Raccontami le religioni

Sir

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Veramente bella la parte sui Celti Nicole, l'introduzione coglie appieno nel segno; pur essendo vicinissima a noi era una civiltà, sotto certi aspetti, diversissima dalla cultura greco/romano/germanica, e per questo particolarmente suggestiva e affascinante da studiare oggi. Porta veramente una "ventata di freschezza" e di rapporto empatico con la natura senza bisogno di tornare a tempi e culti remotissimi.

Vorrei aggiungere qualcosa alla presentazione del buddhismo fatta da Mary70 approfondendo il buddhismo Tibetano. Si tratta di una corrente che, confinata nelle alture isolate, ha avuto un'evoluzione particolare, meno ricettiva nei confronti della cultura indo-cinese e più influenzata dalle tradizioni del luogo; è tuttavia si è aperta all'occidente con risultati migliori di altre correnti sulla carta più "moderniste".
Personalmente la considero, ad oggi, l'interpretazione buddhista più ecumenica, ricca e fruttuosa anche per noi occidentali.


Buddhismo Tibetano

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La storia del Tibet - e la storia del buddhismo in Tibet - sono oggetto di notevoli controversie. Gli orientalisti vittoriani consideravano il buddhismo tibetano “corrotto” da elementi “superstiziosi” di origine pre-buddhista e tendevano a ignorarlo e svalutarlo, soprattutto a fronte della preferenza accordata alla scuola theravada. Non contribuiva a raccomandare il Tibet agli accademici il fatto che la Società Teosofica e altre organizzazioni esoteriche ne facessero la sede di mitici “Maestri ascesi”. Si può dire che - dopo l’invasione cinese del Tibet e la fuga del Dalai Lama e di migliaia di monaci in India e in Occidente a partire dal 1959 - la situazione si presenti oggi come quasi completamente rovesciata: il buddhismo tibetano è esaltato da molti come il vertice dell’intero buddhismo, sfuggito per secoli alla corruzione dovuta alle influenze occidentali che avrebbero invece contaminato il buddhismo indocinese, singalese e - più recentemente - anche giapponese. Solo negli ultimi anni sono emerse voci di studiosi che raccomandano una “via media”, libera da pregiudizi positivi o negativi di carattere ideologico.

La religiosità tibetana preesiste al buddhismo e nella sua forma tradizionale pre-buddhista è incentrata sul ruolo divino del monarca, sottolineato da elaborati rituali (specie funerari) al cui servizio si pongono diverse caste sacerdotali. A epoca pre-buddhista risale anche la nozione di la, forza vitale - talora associata al respiro - che può lasciare temporaneamente il corpo e anche distaccarsene completamente, causando diversi pericoli. Il la può anche risiedere nello stesso tempo nel corpo umano e in luoghi o realtà esterne (un animale, un lago, un albero) che risultano così collegate da una relazione di carattere “simpatico” alla persona (se l’albero dove pure risiede il la di qualcuno è abbattuto, la persona si ammala). Secondo la leggenda è durante il regno di Songtsen Gampo (che va dal 614 al 650) che due mogli del re - una cinese e una nepalese - importano in Tibet il buddhismo. Non ci sono conferme della storicità di questa tradizione e certamente pratiche condannate dal buddhismo come i sacrifici di animali continuano in Tibet ben oltre il VII secolo.

Alla fine dell’VIII secolo il re Tri Songdetsen (che regna dal 754 al 797) invita in Tibet il monaco indiano Santaraksita, che a sua volta richiede l’aiuto del maestro tantrico Padmasambhava (di cui si ignorano le date esatte di nascita e di morte) per resistere alla reazione delle vendicative divinità locali. In questo contesto il primo monastero buddhista tibetano è fondato a Samye nel 779. I primi maestri buddhisti trovano in Tibet un complicato pantheon di divinità benevole e malevole (anche le seconde, peraltro, suscettibili di essere “propiziate” e controllate). Come altrove, il buddhismo si sforza di integrare questo pantheon nella sua dottrina, distinguendo fra divinità “mondane” (sottoposte alla legge del karma e della reincarnazione) e “sopramondane” (libere dal ciclo del karma). Il Tibet, peraltro, presenta ai maestri buddhisti un universo particolarmente lussureggiante di spiriti, demoni e divinità legati alla geografia - alle montagne, ai laghi, alle caverne - insieme a leggende su Paesi segreti (il più famoso dei quali è Shambala) e tesori nascosti. Quest’ultima tradizione sarà appropriata dal buddhismo, che parlerà di terma, testi nascosti dai primi maestri come Padmasambhava in attesa di un futuro momento opportuno perché fossero scoperti. Al regno di Tri Songdetsen la tradizione fa risalire anche un dibattito dottrinale, che avrebbe avuto luogo nel 797, dove il monaco indiano Kamalasila avrebbe sconfitto il monaco ch’an cinese Mohoyen (di cui non si sa quasi nulla, forse un personaggio mitico), bloccando così una possibile influenza del buddhismo ch’an e zen in Tibet. Anche la storicità di questo dibattito pubblico è dubbia; la vicenda, tuttavia, allude simbolicamente alla prossimità culturale del Tibet all’India e all’ostilità verso la Cina (testimoniata da un’ampia letteratura popolare che si prende gioco della figura di Mohoyen).

La storia del buddhismo in generale prevede iniziali contatti con l’India, che in seguito sono interrotti. Nelle varie aree geografiche, molto dipende dall’epoca di introduzione del buddhismo. L’Asia Orientale ha ricevuto il buddhismo indiano prima del Tibet, in una forma dominata dai sutra (che non sono trattati o commenti sistematici, piuttosto presentazioni della dottrina in forma narrativa o allegorica). I trattati sistematici (sastra) sono stati scritti in gran parte in un’epoca in cui le traduzioni sistematiche di testi indiani in cinese erano cessate. I sastra, e con essi una “filosofia” buddhista corredata da una cosmologia e da una logica sistematica, sono invece presenti nel momento - più tardo - in cui il buddhismo arriva in Tibet nella sua forma mahayana. Si afferma quindi spesso che il buddhismo mahayana tibetano è incentrato sui sastra piuttosto che sui sutra. Non solo: quando il buddhismo arriva in Tibet accanto ai sutra e ai sastra si sono sviluppati (in gran parte fra il IV e il X secolo) i tantra, testi che offrono una via rapida all’illuminazione (in contrasto con il processo lunghissimo cui alludono i sutra) attraverso dottrine segrete, iniziazioni e tecniche.

Il buddhismo tibetano mette insieme così una dottrina basata sui sastra e una prassi influenzata dai tantra. L’elemento dottrinale dà importanza - secondo lo schema mahayana - alla possibilità per tutti di accedere allo status di buddha e alla figura del bodhisattva. Le pratiche devozionali sono pertanto di due tipi: da una parte, mirano a diventare un bodhisattva (voti di bodhisattva), dall’altra riguardano la venerazione dei principali bodhisattva (fra cui prominente è quello della compassione, Avalokitesvara - in tibetano Cenresig -, invocato con il famoso mantra Om mani padme um, sulla cui traduzione fervono accesi dibattiti fra gli specialisti). L’influenza tantrica fa sì che il buddhismo tibetano sia considerato, più propriamente, di scuola vajrayana: una scuola che si propone di abbreviare il tempo necessario a conseguire lo stato di buddha da milioni di anni a un termine breve indicato simbolicamente in tre anni e mezzo. Le vie indicate per ottenere questo risultato sono il rituale, la visualizzazione (in particolare di un elaborato palazzo o mandala, o di una divinità tutelare o yidam) e la meditazione. I tre elementi convergono nella pratica rituale chiamata sadhana. Importante è anche la figura del maestro: il termine indiano guru è stato tradotto in Tibet a partire dall’VIII secolo “lama”, un’altra parola la cui etimologia è oltremodo incerta (quanto al termine “lamaismo”, coniato da missionari e viaggiatori occidentali nel XIX secolo per designare il buddhismo tibetano, è oggi in genere rifiutato dagli studiosi per il suo originale significato peggiorativo).

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L’espressione “veicolo del diamante” o “della folgore adamantina” allude, tra l’altro, all’unione salda e indivisibile come il diamante fra la saggezza e il metodo, entrambi necessari per il cammino che conduce il bodhisattva allo stato di buddha. Poiché la saggezza è femminile e il metodo maschile, l’unione sessuale (fondamentalmente simbolica, ma anche fisica) la rappresenta in modo eminente, ed è questo uno degli aspetti del tantrismo che più hanno colpito gli osservatori occidentali (che ne hanno spesso deformato il significato). Un altro aspetto che è spesso oggetto di fraintendimenti è la presenza di divinità “adirate” o “terribili” rappresentate in una forma macabra e guerriera, che devono essere placate o propiziate. Gli orientalisti ottocenteschi - le cui idee si ritrovano talora ancora oggi nella letteratura divulgativa - ritenevano che si trattasse qui di sopravvivenza di un mondo religioso tibetano “sciamanico” e pre-buddhista. Oggi la maggior parte degli studiosi conclude che molte di queste divinità vengono dall’India e rappresentano i buddha e i bodhisattva nel loro aspetto “terribile” che allontana e distrugge l’arroganza e l’egoismo, a loro volta causa dell’ignoranza e della sofferenza.

La storia del Tibet dopo l’introduzione del buddhismo giustifica, da molti punti di vista, l’affermazione secondo cui la tradizione buddhista nel Paese himalayano è sostanzialmente lineare, continua e ininterrotta (almeno fino all’invasione cinese), ma non senza alcuni passaggi e svolte storiche importanti. Il tentativo di sopprimere i monasteri da parte del re Langdarma (che regna dall’836 all’842), con il successivo periodo di crisi del buddhismo, è stato forse sopravvalutato nei suoi effetti reali. Quello che è certo è che il buddhismo tibetano fiorisce nuovamente nell’XI secolo con la visita del maestro bengalese Atisa (982-1054), i cui discepoli fondano il primo ordine monastico tibetano, l’ordine kadampa. L’istituzione monastica è inseparabile dalla vita religiosa del Tibet. Prima dell’invasione cinese, dal dieci al quindici per cento della popolazione maschile era costituita da monaci (ma solo il tre per cento della popolazione femminile era costituita da novizie, dal momento che l’ordinazione femminile completa non si è mai radicata nel Tibet tradizionale, anche se è oggi presente nel buddhismo tibetano della diaspora con ordinazioni ricevute in ordini cinesi, a Taiwan o a Singapore).

L’importanza della vita monastica in Tibet è sottolineata da due fenomeni tipicamente tibetani. Il primo è la dottrina del tulku, o lama incarnato. La reincarnazione del maestro (lama) è diversa da quella delle persone ordinarie. Per le seconde, la reincarnazione è un’avventura sgradevole, rischiosa e imprevedibile cui si deve cercare se possibile di sfuggire. Per il lama, invece, la reincarnazione è volontaria: non avrebbe bisogno di tornare nel mondo ma lo fa - in modo del tutto consapevole - spinto dal nobile desiderio di aiutare gli altri. Dal XIV secolo si è diffusa in Tibet la pratica, quando un grande maestro muore, di identificare in un bambino la sua reincarnazione. Questa pratica è nota anche al grande pubblico occidentale per il Dalai Lama, ma prima dell’invasione cinese c’erano tremila lignaggi di questo genere (quasi tutti - con poche eccezioni - maschili) e molti sono continuati in Tibet o nella diaspora (con il fenomeno, che ha attirato l’attenzione anche della letteratura e del cinema, di reincarnazioni di maestri tibetani identificate in bambini occidentali). Il secondo aspetto che sottolinea l’importanza del monachesimo tibetano è il ruolo svolto da monaci provenienti dal Tibet nella diffusione del buddhismo alla corte dei khan mongoli. Ed è grazie alla protezione e al patrocinio mongolo che nel 1642 il quinto Dalai Lama (1617-1682) si insedia come massima autorità politica in Tibet, così di fatto unificando il potere politico e religioso dopo la crisi della monarchia. Il supporto ideologico di questa svolta è un rinnovato culto del bodhisattva Avalokitesvara, che rappresenta la grande compassione e di cui il Dalai Lama è considerato l’incarnazione. Il quinto Dalai Lama proclama anche il suo maestro incarnazione del Buddha della Luce Infinita, Amitabha, creando per lui il ruolo di Panchen Lama, con sede nel monastero di Tashilhunpo, che rappresenta l’autorità religiosa, mentre la sede del governo e del Dalai Lama è stabilita a Lhasa, dove è costruito il Potala (che prende il nome dal mitico palazzo di Avalokitesvara, il Potalaka).

Il Dalai Lama - a proposito del quale i paralleli con il Papa cattolico risalgono già a missionari seicenteschi e sono duri a morire, per quanto severe siano le critiche degli specialisti accademici -, nonostante il suo più ampio potere politico (sopravvissuto all’invasione cinese e all’esilio), non è propriamente il leader religioso di tutto il buddhismo né tanto meno di tutto il buddhismo tibetano, ma del “sistema” geluk, anche se tutte le scuole ne hanno grande rispetto. Il buddhismo tibetano è organizzato in chos lugs, un’espressione tradotta in Occidente con “ordine”, “scuola” o “setta”: ma nessuna di queste traduzioni è considerata soddisfacente dagli specialisti contemporanei, alcuni dei quali suggeriscono appunto l’espressione - anche letteralmente più appropriata - di “sistema”. Il più antico fra tutti i “sistemi” sarebbe, in teoria, quello bon, ma solo se si considera la religione bon parte del buddhismo. Non la ritengono tale né gli aderenti della religione bon (i bonpo) - per i quali il buddhismo è una religione “straniera” che ha causato la decadenza del regno del Tibet - né i buddhisti, per cui i bonpo rappresentano la sopravvivenza di un mondo pre-buddhista legato a tendenze animiste e agli aborriti sacrifici di animali. Neppure questa seconda interpretazione può essere peraltro condivisa senza riserve. È vero che i bonpo considerano il loro mitico fondatore, Shenrap, illuminato fin dalla nascita, superiore al Gautama Buddha storico, e idealizzano il passato tibetano pre-buddhista; tuttavia, la loro tradizione è stata talmente influenzata dal buddhismo da non potersi ritenere che si tratti oggi di una forma “pura” e pre-buddhista dell’ethos tibetano. La loro sistematizzazione come tradizione infatti è propriamente post-buddhista e mutuata dal modello buddhista già più strutturato.

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Buddhismo Tibetano

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Fra i “sistemi” certamente buddhisti, il più antico è quello nyingma (il cui nome significa, appunto, “antico”) che si afferma fondato dallo stesso Padmasambhava. Il “sistema” nyingma insegna nove “veicoli”, il più elevato e complesso dei quali è lo Dzogchen o Dzog-Chen (“Grande Perfezione”), uno stato libero dal dualismo di soggetto e oggetto che appartiene alla mente in modo originario. La mente ha però creato il mondo delle apparenze e della sofferenza, e si è convinta che questo mondo è reale. Lo Dzogchen - e il “sistema” nyingma in genere - non mirano a “liberare” la mente, perché essa è in realtà già libera: deve soltanto eliminare gli ostacoli che le impediscono di riconoscere la sua vera natura. Alla scuola “antica” nyingma (che peraltro riconosce non solo testi antichi ma anche testi proclamati di origine antica ma riscoperti molti secoli dopo come “tesori nascosti” - e talora riscoperti non fisicamente ma mentalmente) si contrappongono i “sistemi” “nuovi” (gsarma): kagyu, sakya e geluk.

Il “sistema” kagyu fa risalire le sue origini a Marpa (1012-1099) e al suo discepolo Milarepa (1040-1123), la cui vita è al centro di un’ampia letteratura, in gran parte di carattere leggendario. I seguaci di un discepolo di Milarepa, Gampopa (1079-1153), fondano le dodici scuole kagyu, la più importante delle quali è la scuola karma kagyu, retta da una successione di lama incarnati chiamati Karmapa. Nel “sistema” kagyu il “Grande Sigillo” (mahamudra) ha un ruolo simile alla “Grande Perfezione” dello Dzogchen. È uno stato di perfezione che si trova fin dal principio nella mente, ma è normalmente oscurato dall’illusoria percezione del soggetto e dell’oggetto come reali. La scuola kagyu o della tradizione orale ha sviluppato fortemente le tecniche meditative che assumono il posto centrale nella trasmissione. Come Marpa, anche la figura che è alle origini nel “sistema” sakya, Drokmi Shakya Yeshe (992-1074), è un traduttore; ma la figura per cui il “sistema” è noto è un maestro della logica e della filosofia buddhista, Sakya Pandita (1181-1251) che nel 1244 introduce il buddhismo tibetano alla corte mongola. Qui il “sistema” sakya è però sostituito nel XVI secolo dal “sistema” geluk, di origine più recente e che considera come suo fondatore Tzong Khapa (1357-1419). Il suo discepolo Gendundrup (1391-1474) è considerato il primo Dalai Lama. I gelukpa si affermano - e finalmente accedono al potere politico su tutto il Tibet - grazie alla loro eccellenza come interpreti della filosofia buddhista e all’organizzazione di grandi monasteri, in particolare le “tre sedi” di Sera Me, Ganden e Drepung (quest’ultimo, prima dell’invasione cinese, è insieme l’“università” del buddhismo geluk e il più grande monastero buddhista del mondo, con oltre tredicimila monaci).


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La storia recente del buddhismo tibetano è segnata dall’invasione cinese, dalla fuga del Dalai Lama a Dharamsala, in India, nel 1959, e dalla diaspora che porta in esilio oltre centomila tibetani (la maggior parte dei quali vivono in India e in Nepal). Si calcola che almeno altrettanti siano periti o siano stati uccisi mentre cercavano di lasciare il Tibet - particolarmente nel periodo sanguinoso della rivoluzione culturale - e che un milione (su una popolazione originaria di sei milioni) siano morti in Tibet come risultato di una gamma di politiche cinesi che sono andate dalla persecuzione fisica alla disorganizzazione sistematica della vita economica e sociale. Dal 1959 al 1979 il buddhismo tibetano è stato sistematicamente perseguitato e molti monasteri sono stati distrutti. A partire dal 1979 gode di una maggiore tolleranza, ma le sue condizioni rimangono precarie e alcuni monasteri sono tenuti in vita - con un numero ridotto di monaci e con una pratica impossibilità di perseguire la complessa educazione monastica tradizionale - soprattutto per rispondere alle critiche occidentali e per attirare turisti.

In gran parte il buddhismo tibetano vive in Occidente, dove si sono rifugiati oltre cinquemila monaci, che in genere rappresentano l’élite del mondo monastico tibetano dal punto di vista sociale e intellettuale. Il Dalai Lama - pure nella delicata posizione di chi deve cercare da una parte di non perdere il contatto con le peculiari e millenarie tradizioni tibetane, dall’altra di presentare la religione buddhista in una forma (“modernista”) accettabile agli occidentali - è emerso come il principale ambasciatore del buddhismo, non solo tibetano, nel mondo. Alcune controversie recenti (come quella sorta intorno alla venerazione di una divinità protettrice, Dorje Shugden, vietata dal Dalai Lama e coltivata anche in Occidente dal movimento chiamato New Kadampa Tradition) ricordano peraltro come questo ruolo sia tutt’altro che facile. In ogni caso, la presenza di monaci tibetani in numerosi Paesi dell’Occidente, Italia compresa, ha contribuito grandemente alla conoscenza del buddhismo tibetano e - più in generale - alla possibilità per gli occidentali di entrare in contatto con autentici maestri buddhisti: una conseguenza non prevista, e certamente non voluta, dell’invasione e della politica di repressione cinese in Tibet.



B.: In italiano si potrà partire dalla classica opera di Giuseppe Tucci, Le religioni del Tibet, di cui un’edizione recente è quella negli Oscar Saggi, Mondadori, Milano 1994. Sui problemi del buddhismo tibetano e della sua rappresentazione in Occidente: Donald S. Lopez, Prisoners of Shangri-La. Tibetan Buddhism and the West, University of Chicago Press, Chicago-Londra 1998; di Idem, cfr. inoltre Il buddhismo tibetano, Elledici, Leumann (Torino) 2003.

Aggiunta personale: si trovano in commercio molti libri dell'attuale Dalai Lama; alcuni più discorsivi e adatti per i "principianti", altri più tecnici ed esaurienti per chi già conosca l'argomento. Consiglio un'edizione Il Saggiatore Tascabili, "La via della liberazione", che contiene tre saggi.



www.cesnur.org/religioni_italia/
 

Mary70

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Zoroastrismo

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Faravahar, spirito guardiano, uno dei simboli principali dello Zoroastrismo

Zoroastrismo è il nome dato ad una delle più antiche religioni e la più importante e meglio nota dell'Iran antico o preislamico.

Prende il nome da quello del suo fondatore Zoroastro (Zarathustra) vissuto in Persia approssimativamente tra il VII ed il VI secolo a.C. Lo Zoroastrismo si presenta come una versione riformata di una precedente tradizione religiosa persiana, caratterizzata da numerosi elementi in comune con la religione vedica indiana. L'altro nome con il quale lo Zoroastrismo è conosciuto, Mazdeismo, deriva dal nome della principale figura divina, Ahura Mazda.

Lo Zoroastrismo è stato per secoli la religione dominante in quasi tutta l'Asia centrale, dal Pakistan all'Arabia Saudita, fino alla rapida affermazione della religione islamica nel VII secolo. Il costante declino nei secoli successivi vide un brusco cambiamento di direzione negli anni Novanta, caratterizzati da un'inaspettata e repentina crescita della religione zoroastriana. Negli ultimi anni le tendenze hanno tuttavia nuovamente cambiato marcia: le ultime statistiche presentano un numero di 200.000 fedeli in continua discesa, ed è diffusa l'opinione secondo cui lo Zoroastrismo potrebbe estinguersi nel giro di pochi anni.

Lo Zoroastrismo combina elementi di monoteismo e dualismo. Molti studiosi moderni ritengono che questa religione abbia avuto una larga influenza sulle religioni abramitiche e su Mitraismo, Manicheismo e Mandeismo.

Il libro sacro dello Zoroastrismo è l'Avesta. Di questo testo solamente i Gatha (gli inni) sono attribuiti a Zoroastro.

Nodo centrale della religione è la costante lotta tra Bene e male. Agli inizi della creazione, il Dio Supremo ("Ahura Mazda") che significa dal sanscrito "Grande Divinità", è caratterizzato da luce infinita, onniscienza e bontà; è opposto ad Angra Mainyu (o Ahriman) uno spirito malvagio delle tenebre, violenza e morte.

Il conflitto cosmico risultante interessa l'intero universo, inclusa l'umanità, alla quale è richiesto di scegliere quali delle due vie seguire. La via del bene e della giustizia ("Asha") porterà alla felicità ("Ushta"), mentre la via del male apporterà infelicità, inimicizia e guerra.

Sono legati alla dualità di bene e male anche i concetti di Paradiso, Inferno e giorno del giudizio. Dopo la morte l'anima della persona attraversa un ponte ("Chinvato Peretu") sul quale le sue buone azioni sono pesate con quelle cattive. Il risultato decreta la destinazione dell'anima nel paradiso o nell'inferno. Quando alla fine dei giorni il male sarà definitivamente sconfitto, il cosmo verrà purificato in un bagno di metallo fuso e le anime dei peccatori saranno riscattate dall'inferno, per vivere in eterno, entro corpi incorruttibili, alla presenza di Ahura Mazda

Lo Zoroastrismo, nel tempo diffusosi soprattutto tra i popoli iranici d'Europa (Sciti e Sarmati, per esempio) e d'Asia, fu la religione favorita dalle due grandi dinastie dell'antica Persia, gli Achemenidi ed i Sasanidi. Comunque, poiché non sono sopravvissute fonti scritte persiane contemporanee di quel periodo, è difficile descrivere la natura dell'antico Zoroastrismo in dettaglio.

La descrizione di Erodoto della religione persiana include alcune caratteristiche proprie dello Zoroastrismo, come l'esposizione dei morti. I re achemenidi riconobbero la loro devozione ad Ahura Mazda nelle iscrizioni; comunque essi furono anche partecipi dei rituali religiosi locali a Babilonia e in Egitto, ed aiutarono gli Ebrei a ritornare nella loro terra natia, ricostruendo i loro templi, fatti che sembrano escludere che ci fosse stata da parte loro una imposizione dell'ortodossia religiosa sui sudditi. Secondo tradizioni tarde, molti dei sacri testi andarono perduti quando Alessandro Magno distrusse Persepoli e rovesciò il regno achemenide negli anni successivi al 330 a.C.

È opinione comune che i tre saggi che vennero dall'Impero persiano per portare doni a Gesù Cristo fossero Magi zoroastriani.

Quando la dinastia sasanide prese il potere in Iran nel 228, essi promossero l'utilizzo della loro religione zoroastriana. Molte fonti cristiane del periodo in questione informano che i re sasanidi perseguitarono i Cristiani in Persia. Comunque non sembra che il Cristianesimo sia stato proibito come religione nel periodo preso in esame.
Molti storici credono che i Sasanidi in un primo momento si opposero al Cristianesimo, per i suoi vincoli con l'Impero romano, e perciò durante il periodo considerato la chiesa nestoriana fu tollerata e anche a volte favorita dalla dinastia imperante. Quando l'impero sasanide si impossessò delle province romane vi costruirono spesso templi di fuoco. Inoltre sempre nell'era sasanide divenne popolare la credenza che Ahura Mazda e Angra Mainyu fossero figli del dio del tempo Zurvan; tale credenza si diffuse nel tempo e diede origine alla corrente detta zervanismo.

Dal VI secolo lo Zoroastrismo si espanse nella Cina settentrionale, attraverso la via della seta, ottenendo uno status di ufficialità in alcuni stati cinesi. Templi zoroastriani rimasero fino almeno al 1130 circa nelle regioni del Kaifeng e Zhenjiang, ma dal XIII secolo la religione gradatamente perse importanza nel panorama religioso cinese.

Nel VII secolo la dinastia sasanide fu abbattuta dagli Arabi musulmani e gli Zoroastriani ottennero lo status di ‘Popolo del Libro (arabo Ahl al-Kitāb) da parte del Califfo ʿUmar b. al-Khaṭṭāb. Comunque, l'uso dell'Avesta antico e delle lingue persiane fu proibito. I conquistatori islamici considerarono gli insegnamenti di Zoroastro come un culto politeistico. Lo Zoroastrismo, che una volta era stato una religione dominante in una regione che andava dall'Anatolia al Golfo Persico e all'Asia centrale, non ebbe un potente campione straniero, come fu l'Impero bizantino per il Cristianesimo, e lentamente perse la sua influenza.

Nell'VIII secolo un gran numero di iranici devoti al culto zoroastriano emigrarono in India, dove trovarono rifugio presso Jadav Rana, un re indù dell'attuale provincia di Gujarat, ma a condizione che si astenessero da attività missionarie e si sposassero tra loro. Anche se le restrizioni sono vecchie di secoli, ancora oggi i Parsi, così si chiamano in India i devoti dello Zoroastrismo, non fanno proselitismo e sono endogamici.

Principi dello Zoroastrismo moderno

Alcuni fra i concetti maggiori zoroastriani:

1. La filosofia zoroastriana è simbolizzata da uno dei principali motti della religione: "Buoni pensieri, buone parole, buone opere".
2. Parità sessuale. Uomini e donne hanno uguali diritti all'interno della società.
3. Attenzione per l'ambiente. La natura svolge un ruolo centrale nella pratica dello Zoroastrismo. Le più importanti feste annuali zoroastriane riguardano celebrazioni della natura: il nuovo anno nel primo giorno di primavera, la festa dell'acqua in estate, la festa d'autunno alla fine della stagione, la festa del fuoco in mezzo all'inverno.
4. Lavoro e carità. Pigrizia e lentezza sono malviste. La carità è vista come opera buona.
5. Condanna dell'oppressione tra esseri umani, della crudeltà verso gli animali e del sacrificio degli animali. Punti nodali della religione sono l'eguaglianza di tutti gli esseri senza distinzione di razza o credo religioso e rispetto totale verso ogni cosa.
6. Liturgia. Nello Zoroastrismo l'energia del creatore è rappresentata dal fuoco. I devoti del culto solitamente pregano alla presenza di qualche forma di fuoco (o davanti a fonti di luce). Il fuoco comunque non è oggetto di venerazione, ma è utilizzato semplicemente come simbolo e punto centrale del culto zoroastriano. Anticamente la funzione principale del culto era lo 'Yasna', il sacrificio dell'haoma, pozione a base di erba, bevuta come liquido sacrificale mentre veniva compiuta una serie complessa di rituali. Tale pratica fu osteggiata da Zarathustra. I seguaci dello Zoroastrismo pregano cinque volte al giorno.

Altri concetti:

1. Matrimonio interreligioso e proselitismo. Gli Zoroastriani non hanno attività missionaria e i Parsi conservatori non accettano le conversioni, mentre i Parsi "liberali" e molti Zoroastriani della diaspora europea e americana le ammettono. In India, i Parsi hanno l'abitudine di sposarsi tra consanguinei. In Iran, a causa della discriminazione tuttora esistente, il matrimonio tra devoti di religioni diverse non è ufficialmente incoraggiato dalle autorità.
2. Morte e sepoltura. I rituali religiosi connessi con la morte sono concentrate sull'anima della persona e non sul corpo, considerato impuro. Alla morte, l'anima lascia il corpo dopo tre giorni. Nei tempi antichi il cadavere veniva esposto in luoghi aperti e sopraelevati, chiamati torri del Silenzio, dove l'avrebbero mangiato gli avvoltoi. Anche gli imperatori persiani quali Dario, Ciro, Serse e Artaserse, in quanto zoroastriani, sono stati spolpati dagli avvoltoi prima di essere sepolti nei rispettivi sepolcri a Persepoli e a Naqs-i-Rustam. La tradizione dell'esposizione dei cadaveri è attualmente seguita solamente dai Parsi. Gli Zoroastriani dell'Iran ricorrono alla cremazione elettrica o all'inumazione (in tal caso la bara è posta nel cemento per proteggere la purezza della terra).

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Zoroastro era originario dell'Atropatena che è l'attuale Azerbaigian. Dopo l'occupazione islamica i seguaci azeri hanno sofferto molto perché non accettavano la nuova religione, ma volevano mantenere le loro tradizioni religiose legate al fuoco sacro, preferivano morire piuttosto che convertirsi all'islam, allora i musulmani permisero ai seguaci dello zoroastrismo di rimanere nella loro fede solo pagando una "tassa dell'anima": si trattava di una tassa molto alta, al cui mancato pagamento, i soldati arabi portavano via tutti gli animali e proprietà della persona, poi schiavizzavano i figli ed infine la persona stessa che perdeva la libertà totalmente. Ovviamente si potevano evitare tutte queste complicazioni diventando subito musulmani, ma molti azeri hanno preferito la resistenza fino all'ultimo e sono letteralmente stati forzati a diventare musulmani rimanendo costretti a scegliere tra la libertà dell'"anima" e la libertà di religione. Per questo gli arabi ai tempi soprannominarono gli azeri come "musulmani di spada", perché convertiti a forza di sangue e morte. Finora il popolo comunque mantiene molte tradizioni di culto zoroastriano come le feste principali in primavera che viene considerata come l'inizio del nuovo anno, della vita, la vittoria del bene sul male, della luce, cioè del sole (simbolo del Bene/Dio) sulle tenebre. Il giorno della festa è l'ultimo martedì prima del solstizio di primavera, cioè prima del 21 marzo. La notte di quel martedì viene considerata magica, e alcuni credono che possano accadere dei miracoli (notare la somiglianza con la notte di Natale). Quel giorno bisogna fare pace con i nemici e chiedere perdono a coloro che si sono offesi. La gente si veste con indumenti belli e nuovi, secondo la tradizione, i bambini bussano alle porte lasciando davanti un sacco per qualche dono e poi si nascondono. Per la tradizione, quel giorno non si può mandare indietro nessuno senza un dono, anche se non si sa chi bussa alla porta. Poiché se fosse anche un nemico, deve ricevere solo del bene nel giorno sacro. Sul tavolo si mettono dei dolci a forma di sole (rotondo, giallo-rosso), stella (un rombo con 4 punte che sarebbero collegate attraverso un punto centrale il quale ricorda molto la croce, e forse per questo si suppone che i re magi erano zoroastriani che avevano visto la stella nascente di Dio, quindi erano arrivati da Gesù seguendo quella stella) ed infine un dolce a forma di mezzaluna, quindi i corpi celesti su quale si basa il calcolo del giorno della festa. Inoltre mettono sul tavolo di festeggiamento delle uova colorate che ricordano molto le uova di Pasqua decorate tipiche dei paesi cristiano-ortodossi. Si prepara il pesce, che secondo alcune fonti è simbolo di Ahura Mazda vincente. Tutti questi dettagli e anche il periodo di festeggiamento ci ricordano molto la Pasqua, che potrebbe avere qualche origine comune con la festa zoroastriana. Durante i festeggiamenti si salta sopra il fuoco che simboleggia la liberazione dai peccati, dal male, dalle malattie che vengono lasciate bruciare nel fuoco sacro. Questo rito prende origine dal credo zoroastriano circa il ponte per paradiso: dopo la morte l'anima passa sopra quel ponte sottile quanto un capello, se l'anima è innocente, passa senza problemi ed entra nel paradiso, altrimenti l'anima è appesantita dai peccati cade nel fuoco purgatorio dell'inferno che si trova sotto il ponte. Non casualmente il nome "Azerbaigian" ha un significato collegato al fuoco, letteralmente significa "la terra di fuoco,delle anime di fuoco". Nella capitale Baku si trova un antico tempio di fuoco Ateshgah, meta di credenti provenienti fino dall'India attraverso la Via della Seta, che giungevano qui per pregare e meditare davanti all'eterno fuoco sacro che esce dalla terra.

Attualmente comunità zoroastriane si possono trovare soprattutto in India, Pakistan e Iran. La diaspora zoroastriana comprende due gruppi principali: i Parsi di ambiente sud-asiatico e gli Zoroastriani dell'Iran.
Tempio zoroastriano a Yazd in Iran

Questi ultimi sono sopravvissuti in Iran a secoli di persecuzioni, come altre minoranze religiose. Comunità zoroastriane esistono a Teheran, a Yazd e a Kerman, dove molti parlano ancora un dialetto diverso dalla lingua iranica. Essi chiamano la loro lingua Dari.

I Parsi nell'Asia meridionale hanno goduto, invece, di una relativa tolleranza. I Parsi sono famosi per le attività svolte nel campo dell'educazione e sono diventati una specie di casta economicamente forte all'interno della società indiana.

C'è inoltre un crescente interesse fra le popolazioni Curde, soprattutto quelle del Tagikistan e Kazakistan, per l'antica eredità zoroastriana. Infatti, l'UNESCO (su pressione del governo del Tagikistan) ha proclamato il 2003 anno della celebrazione del "3000° anniversario della cultura zoroastriana" con manifestazioni speciali in tutto il mondo.

Piccole comunità zoroastriane esistono nei maggiori centri urbani degli Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Australia e in altri paesi. In Italia esiste da alcuni anni una minuscola diaspora zoroastriana, coordinata da Michele Moramarco, che ha ricevuto il navjote (l'iniziazione alla religione) nel 2003. La popolazione mondiale di zoroastriani è stimata tra le 180.000 e le 250.000 unità. Di questi 70.000 circa sono Parsi dell'India.
 
Ricollegandomi allo Zoroastrismo postato da Mary70.
Ad Hamadan c'è ancora un tempio del fuoco. Il fuoco è sacro per gli zoroastriani. Parimenti anche la terra è sacra, il cadavere invece è impuro e se bruciato contaminerebbe il fuoco, se inumato contaminerebbe la terra. Il problema fu risolto con le torri del silenzio. Il cadavere veniva esposto su dei catafalchi di legno, alla mercè degli uccelli rapaci, i quali non toccando terra non la contaminano. Restavano su quei catafalchi fino ad essere spolpati totalmente.
 

Mary70

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Bahá'í
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La fede bahá'í (بهائي‎) è una religione monoteistica nata in Iran durante la metà del XIX secolo, i cui membri seguono gli insegnamenti di Bahá'u'lláh (1817-1892), il fondatore.

La religione bahai conta circa 7 milioni di fedeli sparsi in oltre duecento Paesi e territori di tutto il mondo. Gli aderenti alla fede bahá'í sono chiamati Bahá'í.

Storia

La fede bahá'í è una religione monoteistica autonoma che deriva dal babismo, diramazione eterodossa dell'Islam sciita. È sorta in Persia nel XIX secolo e il fondatore della fede Bahá'í è stato Bahá'u'lláh (1817-1892), nobile persiano che per quarant'anni soffrì prigionia ed esilio, considerato dai bahai l'ultimo in ordine di tempo (ma non definitivo) profeta che è il titolo riservato dai bahá'í a personaggi come Isaia, Daniele o Amos ed altri biblici. Per le persone del Báb e di Bahá'u'lláh i bahá'í riservano lo stesso titolo che danno ad Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Krishna, Buddha, Gesù, Maometto e Zoroastro e cioè manifestazioni divine e cioè esseri speciali dotati di corporeità umana ma la cui anima è manifestazione del Logos da non confondersi, però, con Dio altissimo vero e proprio che non condivide la sua sostanza infinitamente più alta con le manifestazioni del Logos: insomma gli uomini sono cosa distinta per essenza dalle Manifestazioni che a loro volta sono cosa distinta per essenza da Dio propriamente detto. I bahá'í fanno l'esempio dello specchio: Dio è come il sole, le Manifestazioni divine sono come lo specchio che riflette il sole; gli uomini vedono il sole attraverso lo specchio. Bahá'u'lláh era un seguace del Babismo, un nuovo movimento religioso indipendente nato nell'ambiente islamico. Nel 1844 a Shiraz in Persia un giovane mercante, soprannominato in seguito il Bāb (in arabo e persiano = la porta), aveva annunciato la venuta del grande educatore universale tanto atteso. Questo profeta, che dava fastidio all'ambiente clericale islamico, nel 1850 venne martirizzato ("settecentocinquanta colpi sono stati tirati su di lui, ma il Báb non era morto"). Analoga sorte venne riservata ai suoi discepoli. Il suo corpo venne trasportato sul monte Carmelo sotto la direzione di Bahá'u'lláh e dopo essere rimasto nascosto per anni in vari luoghi segreti onde sottrarlo allo scempio dei suoi nemici.

Nel 1863 uno dei seguaci del Báb, un nobile persiano di Teheran, prese il nome di Bahá'u'lláh (letteralmente la Gloria di Dio) e rivelò di essere il promesso annunciato dal Báb. Perseguitato e costretto all'esilio, morì in prigionia nel 1892. Il suo corpo riposa nella tomba a Bahjí, poco distante da Akká in Palestina, e perciò vicinissimo al monte Carmelo, ed è, per i bahá'í, il Punto di Adorazione a cui si volgono durante alcune loro preghiere specialmente dedicate. A Haifa, città ai piedi del Carmelo, è stato eretto il mausoleo del Báb che è uno dei due luoghi sacri più importanti della religione bahá'í. Vicino a Haifa, e cioè a Bahjí presso Akka, riposa il corpo di Bahá'u'lláh e la Sua sepoltura è l'altro dei due più importanti luoghi sacri della fede Bahá'í. Questi due luoghi sono sacri al massimo e identico grado per i bahá'í perché sia il Báb che Bahá'u'lláh sono per loro le manifestazioni divine gemelle per questa era. Alcune sue opere sono Il libro più santo, Il libro della certezza, Le sette valli, Le parole celate. I bahá'í considerano il periodo compreso tra la dichiarazione del Báb nel 1844 e la scomparsa nel 1921 di 'Abdu'l-Bahá come l'"età eroica" della fede. Durante questo periodo i primi credenti sperimentarono grandi persecuzioni e furono poste le loro fondamenta in numerosi Paesi nel mondo. Il periodo successivo al 1921 viene descritto come l'"Età formativa". Shoghi Effendi (1897 - 1957) caratterizzò quest'era come coincidente con l'emergere della religione bahá'í dall'oscurità, attraverso lo stabilirsi della "maturazione" delle sue istituzioni amministrative e grazie all'espansione del credo in tutto il mondo. Shoghi Effendi, interpretando fedelmente gli scritti di Bahá'u'lláh, indicò che l'età formativa sarebbe stata seguita da una situazione di crisi mondiale tale da costringere i popoli e le nazioni — sebbene ancora incoscienti della grandezza della fede Bahá'í — a rivedere i loro concetti di politica internazionale fondando una confederazione mondiale, dotata di vero governo mondiale espressione di un vero parlamento mondiale eletto dai popoli del mondo e non dai loro governi, e dotata, inoltre, di un tribunale internazionale per dirimere le contese di interessi tra nazioni ed evitare la guerra con sentenze vincolanti fatte valere da uno stabile esercito mondiale con totale abolizione degli eserciti nazionali da esso sostituiti; questa situazione di unità confederale mondiale e semplice cessazione della guerra è definita "Pace Minore" a cui poi, nei secoli, seguirà una futura età d'oro in cui la religione bahá'í sarà abbracciata dalla maggioranza delle persone in un gran numero di stati confederati del mondo e che viene chiamata "Pace Maggiore" e nella quale l'unità mondiale non sarà solo istituzionale e confederale ma anche sentita dai popoli come parte ed espressione dell'unità divina.

Dottrina

Il principio fondamentale della fede bahá'í è che la rivelazione religiosa non è assoluta, ma relativa. Il messaggio essenziale di Bahá'u'lláh è quello dell'unità: c'è un unico Dio inconoscibile, che progressivamente si rivela all'umanità attraverso il suo verbo che si manifesta nei vari messaggeri divini. Tutte le religioni sono viste come stadi della rivelazione della volontà e degli scopi di Dio. Per questo motivo, anche se la religione bahá'í non è tradizionalmente inclusa nelle religioni di Abramo, ne riconosce tutti i protagonisti. La Rivelazione Divina è un processo ininterrotto e progressivo; tutte le grandi religioni del mondo hanno origine divina, i loro insegnamenti sono sfaccettature di un'unica verità. La fede Bahá'í afferma quindi che esiste un solo Dio e che esiste una sola religione; tutte le Manifestazioni di Dio fanno parte dell'identica catena di Rivelazioni Divine e sono stati inviati sulla terra per educare l'umanità. I suoi credenti considerano la vita di Bahá'u'lláh, le sue opere e la sua influenza pari a quelle delle altre Manifestazioni di Dio, come per esempio Abramo, Krishna, Mosè, Zoroastro, Buddha, Cristo e Maometto. I bahá'í considerano il loro iniziatore, nella successione dei Messaggeri Divini, il più recente. Lo scopo ultimo della religione bahá'í è l'unità del genere umano e la pace universale. Dice Bahá'u'lláh in un Suo scritto: "La Terra è un solo paese e l'umanità i suoi cittadini". La fede tende all'instaurazione di una comunità mondiale in cui tutte le religioni, razze, credenze e classi siano unite, mantenendo tuttavia la loro indipendenza e diversità. Secondo Bahá'u'lláh una società globale per poter fiorire deve basarsi su certi principi fondamentali, che includono: la libera indipendente ricerca della verità, l'eliminazione di tutte le forme di pregiudizio; piena parità di diritti tra uomo e donna; riconoscimento della unicità essenziale delle grandi religioni mondiali; unicità di Dio, eliminazione degli estremi di povertà e ricchezza; istruzione universale; armonia tra religione e scienza; equilibrio sostenibile tra natura e tecnologia; una lingua ausiliaria universale e lo stabilirsi di un sistema federativo mondiale, basato sulla sicurezza collettiva.
Vari simboli religiosi sulla colonna di un tempio bahá'í, che sintetizzano l'unità della religione, propugnata dalla fede Bahá'í.

Stile di vita


Preghiera e meditazione personale, coinvolgimento in attività volte alla pace mondiale e al rispetto dei diritti dell'uomo. Digiuno da cibi solidi e liquidi annuale di diciannove giorni dall'alba al tramonto tra il 2 e il 20 marzo, a differenza degli islamici che lo fanno per ventinove giorni. Astensione dall'attivismo partitico e dalla semplice iscrizione ai partiti; rispetto per i governanti e obbedienza alle leggi in vigore nel paese di residenza tranne nel caso di richiesta di abiura della fede - caso non ipotetico poiché in taluno stato islamico ciò viene richiesto ai bahá'í spesso sotto minaccia di pena capitale, come sta avvenendo in questo momento in Iran, dove si vuole introdurre la pena di morte per apostasia. Unità nella diversità. Lavoro non visto come fonte di mero guadagno ma come atto di culto, se fatto in spirito di servizio all'umanità. Introduzione di un nuovo calendario solare (calendario Badì), composto di diciannove mesi, di diciannove giorni ciascuno, cui si aggiungono (di volta in volta, a seconda se l’anno è bisestile o meno) quattro o cinque giorni, definiti “giorni intercalari”. Apporto alla vita comunitaria attraverso le feste del diciannovesimo giorno (in concomitanza con l'inizio di ogni nuovo mese) e alla democrazia consiliare elettiva interna attraverso le elezioni annuali dell'assemblea spirituale locale (a suffragio universale, per i maggiori di 21 anni, che non prevedono campagne pubblicistiche, in quanto devono essere elette persone in cui spiccano qualità spirituali), istituzione che guida le comunità locali in ogni località che presenti almeno 9 baha'i. Ne consegue la inesistenza tra i bahá'í di qualsiasi forma di clero professionale.

Struttura


La fede Bahá'í è la più giovane tra le religioni organizzate. La comunità mondiale è costituita da una rete di consigli locali, nazionali ed internazionali. Ha un unico sistema di amministrazione globale, con consigli governativi elettivi in più di diciottomila località. Riconosciuta dall'ONU come organizzazione internazionale, la sede centrale è a Haifa sulle falde del monte Carmelo dove risiede la Casa Universale di Giustizia che è un consiglio formato da nove credenti eletti ogni cinque anni, con elezioni a scrutinio segreto e senza candidature da una convenzione internazionale di delegati di tutte le nazioni eletti a loro volta nelle nazioni con lo stesso metodo. La religione bahá'í ha resistito con successo all'impulso di frazionarsi in sette, mantenendo la sua unità a dispetto di una storia turbolenta quanto quella di altre religioni dell'antichità, grazie alle linee guida del Centro del Patto, cioè la Casa Universale di Giustizia. I bahá'í hanno avviato numerosi progetti di sviluppo economico e sociale in varie parti del mondo.

L'ufficio di sacerdote non esiste nella religione. È solito accogliere i fedeli nella propria abitazione per le feste sacre; tuttavia esistono dei templi che si trovano in Germania, India, Panama, Samoa, Australia, Uganda, Illinois e uno in fase di costruzione in Cile, oltre al complesso ad Haifa, Israele.
 

Sir

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Andiamo avanti con gli antichi abitanti delle mie terre...:mrgreen:


Religione Etrusca

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Introduzione


Gli autori latini erano concordi nel definire gli etruschi un popolo religiosissimo esperto nell'arte divinatoria. Ebbero infatti un'articolata letteratura religiosa, oggi purtroppo irrimediabilmente perduta. Esistevano una serie di rigide regole che determinavano il rapporto tra gli dèi e gli uomini (quella che costituiva la ''disciplina etrusca", ossia scienza etrusca), quindi sul rito e sull'interpretazione della volontà divina. Di queste norme possiamo farci solo un'idea attraverso alcuni passi di Cicerone, Plinio il Vecchio, Livio o Seneca (che si rifacevano a traduzioni che non ci sono pervenute) e tramite rarissimi documenti etruschi come la "mummia di Zagabria" o il "fegato di Piacenza". Sappiamo inoltre che quella etrusca fu una religione rivelata attraverso le profezie di esseri superiori come il fanciullo Tagete e la ninfa Vegoe o Vegonia. Fra gli etruschi delle origini la divinità appare sempre in modo molto impreciso, sia nell'aspetto che nelle mansioni ed è ragionevole pensare che in principio vi fosse un'unica entità divina che si manifestava in molteplici modi, assumendo connotati diversi. Tra l'VIII e il VI secolo a.C. si assiste alla trasformazione della religione etrusca. Dalla Grecia vennero importate in Etruria nuove divinità; quelle indigene assunsero figura umana e col tempo ereditarono le caratteristiche e le mansioni degli dèi dell'Olimpo classico.


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Il pantheon etrusco


Le più antichità divinità degli etruschi rappresentavano le forze della natura, distruttrici e creatrici al tempo stesso: Tarconte era il dio della tempesta, distruttore ma anche dispensatore di benefica pioggia; Velka era il dio del fuoco e, insieme, della vegetazione. Sommo dio dell'Etruria - dice Varrone - era Velthune (in latino Vertumnus o Voltumna), il multiforme, che rappresentava l'eterno mutare della stagioni ed era adorato nel santuario federale di Volsinii. All'antico pantheon appartenevano anche gli dèi Selvans (Silvano) e Ani (poi Giano) e la dea Northia, divinità probabilmente del fato. Dal VII secolo a.C. molte divinità di fondo originariamente etrusco vennero assimilate agli dèi olimpici: la divinità superiore Tinia (o Tin), rappresentata sempre col fulmine, fu l'equivalente di Zeus ossia Juppiter (Giove); lo stesso avvenne con Uni, compagna di Tinia, che divenne Hera, ossia la Iuno latina (Giunone). Turan, la dea dell'amore, fu assimilata ad Afrodite e quindi alla Venus (Venere) latina; Menerva ad Athena (Minerva); Maris ad Ares (Marte); Nethuns a Poseidon (Nettuno); Turms a Hermes (Mercurio); Fufluns a Dionisio (Bacco); Sethlans a Efesto (Vulcano); di Castor e Pollux (Castore e Polluce, i Dioscuri) diventati Castur e Pultuce, ecc.. Ci furono anche dèi nuovi, importati direttamente dal mondo greco, che conservarono il loro nome appena etruschizzato: Artemis (ossia Diana) divenne Aritimi, Apollon (Apollo) fu chiamato Apulu, Heracles (Ercole) cambiò in Hercle. Controversa è l'origine etrusca delle ''triadi" che conosciamo con certezza soltanto nel mondo romano: non è chiaro se la triade capitolina Giove-Giunone-Minerva corrisponda a Tinia-Uni-Menerva. Di sicura origine greca sono invece le coppie (''diadi"), come quella degli dèi infernali Ade e Persefone (in etrusco Aita e Phersipnai).

Gli Etruschi credevano nell’ineluttabilità del destino, al limite potevano solo rendere più piacevole la loro permanenza terrena, per questo motivo compivano feste e riti magici. Credevano nell’aldilà, in particolare nell’inferno, che aveva una porta di accesso, detta mundus, sorvegliato dalla terribile figura del demone Tuchulcha, mostro con orecchie d’asino, il muso di avvoltoio e i capelli fatti da serpenti. Questa figura fa maggiormente la sua presenza nella fase di declino della cultura etrusca, caratterizzata dalla presenza di morte e persecuzioni.

Il demone degli inferi era Charun, che accompagna i morti nell’aldilà, da cui si rievoca la figura di Caronte, portava indosso un mantello ed aveva in mano un martello, simile a quello impiegato oggi per la sepoltura del Papa, con il quale si tocca tre volte la tempia del pontefice defunto. Un gioco funebre caratteristico è quello legato al mito di Phersu, da cui ha origine la parola "persona", che aizza un cane contro una persona con la testa coperta da un sacco, che lentamente viene legata. Il cane sbrana la persona e sta a testimoniare l’ineluttabilità del destino. Le tombe rappresentavano le scene di vita quotidiana: gioia, feste, pranzi e, negli ultimi anni, dolore e terrore. Adottarono un calendario introdotto dai Tarquini, con influenze mesopotamiche, e poi modificato da Cesare, con l’aiuto sempre di tirreni. In esso si ricordavano feste e appuntamenti sacri. Suddivisero la loro era in dieci saeculum dopo dei quali ci sarebbe stata la fine della civiltà tirrenica, come in realtà fu confermato dalla storia.


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Lo spazio sacro


Lo spazio “sacro”, orientato e suddiviso, risponde ad un concetto che in latino si esprime con la parola templum. Esso riguarda il cielo, o un'area terrestre consacrata - come il recinto di un santuario, di una città, di un'acropoli, ecc. -, ovvero anche una superficie assai più piccola (ad esempio il fegato di un animale utilizzato per le pratiche divinatorie), purchè sussistano le condizioni dell'orientamento e della partizione secondo il modello celeste. L'orientamento è determinato dai quattro punti cardinali. congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest decumanus nella terminologia dell'urbanistica e dell'agrimensura romana che sappiamo strettamente collegate alla dottrina etrusco-italica.

[...]

La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è di buono o di cattivo augurio. Indipendentemente dal punto di origine, una complicata casistica riguardante le caratteristiche del segnale (per esempio la forma, il colore, l'effetto del fulmine, o il giorno della sua caduta) aiuta a precisarne la natura: se si tratti cioè di un richiamo amichevole, o di un ordine, o di un annuncio senza speranza e così via. Lo stesso valore esortativo o profetico hanno le speciali caratteristiche presentate dal fegato di un animale sacrificato, preso in esame dall'aruspice, secondo una corrispondenza delle sue singole parti con i settori celesti. Così l'«arte fulguratoria» e l'aruspicina, le due forme tipiche della divinazione etrusca, appaiono strettamente collegate; ne fa meraviglia che esse possano essere state esercitate da un medesimo personaggio, come quel L. Cafatius di cui si rinvenne a Pesaro l'epitafio bilingue e che fu appunto haruspex (in etrusco netsvis) e fulguriator (cioè inrerprete dei fulmini: in etrusco trutnvt frontac o trutnvt?). Uguali norme devono aver presieduto all'osservazione divinatoria del volo degli uccelli, come intravvediamo specialmente da fonti umbre (Tavole di Gubbio) e latine. A tal proposito ha speciale importanza lo spazio terrestre d'osservazione, e cioè il templum augurale, con il suo orientamento e le sue partizioni, cui senza dubbio si ricollega la disposizione non soltanto dei recinti sacri, ma dello stesso tempio vero e proprio, cioè l'edificio sacro contenente il simulacro divino, che in Etruria appare di regola orientato verso sud o sud-est, con una pars antica che corrisponde alla facciata ed al colonnato ed una pars postica rappresentata dalla cella o dalle celle. E del pari le regole sacre dell'orientamento si osservano (almeno idealmente) nella planimetria delle città (concreto esempio monumentale è Marzabotto in Emilia), e nella partizione dei campi.

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L 'al di là


La mistica unità del mondo celeste e del mondo terrestre si estende verisimilmente anche al mondo sotterraneo, nel quale è localizzato, secondo le dottrine etrusche più evolute, il reame dei morti. Gran parte delle nostre conoscenze sulla civiltà degli antichi Etruschi proviene, come è noto, dalle tombe (la stragrande maggioranza delle iscrizioni è di carattere funerario; alle pitture, alle sculture, alle suppellettili sepolcrali siamo debitori dei dati fondamentali sullo sviluppo delle forme artistiche e sugli aspetti della vita). Ed è naturale che le tombe ci offrano, più o meno direttamente, indizi sulle credenze relative alla sorte futura degli uomini e sui costumi e sui riti collegati a queste credenze. Ciò nonostante siamo ancora ben lungi dall'avere una idea chiara dell'escatologia etrusca. Motivi complessi e contrastanti denunciano livelli diversi di mentalità religiosa ed influenze eterogenee. Ne risultano problemi tuttora in parte irresoluti, singolarmente affascinanti.

Il carattere stesso delle tombe e dei loro equipaggiamenti, soprattutto nelle fasi più antiche, offre una testimonianza inequivocabile del persistere di concezioni primitive universalmente diffuse nel mondo mediterraneo, secondo le quali la individualità del defunto, comunque immaginata, sopravvive in qualche modo congiunta con le sue spoglie mortali, là dove esse furono deposte. Ne consegue l'esigenza, fondamentale per i superstiti, di garantire, difendere, prolungare concretamente questa sopravvivenza, non soltanto come tributo sentimentale di affettuosa pietà, ma come obbligo religioso non disgiunto, probabilmente, da timore. A questo genere di concezioni appartiene in Etruria, come altrove (e segnatamente nell'antico Egitto), la tendenza ad immaginare il sepolcro nelle forme di una casa, a dotarlo di arredi e di oggetti d'uso, ad arricchirlo di figurazioni pregne, almeno originariamente, di significato magico (specialmente pitture tombali con s.cene di banchetto, di musica, di danze, di giuochi atletici, ecc.), a circondare il cadavere delle sue vesti, dei suoi gioielli e delle sue armi; a servirlo con cibi e bevande; ad accompagnarlo con figurine di familiari; e, infine, a riprodurre l'immagine somatica del morto stesso, per offrire un incorruttibile «appoggio» allo spirito minacciato dal disfacimento del corpo, onde in Etruria (come già in Egitto) sembra nascere il ritratto funerario. Ma quale sia l'effettiva e più profonda natura delle idee religio- se che traspariscono esteriormente in così fatte costumanze e come esse abbiano potuto sussistere ed evolversi accanto ad altre credenze è cosa ancora tutto sommato assai oscura.

All'origine della storia delle città etrusche vediamo infatti dominare pressoche esclusivo un rito funebre, quale è quello della cremazione, che non può non riflettere concetti estranei a quelli del legame materiale tra spirito e corpo del defunto; che anzi, almeno nella piena età storica, esso sembra talvolta significare un'idea di «liberazione» dell'anima dai ceppi della materia verso una sfera celeste. Tanto più curioso è osservare come nelle tombe etrusche del periodo villanoviano e orientalizzante le ceneri e le ossa dei morti bruciati si contengano talvolta in urne in forma di abitazioni o entro vasi che tentano di riprodurre le fattezze del morto (i così detti "canopi" di Chiusi): ciò che rivela, già dai tempi più antichi del formarsi della nazione etrusca, una mescolanza di credenze e forse anche un riaffermarsi delle tradizionifunerarie mediterranee sul costume diffuso dai seguaci della cremazione. Ne si può affermare che l'idea della sopravvivenza nella tomba escluda assolutamente una fede nella trasmigrazione delle anime verso un regno dell"'al di là". Ma è certo che in Etruria quest'ultima concezione si venne affermando e concretando progressivamente sotto l'influsso della religione e della mitologia greca, con l'attenuarsi delle credenze primitive: e si configurò secondo la visione dell'averno omerico, popolato da divinità ctonie, spiriti di antichi eroi ed ombre di defunti. Già nei monumenti del Ve IV secolo, e poi soprattutto in quelli di età ellenistica, la sorte futura è rappresentata come un viaggio dell'anima verso il regno dei morti e come un soggiorno nel mondo sotterraneo. Soggiorno triste, senza speranza, a volte dominato dallo spavento che incute la presenza di mostruosi dèmoni, o addirittura dai tormenti che essi infliggono alle anime. È, in sostanza, la materializzazione dell'angoscia della morte in una escatologia essenzialmente primitivistica. E a simboleggiare la morte sono specialmente due figure infernali: la dea Vanth dalle grandi ali e con la torcia, che, simile alla greca Moira, rappresenta il fato implacabile; e il dèmone Charun, figura semibestiale armata di un pesante martello, che può considerarsi una paurosa deformazione del greco Caronte dal quale prende il nome. Sia di Vanth sia di Charun esistono moltiplicazioni, forse con una propria individualità ed un proprio secondo nome. Ma la demonologia infernale è ricca e pittoresca, e conosce altri personaggi, come l'orripilante Tuchulcha dal volto di avvoltoio, dalle orecchie d'asino e armato di serpenti; accoglie largamente la simbologia di animali ctonii, come il serpente e il cavallo.

Anche per questa fase più tardiva le fonti monumentali, nei loro aspetti frammentari ed esteriori, sono insufficienti a darci un'idea sicura e completa delle credenze contemporanee sull'oltretomba. Stando alle pitture e ai rilievi sepolcrali, parrebbe che il destino dei morti fosse inesorabilmente triste ed uguale per tutti: la legge crudele non risparmia neanche i personaggi più illustri, la cui affermazione di superiorità si limita ai costumi sfarzosi, agli attributi delle cariche rivestite e al seguito che li accompagna nel viaggio agli inferi. Esistono tuttavia nella tradizione letteraria, alcuni accenni più o meno espliciti a consolanti dottrine di salvazione, e cioè alla possibilità che le anime conseguano uno stato di beatitudine o addirittura q i deificazione, attraverso speciali riti che sarebbero stati descritti dagli Etruschi nei loro Libri Acherontici. Un prezioso documento originale di queste cerimonie di suffragio, con prescrizioni di offerte e di sacrifici a divinità specialmente infernali, sembra esserci conservato nel testo etrusco della tegola di Capua, che risale al V secolo a.C. Comunque le speranze di salvazione sembrano restare collegate al concetto delle operazioni magico-religiose, proprie di una spiritualità primitiva, piuttosto che dipendere da un superiore principio etico di retribuzione del bene compiuto in vita.
 

Mary70

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Si sa poco dell'antica civiltà della mia regione, ancora oggetto di studi. Si fanno molte ipotesi in base ai ritrovamenti archeologici, anche dei nuraghi non si hanno certezze. E così anche per la religione dei protosardi nuragici.


Religione nuragica

Le diverse tribù nuragiche, per ingraziarsi le divinità e poter progredire, praticavano molto probabilmente una religione che collegava la fertilità dei campi, il ciclo delle stagioni, dell'acqua e della vita, con la forza maschile del Toro-Sole e la fertilità femminile dell'Acqua-Luna. Si ritiene che vi fosse probabilmente una dea Madre mediterranea e un dio padre Babai (chiamato in epoca romana: Sardus Pater Babai). Dagli scavi si evince che in determinate ricorrenze annuali i nuragici si radunavano in luoghi comuni di culto, con alloggi e strutture di tipo aggregativo, a volte gradonate, in cui solitamente si segnala la presenza di un pozzo sacro, talune volte di fattura molto decorata e complessa da un punto di vista idraulico come Sedda 'e sos Carros di Oliena (NU). In alcune aree sacre, come quella di Gremanu a Fonni (NU), di Serra Orrios a Dorgali (NU) o di S'Arcu 'e is forros a Villagrande Strisaili (Ogliastra), sono presenti templi a base rettangolare detti Megaron, strutture con spazio sacro interno che potrebbe essere stato destinato ad un fuoco sacro forse mantenuto acceso da una casta sacerdotale[14].
Nei Pozzi Sacri e nei Megaron vi erano sacerdoti di sesso in prevalenza femminile, che officiavano riti ormai ignoti, ma che si ritiene comunque collegati all'acqua e forse a ritualità astronomiche di tipo solare, lunare o di osservazione dei solstizi. In particolare è interessante la raffigurazione bronzea di una sacerdotessa che presenta il capo sormontato da un disco che verosimilmente richiama il sole o la luna. Altri copricapi circolari sono allungati verso l'alto. Si ritiene che siano collegati alla religiosità anche alcuni dischi cesellati con figure geometriche, chiamati Pintadera, la cui funzione non è univocamente stabilita. Tantissime statuette in bronzo raffigurano personaggi che alzano la mano (solitamente la destra) in segno di saluto, invocazione o preghiera. Molti ricercatori pensano che in occasione di queste feste e celebrazioni religiose collettive, i santuari abbiano fatto da incubatore per l'idea di nazione o, comunque, di una più stretta confederazione. Alcuni pensano anche che si andava realizzando una sorta di pansardità. In tali occasioni si tenevano probabilmente incontri intercantonali, giochi sportivi simili alla lotta greco romana ed al pugilato e si stringevano alleanze familiari e rapporti commerciali.
Le grandi effigi in pietra, raffiguranti organi genitali maschili, chiamati bètili, e rappresentazioni di animali come il toro, probabilmente risalgono alla cultura pre nuragica, ma tuttavia, come tutti gli animali muniti di corna, avevano valenza sacra anche nella civiltà nuragica, essendo frequentemente riprodotto nelle imbarcazioni, nei grandi vasi in bronzo per il culto e negli elmi dei soldati. Sono stati rinvenuti poi bronzetti rappresentanti figure metà toro e metà uomo, personaggi con quattro braccia e quattro occhi, cervi con due teste, e aventi carattere mitologico, simbolico o religioso. Altro animale sacro fortemente raffigurato in modo stilizzato era la colomba, la cui importanza è nota anche nella cultura semitica.

Il Pantheon di Santa Vittoria a Serri


Importantissimo a tal proposito, il Santuario Federale Nuragico di Santa Vittoria di Serri, vero e proprio Pantheon delle divinità nuragiche. Si suppone che nell'edificio principale del villaggio si riunissero in assemblee federali i clan più potenti dei sardi nuragici abitanti la Sardegna centrale, per consacrare alleanze o per decidere guerre. Le strutture comuni erano organizzate in modo da far convivere la festa religiosa e quella civile, il mercato con l'assemblea politica. Era presente il tempio a pozzo della fonte sacra, fornita di atrio e con fossa per i sacrifici, con uno spazio per esporre gli ex voto, scala con soffitto gradonato e la tipica camera - dove si raccoglieva l'acqua - provvista di falsa cupola con foro centrale. Non mancavano le protomi taurine sul prospetto e, intorno, betili e cippi. Vi era pure un sacello rettangolare con sagrestia per le offerte al o agli dei.

I giochi e gli affari si svolgevano in una vasta corte ellittica con porticati e vani rotondi per il soggiorno dei partecipanti e con i posti riservati ai rivenditori di merci, ai pastori e ai contadini. Nelle vicinanze vi era un ambiente circolare con alcune capanne. Il primo serviva per le assemblee, nelle seconde abitavano gli addetti alla custodia, alla manutenzione dei luoghi e gli amministratori dei beni del tempio. Nello stesso modo era organizzato il tempio di Santa Cristina a Paulilatino. Sono noti almeno una ventina di questi templi (molte volte recuperati al culto cristiano come ad esempio la cumbessias di San Salvatore in Sinis presso Cabras).


Le statue dei Giganti di Monti Prama

Ai luoghi di culto si associava, in genere, l'offerta dei bronzetti votivi che raffiguravano uomini e donne, animali, modellini di imbarcazioni, modellini di nuraghi, esseri fantastici, riproduzioni in miniatura di oggetti e arredi. Questa importante produzione artistico-religiosa ha prodotto un'iconografia ben codificata e tipizzata che, nel 1974, è stata arricchita dai resti di 32 (forse 40) statue in pietra arenaria di dimensioni monumentali (alte da 2,6 a 3 metri) comunemente conosciute come Giganti di Monti Prama dal nome della località del Sinis presso Cabras, in provincia di Oristano nella quale vennero ritrovate. Queste statue richiamano la tipologia dei bronzetti stile Abini-Serri. La scoperta degli enormi frammenti di queste statue giganti che rappresentano guerrieri, arcieri, lottatori, modelli di nuraghe e pugilatori dotati di scudo e guantone armato, che si ritiene siano risalenti al X-VIII secolo a.C., ha sconvolto non poco le attuali certezze degli archeologi sulla civiltà nuragica, proiettando nuova luce sull'arte e la cultura delle popolazioni della Sardegna. La datazione confermerebbe la sopravvivenza e la forza della cultura nuragica nel periodo fenicio.
I Giganti hanno occhi come dischi solari, volutamente privi di espressione e di bocca ed acconciature che lasciano cadere sulle spalle 2 trecce per lato, abito di foggia orientale con scollo a V. Sono ben visibili importantissimi dettagli relativi alla foggia delle armature e delle protezioni. Il sito di Monti Prama raffigura un complesso di personaggi che in tutta probabilità rivestivano carattere eroico, in ricordo di imprese andate oggi dimenticate, poste a guardia di un sepolcro. Potrebbe anche trattarsi, con minore probabilità, della rappresentazione di una sorta di olimpo con peculiari divinità nuragiche.
Particolare del pozzo sacro Pedru Canopoli - Luoghi di culto, i pozzi sacri stupiscono per la loro perfezione costruttiva.

Architettura religiosa

L' architettura religiosa è soprattutto rappresentata dai pozzi sacri e dalle fonti sacre. Questi monumenti, tra i più elaborati che si trovano in Sardegna, sono edifici legati al culto animistico o astronomico dell'acqua e sono edificati con tecnica megalitica. Il cuore del tempio-sorgente, è la sala con la volta a tholos, come nei nuraghi, il più delle volte sotterranea e nella quale veniva raccolta l'acqua sorgiva. Una scala collegava la sala all' atrium del tempio, generalmente situato al livello del terreno circostante e attorniato da piccoli altari in pietra sui quali si depositavano le offerte e sui quali si celebravano i riti propri al culto dell' acqua sacra.
La perfezione e la precisione con la quale sono stati tagliati i blocchi di pietra calcarea o lavica, è tale che per molto tempo sono stati datati tra l'VIII ed il VI secolo a.C. e furono comparati all'architettura religiosa etrusca. Le più recenti scoperte hanno indotto però gli archeologi a stimare la costruzione di questi templi intorno al periodo in cui esistevano strettissime relazioni tra i Nuragici e i Micenei della Grecia e di Cipro, e cioè di molti secoli anteriori alle prime estimazioni. I pozzi sacri subirono nel tempo delle trasformazioni. Edificati sulle sorgenti d'acqua, erano un luogo di pellegrinaggio ed intorno ad essi si sviluppava generalmente un villaggio-santuario. Le capanne note come sala del Consiglio sono associate a grandi depositi di oggetti di bronzo e lingotti di piombo recanti tacche e marchi, forse indicanti il valore temporale. Si pensa che fossero la riserva della comunità o il tesoro del tempio. Col tempo ebbero un'evoluzione verso strutture altamente complesse da un punto di vista idraulico (con canalette piombate, vasche di raccolta e protomi taurine per l'uscita dell'acqua calda verso un bacile centrale, circondato da una seduta rituale) come ad esempio il complesso di Sedda 'e sos carros ad Oliena (NU). Le funzioni religiose di certi templi si perpetuò fino all'arrivo del cristianesimo: a Perfugas, un tempio nuragico fu scoperto nei giardini di una chiesa.

Architettura funeraria


Altrettanto affascinanti e misteriose sono le tombe dei giganti che parrebbero derivare dai dolmen allungati. Esse segnano, nelle loro poco sondate diversità strutturali e tecniche, il complesso evolversi della civiltà nuragica, fino agli albori dell'Età del ferro. Queste costruzioni funerarie megalitiche, la cui pianta rappresenta la testa di un toro, sono diffuse uniformemente in tutta l'Isola, anche se si nota una fortissima concentrazione nella sua parte centrale.
Si tratta di tombe costituite da una camera sepolcrale allungata, realizzata con lastroni di pietra ritti verticalmente con copertura a lastroni (nel tipo più arcaico, o dolmenico), oppure con filari di pietre disposte e copertura ogivale. Sulla fronte, il corpo tombale si apre in due ampi bracci lunati, a limitare un'area semicircolare cerimoniale: la cosiddetta esedra. In prossimità delle tombe sorgevano spesso degli obelischi simboleggianti senza dubbio gli dei o gli antenati che vegliavano sui morti. Questa sorta di menhir sono chiamati baity-loi (in italiano betili) ed è una parola che sembra derivare da beth-el che in ebraico significa casa del dio.

Dolmen e menhir

Altri insediamenti, come i menhir e i dolmen, semplici o allungati, pongono la più antica realtà isolana in relazione con la vasta preistoria mediterranea ed in particolare in rapporto con l'Europa del Nord e della costa atlantica, con l'Africa marocchina e delle Canarie, specialmente a seguito dei recentissimi rinvenimenti di menhir istoriati, ritenuti pietre sacre e legate ai culti della fertilità.

I tempietti a Megaron


Altri edifici di culto, meno diffusi dei pozzi e delle fonti e tuttavia presenti in varie parti dell'Isola, sono i cosiddetti tempietti in antis o tempietti a megaron. Il più grande e meglio conservato è domu de orghìa presso Esterzili.

deamadre.jpg
Dea Madre
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Tomba dei giganti
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Dolmen
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Menhir
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Domus de janas (casa delle fate)
 
Ultima modifica:
Questo thread sta diventando un piccolo gioiellino... mi piace tanto...:YY Continuate, continuate ancora...

Un mini p. s. per Mary: ti va di ridimenzionare l'ultima foto del tuo post... cosi automaticamente anche il testo ritorna nella sua dimensione... :wink:

 
La domenica mattina in un albergo di via Cavour a Roma, c'era l'incontro del gruppo religioso "La vita universale".
Dico c'era, perché non saprei se si riuniscono ancora in quel luogo.
La vita universale è una delle innumerevoli sette profetiche nate in ambiente nordico negli ultimi anni. E' una setta escatologica, che ha avuto un certo successo internazionale.
Si basa sulla rivelazione di Dio alla profetessa Gabriele, predica un ritorno all'Antico Testamento e mette in evidenza le presunte distorsioni fatte dalla Chiesa Cattolica.
Le rivelazioni della Profetessa hanno come oggetto il ritorno di Cristo sulla Terra, ritorno preceduto da catastrofi immani.
Il centro della setta è a Wurzburg in Germania, ma grazie ai mezzi di comunicazione di massa, come dicevo, ha allargato la propria azione in tutti i continenti.
Una delle loro pubblicazioni più conosciute è l'opuscolo Il Profeta (essendo un forum di lettori, dovrei consigliarvene la lettura, al contrario vi do ilconsiglio opposto).
 

fabiog

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I Catari

Conosciuta con il nome di catarismo, questa dissidenza cristiana appare nell'occidente medievale nel XII secolo. Sono presenti in Germania, in Italia, nelle Fiandre e nel sud della Francia con il nome di albigesi.
Si dividevano in Buoni Cristiani e Buone Cristianeed erono caratterizzati dalla critica virulenta contro la Chiesa cattolica e la sua gerarchia, considerata di aver tradito gli ideali di Cristo.
Ispirandosi al modello delle prime Chiese cristiane, i catari praticavano il battesimo spirituale, battesimo di Cristo mediante l'imposozione delle mani, che chiamano " consolamentum ". Ai loro occhi, questo battesimo è il solo a portare consolazione, la salvezza tramite lo Spirito Santo che Gesù fece scendere sui suoi discepoli nella Pentecoste. Si ponevano in contrasto con l'efficacia dei sacramenti cattolici ( battesimo con l'acqua, eucarestia, matrimonio ), inoltre forzavano certi passaggi del Nuovo Testamento dove è affermata l'esistenza di due mondi : uno buono e spirituale, l'altro malvagio e materiale, questo nostro mondo. Quest'ultimo è sotto l'influenza del diavolo.
Per i catari il mondo è l'opera del diavolo, mentre Dio è responsabile della creazione spirituale. Perchè, secondo l'interpretazione catara della profezia di Isaia, Lucifero, creatura divina, peccò per primo d'orgoglio volendo farsi uguale a Dio, che lo cacciò dal suo regno. Divenuto diavolo, egli fabbricò le tuniche di pelle e i corpi di carne in cui imprigionò gli angeli caduti con lui dal cielo.
Fu allora che lui fece questo mondo visibile a partire dagli elementi fondamentali ( terra, acqua, aria e fuoco ). Per annunciare agli angeli caduti il mezzo per ritornare al " regno dimenticato ", quello del Padre, Dio mandò suo Figlio, Gesù.
Adottando un corpo di carne venne a liberare le anime ( angeli caduti ) dalle loro " tuniche d'oblio " portando la salvezza attravero l'imposizione delle mani che permetterà infine il ritorno al regno divino.
Nel 1208 papa Innocenzo III lanciò contro i catari dell'Occitania e che si chiamavano albigesi una crociata.Questa crociata divenne una vera e propria guerra di conquista. Cattolci ed eretici combattereno insieme contro i crociati, ma l'Occitania esausta cadde sotto il dominio del re di Francia
 
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