Quando presi questo libro sapevo di trovarmi dinanzi a un capolavoro*, ma non sapevo quanto fosse vera questa osservazione; tra l'altro, da meridionale, sento che quella narrata è anche la mia storia, quella dei miei antenati, dei miei amici.
Questo libro suscita tante emozioni, idee, sentimenti. Potentissima è la nostalgia, il rimpianto, il decadimento che forti irrompono, o meglio: si palesano sempre più, perchè ci sono stati sin dall' inizio, sin dalla prima parola. Qui v'è il ritratto dei Salina, inventati ma ispirati dalla famiglia dello stesso Tomasi, che divengono (almeno) duplice emblema: sono il simbolo della nobiltà, ma anche dei Siciliani. Essi vengono raccontati a partire dal Principe che, col passare del tempo, sempre più si rende conto della fine del suo casato e della vecchia nobiltà in generale; egli assiste impotente agli eventi della storia, ancora una volta subita, che cambiano tutto, come un fiume in piena travolgono ogni cosa, cambiando di certo, ma in fondo lasciando tutto come era, si tratta di una trasformazione apparente.
Ho amato poi il linguaggio, pulitissimo, ricercatissimo eppure semplice, ma soprattutto sublimi sono le descrizioni, sia dei luoghi che degli abitanti, quando le leggevo mi sembrava di osservarle coi miei occhi, e alla mente riaffioravano scene vere, delle nostre terre, dei nostri uomini, uguali a come Tomasi li ha descritti.
Questo libro fa male, perchè racchiude in sé la sensazione di caducità, di declino, l'amarezza per lo scorrere del tempo, il sonno sia tormentato che placido di chi si è abbandonato, e il morboso amore per le proprie terre, le proprie tradizioni, la propria identità.
Grazie mille Tomasi, grazie grazie veramente
*per quanto condiviso è, ovviamente, una mia opinione.