Prosa e racconti brevi

Lin89

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Vale ma sono tutti pezzi presi dalla bibbia? Che lavoraccio! :mrgreen: Brava, comunque. :)
 

Lin89

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Risveglio

Riprendo il coraggio a diciotto mani e vi posto un altro pezzo di schifo della mia collezione. :mrgreen:
Come in precedenza, non siate magnanimi o indulgenti. Siate schietti schietti come piacete a me. :)
Spero almeno di non farvi pentire di aver perso qualche minuto nel leggere. :)


Era rimasto immobile per un lasso di tempo che neanche lui saprebbe definire. Era rimasto lì in piedi al centro di quella che era stata la sua stanza per due lunghi anni. Non pensava a nulla, si guardava soltanto intorno alla ricerca di non si sa bene cosa. Aveva lo sguardo assente e sembrava perso in un altro mondo, probabilmente quello dei ricordi.
In quei due anni non era successo molto, ma quella stanza era piena di emozioni contrastanti che vorticavano tutte nella sua mente in quel preciso istante.
Solo una iniziò a piano, a piano a emergere fra le altre. All’inizio era come un sussurro all’orecchio, dolce e piacevole, poi cominciò a farsi insistente e sentì quel familiare bruciore alla bocca dello stomaco che l’aveva accompagnato per tutta l’adolescenza. Sorrise.
Gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Tremò per lo sforzo e tese tutti muscoli dalla testa ai piedi. Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani, ma non sentì dolore. Non sentiva nulla se non quell’unica emozione: pura e travolgente.
Scattò come una tigre e, continuando a urlare, iniziò a distruggere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Le piccole cose furono le prime ad essere spazzate via. Oggetti di qualsiasi materiale finirono frantumati a terra o sulle pareti. I mobili non furono risparmiati, il legno cedette quasi subito sotto i suoi colpi persistenti e che non accennavano a diminuire neanche quando dalle nocche iniziò a sgorgare il sangue a fiotti. Cassetti e ante degli armadi divisi letteralmente a metà, lanciati a terra e poi calpestati. Vestiti strappati a morsi, vetri e specchi distrutti lanciandovi contro le sedie, la lampada, le scarpe, i cubi di Rubik che tanto amava e che gli fecero compagnia per lunghi pomeriggi insieme alla solitudine.
Passò a prendere di mira perfino i suoi libri a cui tanto teneva e di cui era così tanto geloso. Li prese a uno a uno e li strappò pagina per pagina, sghignazzando. Faceva cadere le pagine come fossero foglie al vento e ci camminava sopra incurante.
Si accorse che il suo cellulare vibrava nella tasca destra dei pantaloni mentre rovesciava il letto su cui aveva dormito, divorato libri, studiato, pianto, riso, parlato, fatto l’amore, masturbato, perfino sognato. Si fermò ansimante per qualche secondo col cuore che batteva così forte da uscirgli dal petto. Prese il telefono in mano e vide chi lo stava chiamando. I suoi occhi si iniettarono letteralmente di sangue. Il fuoco divampò e lanciò il cellulare contro il televisore. Prese il pc e lo distrusse sbattendolo contro il muro così violentemente che le schegge gli tornarono indietro conficcandosi sul suo volto. Con la faccia insanguinata e madida di sudore, corse di nuovo verso il letto. Un pezzo di legno di un ormai irriconoscibile comodino lo fece inciampare e cadere rovinosamente a terra. Ma il formicolio dentro non era cessato e con un ultimo urlo di sfogo, tirò un pugno al pavimento con una forza tale da far tremare tutto. La mattonella si spaccò insieme alle ossa della sua mano già martoriata.
Finalmente, tutto tacque. Si sentiva solo il suo respiro affannoso e pesante. Quando anche il suo cuore si calmò, chiuse gli occhi in preda alla stanchezza. Si rannicchiò in posizione fetale e stava quasi per addormentarsi quando riaprì per un attimo gli occhi, giusto il tempo di accorgersi dell’unica cosa che si era salvata dalla distruzione. La sua tigre bianca di peluche era lì, al suo solito posto sulla mensola, con il suo sguardo triste e pensieroso che lo guardava.
Cedette al sonno subito dopo e si addormentò con il sorriso sulle labbra insanguinate.

Riaprì gli occhi a causa di un fastidio alla coscia. Era rimasto immobile per un lasso di tempo che neanche lui saprebbe definire. Era rimasto lì in piedi al centro di quella che era stata la sua stanza per due lunghi anni. Il fastidio persisteva irrefrenabile e irritante. Mise una mano in tasca. Era il suo cellulare che vibrava.
 

Nerst

enjoy member
Bella storia, mi è piaciuta, sia nello stile che nel linguaggio scorrevole. Anche se il motivo di tutto lo sfogo del protagonista non è espresso, mi ha incuriosita, perchè esso potrebbe essere qualsiasi. Ti dico solo che dopo aver letto il pezzo, nella mia mente, la mia stanza era ridotta allo stesso modo :mrgreen: Brava
 

Lin89

Active member
Bella storia, mi è piaciuta, sia nello stile che nel linguaggio scorrevole. Anche se il motivo di tutto lo sfogo del protagonista non è espresso, mi ha incuriosita, perchè esso potrebbe essere qualsiasi. Ti dico solo che dopo aver letto il pezzo, nella mia mente, la mia stanza era ridotta allo stesso modo :mrgreen: Brava

Grazie. :) Beh probabilmente il motivo erano i troppi ricordi di quella stanza, ha voluto distruggerla anche solo nella sua mente. Perchè comunque (anche se forse si capisce poco) lui alla fine non ha fatto nulla, ha solo immaginato. Vabbè, son felice che ti sia piaciuto. :)
 

Valentina Bellucci

La Collezionista di Sogni
@Zac & Lin: grazie!

@Lin: sono pezzi di vangeli... :??.... mi prometti che metti altri tuoi racconti?????? :YY :mrgreen: Brava, brava e ancora brava!!!
 

Valentina Bellucci

La Collezionista di Sogni
Questa è una breve autobiografia (pentimento, più o meno) di uno dei miei personaggi preferiti ("il cattivo" inventato da me eh...) :mrgreen:

Spero che vi piaccia! Buona lettura!



“Quando presi il potere circa nove anni or sono non mi resi subito conto di quello che stavo per fare.
La mia vita era da sempre stata una lotta continua, e il desiderio imminente di evadere da ogni tipo di situazione tormentata, non faceva altro che triplicare il supplizio di una vita senza un vero scopo. Cosa dire, in fondo, di me stesso? Mi sono ripetuto questa domanda innumerevoli volte, troppe forse. Così tante da diventarne ossessionato.
Anche adesso, che scrivo e scrivo e scrivo. Cosa devo scrivere? Da dove devo partire, per poter dare un senso alla mia vita? Chi leggerà queste parole, crederà sicuramente di avere a che fare con un pazzo, e forse in fin dei conti lo sono, un pazzo. Ma non desidero che le persone mi ricordino come un folle. Lo sono e lo sono stato. Voglio però che possano trarre vantaggio da ciò che scrivo, per limitare, un giorno, possibili danni. Iniziamo con lo spigare chi era la mia famiglia d’origine. Proprio da lì, partirono tutte le mie sofferenze.
Mio padre era un mago, un mago dagli enormi poteri magici ma con una psicologia incapace di grandi disegni e, mia madre, era una bellissima vampira dagli stupendi occhi azzurri e dalla folta capigliatura corvina.
Mia madre…
La ricordo ancora molto bene, come se fosse ancora qui al mio fianco, come se ancora mi guardasse e mi sorridesse. Come se ancora potessi udire il dolce suono del suo sospiro.
Quante notti l’ho vista piangere distesa sul suo letto. Ricordo che aveva un letto bellissimo, dai morbidi cuscini e dalle candide lenzuola che emanavano il suo dolce profumo di pesca. Ma quando la vedevo piangere disperatamente, quel letto appariva così buio e così triste ai miei occhi.
Lei pregava, pregava spesso, e si rivolgeva agli dèi con suppliche dalla voce rotta dal pianto e le sue mani erano congiunte, l’orlo della veste che le sfiorava le ginocchia piegate. Se chiudo gli occhi riesco ancora a vederla nitidamente, come se in fondo non fossero passati così tanti anni a separarmi da quei momenti.
La rivedo mentre pregava, e il materasso si piegava dolcemente sotto il suo peso.
Ricordo quando ero solo un bambino e mi dondolava dolcemente tra le sue braccia e mi cantava poesie per farmi addormentare la notte. Ricordo la consistenza dei suoi vestiti, il suo profumo, i suoi boccoli neri che le scendevano sul seno, creando deliziose curve. Era mia madre, la donna che mi ha creato e poi amato e io ero suo. Solamente suo. Non desideravo altro che la sua confortante presenza. Amavo mia madre come invece odiavo mio padre.
Se ripenso a lui, mi sale dentro una rabbia indomabile, che mi fa fremere le membra e agitare il cuore, che mi fa piangere e gridare, e il dolore lancinante che mi pervade mi allontana irrimediabilmente dalla ragione. Ma adesso non posso abbandonarmi ai miei rabbiosi stati d’animo. Non posso, no? Ho deciso di scrivere a grandi linee la mia storia, e desidero farlo a mente lucida.
Osservo la fiamma docile delle candele, e mi rassereno pensando a quanto mia madre le amasse. La sua stanza profumava sempre d’incenso e c’era sempre una candela accesa sul comodino.
Ma torniamo alla mia storia. Torniamo a mio padre.
Lui riusciva sempre a intimorirmi con i suoi sguardi. Aveva due occhi grandi, severi, privi di qualsiasi compassione o amore. I suoi gesti non erano mai gentili e i suoi modi apparivano falsi e arroganti.
Dicevano che mio padre fosse un uomo attraente, io l’ho sempre visto come un mostro spregevole e pieno di odio.
Potrei dire che odiavo mio padre. Non mi vergogno di una simile affermazione, perché essa rispecchia la pura e semplice verità. Lo odiavo per quello che era, per quello che diceva, perché picchiava mia madre, talvolta lasciandole segni che le provocavano intere settimane di convalescenza.
Ecco, ci siamo. Sento nuovamente la rabbia invadermi e quasi non riesco più a scrivere. Guardate gli orribili scarabocchi che sono capace di fare. Non posso rovinare questa splendida pergamena, è tra le più costose e pregiate.
Calmati, ti trema la mano. Non arrabbiarti. Non vedi l’inchiostro che si sparge sulla ruvida pergamena? Cosa pensi che crederanno quelli che sfoglieranno il tuo manoscritto? Che sei solo un idiota.
Calmati.
Mi sono calmato, la mano non trema più e il cuore ha smesso di sobbalzare furiosamente, come se fossi in procinto di commettere un omicidio. Omicidio. Quanti omicidi ho commesso? Tanti. Troppi. Solo per vendetta? Non saprei. Non sono più sicuro di niente, se non che desideravo ardentemente che mio padre provasse la mia stessa sofferenza, volevo che capisse cosa si prova a vedere l’unica persona che ti ama cadere a terra priva di sensi.
Mi prendevo cura di mia madre, e quando lo facevo mio padre picchiava anche me. Ricordo che mi chiamava “figlio di puttana”, ma all’epoca non sapevo ancora che cosa significasse.
Lui non lavorava. Passava le giornate con quelli che lui chiamava amici.
Quando tornava a casa tardi la sera, era ubriaco. Rovesciava mobili e sedie, strappava le lenzuola e violentava mia madre. Poi lei piangeva e lui la picchiava. Non ho mai capito perché lei non si ribellasse. Subiva in silenzio e ripeteva che lui era mio padre, e che quindi dovevo portargli rispetto.
Mamma, perché fai così? Non piangere. Rivedo il tuo riflesso nello specchio, non è uguale al mio.
Mia madre si era sposata a soli dodici anni e a tredici era rimasta incinta di me. Per i vampiri l’età adulta è precoce, dal momento che, una volta raggiunta la massima crescita, il loro corpo non cambia e resta invariato per sempre.
Una volta fuggii di casa quando mio padre mi picchiò. Avevo il sangue che mi colava dalla fronte ma la ferita si rimarginò presto. Restai fuori tutta la notte e quando tornai, mia madre non era molto contenta del mio gesto. Ripeteva in continuazione che dovevo rispetto verso mio padre, dovevo venerarlo per avermi dato la vita. Io però odiavo quella vita, non la volevo, e ancor di più disprezzavo mio padre per avermela data.
Perché mamma non capisci?
Negli ultimi tempi le cose peggiorarono ulteriormente. Vedevo gli occhi di mia madre riempirsi di rammarico. Sosteneva che non avrebbe mai dovuto sposarsi con un uomo simile, che era una vera ingiustizia che maltrattasse anche me.
Ma mio padre, tutto questo non lo capiva.
Avevo tredici anni, quando mia madre morì per causa sua.
Ricordo ancora quel momento. È come se si fosse impresso in modo indelebile nella mia mente.
No! Non farlo! È stato tutto troppo veloce.
Mamma!
Avevano litigato, come sempre, e per l’ennesima volta mio padre la picchiò. Fu una sorpresa quando vidi mia madre ribellarsi, per la prima volta. Aveva gli occhi accesi di una luce a me sconosciuta e la sua espressione era notevolmente cambiata. Non c’era più amore in quegli occhi, in quelle labbra che adesso scoprivano i lunghi canini.
Per tutto il tempo ero rimasto immobile, pietrificato sulla soglia della porta. Mia madre si accanì contro di lui, ma un colpo violento di magia nera la perforò allo stomaco, e il suo corpo si incendiò in un attimo.
Perché l’hai fatto?
Non era stata una domanda. Non avevo aperto bocca. Mia madre si contorceva tra le fiamme e io non ero in grado di dire niente.
Ricordo ancora quelle grida, la sua bocca aperta nell’ultimo respiro, prima che si riducesse in cenere. E la cenere venne portata via dal vento. Mio padre si voltò verso di me ghignando.
Perché l’hai fatto?
Poi il suo sguardo mutò improvvisamente. Solo adesso mi rendo conto che quello sguardo era colmo di dispiacere. In quel momento credevo soltanto che volesse deridermi. Poi lui se ne andò sbattendo la porta, non lo rividi mai più.
Accecato dalla rabbia e dal dolore per la scomparsa di mia madre, iniziai a dar fuoco a qualsiasi cosa incontrassi sul mio cammino. Avevo forse perso il lume della ragione e a guidare le mie azioni erano sentimenti contrastanti di puro odio e amore.
Non riuscivo a far sfogare la mia rabbia e per intere notti vagai solitario nel cuore delle periferie di Jeza. Il mondo mi appariva grigio e improvvisamente privo di un significato concreto; i colori erano sfuocati e le voci e i suoni lontani anni luce dalla mia dimensione. Non era rancore quello che provavo. Volevo vendetta.
Adesso riesco a sbalordirmi di quei miei sentimenti di rabbia, ma all’epoca mi sembravano così naturali e uscivano fuori con una spontaneità disarmante.
All’improvviso mi sento invadere da un vuoto assoluto e la rabbia ritorna. Guarda le candele, guardale. Guarda la loro calma fiammella. Non riesco più a scrivere, vedo nello specchio le lacrime macchiare di rosso il mio volto. Ho bisogno di una pausa, ma non posso. So che la mia fine è vicina. Devo continuare. Non posso permettermi di lasciarmi andare alle emozioni. Esse sono la causa della mia stessa sconfitta. Devo ritrovare la serenità, la ragione. Calmati.
Perché l’hai fatto? Guarda!
Mamma, dove sei? Il vento ti ha portato con sé, dove le nuvole solcano il cielo e non ci sono navi che lascino la sica. Le stelle splendono nel firmamento. Mamma, dove sei?
..................................................... [continua]
 

Valentina Bellucci

La Collezionista di Sogni
[...] ..................

Ho intriso nuovamente la penna nel calamaio e adesso mi sento più tranquillo. Guardo ancora la pergamena ricoperta dagli schizzi dell’inchiostro. Dovrei ricopiare le mie memorie su una pergamena più pulita? No, non perdere tempo, vai avanti. Torna indietro con la memoria, torna nel momento in cui tuo padre se ne andò.
Osservavo la notte e giuravo vendetta, lo giuravo alle stelle, agli astri luminosi, lo giuravo allo spirito di mia madre.
Spirito.
Mia madre era diventata uno spirito? Il riflesso incorporeo di quello che era stata in vita? Non lo sapevo. Niente mi appariva chiaro in quelle notti tormentate, più di quanto possa apparire chiara una vallata immersa nella bruma mattutina.
Mamma, posso toccarti? Mi senti? Dove sei? Ho bisogno di te, non lasciarmi solo.
Dove ti ha portata il vento? La tua cenere si è posata al suolo? Posso baciare la terra?
Passarono due mesi, poi tre. Non avevo nessuno al mio fianco se non me stesso, e una sera al tramonto, la verità mi apparve improvvisamente chiara e tangibile, che formalmente non provai neanche dolore. Una scarica leggera di scintille mi avvolse alla vita. Mi sembrava che il vento mi stesse sfiorando. I miei capelli erano neri e agitati nella brezza, i miei grandi occhi si illuminarono.
Alzai lo sguardo. Mia madre era morta. Non esisteva più.
Mia madre se ne era andata molto tempo prima. La verità mi piovve addosso come grandine di petali profumati, e io vedevo quel sole al tramonto come se prima di quel momento il sole non fosse mai esistito, per me.
Per tutti quei mesi, che avevo vagato solitario, sapevo che mia madre non esisteva più, ma solo in quel preciso momento ero riuscito a rendermene veramente conto.
Non avrei più potuto parlarle, non avrei mai più rivisto quegli occhi così simili ai miei, ma così indimenticabilmente più profondi. E anche se l’angoscia e il dolore erano forti il mondo non era cambiato. Io soffrivo immensamente e le mie lacrime cadevano sull’erba fresca dove ogni sera si posava la brina, e i sassi erano immobili, le foglie oscillavano al vento, l’acqua scorreva nei torrenti fino a raggiungere la valle. Ogni cosa era rimasta uguale, non era cambiata, eppure il mio mondo era stato travolto e trasformato.
Parchè l’hai fatto? La mamma era buona con me, perché l’hai uccisa?
Presi una decisione, una decisione che cambiò la mia intera esistenza. In soli due anni, raccolsi attorno a me una quantità ragguardevole di seguaci e assieme a loro, mi diressi verso la Terra dell’Est, dove mio padre era andato ad abitare, lasciandomi solo con la mia rabbia e il mio dolore.
Lo cercai ovunque ma fu tutto inutile. La rabbia mi assaliva da dentro, sentivo il mio stomaco contrarsi in spasmi incontrollabili. Tossii più volte, e quando tossivo la mia gola doleva e gli occhi mi si inumidivano. Non provavo più nessuna gioia nemmeno quando cacciavo. E sì, che mia madre mi aveva fatto amare quell’atto. Cacciare non significa uccidere, ma nutrirci. Questo mi ripeteva. Io odiavo nutrirmi. Quando bevevo il sangue, rivedevo mia madre stesa a terra, i lividi che le ricoprivano gambe e braccia. Rivedevo il suo sangue uscire a fiotti dalla sua bocca.
Basta. I ricordi sono troppo violenti. Non ce la faccio più.
Con un Colpo di Stato salii al trono di Jeza e da lì, fu il terrore totale. Preso da una disperazione frenetica, diedi l’ordine che si venissero uccisi tutti i maghi del regno. Mio padre doveva morire e solo così io avrei ottenuto la mia vendetta.
Da quei giorni di disperazione, sono passati nove anni.
Non so che fine abbia fatto mio padre, adesso; forse è morto durante questi nove anni di terrore; forse è riuscito a sopravvivere nascondendosi nelle Terre Lontane. Nessuno mi ha mai portato sue notizie. Non l’ho più rivisto e morirò senza sapere.
Continuo ancora a soffrire, ma ciò che adesso mi fa più male, non è la disperazione per l’uccisione di mia madre. Sono passati tanti anni, e anche se provo ancora nostalgia di lei, sono felice di sapere che adesso non soffre più, che adesso mio padre non la potrà più toccare.
Sono triste per la consapevolezza di non poter ricevere perdono da nessuno. Ciò che ho fatto è incalcolabile. Indegno. Non merito pietà o perdono. E neanche lo voglio il perdono, non lo merito. Odiavo mio padre e sono diventato come lui: un essere spregevole e senza alcun rispetto verso gli altri, infimo e crudele. Ho sterminato interi popoli solo per la mia folle brama di vendetta. Ho massacrato vite innocenti e per questo merito l’inferno.
Ancora non comprendo perché scrivo tutto ciò, ma spero che potrà servire a qualcuno. La cosa mi consola un po’. Sapere che qualcuno leggerà le mie memorie, che non verranno perdute, che forse un giorno il mondo sarà migliore per tutti.
Odio me stesso e quello che ho fatto, con la stessa intensità di come un tempo avevo odiato mio padre. Ma adesso sono realmente solo, accompagnato notte e giorno dalla rassegnazione. Una rassegnazione e una profonda tristezza. Mia madre non avrebbe mai voluto tutto questo. Mia madre era bella, amabile. Io sono solo un mostro, il riflesso incondizionato di quello che non avrei mai voluto essere.
Come descrivere le mie paure e le mie tristezze?
I frammenti dello specchio sono ancora distesi a terra sulla coltre rossa del tappeto. Non posso più sopportare la mia immagine. E fuori l’aria è fresca e il vento si è placato, ma la mia anima viaggia inquieta.
È tornato l’autunno e un altro anno sta per terminare.
Per tutto questo tempo ero stato accecato da una rabbia selvaggia e non riuscivo a vedere quello che stavo facendo. La vendetta è un’arma spietata e riesce incredibilmente a colpire anche chi non deve. Come può un uomo solo aver causato tanta sofferenza? Mi chiedo come possa essere riuscito a fare quello che ho fatto. Non sono un mostro, sono soltanto un assassino.
Quando dalla finestra odo l’urlo straziante di una madre, e un pianto silenzioso sale dalle profondità della terra in tutto il suo essere. Mentre il sole si oscura e le nubi che sopraggiungono odorano di pioggia. E il vento ulula assieme al canto dei lupi.
E l’erba è stata appena falciata vicino a quel torrente.
Quella civetta grida il suo disappunto, e la foglia cade al suolo in un dolce vortice. In cielo tante nubi accarezzano l’orizzonte.
Non ho paura della morte, non la temo. In questi anni di terrore ho imparato a non temere nulla se non me stesso. Il mio rammarico è forte ma le mie azioni imperdonabili. Tra non molto sarà l’alba di un nuovo giorno e ancora vedrò rovine, morte e distruzione. Ho infangato il nome di mia madre, ho perso il mio onore e forse ho perduto anche il significato dell’amore.
Parchè l’hai fatto?
Verrò ricordato per il mostro che sono. Per il vampiro omicida che porta il nome Dakhlam.
I fiori sbocciano e appassiscono, così come una vita nasce e un’altra muore. Cos’è in fondo la vita? Cos’è la morte? Entrambe fanno parte di un processo evolutivo che non avrà mai fine. Non sono immortale, il fuoco mi riduce in cenere e il cristallo bianco mi uccide.
Lasciate che mi trafiggano con odio e con rancore. Lasciate pure che il mio cuore cessi per sempre di battere; che l’ultimo respiro sia fresco. Lasciate che le mie ceneri si disperdano nel vento, così che io non possa mai più ritornare. Lasciate che tutto questo accada.
Vedete quella nuvola? È mia madre.
Lasciate che la guardi. Sentite il vento? Lasciate che lo ascolti anch’io.
Lasciate adesso viaggiare le mie parole; lasciatemi chiudere gli occhi.
Voglio vedere il sole”.

Tarmer Dakhlam,
figlio di un mago e di una vampira.
Firmato, il “Demone Nero”.
 

Lin89

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Getto

Amo il tratto che la penna produce sul foglio. Amo come la penna scivola sul bianco. Amo come l'inchiostro esce dalla sferetta. Amo come la mano sia contratta tutta intorno alla plastica trasparente. Amo come, alla fin fine, ogni lettera sia così diversa l'una dall'altra, sebbene sia la stessa mano a produrla. Amo come ci sia una calligrafia per ogni persona che scrive. Amo come la mente sia così legata al movimento, come il pensiero sia legato allo scrivere. Amo come la pagina che si ha di fronte e la mente siano comunicanti come dei vasi, ma invece di svuotarsi per far livellare il contenuto, l'una nutre l'altra fino al riempimento più totale. Amo come il foglio bianco mi seduca in maniera così poco volgare e così tanto sensuale. Amo come la mia mente a volte sia intimorita dalla purezza di quel bianco, come se avesse paura che qualsiasi cosa potesse mai produrre non farebbe altro che sporcare col suo inchiostro qualsiasi cosa, non solo il foglio. Amo il modo in cui la mia mente riesca a volte a superare tutti i suoi blocchi e le sue paure e riesca a riempire e riempirsi, a creare e crearsi. Amo come scrivendo non ci si senta mai soli. Scrivere...
 

maurizio mos

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Amo il tratto che la penna produce sul foglio. Amo come la penna scivola sul bianco. Amo come l'inchiostro esce dalla sferetta. Amo come la mano sia contratta tutta intorno alla plastica trasparente. Amo come, alla fin fine, ogni lettera sia così diversa l'una dall'altra, sebbene sia la stessa mano a produrla. Amo come ci sia una calligrafia per ogni persona che scrive. Amo come la mente sia così legata al movimento, come il pensiero sia legato allo scrivere. Amo come la pagina che si ha di fronte e la mente siano comunicanti come dei vasi, ma invece di svuotarsi per far livellare il contenuto, l'una nutre l'altra fino al riempimento più totale. Amo come il foglio bianco mi seduca in maniera così poco volgare e così tanto sensuale. Amo come la mia mente a volte sia intimorita dalla purezza di quel bianco, come se avesse paura che qualsiasi cosa potesse mai produrre non farebbe altro che sporcare col suo inchiostro qualsiasi cosa, non solo il foglio. Amo il modo in cui la mia mente riesca a volte a superare tutti i suoi blocchi e le sue paure e riesca a riempire e riempirsi, a creare e crearsi. Amo come scrivendo non ci si senta mai soli. Scrivere...

Mi è piaciuto molto, forse perché, semplicemente, parli di emozioni che provo anch'io.
Personalmente, se posso ma è una mia opinione, avrei compreso in una sola frase frasi ora più corte: es. Amo il tratto che la penna produce sul foglio, come la penna scivoli sul bianco, come l'inchiostro esca dalla sferetta. Amo come la mano... trasparente. Amo... ecc. Cosa ne pensi?
 

Lin89

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Mi è piaciuto molto, forse perché, semplicemente, parli di emozioni che provo anch'io.
Personalmente, se posso ma è una mia opinione, avrei compreso in una sola frase frasi ora più corte: es. Amo il tratto che la penna produce sul foglio, come la penna scivoli sul bianco, come l'inchiostro esca dalla sferetta. Amo come la mano... trasparente. Amo... ecc. Cosa ne pensi?

Grazie mille maurizio. :)
In effetti forse sarebbe più giusta la tua versione. Ma ho delle considerazioni da fare e forse si capisce il perchè della ripetizione. Quel pezzettino l'ho scritto di getto (da cui il titolo :mrgreen:) durante una lezione all'università. Mi è venuto spontaneo osservando proprio mentre la penna scivolava sul foglio per prendere appunti. Lasciai perdere la proffa e iniziai a scrivere a mano. La ripetizione di quel "Amo", rigorosamente in maiuscolo anche dato il punto precedente, lo vedo (col senno di poi) un esprimere quell'emozione che se avessi unito le frasi si perderebbe, almeno ai miei occhi ovviamente. :D
Il fatto che le prime frasi siano così corte rispetto alle altre, credo dipenda dal fatto che io scriva sotto spinta emozionale e all'inizio faccio quasi "violenza" a me stessa per esprimermi scrivendo appunto. Son corte quindi perchè l'inizio emotivo per me è quasi totalmente sotto controllo, poi la porta si spalanca per così dire. :) Come ti sembra?
 

maurizio mos

New member
Grazie mille maurizio. :)
In effetti forse sarebbe più giusta la tua versione. Ma ho delle considerazioni da fare e forse si capisce il perchè della ripetizione. Quel pezzettino l'ho scritto di getto (da cui il titolo :mrgreen:) durante una lezione all'università. Mi è venuto spontaneo osservando proprio mentre la penna scivolava sul foglio per prendere appunti. Lasciai perdere la proffa e iniziai a scrivere a mano. La ripetizione di quel "Amo", rigorosamente in maiuscolo anche dato il punto precedente, lo vedo (col senno di poi) un esprimere quell'emozione che se avessi unito le frasi si perderebbe, almeno ai miei occhi ovviamente. :D
Il fatto che le prime frasi siano così corte rispetto alle altre, credo dipenda dal fatto che io scriva sotto spinta emozionale e all'inizio faccio quasi "violenza" a me stessa per esprimermi scrivendo appunto. Son corte quindi perchè l'inizio emotivo per me è quasi totalmente sotto controllo, poi la porta si spalanca per così dire. :) Come ti sembra?


Mi sembra ineccepibile allora: è stata la tua emozione a dettarti le parole e quindi bene hai fatto a riportarle così come ti sono venute. D'altra parte ho premesso che era un'opinione dalla parte di chi legge e quindi partecipa solo di riflesso ai sentimenti di chi scrive. E' una posizione un po' comoda, diciamo, per dare giudizi che non tengono conto della tensione di chi scrive (per curiosità, che lezione era?)
 

Lin89

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Mi sembra ineccepibile allora: è stata la tua emozione a dettarti le parole e quindi bene hai fatto a riportarle così come ti sono venute. D'altra parte ho premesso che era un'opinione dalla parte di chi legge e quindi partecipa solo di riflesso ai sentimenti di chi scrive. E' una posizione un po' comoda, diciamo, per dare giudizi che non tengono conto della tensione di chi scrive (per curiosità, che lezione era?)

Letteratura russa. :)
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
è una mia personale opinione, ma credo che la "forza" di qst scritto sia proprio in quel ripetersi instancabile dell'amo...

Che bello! letteratura russa! quanto darei per poter assistere a una lezione del genere! quanto mi manca studiare, e quanto studiare argomenti che mi appassionano così tanto!!!
 

Valentina Bellucci

La Collezionista di Sogni
Bravissima Lin!!! :D
Quello che hai scritto è molto incisivo e pieno di emozioni, davvero!
Come ha detto maurizio mos forse la sua versione è più giusta, ma mettere i punti al posto delle virgole mi da un senso di maggior carattere, come se le frasi fossero sottolineate o marcate da un punto esclamativo.
 

Lin89

Active member
Bravissima Lin!!! :D
Quello che hai scritto è molto incisivo e pieno di emozioni, davvero!
Come ha detto maurizio mos forse la sua versione è più giusta, ma mettere i punti al posto delle virgole mi da un senso di maggior carattere, come se le frasi fossero sottolineate o marcate da un punto esclamativo.

Grazie Vale :)
 

maurizio mos

New member
Una bella invenzione.

<Forse il suo socio ha fatto resistenza, o i ladri hanno pensato che volesse reagire e così…>
<Poveretto, era un brav’uomo.> mi sentii in dovere di sospirare.
<Si, credo – il commissario sembrò incerto – ma con l’assicurazione e l’accordo di società per il quale lei ora è l’unico titolare della So.Co.Met…. credo che si sia reso conto di essere stato il primo dei sospettati, vero?>
<Lo so, e so che avete indagato su di me, ma mi è sembrato giusto, dato le circostanze.> lo rassicurai, cittadino modello che capisce il lavoro della Polizia.
<Senza i suoi vicini, che l'hanno sentita chiudere la televisione all’ora giusta, per così dire, e hanno notato lo spegnersi delle luci in casa sua, lei sarebbe stato…>
<Sarei stato nei guai.>
<E poi l'hanno sentita imprecare.>
<M'era caduto un fascicolo di conti, un'ora a riordinarlo.>
<Ma ad orientarci definitivamente sulla rapina è stata la perizia balistica. La pistola con cui hanno ucciso il suo socio era stata usata recentemente per l'omicidio di un piccolo trafficante, tale Amedeo Canna: un delitto di malavita.> concluse il commissario, chiudendo il fascicolo che fino a quel momento era rimasto aperto davanti a lui con l’aria di chiudere così anche le indagini

Poco dopo uscivo dalla Questura sotto al sole a piombo dell'estate.
Faceva un caldo maledetto ma dovevo esserne lieto, pensai: senza il caldo i miei vicini non avrebbero preso l'abitudine di cenare sul terrazzo e non avrebbero né sentito la televisione e io che imprecavo né visto spegnersi le luci.
Salendo sul mio BMW sorrisi: ero ricco, due milioni dalla polizza del mio defunto socio e diciotto dagli svedesi per la ditta! E il mio socio che non voleva vendere: preferiva lavorare dieci ore al giorno, quel fesso!
Fesso come Amedeo: come poteva pensare che l'avrei lasciato vivo dopo che mi aveva dato la pistola?, lasciarlo vivo perché potesse ricattarmi?, e poi, darmi appuntamento in quel luogo deserto.
<Così puoi provare la Glock!> mi aveva detto.
Vabbé che eravamo amici d'infanzia, anche se non ci vedevamo da vent'anni. L’averlo incontrato per caso, in quel grill sull’autostrada, era stata una fortuna, per me, ma...
Ma quel che mi aveva fatto decidere era stato, un mese prima, l’aver visto per caso in un negozio un temporizzatore. Uno di quegli aggeggi che uno li programma e quelli accendono o spengono il riscaldamento, le luci in giardino... Una bella invenzione: senza come avrei fatto a farmi credere in casa, spegnendo la TV e le luci ed avviando il registratore al momento giusto mentre ammazzavo quel fesso del mio socio?




E' un brevissimo racconto giallo noir che è inserito in "365", libro no profit per la ricerca e la cura di malattie rare dei bambini. Mi piace riproporlo qui sia per avere il giudizio degli amici del forum che per fare pubblicità al libro. 365web.tk E' stato pubblicato un anno fa e non ho notizie recenti, so che è stato anche proposto su ilmiolibro.it
 

alexyr

New member
E' carino.
Ma lo trovo un po' troppo "accademico".

Ogni domanda ha una risposta "punto -punto", e dai ogni singola risposta a ogni potenziale dubbio, come se stessi rispondendo diligentemente a un compito di matematica.

E poi, il compagno d'infanzia incontrato casualmente all'uopo, il commissario determinista, i vicini impiccioni, il socio da uccidere.. è una buona base, ma sento la mancanza dell'elemento "sporco",inatteso, imprevisto.
 
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