In questo reportage narrativo, Wallace ci racconta il suo viaggio a bordo di una nave da crociera extralusso, appositamente commissionatogli da una prestigiosa rivista. Fra le sue fisse e le sue fobie, l'autore ci presenta i dettagli di quella (quasi) perfetta macchina da vizio, intrecciandoli a delle precise e sagaci analisi sui meccanismi manipolativi di marketing e sull'influenzabilità della mente umana anche se ben conscia dei paradossi e delle bassezze in cui viene incanalata, il tutto senza risparmiare neppure se stesso.
A questo proposito, secondo me è significativo il modo in cui lui ribattezza la nave da crociera: "Nadir", contrapponendolo al nome vero, "Zenith". Infatti, se quest'ultimo nome è particolarmente azzeccato nel suo evocare l'apice di relax, divertimento e spensieratezza che si può raggiungere in una crociera extralusso, il nome "Nadir" che Wallace irriducibilmente utilizza come vero nome di quel diabolico mezzo galleggiante è allo stesso modo assolutamente perfetto per indicare la bassezza umana che gli impeccabili meccanismi della nave sottendono e che si riflettono su diversi livelli: nelle subdole strategie pubblicitarie, nelle regole ferree a cui è sottoposto il personale di bordo, negli sprechi e nei comportamenti sempre meno virtuosi dei croceristi (ribattezzati appunto "nadiriti") indotti attraverso l'intera macchina viziatrice dell'assoluto far niente. Ogni minima cosa è già pensata, programmata ed esaudita prima che il loro pensiero ne possa sfiorare l'idea. Già da prima di salire a bordo, la pubblicità si preoccupa di costruire la percezione del sogno dei futuri nadiriti, al punto che Wallace stesso dice:
"Ogni volta che ho alzato gli occhi verso il cielo, non ho visto il cielo che vedevo, ma l'immensa volta di lapislazzuli del cielo".
Il progressivo abituarsi a questo stato di rilassamento fisico e mentale fa sì che ogni cosa cominci sempre più a sembrare dovuta e giustamente pretesa, così pian piano si insinua una forma di intransigenza, scontentezza, avidità ed egoismo che spinge ancor più verso il fondo morale ogni nadirita, compreso l'autore. E la trasformazione che si impossessa di lui, contrapponendosi alla consapevolezza e all'assurdità di ciò che gli sta accadendo, ne dipingono un quadro grottesco ma emblematico.
Questo cambiamento così reale comincia però a scontrarsi con l'irrealtà di quel piccolo mondo galleggiante. Tutto ad un tratto, tanti piccoli elementi cominciano a svelarlo per quello che è: una falsa e brutta copia del mondo reale. Quella nave che sembrava una madre premurosa che si prende cura delle sue creature comincia a rivelarsi come una padrona di casa insofferente e priva di affetto, il legno che la adorna non è che un'ottima imitazione di quello reale, le bibite offerte non sono altro che un tentativo mal riuscito di sostituirsi a quelle originali, e tanti altri piccoli ma significativi esempi. E questo mix di insoddisfazione e disillusione che si va al contempo a sovrapporre alla tristezza e al timore di ritornare alla vita reale, finiscono per indurre uno stato di disperazione in coloro che come l'autore non si lasciano annebbiare da quello stato di fallace euforia che si impossessa dei nadiriti. Quella nave che era sembrata fonte di vita, protezione e spensieratezza, appare definitivamente come l'autore ci aveva suggerito all'inizio: una "macchina di morte e decadenza"... Un Nadir del pensiero e dell'animo.
In generale il reportage è scritto in modo eclettico, frizzante, fuori dagli schemi, e scorre piacevolmente. Però qualcosa mi è mancato, forse un maggiore approfondimento di certe tematiche, così come di esperienze e punti di vista diversi.