Nove volte sette (1/2)
Nove volte sette
di Isaac Asimov
Jehan Shuman era abituato a trattare con gli uomini che da molti anni dirigevano lo sforzo bellico terrestre. Non era un militare, Shuman, ma a lui facevano capo tutti i laboratori di ricerche incaricati di progettare i cervelli elettronici e gli automi impiegati nel conflitto.
Di conseguenza, i generali gli prestavano ascolto. E lo stavano a sentire perfino i capi delle commissioni parlamentari.
C'erano due esemplari di entrambe queste specie nella saletta del Nuovo Pentagono. Il generale Weider aveva il volto bruciato dagli spazi e la bocca molto piccola, quasi sempre atteggiata in una smorfia. Il deputato Brant aveva guance tonde, lisce, e occhi chiari. Fumava tabacco denebiano con l'indifferenza di un uomo il cui patriottismo è notorio e che può quindi permettersi certe libertà.
Shuman, alto, elegante, e Programmatore di prima classe, li affrontò senza esitazione.
Disse: - Signori, questo è Myron Aub.
- Sarebbe lui l'individuo dotato di speciali capacità, che avete scoperto per caso? - disse il deputato Brant, senza scomporsi.
- Bene! - Con bonaria curiosità squadrò l'omettino calvo, con la testa a uovo.
L'ometto reagì intrecciando nervosamente le dita. Non era mai stato a contatto di persone così importanti in vita sua. Era un Tecnico d'infimo rango, già abbastanza avanti negli anni, che dopo aver fallito tutte le prove di selezione destinate a individuare i cervelli umani meglio dotati, s'era ormai rassegnato da anni a un lavoro oscuro e monotono. Ma poi il Grande Programmatore aveva scoperto il suo hobby e l'aveva trascinato qui.
Il generale Weider disse: - Questa atmosfera di mistero mi sembra puerile.
- Un minuto di pazienza - disse Shuman - e vedrà che cambierà idea. Si tratta di una cosa che non va assolutamente divulgata...
Aub! - Pronunziò il nome monosillabico come se fosse un comando militare, ma era un Primo Programmatore e parlava a un semplice Tecnico.
- Aub! Quanto fa nove volte sette?
Aub esitò un istante. I suoi occhi smorti ebbero un fioco lampo di ansietà. - Sessantatré - disse.
Il deputato Brant inarcò le sopracciglia. - È giusto?
- Controlli lei stesso, onorevole.
Il deputato trasse la sua calcolatrice tascabile, ne sfiorò con le dita due volte il bordo zigrinato, guardò il quadrante e la ripose in tasca. Disse: - E sarebbe questo il fenomeno che lei ci ha chiamato qui ad ammirare? Un illusionista?
- Molto di più, onorevole. Aub ha mandato a memoria alcune operazioni e sa calcolare sulla carta.
- Una calcolatrice di carta? - disse il generale. Sembrava deluso.
- No, generale - disse Shuman, paziente. - Non è una calcolatrice di carta.
Semplicemente un foglio di carta. Generale, vuol essere così gentile da proporre un numero qualsiasi?
- Diciassette - disse il generale.
- E lei, onorevole?
- Ventitré.
- Bene! Aub, moltiplichi questi due numeri e faccia vedere a questi signori in che modo esegue l'operazione.
- Sissignore - disse Aub, chinando il capo. Trasse un taccuino da una tasca della camicia e una sottile matita da pittore dall'altra. La sua fronte era tutta aggrottata mentre tracciava faticosamente sulla carta dei piccoli segni.
Il generale Weider lo interruppe in tono asciutto. - Mi faccia vedere.
Aub gli porse il taccuino e Weider commentò: - Be', sembra il numero diciassette.
Il deputato Brant annuì e disse: - Proprio così, ma è chiaro che chiunque può copiare dei numeri da una calcolatrice. Io stesso, credo, sarei capace di disegnare un diciassette passabile, anche senza esercizio.
- Se i signori non hanno nulla in contrario, Aub potrebbe continuare - intervenne soavemente Shuman.
Aub continuò, la mano un po' tremante. Infine disse a bassa voce: - La risposta è trecentonovantuno.
Il deputato Brant consultò una seconda volta la sua calcolatrice tascabile. - Perdio, è esatto. Come ha fatto a indovinare?
- Non ha indovinato, onorevole - disse Shuman. - Ha calcolato il risultato.
L'ha fatto su questo foglietto di carta.
- Storie - disse il generale con impazienza. - Una calcolatrice è una cosa e dei segni sulla carta un'altra.
- Spieghi lei, Aub - disse Shuman.
- Sissignore... Ecco, signori, io scrivo diciassette e subito sotto scrivo ventitré. Poi mi dico: sette volte tre...
Il deputato lo interruppe pacatamente. - Attento, Aub, il problema è diciassette volte ventitré.
- Sì, lo so, lo so - Sì affrettò a spiegare il piccolo Tecnico - ma io comincio col dire sette volte tre perché è così che funziona. Ora, sette volte tre fa ventuno.
- E come lo sa lei? - chiese il deputato.
- Me lo ricordo. Dà sempre ventuno sulla calcolatrice. L'ho controllato innumerevoli volte.
- Questo non significa che lo darà sempre, però - disse il deputato.
- Forse no - balbettò Aub. - Non sono un matematico. Ma vede, i miei risultati sono sempre esatti.
- Vada avanti.
- Sette volte tre fa ventuno, e io scrivo ventuno. Poi tre per uno fa tre, così io scrivo tre sotto il due di ventuno.
- Perché sotto il due? - chiese il deputato Brant, secco.
- Perché... - Aub lanciò un'occhiata implorante al suo superiore. - È difficile da spiegare.
Shuman intervenne: - Direi che per il momento convenga accettare per buono il suo metodo e lasciare i particolari ai matematici.
Brant si arrese.
Aub proseguì: - Tre più due fa cinque, e perciò il ventuno diventa un cinquantuno. Ora, lasciamo stare per un momento questo numero e cominciamo da capo. Si moltiplica sette per due, che ci dà quattordici, e uno per due che ci dà due. Li scriviamo così e la somma ci dà trentaquattro. Ora se mettiamo il trentaquattro sotto il cinquantuno in questo modo, sommandoli otteniamo trecentonovantuno, che è il risultato finale.
Vi fu un istante di silenzio e il generale Weider disse: - Non ci credo. È una bellissima filastrocca e tutto questo giochetto di numeri sommati e moltiplicati mi ha divertito molto, ma non ci credo. È troppo complicato per non essere una ciarlatanata.
- Oh, no, signore - disse Aub, tutto sudato. - Sembra complicato perché lei non è abituato al meccanismo. Ma in realtà le regole sono semplicissime e funzionano con qualsiasi numero.
- Qualsiasi numero, eh? - disse il generale. - Allora vediamo.
- Trasse di tasca la sua calcolatrice (un severo modello militare) e la toccò a caso. - Scriva sul suo taccuino cinque sette tre e otto. Cioè cinquemilasettecentotrentotto.
- Sissignore - disse Aub staccando un nuovo foglio di carta.
- Ora - toccò di nuovo a caso la calcolatrice - sette due tre e nove.
Settemiladuecentotrentanove.
- Sissignore.
- E adesso moltiplichi questi due numeri.
- Ci vorrà un po' di tempo - balbettò Aub.
- Non abbiamo fretta - disse il generale.
- Cominci pure Aub - disse Shuman, tagliente.
Aub cominciò a lavorare tutto chino. Staccò un secondo foglio di carta, poi un terzo. Finalmente il generale trasse di tasca l'orologio e lo considerò con impazienza. - Allora, ha finito coi suoi esercizi di magia?
- Ci sono quasi arrivato, signore... Ecco il prodotto, signore. Quarantun milioni, cinquecentotrentasettemilatrecentottantadue. - Mostrò la cifra scarabocchiata in fondo all'ultimo foglio.
Il generale Weider sorrise condiscendente. Premette il pulsante di moltiplicazione sulla sua calcolatrice e attese che il ronzio dei meccanismi tacesse. Poi guardò il quadrante della minuscola macchina e disse con voce rauca dallo stupore: - Grande Galassia, l'ha azzeccato in pieno.
Il Presidente della Federazione Terrestre stentava ormai a mascherare, in pubblico, la tensione che lo rodeva e, in privato già permetteva che un'ombra di malinconia velasse i suoi lineamenti delicati, di uomo sensibilissimo. La guerra denebiana, dopo l'entusiasmo e l'unanime slancio dei primi anni, s'era rattrappita a un gioco inane di manovre e contromanovre. Sulla Terra lo scontento cresceva ogni giorno e cresceva forse anche su Deneb.
E ora il deputato Brant, capo dell'importantissima Commissione Parlamentare sull'Organizzazione della Difesa, stava allegramente e placidamente dissipando la sua mezz'ora di colloquio in chiacchiere inutili.
- Calcolare senza una calcolatrice - osservò il presidente con impazienza - È una contraddizione in termini.
- Calcolare - disse il deputato - È soltanto un sistema per elaborare dei dati. Può farlo una macchina come può farlo il cervello umano. Permetta che le dia un esempio. - E, servendosi delle capacità da poco acquisite, prese a calcolare somme e prodotti finché il presidente suo malgrado sentì nascere un certo interesse.
- E funziona sempre?
- Infallibilmente, signor Presidente. Non sbaglia un colpo.
- È difficile da imparare?
- Mi ci è voluta una settimana per impadronirmi perfettamente del sistema. Ma immagino che lei...
- Effettivamente - disse il presidente, pensoso - È un giochetto molto interessante. Ma a che cosa serve?
- A che cosa serve un neonato, signor Presidente? Sul momento non serve a nulla, ma non vede che questo è il primo passo verso la liberazione dalle macchine? Consideri, signor Presidente - il deputato si alzò e la sua voce profonda prese automaticamente le cadenze dei discorsi parlamentari - che la guerra denebiana è una guerra di calcolatrici contro calcolatrici. Le calcolatrici nemiche formano uno scudo impenetrabile di contro-missili che fermano i nostri missili, e le nostre bloccano i loro nello stesso modo. Ogni volta che noi perfezioniamo le nostre calcolatrici, i Denebiani fanno lo stesso, e ormai da cinque anni si è creato un precario e inutile equilibrio di forze. Ora noi siamo in possesso di un metodo che ci permetterà di vincere le calcolatrici, di scavalcarle, di attraversarle. Potremo combinare la meccanica del calcolo automatico con il pensiero umano, avremo per così dire delle calcolatrici intelligenti; a miliardi. Non posso prevedere esattamente quali saranno le conseguenze; ma è chiaro che questa innovazione avrà una portata incalcolabile. E se Deneb ci arriva prima di noi, sarebbe una vera catastrofe.
Con aria preoccupata il presidente disse: - Che cosa dovrei fare secondo lei?
- Conceda il pieno appoggio del governo a un piano segreto per lo sviluppo del calcolo umano. Lo chiami Progetto 63, se vuole. Io rispondo della mia commissione, ma avrò bisogno del sostegno del governo.
- Ma fin dove può arrivare il calcolo umano?