici e rituali
* Âranyaka: la sezione teologica
* Upaniṣad: la sezione speculativa
I Veda sono testi pieni di misticismo e di allegorie. Molte scuole filosofiche come l'Advaitismo incoraggiano ad interpretarli filosoficamente e metaforicamente, ma a non prenderli troppo alla lettera. Il suono dei mantra è considerato purificante, e per tale motivo c'è un'attenzione rigorosa per l'erudizione e la pronuncia corretta.
La religione vedica, in particolare durante il suo periodo arcaico, era differente dall'induismo attuale per numerosi aspetti, tra i quali, ad esempio, il riferirsi alle donne come autorità religiose (con l'esistenza di donne rishi), l'apparente mancanza della credenza nella reincarnazione, ed un pantheon differente (con Indra a capo degli Dei).
La Smriti: Le scritture post-vediche
I testi sacri più recenti dell'induismo sono denominati "Smṛiti" o "Smriti" (ciò che è ricordato, memoria, tradizione).
Mentre la letteratura "Shruti" è scritta in sanscrito vedico, la Smriti è scritta in sanscrito classico, più semplice e comprensibile, o in prâkrit, la "lingua comune". Maggiormente accessibile a tutti, la letteratura Smriti ha conosciuto una grande popolarità all'interno di tutta la società indiana sin dalle origini. Anche oggi la maggior parte del mondo induista ha più familiarità con la Smriti, divulgata anche attraverso telefilm, film, rappresentazioni, balletti, dipinti, sculture, racconti, ed altre forme artistiche, a differenza di una Shruti divenuta di esclusiva pertinenza dei brahmana. La Smriti, con le sue storie di re, eroi e Dei, corrisponde dunque alla letteratura popolare, ed assolve ad una funzione didattica e divulgativa, malgrado, in caso di apparente contraddizione, la Shruti venga riconosciuta come prioritaria.
La letteratura Smriti comprende:
* Gli Itihasa: le epopee del Râmâyana e del Mahâbhârata, che racchiude al suo interno la famosa Bhagavad-Gita
* I Purâna: diciotto maggiori (Maha Purana) e diciotto minori (Upa Purana)
* Gli Âgama: 28 trattati teologici, completati dagli Upâgama (Âgama minori) e dai
* Darshana, testi filosofici.
Anche i Dharmashâstra (Libri della legge) fanno parte della Smriti.
La filosofia dell'induismo [modifica]
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Vedānta, Advaita vedānta, Yoga e Darshana.
Peculiare dell'induismo è il suo intimo legame con la filosofia e con la scienza in generale (sia scienze sociali che fisiche). Contrariamente all'Occidente, in cui infatti numerosi furono i conflitti ed i punti di attrito tra Scienza e Religione, l'induismo accetta e digerisce ogni nuova scoperta, inglobandola nel proprio sistema filosofico.
In un testo di mitologia sono così presenti informazioni di teologia, astronomia, filosofia e molto altro ancora: leggere un Purāṇa (ad es. il Bhāgavata Purāṇa) è prima di tutto leggere un'enciclopedia.
Gli studiosi distinguono due filoni filosofici principali: le filosofie astika, che riconoscono l'autorità dei Veda (ossia le sei darshana: Samkhya, Nyaya, Vaisheshika, Purva Mimamsa, Yoga e Vedānta), e le filosofie nastika, che invece li respingono (Giainismo, Buddhismo, Chārvāka ed Ateismo).
Purva-Mimamsa
L'obiettivo principale della scuola del Purva Mimamsa è quello di stabilire con forza l'autorità dei Veda. Il contributo più rilevante della scuola, di conseguenza, è quello di avere formulato delle regole d'interpretazione dei Veda. I suoi aderenti hanno creduto fermamente che la vera conoscenza fosse provata con evidenza, ed hanno cercato di scoprire la base del ritualismo vedico attraverso la ragione. La Mimansa forma la base del ritualismo nell'induismo contemporaneo, che appare spesso affatto politeista.
Yoga
Nell'induismo lo Yoga è una disciplina sia fisica che psicologica che spirituale. La parola yoga significa unione, ed è generalmente interpretata come l'unione con Dio,con l'assoluto, l'integrazione tra corpo, spirito e anima, ma il significato letterale è "unione tramite soggiogamento", in quanto la radice sanscrita yug indica il "soggiogare", per cui viene anche interpretato come l'unione dovuta allo spirito che soggioga la materia, ovvero il corpo, la manifestazione materiale. Scopo dello yoga è il Mokṣa, la liberazione dal (samsara), la ruota eterna delle rinascite, e quindi dalla reincarnazione stessa, come conseguenza dell'annullamento del (karma) accumulato in vita. La liberazione, a sua volta, è conseguenza diretta del raggiungimento del samadhi assoluto (senza seme, senza oggetto), ovvero l'ultimo passo di tutto il cammino dello yoga. Lo yoga cerca di raggiungere la liberazione attraverso il distacco dello spirito (purusa) dalla natura materiale (prakŗti), ovvero attraverso la liberazione dello spirito dall'inganno di identificarsi con la manifestazione materiale, considerata la causa prima di tutte le sofferenze umane è infatti proprio l'ignoranza, da leggersi come ignoranza ontologica, chiamata (avidya). Gli strumenti messi a disposizione, secondo la codifica di (Patanjali) contenuta nello (Yoga Sutra), il più antico trattato scritto di yoga, sono la meditazione, gli esercizi fisici e respiratòri e spirituali. In tutto vengono elencati otto passi della disciplina, che pende il nome di (astanga yoga) (yoga in otto parti): (yama) e (niyama), le pratiche etiche(asana), le posture fisiche (pranayama), la scienza del respiro e dell'energia (prana), (pratyahara) ovvero il ritiro dei sensi, che compongono lo yoga cosiddetto esterno, e poi le tre membra dello yoga interno (antar yoga), ovvero (dharana) il mantenimento della concentrazione, (dhyana) la meditazione, e il (samadhi), la beatitudine (ananda) che può differenziarsi in 'con seme', ovvero in cui c'e' ancora una traccia di manifestazione materiale nella coscienza, o 'senza seme', dove lo stato di beatitudine è assoluto, perché il tutto è oggetto stesso e insieme soggetto del momento meditativo.
Uttara-Mimamsa o Vedānta [modifica]
La scuola dell'Uttara-Mimamsa (sanscrito "Uttara", posteriore), chiamata anche Vedānta, è probabilmente il pilastro centrale dll'induismo, ed è stata certamente responsabile di un nuovo insegnamento filosofico e meditativo, del rinnovamento e della rinascita dell'induismo e della filosofia indiana. Esistono sei sotto-scuole del vedānta, la più celebre delle quali è l'Advaita vedānta fondata da Adi Shankara. I Vaishnava, adoratori di Krishna, seguono un'altra scuola del vedānta, l'"Acintya Bhedabheda", fondata da Caitanya Mahaprabhu, in forte disaccordo con l'Advaita Vedānta.
L'induismo nel mondo [modifica]
Diffusione dell'Induismo
L'India, Mauritius ed il Nepal sono nazioni a maggioranza induista. Il Nepal fino all'avvento della repubblica è stata l'unica nazione in cui l'induismo era la religione ufficiale.
L'Asia del Sud Est è diventata in larga parte induista dopo il III secolo, e fece parte dell'Impero Chola intorno all'XI secolo. Quest'influenza ha lasciato numerose tracce architettoniche, come la famosa città-tempio di Angkor Vat o tracce culturali come le danze del Bharata Natyam e del Kathakali. L'isola di Bali è a maggioranza induista, nel mezzo dell'arcipelago indonesiano, a maggioranza islamica. La stessa Indonesia ha conservato come proprio simbolo nazionale Garuda, il gigantesco uccello che trasporta Vishnu.
Si trovano altresì minoranze induiste in molti paesi: Bangladesh (11 milioni), Myanmar (2,1 milioni), Sri Lanka (2,5 milioni), Stati Uniti (1,7 milioni), Pakistan (1,3 milioni), Sud Africa (1,2 milioni), Gran Bretagna (1,2 milioni), Malesia (1,1 milioni), Canada (0,7 milioni), Fiji (0,5 milioni), Trinidad e Tobago (0,5 milioni), Italia (0,5 milioni) - cfr. Induismo in Italia -, Guyana (0,4 milioni), Paesi Bassi (0,4 milioni) e Suriname (0,2 milioni)
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SALLY

New member
Bellissime le divinità del pantheon slavo Nicole,non sò, ma questo relazionarsi con la natura,sarà primitivo,ma,lo trovo quasi quasi...più razionale. :mrgreen:

...è una sensazione,mi è venuta così,leggendo.
 

Sir

New member
A mio avviso, è sicuramente più razionale.:)
I paesi orientali dimostrano come una religiosità tradizionale di questo tipo si possa perfettamente integrare con le nuove religioni "filosofiche", ed anzi siano ad esse di grande supporto.
Per vari motivi, col Buddhismo questo è stato possibile mentre con il Cristianesimo, purtroppo, no. Ma credo che in questo periodo, dove c'è una forte possibilità di apertura mentale e spirituale anche per noi occidentali, la spinta, in certi casi anche nettamente visibile (Neopaganesimo et similia), sia in quella direzione.
Oppure sono io che sono ottimista.:mrgreen:
 

Brethil

Owl Member
Complimenti a Nicole per aver aperto questa discussione di sicura utilità per chi, come me, non ne sa granchè sull'argomento :wink:
Il mio contributo riguarda il Valdismo, religione che ho conosciuto trasferendomi in una zona nella quale la maggior parte dei credenti si professa Valdese.

Questa religione ha origini medievali e deve il nome a Valdo di Lione, personaggio che ha avuto una storia simile a quella di San Francesco: vendette tutti i suoi beni per vivere in povertà seguendo l'esempio degli apostoli. Il papato accettò di buon grado la nascita di questo movimento sebbene non potè accontentare la richiesta dei valdesi di essere paragonati ad un ordine monastico poichè, di fatto, restavano pur sempre dei laici.
Nonostante fu loro vietato di continuare a predicare e diffondere il Vangelo come fossero chierici, essi non si fecero scoraggiare.
Inoltre ammettevano nel loro gruppo anche donne, cosa a dir poco inammissibile ora come allora.
Tutto ciò non sfuggì all'allora papa Lucio III, che procedette alla scomunica dei valdesi, considerandoli eretici.
Nonostante ciò il Valdismo è sopravvissuto fino ad oggi ed è particolarmente presente nella zona in cui appunto abito. Su 120 chiese valdesi presenti sul territorio nazionale, ben 18 si trovano concentrate in questa piccola vallata, dove i valdesi vengono chiamati "barbet".
I valdesi si differenziano dai cattolici in quanto:
-non danno alcuna importanza alla Madonna o ai santi
- non riconoscono l'autorità del papa
- permettono ed incoraggiano il matrimonio dei pastori che possono essere sia uomini che donne
- la figura del pastore non è simile a quella del sacerdote in quanto anche un semplice credente ha la facoltà di predicare
- inferno e paradiso non esistono poichè i peccati sono stati espiati grazie al sacrificio di Gesù
- gli unici due sacramenti sono eucarestia e battesimo (l'eucarestia è celebrata una sola domenica al mese)
 
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Grazie per i complimenti... spero che continuerete ancora con le vostre partecipazioni...:YY
Intanto proseguo con i 'veri naturalisti'...:mrgreen:

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Donato Manduzio e gli ebrei di Sannicandro Garganico

Donato Manduzio era un bracciante agricolo di Sannicandro. Essere braccianti agricoli a cavallo fra ‘800-‘900 in quelle lande significava essere un gradino al di sopra delle bestie. Leggere in quello strato sociale era un lusso per pochi, e Donato non era l’eccezione che confermava la regola.
Ma alla Patria non importa se tu sappia leggere o meno, quando c’è bisogno di sparare e dar di baionette meno leggi e più utile sei alla causa. Fu così che il buon Manduzio venne sradicato dalle sue terre e mandato a combattere contro gli austriaci durante la Grande Guerra.
Se si è era fortunati si tornava integri dalla guerra, se si era “fortunati” non si tornava affatto, se difettavi di fortuna tornavi storpio. E per un bracciante tornare storpio significava fame nera. E se il soldato Manduzio difettò di fortuna, l’uomo Manduzio non difettava di intelletto e per guadagnarsi da vivere diventò cantastorie.
Iniziò a frequentare una congregazione evangelica denominata “I fratelli”, imparò a leggere e si applicò allo studio della Bibbia. Più leggeva e più si convinceva che cattolici ed evangelici s’erano allontanati dalle verità bibliche. Donato, aiutato anche da un immancabile visione, si convinse che l’unico vero Dio era il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma si convinse anche che il popolo ebraico era ormai un popolo estinto. Somma gioia si impadronì di lui quando un venditore ambulante di passaggio nel Gargano gli disse che esistevano ebrei ad Alessandria e a Torino. Tosto Manduzio prende carta e penna e gli scrive. Torino lo rinvia Roma, Roma in piena era fascista pensa che una lettera di tal sorta sia una provocazione del regime e risponde cautamente che gli ebrei non sono interessati al proselitismo. In ogni caso, Manduzio è invitato a rivolgersi agli ebrei di Napoli. Nel 1938 arrivano le famigerate leggi razziali, Manduzio e i suoi discepoli non hanno esitazioni, loro si sentono ebrei a tutti gli effetti, ma Roma gli comunica che la loro conversione non è stata ancora formalizzata, dunque non sono ebrei. La giovane comunità giudaica sannicandrese ci resta malissimo, ma tale presa di posizione di Roma probabilmente gli ha salvato la vita.
Nel 1943 arriva a Sannicandro un’armata di liberazione ebraica, recante sui carri armati la stella di David, emozione grandissima coglie Manduzio e la comunità ormai formata da oltre venti famiglie. Tuttavia i rapporti non sono facili, Manduzio predica un ebraismo misto a riti tradizionali della propria terra, al punto che alcuni giovani convertiti lo denunciano a Roma come apostata. Roma fa da paciere, e nel 1946 c’è formalmente la circoncisione di Manduzio e dei primi tredici discepoli, cui segue la Tebilah, l’immersione rituale dei proseliti nelle acque del mare Adriatico. La comunità di Sannicandro fa ormai parte a tutti gli effetti delle Comunità Ebraiche Italiane.
C’è una nazione da costruire Outremer, è il nuovo stato d’Israele, e i soldati con la stella di David invitano i sannicandresi convertiti a trasferirsi in blocco a Gerusalemme. Ma il Manduzio non è della stessa opinione, lui è legato alla sua terra, non vuole allontanarsene. Non possono abbandonare il loro Profeta, seppure in Palestina troverebbero condizioni economiche decisamente migliori.
Nel 1948 il Profeta muore, nessun ostacolo d’ordine morale si frappone alla partenza, e così gli ebrei sannicandresi partono per costruire una Nazione.
Oggi gli ebrei sannicandresi sono perfettamente integrati nello stato d’Israele, a Sannicandro abitano poche donne che mantengono viva l’epopea del profeta Manduzio.


Chi volesse leggere la storia degli ebrei sannicandresi può visitare:

http://www.cesnur.org/religioni_italia/e/ebraismo_03.htm
 
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