Questa è una breve autobiografia (pentimento, più o meno) di uno dei miei personaggi preferiti ("il cattivo" inventato da me eh...)
Spero che vi piaccia! Buona lettura!
“Quando presi il potere circa nove anni or sono non mi resi subito conto di quello che stavo per fare.
La mia vita era da sempre stata una lotta continua, e il desiderio imminente di evadere da ogni tipo di situazione tormentata, non faceva altro che triplicare il supplizio di una vita senza un vero scopo. Cosa dire, in fondo, di me stesso? Mi sono ripetuto questa domanda innumerevoli volte, troppe forse. Così tante da diventarne ossessionato.
Anche adesso, che scrivo e scrivo e scrivo. Cosa devo scrivere? Da dove devo partire, per poter dare un senso alla mia vita? Chi leggerà queste parole, crederà sicuramente di avere a che fare con un pazzo, e forse in fin dei conti lo sono, un pazzo. Ma non desidero che le persone mi ricordino come un folle. Lo sono e lo sono stato. Voglio però che possano trarre vantaggio da ciò che scrivo, per limitare, un giorno, possibili danni. Iniziamo con lo spigare chi era la mia famiglia d’origine. Proprio da lì, partirono tutte le mie sofferenze.
Mio padre era un mago, un mago dagli enormi poteri magici ma con una psicologia incapace di grandi disegni e, mia madre, era una bellissima vampira dagli stupendi occhi azzurri e dalla folta capigliatura corvina.
Mia madre…
La ricordo ancora molto bene, come se fosse ancora qui al mio fianco, come se ancora mi guardasse e mi sorridesse. Come se ancora potessi udire il dolce suono del suo sospiro.
Quante notti l’ho vista piangere distesa sul suo letto. Ricordo che aveva un letto bellissimo, dai morbidi cuscini e dalle candide lenzuola che emanavano il suo dolce profumo di pesca. Ma quando la vedevo piangere disperatamente, quel letto appariva così buio e così triste ai miei occhi.
Lei pregava, pregava spesso, e si rivolgeva agli dèi con suppliche dalla voce rotta dal pianto e le sue mani erano congiunte, l’orlo della veste che le sfiorava le ginocchia piegate. Se chiudo gli occhi riesco ancora a vederla nitidamente, come se in fondo non fossero passati così tanti anni a separarmi da quei momenti.
La rivedo mentre pregava, e il materasso si piegava dolcemente sotto il suo peso.
Ricordo quando ero solo un bambino e mi dondolava dolcemente tra le sue braccia e mi cantava poesie per farmi addormentare la notte. Ricordo la consistenza dei suoi vestiti, il suo profumo, i suoi boccoli neri che le scendevano sul seno, creando deliziose curve. Era mia madre, la donna che mi ha creato e poi amato e io ero suo. Solamente suo. Non desideravo altro che la sua confortante presenza. Amavo mia madre come invece odiavo mio padre.
Se ripenso a lui, mi sale dentro una rabbia indomabile, che mi fa fremere le membra e agitare il cuore, che mi fa piangere e gridare, e il dolore lancinante che mi pervade mi allontana irrimediabilmente dalla ragione. Ma adesso non posso abbandonarmi ai miei rabbiosi stati d’animo. Non posso, no? Ho deciso di scrivere a grandi linee la mia storia, e desidero farlo a mente lucida.
Osservo la fiamma docile delle candele, e mi rassereno pensando a quanto mia madre le amasse. La sua stanza profumava sempre d’incenso e c’era sempre una candela accesa sul comodino.
Ma torniamo alla mia storia. Torniamo a mio padre.
Lui riusciva sempre a intimorirmi con i suoi sguardi. Aveva due occhi grandi, severi, privi di qualsiasi compassione o amore. I suoi gesti non erano mai gentili e i suoi modi apparivano falsi e arroganti.
Dicevano che mio padre fosse un uomo attraente, io l’ho sempre visto come un mostro spregevole e pieno di odio.
Potrei dire che odiavo mio padre. Non mi vergogno di una simile affermazione, perché essa rispecchia la pura e semplice verità. Lo odiavo per quello che era, per quello che diceva, perché picchiava mia madre, talvolta lasciandole segni che le provocavano intere settimane di convalescenza.
Ecco, ci siamo. Sento nuovamente la rabbia invadermi e quasi non riesco più a scrivere. Guardate gli orribili scarabocchi che sono capace di fare. Non posso rovinare questa splendida pergamena, è tra le più costose e pregiate.
Calmati, ti trema la mano. Non arrabbiarti. Non vedi l’inchiostro che si sparge sulla ruvida pergamena? Cosa pensi che crederanno quelli che sfoglieranno il tuo manoscritto? Che sei solo un idiota.
Calmati.
Mi sono calmato, la mano non trema più e il cuore ha smesso di sobbalzare furiosamente, come se fossi in procinto di commettere un omicidio. Omicidio. Quanti omicidi ho commesso? Tanti. Troppi. Solo per vendetta? Non saprei. Non sono più sicuro di niente, se non che desideravo ardentemente che mio padre provasse la mia stessa sofferenza, volevo che capisse cosa si prova a vedere l’unica persona che ti ama cadere a terra priva di sensi.
Mi prendevo cura di mia madre, e quando lo facevo mio padre picchiava anche me. Ricordo che mi chiamava “figlio di puttana”, ma all’epoca non sapevo ancora che cosa significasse.
Lui non lavorava. Passava le giornate con quelli che lui chiamava amici.
Quando tornava a casa tardi la sera, era ubriaco. Rovesciava mobili e sedie, strappava le lenzuola e violentava mia madre. Poi lei piangeva e lui la picchiava. Non ho mai capito perché lei non si ribellasse. Subiva in silenzio e ripeteva che lui era mio padre, e che quindi dovevo portargli rispetto.
Mamma, perché fai così? Non piangere. Rivedo il tuo riflesso nello specchio, non è uguale al mio.
Mia madre si era sposata a soli dodici anni e a tredici era rimasta incinta di me. Per i vampiri l’età adulta è precoce, dal momento che, una volta raggiunta la massima crescita, il loro corpo non cambia e resta invariato per sempre.
Una volta fuggii di casa quando mio padre mi picchiò. Avevo il sangue che mi colava dalla fronte ma la ferita si rimarginò presto. Restai fuori tutta la notte e quando tornai, mia madre non era molto contenta del mio gesto. Ripeteva in continuazione che dovevo rispetto verso mio padre, dovevo venerarlo per avermi dato la vita. Io però odiavo quella vita, non la volevo, e ancor di più disprezzavo mio padre per avermela data.
Perché mamma non capisci?
Negli ultimi tempi le cose peggiorarono ulteriormente. Vedevo gli occhi di mia madre riempirsi di rammarico. Sosteneva che non avrebbe mai dovuto sposarsi con un uomo simile, che era una vera ingiustizia che maltrattasse anche me.
Ma mio padre, tutto questo non lo capiva.
Avevo tredici anni, quando mia madre morì per causa sua.
Ricordo ancora quel momento. È come se si fosse impresso in modo indelebile nella mia mente.
No! Non farlo! È stato tutto troppo veloce.
Mamma!
Avevano litigato, come sempre, e per l’ennesima volta mio padre la picchiò. Fu una sorpresa quando vidi mia madre ribellarsi, per la prima volta. Aveva gli occhi accesi di una luce a me sconosciuta e la sua espressione era notevolmente cambiata. Non c’era più amore in quegli occhi, in quelle labbra che adesso scoprivano i lunghi canini.
Per tutto il tempo ero rimasto immobile, pietrificato sulla soglia della porta. Mia madre si accanì contro di lui, ma un colpo violento di magia nera la perforò allo stomaco, e il suo corpo si incendiò in un attimo.
Perché l’hai fatto?
Non era stata una domanda. Non avevo aperto bocca. Mia madre si contorceva tra le fiamme e io non ero in grado di dire niente.
Ricordo ancora quelle grida, la sua bocca aperta nell’ultimo respiro, prima che si riducesse in cenere. E la cenere venne portata via dal vento. Mio padre si voltò verso di me ghignando.
Perché l’hai fatto?
Poi il suo sguardo mutò improvvisamente. Solo adesso mi rendo conto che quello sguardo era colmo di dispiacere. In quel momento credevo soltanto che volesse deridermi. Poi lui se ne andò sbattendo la porta, non lo rividi mai più.
Accecato dalla rabbia e dal dolore per la scomparsa di mia madre, iniziai a dar fuoco a qualsiasi cosa incontrassi sul mio cammino. Avevo forse perso il lume della ragione e a guidare le mie azioni erano sentimenti contrastanti di puro odio e amore.
Non riuscivo a far sfogare la mia rabbia e per intere notti vagai solitario nel cuore delle periferie di Jeza. Il mondo mi appariva grigio e improvvisamente privo di un significato concreto; i colori erano sfuocati e le voci e i suoni lontani anni luce dalla mia dimensione. Non era rancore quello che provavo. Volevo vendetta.
Adesso riesco a sbalordirmi di quei miei sentimenti di rabbia, ma all’epoca mi sembravano così naturali e uscivano fuori con una spontaneità disarmante.
All’improvviso mi sento invadere da un vuoto assoluto e la rabbia ritorna. Guarda le candele, guardale. Guarda la loro calma fiammella. Non riesco più a scrivere, vedo nello specchio le lacrime macchiare di rosso il mio volto. Ho bisogno di una pausa, ma non posso. So che la mia fine è vicina. Devo continuare. Non posso permettermi di lasciarmi andare alle emozioni. Esse sono la causa della mia stessa sconfitta. Devo ritrovare la serenità, la ragione. Calmati.
Perché l’hai fatto? Guarda!
Mamma, dove sei? Il vento ti ha portato con sé, dove le nuvole solcano il cielo e non ci sono navi che lascino la sica. Le stelle splendono nel firmamento. Mamma, dove sei?
..................................................... [continua]