Tomasi di Lampedusa, Giuseppe - Il Gattopardo

Holly Golightly

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Quale differenza c'è tra l'edizione economica Feltrinelli e l'edizione conforme ai manoscritti del 1957?

Non ne sapevo niente :D ho fatto una breve ricerca su google ma le fonti mi sono parse abbastanza confusionarie, la questione mi sembra piuttosto incasinata :??

Se ho capito bene (e ripeto: "SE"): pare che Tomasi di Lampedusa abbia mandato per due volte il manoscritto all'Einaudi e alla Mondadori; com'è noto, Vittorini lo rifiutò e l'edizione che rifiutò la seconda volta era priva di due capitoli (quello del ballo e quello in cui il prete va a trovare i suoi parenti). In seguito, Bassani, che lavorava per la Feltrinelli, decise di rivalutare e pubblicare il libro, ma contaminò il manoscritto prendendo un po' da entrambe le redazioni che erano state inviate, quindi la prima edizione pubblicata non era conforme alla volontà dell'autore, come lo fu, invece, la copia del manoscritto che inviò un suo parente e che fu pubblicata nel 1969 (quella, appunto, conforme ai manoscritti del 1957). Questa copia era "in diplomatica", ovvero, per semplificare, era una copia che rispettava nei dettagli tutto quel che era stato scritto dall'autore, senza nessuna manipolazione dal copista (in questo caso il parente che ha inviato il manoscritto).

Ho letto due o tre fonti, tutte confusionarie, e mi pare di aver capito questo XD
 

handel589

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La sorpresa più grande di tutta la sfida letteraria. Il protagonista indiscusso del libro è don Fabrizio Corbera, principe di Salina, il Gattopardo, che assiste con impotenza e amara disillusione al disfacimento e alla caduta dell'aristocrazia conseguenti allo sbarco in Sicilia di Garibaldi e all'ascesa di una nuova classe nella società, la borghesia. Brillante astronomo (verso la fine scopriamo che aveva compiuto importanti calcoli per la Cometa di Huxley) e fine intellettuale, nelle varie scene di cui si compone il libro lo vediamo a che fare con: le vicende amorose fra Tancredi, amato nipote, ambizioso ma affettuoso, la nipote Concetta e la figlia del sindaco di Donnafugata, Angelica, bella e con ricca dote, con la quale Tancredi finirà per sposarsi; le ambizioni dell'acuto sindaco padre di Angelica, don Calogero, che cerca da subito di ingraziarsi don Fabrizio; l'annessione della Sicilia al Regno di Sardegna e in generale la formazione del Regno d'Italia.
Opera di grande significato, in cui l'autore fa emergere con forza quello che per lui è il cosiddetto "spirito siciliano", riassumibile nella celebre frase, pronunciata da Tancredi: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!"
La scrittura raggiunge vette elevatissime: lo stile ironico, disincantato, quasi amaro, che in ogni pagina dipinge un'atmosfera rarefatta e immobile, ma al tempo stesso infarcito di virtuosismi formali, è anch'esso una metafora della società siciliana dell'epoca. Il personaggio del Gattopardo, poi, è sublime, analizzato e approfondito perfettamente, né troppo né troppo poco; ho adorato praticamente tutto di lui, ogni frase pronunciata, ogni movimento di arto "gattopardesco". E la vetta più alta viene raggiunta in quella rara perla che è il capitolo sulla sua morte, meraviglioso, da brividi:

Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo: strano che così giovane com'era si fosse arresa a lui; l'ora della partenza del treno doveva esser vicina. Giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo e così, pudica ma pronta ad esser posseduta, gli apparve più bella di come mai l'avesse intravista negli spazi stellari.
Il fragore del mare si placò del tutto.


Capolavoro. 5/5.
 

IlLettoreComune

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recensione de "IL GATTOPARDO" di Tomasi di Lampedusa

Maggio 1860-Maggio 1910. In questi cinquant'anni di passaggio dal vecchio al nuovo, il Gattopardo, simbolo della casata del Principe Fabrizio Corbera di Salina (nonché stemma, fuori dal romanzo, della famiglia aristocratica dei Tomasi) è il protagonista indiscusso.
Egli è l'emblema di una Sicilia aristocratica che, con profondo disincanto, fa parte di un passato indiscusso e al quale Fabrizio Corbera si aggrapperà (con gli artigli) fino alla fine, rifiutando di rappresentare la nuova classe dirigente, la borghesia, che guarderà sempre con disprezzo. Garibaldi avanza, si prospetta una nuova Italia, o meglio si prospetta la fine del Regno delle due Sicilie che verrà annesso al Regno di Sardegna. Un cambiamento geo-politico che scuote gli animi dei siciliani, di quelli come il Principe di Salina che fino a quel momento avevano avuto l'onore di rappresentare una certa idea di potere. Mentre il Principe subisce l'inevitabile scorrere del tempo, che lo porterà alla morte fisica ma forse, soprattutto, a quella simbolica del Gattopardo (inteso come simbolo di un'aristocrazia decadente) il nipote Tancredi abbraccia l'idea di nuovo. E si apre al cambiamento, cavalcando la nuova era e combattendo addirittura a fianco di Garibaldi.
Sullo sfondo Tomasi ci mostra lo scorrere del tempo siciliano scandito da messe, processioni, una profonda devozione a Dio e poi ancora intrecci amorosi e interessi tra famiglie. Ma lo fa con discrezione, senza che l'aspetto più "folcloristico" sovrasti il centro del romanzo. Certo, l'ambiente non è mai quello popolare: Tomasi non può che ridipingere una Sicilia nobile, la sola che ha realmente conosciuto.
Nello scrivere l'autore sceglie le parole con una raffinatezza che contraddistingue lo stesso protagonista, vestendo quest'ultimo di espressioni tipiche di un vero uomo dalla mente acuta e dall'animo delicato. Non vi sono elementi linguistici superflui: tutto è esattamente come dev'essere, in un perfetto equilibrio tra stile, forma e contenuti.
"Il Gattopardo" è davvero un romanzo che sta tra l'autobiografico, lo storico e il narrativo: uno spaccato reale di una parte della nostra Italia che ancora oggi, probabilmente, risente del peso di secoli di dominazioni straniere che hanno portato ad un clima di profonda rassegnazione.
 

MadLuke

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Struggente affresco della grandiosa e meschina cultura siciliana

Ho letto questo romanzo dietro suggerimento di alcune guide turistiche, che in Sicilia mi avevano mostrato i luoghi pure citati nel romanzo, indispensabile a sua volta per coglierli in tutto l'autentico sapore del passato.
E scorrendo le pagine una dopo l'altra, credo di poter dire di aver effettivamente quell'atmosfera, che si esprime in conversazioni sagaci, galanti e lusinghiere come è lo spirito dei meridionali, ma anche apatica, pigra, lenta come un torrido pomeriggio d'agosto.
E prima che la modernità e la globalizzazione cancellino quel che ancora rimane degli elementi differenzianti della Sicilia rispetto al resto d'Italia e del mondo, è quasi un dovere lasciarsi trasportare almeno una volta in quello che neanche duecento anni fa era il Regno di Sicilia, sotto la dominazione borbonica che costituisce solo il penultimo anello di una lunga storia di continue colonizzazioni, di continui assoggettamenti alle volontà straniere e accomodamenti che sono del popolo tutto, così come del protagonista don Fabrizio. Nella vita sua e dei suoi familiari si scorgono le promesse mancate, gli entusiasmi traditi e spenti, la bellezza eternamente rimpianta prima ancora che incompiuta, di cui la Sicilia è solo un fulgido esempio, ma che si può ritrovare in larga misura nella vita dei più.
Il tratto che caratterizza maggiormente il dipanarsi della storia lungo i circa cinquant'anni del romanzo, è proprio quella sonnecchiosa ma mai sopita voglia, o forse meglio dire "attesa" di riscatto, a cui si accompagna la sempre più intensa nostalgia per una fantomatica età dell'oro persa nel remoto passato dei Sicani, così come nella giovinezza appassita delle sorelle Sedara ormai anziane zitelle.

Parafrasando Leopardi mi viene da dire "Così, tra questa immensità s'annega il pensier mio, e il naufragar m'è dolce in quest'isola."
 

Marzati

Utente stonato
Quando presi questo libro sapevo di trovarmi dinanzi a un capolavoro*, ma non sapevo quanto fosse vera questa osservazione; tra l'altro, da meridionale, sento che quella narrata è anche la mia storia, quella dei miei antenati, dei miei amici.
Questo libro suscita tante emozioni, idee, sentimenti. Potentissima è la nostalgia, il rimpianto, il decadimento che forti irrompono, o meglio: si palesano sempre più, perchè ci sono stati sin dall' inizio, sin dalla prima parola. Qui v'è il ritratto dei Salina, inventati ma ispirati dalla famiglia dello stesso Tomasi, che divengono (almeno) duplice emblema: sono il simbolo della nobiltà, ma anche dei Siciliani. Essi vengono raccontati a partire dal Principe che, col passare del tempo, sempre più si rende conto della fine del suo casato e della vecchia nobiltà in generale; egli assiste impotente agli eventi della storia, ancora una volta subita, che cambiano tutto, come un fiume in piena travolgono ogni cosa, cambiando di certo, ma in fondo lasciando tutto come era, si tratta di una trasformazione apparente.
Ho amato poi il linguaggio, pulitissimo, ricercatissimo eppure semplice, ma soprattutto sublimi sono le descrizioni, sia dei luoghi che degli abitanti, quando le leggevo mi sembrava di osservarle coi miei occhi, e alla mente riaffioravano scene vere, delle nostre terre, dei nostri uomini, uguali a come Tomasi li ha descritti.
Questo libro fa male, perchè racchiude in sé la sensazione di caducità, di declino, l'amarezza per lo scorrere del tempo, il sonno sia tormentato che placido di chi si è abbandonato, e il morboso amore per le proprie terre, le proprie tradizioni, la propria identità.

Grazie mille Tomasi, grazie grazie veramente


*per quanto condiviso è, ovviamente, una mia opinione.
 

ila78

Well-known member
Questo libro è una POTENZA. Sotto vari punti di vista.
Io in genere non amo i romanzi senza una "trama" precisa ma questo è un raro caso in cui non serve avere un plot ben chiaro, parlano le immagini, le suggestioni e, come dicevo, sono potentissime.
La storia dei Salina e del, per me, affascinatissimo Principe, parla da sola di un mondo che si sta sgretolando, attraverso le pagine si percepisce quasi l'odore di "stantio" e della gloria passata ormai coperta da uno strato di polvere. Stupenda in questo senso è, secondo me, l'immagine iniziale della cena: il sole al tramonto filtra attraverso le finestre e solleva la polvere sui mobili attorno, la nobile famiglia è riunita a tavola, si rispettano convenzioni e regole del passato, ma l'autore ci fa notare che le stoviglie preziose sono rovinate, così pure le tovaglie e candelabri, su tutto incombe la fine, anche se i "nostri" si ostinano a far finta di niente.
Anche la figura della bella Angelica è un' allegoria del "nuovo" che irrompe in un mondo immutabile e inevitabilmente lo cambia: Angelica, pur stupenda, è quella che si dice una "parvenu", una borghese, pure un po' volgarotta all'inizio, mai una come lei, avrebbe potuto aspirare a entrare in una famiglia nobile per matrimonio eppure accalappia il bel Tancredi e lo soffia alla, meno affascinante ma blasonata Concetta. :boh:
E' un affresco limpido lucido e meraviglioso di un' epoca e di una Regione. Consigliatissimo.
Voto 5/5
 

Grantenca

Well-known member
Strano che in tutte le recensioni nessuno abbia messo in evidenza il colloquio tra il principe e l'emissario torinese che gli propone un posto di senatore nel nuovo regno d'Italia. In quel colloquio c'è tutta la Sicilia. Capolavoro assoluto.
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Sicilia. Basta anche solo pronunciare il nome di questa terra per evocare luce, calore, passionalità, profumi e sapori inebrianti, ma anche contraddizioni e misteri. “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa trabocca di tutto questo e molto di più. Ambientato nella Sicilia del 1860, narra l’empasse storica scaturita dalla cacciata dei Borboni mediante un plebiscito, e lo fa attraverso gli occhi nobili ma intelligenti e consapevoli di Don Fabbrizio Falconeri, principe di Salina.
Apparentemente è proprio lui, con le sue vicende familiari, il protagonista di questa storia; in realtà, però, la vera protagonista è la Sicilia e con lei la sua gente e la gente di tutto il Sud, di allora e di ora, impegnata a profondersi in dimostrazioni di magnificenza, buone creanze ed impeti rivoluzionari che nascondono una ferrea volontà di impedire il cambiamento e di auto conservarsi nell’orgoglio di una ricchezza finta e di convinzioni effimere. Don Fabbrizio vede tutto questo, lo comprende e ne viene sopraffatto perché, al contrario di chi viene da fuori con l’illusione del cambiamento, lui sa che la Sicilia e i siciliani non vogliono cambiare: “tutto cambia perché tutto resti com’è” è una delle sue frasi più celebri che ben sintetizza questo pensiero. Un classico, questo, che con stile anticuato e linguaggio barocco tratta tematiche di estrema attualità: l’incertezza per il futuro, una classe politica dalla quale non si sa cosa aspettarsi, l’estrema lotta di alcuni per mantenere certi status e di altri per guadagnarseli con astuzia e ambizione. Sono temi che ritrovavamo nel 1860, negli anni 50 del Novecento quando questo libro fu pubblicato ed anche oggi, a dimostrazione estrema del principio espresso da Don Fabbrizio: tutto cambia affinché tutto resti com’è. “Il Gattopardo”, nonostante i temi interessanti, non è una lettura facile: personalmente l’ho trovato alquanto ostico, soprattutto nella parte iniziale, ed ho ancora la sensazione forte di non averlo compreso fino infondo. Tuttavia è evidente che si tratta di un classico della letteratura italiana la cui importanza è pari all’attualità dei suoi contenuti, pertanto non posso che consigliarne la lettura.
 

Tanny

Well-known member
Nonostante riconosca l'importanza dal punto di vista letterario di questo libro, sinceramente non mi è piaciuto, sono un lettore abbastanza "onnivoro" e riesco a leggere di tutto, ma questo è uno dei rarissimi casi in cui posso dire che potevo fare a meno di leggere.
 
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