Buzzati, Dino - Il deserto dei tartari

Vladimir

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Bellissimo. Le atmosfere, l'attesa, la solitudine. Ogni volta che lo leggevo mi trovavo sugli spalti della fortezza Bastiani, a fissare quella strada e quella frontiera, fremendo e sperando nell'arrivo dei tartari. È riuscito a scrivere un libro dove fondamentalmente non succede niente, basandosi solo su piccoli episodi. Geniale.

P.S.
Masetto ti ho risposto sul mio post sui promessi sposi.
 

El_tipo

Surrealistic member
Decisamente non consigliato a chi ama i romanzi in cui necessariamente debba succedere qualche cosa :wink:

a me non è piaciuto un granchè, non riesco a capire il senso dell'attesa, cioè la motivazione che la sottende. E di conseguenza non riesco ad afferrare il senso del finale :boh:
 

elena

aunt member
a me non è piaciuto un granchè, non riesco a capire il senso dell'attesa, cioè la motivazione che la sottende. E di conseguenza non riesco ad afferrare il senso del finale :boh:

Prova ad immaginare la situazione come se fosse reale: sei in attesa di un evento che non sai quando avverrà ma pensi che prima o poi dovrà avvenire. E attendi. La vita nel frattempo continua: il mondo che ti circonda continua a seguire i soliti rituali e tu ti senti in un certo senso estraniato da tutto perché il tuo compito è farti trovare pronto per l'evento. Necessariamente questo acuisce il senso di solitudine e altera il tuo senso di percezione delle cose.
Ecco Buzzati è riuscito a ricreare un'atmosfera incredibile di attesa ed estraneità al vita circostante con una tale maestria, che ti senti totalmente partecipe insieme al protagonista.......fino alla fine del romanzo sei anche tu solo, in perenne attesa.
 

Alice*

reading is breathing
Ogni capitolo era una continua riflessione, sulla vita, sul Tempo... E' qualcosa di stupendo questo libro. Alcune parole mi rimarranno in testa per sempre.
 

swann

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La parabola dell'inesorabile scorrere del tempo, rappresentato come un cammino che diventa via via più triste e malinconico, fino ad arrivare ad un grigio mare dove il percorso finisce, è semplicemente fantastica :ad:
 

Pietro

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La parabola dell'inesorabile scorrere del tempo, rappresentato come un cammino che diventa via via più triste e malinconico, fino ad arrivare ad un grigio mare dove il percorso finisce, è semplicemente fantastica :ad:

Proprio per questo non si può propriamente parlare di suspance. Più che altro, la caratteristica de "Il deserto dei Tartari" è una sorta di malinconica ansia, come se il personaggio non riuscisse a trattenere l'acqua di un ruscello che gli scorre lentamente, ma inesorabilmente, attraverso le dita.
 

Nik85+

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Attesa, speranza, indifferenza e solitudine; il tutto rilegato dall'insidioso e sotterraneo scorrere del tempo.

Il protagonista si fa persuadere dalla "dolcezza" delle abitudini, lo scorrere del tempo viene attutito dalla routine e dalla monotonia delle cose.

La speranza diventa lo scopo e la scusa di quell'infinita attesa. Drogo si rifugia nel suo auspicio, preferisce credere che nel suo futuro prima o poi qualcosa succederà.

Il poi arriverà molto in fretta, e solo alla fine il protagonista si accorgerà di aver consumato la sua vita nella Speranza.

Drogo muore nella solitudine, la sua esistenza non è servita a nulla. Il protagonista se ne accorge alla fine, quando ormai è troppo tardi.

Angoscia, tristezza e solitudine, questo libro di Buzzati fa molto riflettere! Chi dorme non piglia pesci? :?
 

mazzimiliano

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Ieri sera hanno fatto il film. Mi sembrava fatto bene ma hanno fatto aggiunte e modifiche che non mi sono piaciute e ho guardato solo pochi minuti
 

Mizar

Alfaheimr
a me non è piaciuto un granchè, non riesco a capire il senso dell'attesa, cioè la motivazione che la sottende. E di conseguenza non riesco ad afferrare il senso del finale :boh:
In sostanza concordo.
Ma, secondo me, le grandi mancanze di quest'opera - ciò che le impedisce di essere un gran libro - sono rintracciabili nelle scelte formali. Sufficienti poche pagine a chi abbia letto i grandi prosatori europei per essere solleticati dalla insistente sensazione che Buzzatone proprio non sappia utilizzare i ferri della forma romanzo. Tale innocente sensazione pruriginosa diviene quasi pressante se il lettore in parola ha già letto altro Buzzati: in particolare l'abile narratore di scaltri e felici racconti brevi. Sarebbe improprio e fuori testo dilungarsi sulla -a confronto indignitosa- differenza in termini qualitativi nelle due 'scelte'.
Le riflessioni sul tempo, sull'attendere ed altro possono a prima vista apparire profonde e cogitate, non c'è che dire. Ma, ad una lettura ragionata -a mio stretto parere- rischiano costantemente di apparire non già solo banali o banalmente espresse (si pensi alla discutibile e forse infantile trovata formale della ambientazione desertica) ma altresì già sentite; e sentite 'meglio'.
Penso a certo Kafka o a certo Mann per intenderci. Personalmete ho trovato non meno curiosa che bonariamente spassosa la circostanza o pensiero che molte di queste riflessioni siano riflesso sbiadito delle grandi pagine imbiancate di un sanatorio; che tale riflesso sbiadito non presenta -per incompresibili motivi- nè la spigliatezza nè il nitore stilistico del contra punto; che il finale del contra punto pare una ironica e spietata conclusione a confronto.

Mi impaurisce in maniera più o meno sincera il fatto che questo libro venga costatemente proposto ai liceali (poi ci si lamenta: "i ragazzi non leggono" o_O).

Sono tutte opinioni personali.
 
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Cle91

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secondo me il ritmo è troppo lento...troppo! ci sono degli ottimi spunti per la riflessione, è vero, la trama ti colpisce ma si svolge in lentamente e senza grandi sviluppi. non lo consiglio, è snervante
 

mariangela rossi

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E' un grande romanzo, coinvolgente e profondo, seppure senza una trama apparente riesce a catturare l'attenzione fino alla fine.
E' un pò la metafora della vita, tutti sogniamo, aspettando grandi cose, un avvenire denso di emozioni, di accadimenti straordinari, poi inesorabilmente la vita scorre sempre uguale, nel ritmo monotono dei giorni e, se non sappiamo cogliere l'attimo nell'aspettativa di un evento eccezionale, non riusciamo a godere di niente, ci ritroviamo vecchi, soli e disillusi.
Quando, poi, ci si rende conto che la vita è passata ormai è troppo tardi, le occasioni le abbiamo lasciate sfumare, la dolcezza dei piccoli gesti non l'abbiamo assaporata, resta solo il niente, il vuoto lasciato da desideri irrealizzabili.
Ho letto altri libri di Buzzati ma nessuno mi ha toccato emotivamente come questo.
 

Masetto

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La speranza diventa lo scopo e la scusa di quell'infinita attesa. Drogo si rifugia nel suo auspicio, preferisce credere che nel suo futuro prima o poi qualcosa succederà.

Il poi arriverà molto in fretta, e solo alla fine il protagonista si accorgerà di aver consumato la sua vita nella Speranza.

Drogo muore nella solitudine, la sua esistenza non è servita a nulla. Il protagonista se ne accorge alla fine, quando ormai è troppo tardi.

se non sappiamo cogliere l'attimo nell'aspettativa di un evento eccezionale, non riusciamo a godere di niente, ci ritroviamo vecchi, soli e disillusi.
Quando, poi, ci si rende conto che la vita è passata ormai è troppo tardi, le occasioni le abbiamo lasciate sfumare, la dolcezza dei piccoli gesti non l'abbiamo assaporata, resta solo il niente, il vuoto lasciato da desideri irrealizzabili.

Quoto. Credo sia proprio questo il senso del libro, l'avvertimento che Buzzati ha voluto darci: non sfuggite gli affetti, non abbiate paura di amare gli altri. Altrimenti finirete come Drogo, che ha mascherato per tutta la vita la sua incapacità di amare (cioè di darsi agli altri, di rischiare davvero) con i suoi sogni di gloria (militare in questo caso).








secondo me, le grandi mancanze di quest'opera sono rintracciabili nelle scelte formali
Ma quali sono secondo te queste grandi mancanze? E quali le scelte formali sbagliate?

Sarebbe improprio e fuori testo dilungarsi sulla differenza in termini qualitativi nelle due 'scelte'.
Perchè? Anzi, quale posto migliore che un sito dove si parla di libri per dilungarsi un po' su queste cose? Non è certo lo spazio che manca :)

Le riflessioni sul tempo, sull'attendere ed altro possono a prima vista apparire profonde e cogitate, non c'è che dire. Ma, ad una lettura ragionata -a mio stretto parere- rischiano costantemente di apparire non già solo banali o banalmente espresse (si pensi alla discutibile e forse infantile trovata formale della ambientazione desertica) ma altresì già sentite; e sentite 'meglio'.
Che ci siano libri che parlano meglio dello scorrere del tempo e dell'attesa è vero,
ma a me non sembra che queste riflessioni "rovinino" il romanzo. Buzzati usa mezzi espressivi "semplici", ma li usa bene, tant'è che non solo tanti lettori ma anche la critica gli riconosce d'aver creato un'opera di grande efficacia. Cito ad esempio Giorgio Barberi-Squarotti:

"Il deserto dei Tartari costituisce il più felice esito di Buzzati. La grande allegoria dell'attesa inutile della prova, dell'invecchiare angoscioso senza l'occasione per dare un senso alla propria esistenza, mettere a esperimento il proprio valore, è condotta con un'amara ironia, nella descrizione di una vita umana gettata in una vuota, angosciosa quotidianità, in un deserto che contiene solo il nulla del fallimento e dell'irrisione. Gli strumenti descrittivi (il rigido sistema militare, il paesaggio arido e nudo dove vive la guarnigione posta ai confini di un favoloso Stato) sembrano ispirarsi a Kafka, ma la tematica è chiaramente esistenzialista."

La scelta del deserto come sfondo è banale se la consideri da sola (ma allora anche il nudo fatto che Il processo di Kafka è ambientato in una città è, in sè, banale); ma Buzzati non si limita all'ambientazione: lui crea tutta una storia su questo sfondo, capace di avvincere grazie alla varietà dei personaggi (alienati, illusi, opportunisti,...) e al senso di mistero, di attesa, di speranza che riesce a far "spirare" da quel deserto.
 

Mizar

Alfaheimr
Ma quali sono secondo te queste grandi mancanze? E quali le scelte formali sbagliate?.
C'è scritto appena sotto. La forma romanzo.

Perchè? Anzi, quale posto migliore che un sito dove si parla di libri per dilungarsi un po' su queste cose? Non è certo lo spazio che manca :)
Masetto. Non hai inteso, temo, quello che volevo scrivere. Mi riferivo alla scelta del genere racconto ed alle capacità del suddetto D.B. dimostrate in quel senso. Confrontandole con il Deserto...
Lo 'spazio' è stato utilizzato nello stesso momento in cui, ironicamente, lo negavo (!)

Che ci siano libri che parlano meglio dello scorrere del tempo e dell'attesa è vero,
ma a me non sembra che queste riflessioni "rovinino" il romanzo.
E chi ha mai detto qualcosa del genere? Il romanzo per me non è un gran libro ... non solo per le riflessioni tout court ma per il modo in cui esse son poste, per il pressapochismo e...per tutto quanto ho già scritto e scrivo più sotto
Buzzati usa mezzi espressivi "semplici", ma li usa bene, tant'è che non solo tanti lettori ma anche la critica gli riconosce d'aver creato un'opera di grande efficacia. Cito ad esempio Giorgio Barberi-Squarotti:

"Il deserto dei Tartari costituisce il più felice esito di Buzzati. La grande allegoria dell'attesa inutile della prova, dell'invecchiare angoscioso senza l'occasione per dare un senso alla propria esistenza, mettere a esperimento il proprio valore, è condotta con un'amara ironia, nella descrizione di una vita umana gettata in una vuota, angosciosa quotidianità, in un deserto che contiene solo il nulla del fallimento e dell'irrisione. Gli strumenti descrittivi (il rigido sistema militare, il paesaggio arido e nudo dove vive la guarnigione posta ai confini di un favoloso Stato) sembrano ispirarsi a Kafka, ma la tematica è chiaramente esistenzialista.".
E questo cosa significa? Non la si può pensare diversamente?
Qui sopra è sintetizzato abilmente il romanzo. La questione è che questa sintesi multiforme a me pare molto migliore del libro. Allegoria...attesa...ironia...son tutte belle parole ma se ci si trova di fronte uno scritto che comunica la imbarazzante sensazione che l'autore non sappia 'reggere' il genere; che tutte le allegorie ed ironie non siano ben rese; che il tutto paia artificioso...tutto ciò rimane lettera morta.
Per questo motivo le "riflessioni" di B. mi paiono posticce o appiccicate su uno sfondo costruito 'male', artato, artificioso, banalmente impostato.

La scelta del deserto come sfondo è banale se la consideri da sola (ma allora anche il nudo fatto che Il processo di Kafka è ambientato in una città è, in sè, banale);.
Non direi. Kafka avrebbe potuto ambientare il tutto in una provincia meridionale della boemia dove il retaggio del diritto romano era ancora (più) forte. Così sarebbe stato banale.

ma Buzzati non si limita all'ambientazione: lui crea tutta una storia su questo sfondo, capace di avvincere grazie alla varietà dei personaggi (alienati, illusi, opportunisti,...) e al senso di mistero, di attesa, di speranza che riesce a far "spirare" da quel deserto.
Ma questa è una tua opinione. A me non ha comunicato nulla di tutto ciò. Per me, come detto, per così dire, si toccavano con mano i ferri del mestiere: come se si scorgessero ingranggi e costumi dietro le quinte.
Per non parlare dello stile ostentatamente plano e semplice...a mio modo di vedere nauseante.
Ma è noto. Sono opinioni.

E' poi è abbastanza (per non dire del tutto...) ovvo che "Buzzati non si limita all'ambientazione: lui crea tutta una storia su questo sfondo". Questo è il mestiere di ogni scrittore. Se non avesse saputo fare neppure questo...insomma.

Sempre secondo i mio parere il prblema di B. è proprio il Romanzo. A mioparere egli dimostra di non saperlo gestire: di non saper gestire insomma il 'materiale', gli attrezzi e di saper confezionare un prodotto non artificioso. Tante buone intenzioni...mal riposte.
 
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mariangela rossi

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Di tutti gli autori può essere scritto bene o male, in effetti lo stesso Dante o lo stesso Manzoni a volte vengono criticati duramente...questo non scalfisce di una virgola il valore intrinseco che ciascuno di loro ha, tanto è vero che continuano ad essere giudicati scrittori dalle qualità eccelse.
 

Mizar

Alfaheimr
Di tutti gli autori può essere scritto bene o male, in effetti lo stesso Dante o lo stesso Manzoni a volte vengono criticati duramente...questo non scalfisce di una virgola il valore intrinseco che ciascuno di loro ha, tanto è vero che continuano ad essere giudicati scrittori dalle qualità eccelse.
Vero...
...Dante e Manzoni
 

Masetto

New member
E questo cosa significa? Non la si può pensare diversamente?
Naturlich. Ma il fatto che molti, anche tra i critici, abbiano trovato il romanzo efficace e coinvolgente significa perlomeno che non è tanto male. Non ti pare?



che tutte le allegorie ed ironie non siano ben rese; che il tutto paia artificioso...

uno sfondo costruito ‘male’, artato, artificioso, banalmente impostato.

Per me, per così dire, si toccavano con mano i ferri del mestiere: come se si scorgessero ingranaggi e costumi dietro le quinte.
Per non parlare dello stile ostentatamente piano e semplice
Qui il discorso si fa interessante secondo me; andiamo a toccare proprio i “gusti” e la cosa non è facile.
In questo romanzo Buzzati adotta uno stile semplice e sfrutta ampiamente i “ferri del mestiere” perché vuol creare un’atmosfera in certa misura “fiabesca”, come in molti dei suoi racconti.
Tu dici che qui ha esagerato, che il suo gioco è troppo scoperto, “artificioso”. In parte sono d’accordo, tanto che non ho voglia di rileggerlo. Ci sono capitoli lenti, altri dove lo stile non ha alcun sussulto e a Buzzati pare importi solo della trama (la visita di Drogo alla sua vecchia fiamma). La prosa non è scintillante d’ironia come in Lolita, non c’è la “polifonia” dei Promessi Sposi, né la straordinaria inventiva di Gulliver. Insomma, non è un capolavoro.
Però la gran parte dei particolari, anche se non eccezionale, è comunque intonata all’atmosfera generale, e soprattutto ci sono delle parti assai belle. Quando Drogo e un altro ufficiale, emozionatissimi, scorgono nel deserto vaghi indizi della presenza del nemico mi pare che Buzzati riesca a renderci partecipi delle loro speranze ed illusioni, a far emergere dai soli fatti, con ironia potente e amara, tutta la loro fragilità umana, il loro nascondere dietro sogni di gloria la paura di affrontare la vita vera. O quando un altro ufficiale muore in una missione la cosa ci tocca, perché è stato capace, contrariamente a Drogo, di prendere risolutamente in mano il suo destino.
In genere la storia di Drogo scende in profondità nel cuore umano, perché svela quel malinconico e incessante lavorio con cui la nostra coscienza cerca di trovare un senso alla vita o, in questo caso, ammanta con dei pretesti le nostre incapacità. Così direi che questo romanzo, almeno alla prima lettura, emoziona, e fa riflettere.
Poi, a riprenderlo in mano, credo sconti in parte la sua atmosfera “fiabesca”, lo stile piano, la caduta della suspense ora che uno sa come va a finire, e che insomma siano da preferire alcuni dei Racconti. Ma che sia un’opera scadente proprio no.



Kafka avrebbe potuto ambientare il tutto in una provincia meridionale della boemia dove il retaggio del diritto romano era ancora (più) forte. Così sarebbe stato banale.
Veramente nel romanzo non c’è il nome della città. Non è detto che sia Praga. Nulla vieta che sia, per esempio, proprio una città della Boemia meridionale. Né sono troppo convinto che scrivendo un romanzo così onirico Kafka avesse l’occhio a cose come “la differenza di retaggio del diritto romano tra Alta e Bassa Boemia”.

Ma io volevo dire che non si può giudicare la scelta dell’ambientazione di un’opera da sola, perché è un elemento legato a tutto il resto: così facendo quasi tutte le “location” apparirebbero banali. Cappuccetto Rosso, come una miriade di altre fiabe, si svolge in un bosco: è un difetto questo? E’ l’insieme che va giudicato, il come l’autore riesce a rendere interessante quello scenario. Perciò ti ho chiesto di fare qualche esempio, di citare i difetti di costruzione del romanzo.
E’ banale ambientare una storia di solitudine ed alienazione in un deserto? No, se l’autore è riuscito a rendere questi sentimenti anche attraverso tale ambientazione.



... e Manzoni
Meno male che almeno su Manzoni siamo d’accordo :)
 
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mariangela rossi

New member
Non credo si tratti di un'atmosfera fiabesca, è troppo riduttivo il termine, secondo quanto ricordo del romanzo l'atmosfera è piuttosto surreale, si avvicina di più allo stile di Kafka, sebbene Kafka abbia uno spessore diverso, forse più incisivo e coinvolgente. Un altro autore che in qualche modo ricalca lo stesso tema dell'attesa inutile e vana è Beckett con la sua opera tragicomica "Aspettando Godot". Il periodo di appartenenza è lo stesso, forse entrambi influenzati dal genere unico e irripetibile di Kafka, che come altri grandi scrittori, resta staccato da ogni corrente letteraria e crea uno stile del tutto personale.
 

Masetto

New member
Non credo si tratti di un'atmosfera fiabesca, è troppo riduttivo il termine, secondo quanto ricordo del romanzo l'atmosfera è piuttosto surreale

Non so se "fiabesca" sia il termine giusto. A me fa quest'impressione. Prendo alcune frasi dal primo capitolo:

“ Drogo pensava a come potesse essere la Fortezza Bastiani, ma non riusciva a immaginarla. Non sapeva neppure esattamente dove si trovasse, né quanta strada ci fosse da fare. Alcuni gli avevano detto una giornata di cavallo, altri meno, nessuno di coloro a cui aveva chiesto c’era in verità mai stato. […]
A un carrettiere Giovanni domandò quanto tempo ci fosse per arrivare alla Fortezza.
“La fortezza?” rispose l’uomo “quale fortezza?”
“La Fortezza Bastiani” disse Drogo.
“Da queste parti non ci sono fortezze” fece il carrettiere. “Non l’ho mai sentito dire.”
[…]
Guardateli, Giovanni Drogo e il suo cavallo, come sono piccoli sul fianco delle montagne che si fanno sempre più grandi e selvagge. […] Tutto il vallone era già zeppo di tenebre violette, solo le nude creste erbose, a incredibile altezza, erano illuminate dal sole quando Drogo si trovò improvvisamente davanti, nera e gigantesca contro il purissimo cielo della sera, una costruzione militaresca che sembrava antica e deserta. Giovanni si sentì battere il cuore poiché quella doveva essere la Fortezza, ma tutto, dalle mura al paesaggio, traspirava un’aria inospitale e sinistra.
Girò attorno senza trovare l’ingresso. Benché fosse già scuro nessuna finestra era accesa, né si scorgevano lumi di scolte sul ciglio dei muraglioni. Solo un pipistrello c’era, che oscillava contro una nube bianca. Finalmente Drogo provò a chiamare: “Ohilà!” gridò “C’è nessuno?”.
Dall’ombra accumulata ai piedi delle mura sorse allora un uomo, un tipo di vagabondo e di povero, con una barba grigia e un piccolo sacco in mano. Nella penombra però non si distingueva bene, solo il bianco dei suoi occhi dava riflessi. Drogo lo guardò con riconoscenza. “Di chi cerchi, signore?” domandò.
“La Fortezza cerco. E’ questa?”
“Non c’è più fortezza qui” fece lo sconosciuto con voce bonaria. “E’ tutto chiuso, saranno dieci anni che non c’è nessuno.” “E dov’è la Fortezza allora?” chiese Drogo, improvvisamente irritato contro quell’uomo.
“Che Fortezza? Forse quella?” e così dicendo lo sconosciuto tendeva un braccio, ad indicare qualcosa. In uno spiraglio delle vicine rupi, già ricoperte di buio, dietro una caotica scalinata di creste, a una lontananza incalcolabile, immerso ancora nel rosso sole del tramonto, come uscito da un incantesimo, Giovanni Drogo vide allora un nudo colle e sul ciglio di esso una striscia regolare e geometrica, di uno speciale colore giallastro: il profilo della Fortezza. Oh, quanto lontana ancora. Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era già sfinito. Drogo la fissava affascinato, si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile in quella solitaria bicocca, quasi inaccessibile, così separata dal mondo. Quali segreti nascondeva? Ma erano gli ultimi istanti. Già l’ultimo sole si staccava lentamente dal remoto colle e su per i gialli bastioni irrompevano le livide folate della notte sopraggiungente

Questo senso di indeterminatezza su tutto ciò che riguarda il forte, la sua apparente inaccessibilità, l'appello al lettore, il vagabondo che sorge dall'ombra, la stessa parola incantesimo sono tutte cose che mi fanno pensare a una favola.
Certo solo per quanto riguarda l'atmosfera. Il libro nell'insieme è serio, profondo, e affronta un grande tema.
 
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