Remarque, E.M. - Niente di nuovo sul fronte occidentale

Tiziano

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Veramente un bel libro, mi rimangono impressi maggiormente due episodi, uno in cui c'è un confronto visivo tra prigioniero e soldato.. in cui vi sono quelle frasi gia citate che colpiscono molto. Il secondo episodio è quello in cui il soldato torna a casa e prova a leggere ad appassionarsi, a riprovare ad essere quello che era ma senza riuscirci.
 

Spilla

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Io, che odio i libri di guerra, ho amato ogni pagina di questo libro. Riesce ad uscire dalla retorica del combattimento, tipo "é uno sporco lavoro, ragazzi, ma qualcuno lo deve fare". E' un libro di denuncia e di sconfitta. Nelle trincee, dice Remarque, un'intera generazione è morta. I sopravvissuti non sono destinati ad avere una vita "dopo", per loro tutto è cancellato: speranza, amore, pace. Peccato che l'urlo dell'autore, pur avendo tanto successo, non sia poi stato ascoltato.
5/5
 

praschese89

New member
Questo è un libro che lascia davvero molto, comunica messaggi e valori importanti;mi ha colpito il fatto che andando avanti con le pagine il lettore finisce per caricarsi sulle spalle e sull'anima tutte le angosce, la paura e i sentimenti che il protagonista provò durante quella terribile esperienza e questo mi ha riportato un po' a "I racconti della kolyma" di Šalamov.

Ringrazio la persona che mi ha consigliato questa lettura e la consiglio caldamente a mia volta!
 

bouvard

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Mi rendo conto che possa sembrare paradossale definire bellissimo un libro che è, ad ogni pagina, un pugno nello stomaco, eppure io trovo ugualmente appropriato questo aggettivo per definire questo libro.
Niente di nuovo sul fronte occidentale è bellissimo perché è uno di quei pochi libri sulla guerra capaci di non cadere mai nella retorica delle frasi fatte, nel facile sentimentalismo, anzi nel suo essere diretto, brutale, franco, non fa alcuna concessione al sensazionalismo, all'affettazione e tanto meno alle sdolcinature.
E', al contrario, un libro che a leggerlo fa male, perché ci sbatte in faccia quei particolari, quella quotidianità di gesti e problemi che, generalmente, non associamo alla guerra, ma soprattutto fa male perché non ci presenta la guerra dal punto di vista di soldati "di mestiere" o comunque di persone adulte abituate ai sacrifici e alle sofferenze, ma ce la presenta attraverso un gruppo di "ragazzini" di diciannove anni. Ragazzini che fino al giorno prima avevano come principale preoccupazione quella di preparare degli esami, di studiare e che all'improvviso sono catapultati in una realtà più grande di loro. Già per un adulto sarebbe difficile spiegare o giustificare il senso di una guerra, la sua utilità, ma diventa addirittura impossibile per chi è appena uscito dalla spensierata fanciullezza.
"Io sono giovane, ho vent'anni: ma della vita non conosco altro che la disperazione, la morte, il terrore, e la insensata superficialità congiunta con un abisso di sofferenze. Io vedo dei popoli spinti l'uno contro l'altro, e che senza una parola, inconsciamente, stupidamente, in una inconsapevole obbedienza si uccidono a vicenda. Io vedo i più acuti intelletti del mondo inventare armi e parole perché tutto questo si perfezioni e duri più a lungo (...) Per anni e anni la nostra occupazione è stata uccidere, è stata la nostra prima professione nella vita. Il nostro sapere della vita si limita alla morte. Che accadrà, dopo? Che sarà di noi?"
Già, ammesso che sopravvivano all'inferno delle trincee, cosa succederà dopo a questi ragazzi? L'innocenza si perde facilmente, e una volta persa non si recupera più. Finché si è in guerra si uccide per istinto, senza fermarsi a riflettere sulle proprie azioni, perché la morte del nemico è la tua salvezza, il tuo continuare a rimanere in vita un piccolo passo in avanti verso il ritorno alla normalità, alla tua vita di prima. Ma, quando ti trovi solo di fronte al fuoco nemico, ti rendi conto che, in effetti a guerra finita, non ci sarà più la vita di prima a cui tornare, non ci potrà più essere, perché ci sarà sempre il peso dei ricordi, degli amici morti e dei nemici che hai ucciso. Ma nemici di chi poi? Non tuoi, perché neppure conoscevi quelle persone, che a ben guardarle non erano per niente diverse da te e dai tuoi compagni ...
Un libro da leggere perché come scrisse Primo Levi "Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo" e poiché nel passato di ogni popolo c'è almeno una guerra, bisognerebbe ricordare per non rivivere più questa esperienza, di cui questo libro dimostra tutta l'inutilità ed insensatezza.
Non ho mai dato, nei miei commenti, un voto al libro letto, ma questa volta lo faccio 5/5.
 
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Grantenca

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Prima guerra mondiale (15-18) vista con l’occhio di un protagonista, un giovane studente sassone che consigliato da un suo professore scolastico, insieme ad altri compagni studenti si è addirittura arruolato come volontario, inebriato dalle prospettive di gloria per la salvezza della patria. La realtà è però ben diversa. Già dall’addestramento i soprusi feroci di qualche sottufficiale (gente che nella vita civile non conta nulla, ma in divisa, con un grado, diventa una belva feroce) fanno capire che la vita sarà molto difficile. La prima linea, con la vita di trincea e gli assalti contro il “nemico?” cambiano completamente l’ordine di importanza dei valori della vita per il nostro “eroe”. Quello che, solo qualche mese prima, da studente era un valore prioritario adesso non conta nulla. Gli unici valori in cui si deve credere in trincea sono quelli elementari di sopravvivenza (mangiare – il vitto molto spesso è scarso e scadente e quindi è necessario arrangiarsi – dormire quando si può, e soprattutto, salvare la pelle. Mi sono molto spesso chiesto cosa spingesse dei giovani all’assalto del nemico, alla baionetta, con altissime probabilità di lasciarci la vita. E’ vero che i giovani maschi, chi più chi meno, hanno nel loro carattere qualcosa di aggressivo, che nella vita normale viene spesso espresso con la pratica di sport di “contatto” (lotta, pugilato, rugby, anche calcio) ma nessuno praticherebbe questo tipo di sport con anche un solo pensiero di poter essere ucciso. Non è questa dunque la “molla”, ma la molla è la paura: la certezza che se non si va all’assalto la rigida gerarchia militare ti condannerebbe a morte sicura, tramite fucilazione, una morte, in un certo senso , anche disonorevole. Andando all’assalto, ti potresti anche salvare se la fortuna ti assiste, e comunque la morte, almeno, non sarebbe disonorevole. Poi, in combattimento, l’animale istinto di sopravvivenza ti spinge a comportamenti, qualche volta anche eroici, impensabili in una situazione di normalità. Questi avvenimenti, così estremi cambiano però le persone, e soprattutto per i più giovani, creano dei disadattati alla vita civile. Se ne accorge il nostro protagonista che torna a casa sua in licenza per un paio di settimane. Non si trova a suo agio né con i familiari, con i quali non si azzarda a descrivere la bestiale vita del fronte, né con gli altri conoscenti con i quali è costretto a parlare di cose per lui del tutto prive di importanza. Quasi quasi alla fine non vede l’ora di tornare al fronte, a rivedere i suoi camerati che, l’intimità e condivisione del pericolo, ha fatto diventare i suoi punti di riferimento, gli unici con i quali può confidarsi e farsi comprendere.
Il tutto è descritto magnificamente, senza retorica ed esagerazioni, in un lungo grande racconto , che se, secondo me, alla sua uscita, fosse stato reso obbligatorio in tutte le scuole medie d’Europa avrebbe, probabilmente, scongiurato la seconda guerra mondiale. Ma gli interessi dei governanti dei singoli paesi , negli anni trenta, erano molto diversi…..
 

malafi

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Libro bellissimo, frutto di uno scrittore dal talento sopraffino.

Il massimo dei voti a tutto: al suo stile narrativo, che dopo quasi un secolo è di una modernità sorprendente; alla sua prosa che alterna momenti di descrizioni crude (ma sempre quasi distaccate per la loro ‘normalità’ in quel contesto) ad altri di altissima poesia, sia nella descrizione degli stati d’animo che in quella delle ambientazioni; al messaggio, che dire pacifista e poco, e che senza proclami né retorica ci fa amare la pace ed odiare la guerra come conseguenza obbligata di quel che stiamo leggendo.
La lettura di questo romanzo mi ha mosso gli stessi pensieri di quando cammino in montagna nel teatri della grande guerra, che fu spesso un’assurda guerra di posizione. Davvero priva di senso. Dove si sono perse tante vite, nessuna delle quali poteva avere una vera incidenza sulle sorti della guerra.

Il fronte …. Lo si sentiva anche in lontananza, racconta Paolo, con i suoi rombi continui ed i suoi bagliori notturni. Quasi una presenza sinistra, ma anche un oggetto estraneo. Eppure era lì, per volere dei potenti e per delle motivazioni che quei ragazzi sfortunati che vi sono morti – o sopravvissuti lasciandoci però il meglio della loro vita dentro – manco conoscevano.

II cameratismo …. Se non avevo capito sino ad ora la forza di questo sentimento, ebbene ora lo metto ai primissimi posti nella scala dei valori.
 

Trillo

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Paul Bäumer e i suoi compagni di classe, fomentati dai discorsi sulla patria del loro insegnante, decidono di arruolarsi come volontari durante la prima guerra mondiale. Ma tutto l’entusiasmo suscitato da quei proclami idealistici che con facilità erano penetrati nelle loro malleabili menti da ragazzini ingenui e inconsapevoli, viene ben presto spazzato via prima dall’addestramento militare e poi con violenza dalla drammatica esperienza della guerra vera e propria, veicolo di un’atroce verità che nessuno aveva mai raccontato loro.

Erich Maria Remarque, reduce dalla prima guerra mondiale, animato probabilmente dallo stesso bisogno e desiderio del protagonista di quest'opera, trova il modo e la forza di dare un senso alla sua esperienza sul fronte, immortalando, sotto le vesti di un romanzo, la reale e cruda immagine della guerra, insieme alle irreversibili implicazioni psicologiche su chi come lui l’ha vissuta in prima persona.

Nonostante il particolare tema trattato, il libro si lascia leggere scorrevolmente: il romanzo ha infatti un giusto equilibrio interno tra i vari tipi di momenti offerti alla nostra attenzione; inoltre, il linguaggio utilizzato non è retorico, enfatico o ricercato, ma semplice, diretto, quasi freddo nella sua oggettiva descrizione dei fatti e dei pensieri, in piena coerenza con l’intento specificato nel prologo, secondo cui:

"Questo libro non vuol essere né un atto d'accusa né una confessione. Esso non è che il tentativo di raffigurare una generazione la quale - anche se sfuggì alle granate - venne distrutta dalla guerra."

Queste righe costituiscono il substrato costante su cui si impernia l’intero romanzo. A Remarque non interessa ricercare cause, indagare motivi, giustificare o accusare, né suscitare compassione o risaltare l’orrore degli eventi. L’autore circoscrive la sua narrazione ad una oggettiva descrizione dei fatti, esteriori ed interiori, attraverso il filtro del protagonista del suo romanzo, e questa scelta risulta la più efficace per farci avvicinare senza timore alla sua lettura e per trasmetterci quella repulsione per la guerra e quel senso di fratellanza che dovrebbero accomunarci tutti. Lo sguardo lucido e oggettivo che accompagna il libro è d’altra parte lo stesso sguardo, solo apparentemente indifferente, che i soldati imparano a far proprio per sopravvivere all’innaturale routine della loro vita sul fronte. E probabilmente è anche un anestetico che consente all’autore di ripercorrere quei momenti senza lasciarsi sopraffare dal dolore del ricordo, e a noi lettori di averne una percezione cruda ma non amplificata dalla cassa di risonanza delle loro emozioni più profonde, compresse e sepolte in un angolino del loro essere per disperazione e istinto di sopravvivenza.

Una parte essenziale e toccante del romanzo è rappresentata dai pensieri e dalle riflessioni del protagonista, che si interpongono durante i vari momenti della narrazione mettendo in luce la distruzione interiore di chi giorno per giorno sopravvive alla guerra.
Ciò che emerge è una gioventù di ventenni strappati da quel presente che ne penetrava le vene e ne metteva in risonanza ogni fibra del loro essere, recisi dal loro passato in cui non sono più in grado di riconoscersi, e privati di quello slancio vitale verso il futuro che ormai non appartiene più a loro. Una gioventù disorientata, incompresa, estraniata dal mondo, dalla vita, profuga di se stessa, ormai perduta e incapace di vivere.

[Possibile spoiler] Il finale che dà il titolo al libro, e a cui io dò una motivazione intenzionale più che accidentale, condensa secondo me alla perfezione l’essenza di questo scollamento che non può che dirompere quando la tranquillità della pace sta per riaffacciarsi sul mondo. Caduto poco prima anche l'ultimo compagno di sventura del protagonista, che il senso di cameratismo aveva reso più di un amico o di un fratello, crolla anche l'ultimo punto di riferimento e ogni capacità del protagonista di ritrovare un posto in un tempo e in un mondo che ormai non sono più i suoi, come non lo sono per tutta quella generazione di giovani soldati che, ancora sui banchi di scuola allo scoppio della guerra, non aveva avuto il tempo di costruirsi una vita e una stabilità a cui fare approdo al suo ritorno, e in cui riporre la speranza di una vita che continua. [Fine del possibile spoiler]

Niente di nuovo sul fronte occidentale è uno splendido e toccante romanzo che ha il pregio di far riflettere e di essere facilmente fruibile nonostante i temi trattati. Libri come questo fanno a mio parere rendere conto di come i testi scolastici di storia non siano spesso così efficaci e quindi sufficienti per non ripetere gli errori del passato, e di quanto al contrario sia importante riscoprire e diffondere queste opere lasciateci generosamente in eredità, che se lette da tutti forse ci consentirebbero davvero di vivere in un mondo migliore.
 

ila78

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"Qualcuno" qui sul forum sono anni che mi dice: "Leggi Remarque, leggi Remarque" e io non gli ho mai dato retta, finora, l'ho messo in wishlist e...ma sì prima o poi.... È arrivato il momento e...Wow... tanta, tanta roba ragazzi. È un libro che è un grido alla pace, attraverso descrizioni terribili di cosa è la guerra, con dettagli truculenti di ferimenti,attacchi, morti, ma soprattutto attraverso un racconto preciso, minuzioso e vivido della disumanizzazione, della devastazione psicologica che questi poveri ragazzi subiscono.
Tra le parti che ho apprezzato maggiormente, anche se triste, è la narrazione della licenza e del ritorno "nel mondo"che all'improvviso non ti appartiene più.
Bellissimo il finale, mi è scappata una lacrima. Il soldato Kat è uno dei miei personaggi top del 2020.
Bello, bello, bello.
 
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MonicaSo

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Bellissimo! Tutti dovrebbero leggerlo e meditare: vite di giovani ragazzi spezzate da questa cosa assurda che è la guerra... e che si ripresenta sempre...
La Storia non insegna, purtroppo!
 
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