Marco Alfaroli
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Ciao a tutti, mi chiamo Marco Alfaroli, sono un appassionato di disegno e fantascienza e ora anche di scrittura.
Metto qui di seguito il prologo del mio libro: ARCHON - edito da Runa Editrice.
Ho aperto anche un blog, in cui ho inserito tutte le illustrazioni relative ad ARCHON, insieme ad altri contenuti.
ecco il link: ARCHON
Il corridoio dell'Hangar, della stazione commerciale Taurus era deserto. Ossian Larsson teneva sotto tiro l'entrata rimanendo coperto dietro alcune casse. Chiunque fosse entrato, con intenzioni ostili, sarebbe finito fulminato. Dietro di lui nella stanza, legati e imbavagliati, c'erano i due custodi; quelli incaricati di catalogare la merce: li guardò per un attimo.
«Mi dispiace, sarete liberi fra poco, quando ce ne saremo andati».
L'uomo che arrivò correva, era emozionato. L'atteggiamento era del tipo “ce l'abbiamo fatta!”
«Siamo quasi pronti, Ossian!» urlò.
«Ma quanto ci vuole a far salire tutti? Più tempo passa e più si moltiplicano i rischi».
«Hanno le loro cose, lo sai che è gente comune, non sono mica soldati».
Soldati! Questa parola fece rabbrividire Larsson. Lui che aveva convinto tutti a seguirlo. Lui che si era preso sulle spalle la responsabilità delle loro vite.
Lui, ora, sentiva una forte fitta al cuore. Sentiva che qualcosa stava per andare storto e tutti forse, sarebbero morti per colpa sua.
No! Non doveva finire così. Era finita male per molti, per tanti che avevano dei conti in sospeso col governo come alcuni di loro.
Ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente.
Il piano era stato messo giù con attenzione, non poteva fallire: era in atto una tremenda battaglia con Luyten e quasi tutte le forze imperiali erano fuori dal sistema solare. Le poche corvette spaziali lasciate al controllo in entrata e uscita le aveva ingannate Wilson.
Il vecchio Wilson era veramente troppo vecchio per scappare e si stava sacrificando per loro. A bordo del suo “Fendi Stelle” modificato si era già tirato dietro tutti i mastini dell'Imperatore che pattugliavano quel quadrante. E non l'avevano ancora preso.
Se la fortuna avesse proseguito su quei binari loro avrebbero avuto l'ambita via di fuga.
Certo, la nave che stavano rubando era solo un cargo. Ma il vantaggio accumulato sarebbe stato sufficiente per trasformare la Terra in un brutto ricordo.
Ossian scrutò oltre il vetro del corridoio: la sagoma del trasporto mercantile che sarebbe diventato la loro “Arca della salvezza” si stagliava sullo sfondo. Il suo nome, “Conestoga”, gli faceva venire in mente i pionieri che erano partiti alla conquista dell'America, quando ancora si chiamava America.
Rivolse l'attenzione all'uomo accanto a lui. La radio cantò proprio in quel momento.
«Tutti a bordo: possiamo partire».
«Arriviamo. Dì a Zac di attivare i motori» i due iniziarono a correre. Erano importanti anche i secondi.
«Corvetta di Sorveglianza 23 a stazione Valhalla. Abbiamo quasi raggiunto la posizione. Potete fornirci ulteriori informazioni?».
«Non ce ne sono, capitano Castillo. È solo una precauzione. Sulla Taurus sono confluite troppe piccole navette private. Temiamo un concentramento di dissidenti per un tentativo di fuga».
«Eravamo impegnati in un'operazione di inseguimento. Una missione concreta. Così si dividono le poche forze disponibili».
«Seguiamo gli ordini della Polizia Speciale. In questi casi la loro competenza è superiore a quella della Marina Spaziale».
«Ricevuto, Valhalla. Raggiungeremo le coordinate fra quindici minuti».
Il capitano Alejandro Castillo chiuse la comunicazione e tornò a sedersi sulla sua poltrona di comando. Davanti a lui, sullo schermo video, le stelle venivano incontro, vomitate dal cosmo nero.
«Dobbiamo prenderli vivi, colpite la nave solo per fermarla. Intesi, capitano?».
L'uomo che aveva parlato stava in ombra alle spalle di Castillo. Occupava una delle poltrone per gli osservatori ed era l'unico non impegnato con gli strumenti di navigazione.
Il capitano si voltò. Non cercò neppure di nascondere la sua espressione di disappunto di fronte al commissario politico. Ogni nave pattuglia che faceva operazioni di polizia ne aveva uno.
«Non avevo intenzione di distruggerli, commissario».
«Qualche capitano troppo zelante l'ha fatto. Non è uno sbaglio: in fondo sono dei fuorilegge. Ma io devo interrogarli, possono parlare e denunciare qualcun altro che ancora sfugge ai nostri controlli».
Castillo gli dette le spalle, senza rispetto. Sapeva quali erano i metodi dei commissari per far parlare i prigionieri. E lui, questo, non riusciva a digerirlo. La guerra, imbarcato come primo ufficiale sulla Chronos, l'aveva tenuto lontano dal lavoro sporco che veniva fatto sulla Terra per mantenere l'ordine. Ma poi, appena passato di grado, era stato assegnato a questo servizio nelle retrovie. Eppure, una cosa era lottare contro guerrieri insetto Arghass armati e pericolosi, un'altra cosa era perseguitare civili che coltivavano idee diverse, sogni di libertà nelle decisioni, utopie forse... ma niente che meritasse di finire nelle mani di quei macellai della Polizia Speciale.
Mantenendo le spalle al suo interlocutore rispose con tono secco.
«Li prenderemo vivi, non tema...».
Gli ormeggi del Conestoga “saltarono” e la nave iniziò a muoversi; dapprima lentamente, poi acquistando sempre più velocità.
«Cargo Conestoga, non avete l'autorizzazione al lancio! Voglio il comandante in comunicazione» urlò qualcuno via radio dalla torre di controllo.
Naturalmente non ricevette risposta.
Larsson e i suoi compagni, attraverso i finestrini del trasporto guardarono sfilare l'immensa stazione, con le sue dodicimila persone che la popolavano. Con le sue trenta navi commerciali ormeggiate e con la miriade di piccoli velivoli di assistenza che si muovevano intorno.
«Motori al massimo. Dobbiamo allontanarci in fretta per fare il salto».
Zac abbassò tutte le leve di potenza e una luce intensa abbagliò il retro della nave.
«Fatto Ossian, ce ne andiamo».
Il Conestoga accelerò in modo impressionante, lasciandosi alle spalle la stazione e la sua gente, che si parava gli occhi accecata. E soprattutto, lasciandosi dietro la Terra.
Marte, Giove, Saturno... la fuga era iniziata, Wilson aveva fatto la sua parte e nessun mastino arrivava alle calcagna. Tutto filava liscio.
Troppo bello per durare.
Una luce rossa si illuminò sulla consolle.
«Ossian... ci sono problemi».
«Imperiali?».
«Una corvetta... distanza 2.3 in avvicinamento».
La faccia di Larsson divenne funerea, come avevano fatto ad anticiparli in quel modo? Tutto il vantaggio che sperava di aver accumulato se ne andava in fumo. Stavano per prenderli.
«Imposta le coordinate per il salto, presto!».
«Ma è rischioso, con questa ferraglia... senza essere usciti dal sistema solare...».
«Meno rischioso che farsi raggiungere». L'espressione scura in volto di Ossian convinse il pilota che non c'era altro da fare. Subito le sue dita corsero veloci sulla tastiera e la sua fronte s'imperlò di sudore.
Attraverso il vetro della plancia, quello che all'inizio sembrava solo un puntino diventò qualcosa di più grosso, metallico... fino a definirsi come una corvetta imperiale. Ormai troppo vicina per riuscire a scappare.
Due lampi saettarono micidiali. La struttura del cargo fu scossa dai colpi andati a segno, forse non avrebbe retto a un secondo attacco. I fuggiaschi fermarono la nave sperando di evitare la prossima scarica.
«Catene magnetiche!» ordinò Castillo. E una serie di fulmini azzurri scaturirono dalla corvetta e avvolsero il Conestoga.
«Ci hanno presi! Non posso fare il salto bloccati in questo modo: metà della nave resterebbe qui, ancorata a loro» gridò Zac.
Larsson si sentiva addosso gli occhi di tutti quelli che aveva portato in una trappola, girò di poco la testa per guardarli: uomini, donne e bambini. Lesse nelle loro facce la disperazione e questo lo devastò.
«Esplodere è l'ultima cosa che voglio. Prendiamo le armi e prepariamoci a difenderci» fu tutto quello che riuscì a dire.
«Bene capitano. I fuggitivi sono stati catturati» disse vittorioso il commissario «come al solito non potremo trasferirli sulla nostra nave... non c'è abbastanza spazio. Prepari l'abbordatore, andrò io con i miei uomini».
«Quei disperati si difenderanno» ribatté Castillo, visibilmente tirato per dover sottostare agli ordini di quell'essere traboccante di sadismo.
«Siamo incredibilmente più forti, quei folli cercano l'inferno e l'hanno trovato. E pensare che potevano continuare a vivere sulla Terra: bastava non farsi domande e seguire la legge... invece pretendono di pensare. La nostra società non gli piace. Cercano di scappare, per ricominciare da un'altra parte» sbuffò. «Folli!» questa volta rise di gusto.
Castillo entrò nella sua cabina, si fermò davanti all'ampio specchio. Guardò serio se stesso chiedendosi chi fosse l'uomo riflesso sul vetro. Un ufficiale dell'Impero terrestre, quello di sicuro. Ma poi nient'altro? Un guerriero che aveva combattuto mille battaglie, contro nemici che avevano la possibilità di difendersi; anche questo era lui. Ma ultimamente, da quando comandava la corvetta, avevano intercettato solo tre navi cariche di civili. Era il lavoro sporco che aveva sempre cercato di evitare. Ogni volta, il commissario politico e i suoi sgherri avevano abbordato il vascello dei fuggitivi e coloro che non erano morti subito, tentando di resistere, avevano subito torture ingiustificabili inflitte senza neppure l'obiettivo di estorcere informazioni. I superstiti, e fra questi non aveva mai visto bambini, erano stati inviati sulla Terra per un processo farsa seguito dalla fucilazione.
Questa volta sarebbe stato lo stesso. E lui che avrebbe fatto? Niente, perché opporsi significherebbe finire davanti alla corte marziale.
Si lavò forte la faccia con acqua fresca. Osservò ancora il suo viso riflesso e si rese conto che non bastava per pulire la sua coscienza.
L'abbordatore era un'unità sganciabile dalla corvetta. Sostituiva la navetta che non avrebbe trovato posto su un vascello così piccolo. Non aveva nessun sistema di propulsione e nessuna possibilità di essere guidata. Funzionava scorrendo in mezzo ai quattro fulmini azzurri, le “catene magnetiche”, che portavano l'abbordatore come gli antichi binari dei treni, dalla corvetta al mezzo abbordato. Una ventosa permetteva l'attracco e un perforatore meccanico apriva il varco nella struttura permettendo l'ingresso dei soldati.
L'abbordatore si staccò dalla corvetta, lentamente iniziò ad avvicinarsi al Conestoga. Gli uomini della Polizia Speciale controllarono le armature leggere e caricarono le armi a raggi, il commissario accese il monitor interno.
«Voglio il capitano Castillo sul comunicatore. Deve inviare alla Terra il mio rapporto e le prime immagini dei prigionieri».
«Non è qui, signore» rispose imbarazzato il secondo pilota «non riusciamo a trovarlo».
La porta pneumatica della sala magnetica si aprì scorrendo. Castillo entrò e fece fuoco con la sua pistola; gli addetti all'arma, colpiti dal raggio regolato a bassa intensità, caddero a terra tramortiti.
Lucido nella sua azione disperata, afferrò un'ascia dalla sezione antincendio e poi si avventò sulle tubazioni dell'energia. Colpi decisi e fendenti micidiali tranciarono anche i cavi più grossi, scintille divamparono ovunque.
Alla fine, tutto il sistema andò in crisi. Il capitano abbandonò l'ascia e trascinò fuori gli uomini svenuti. Prima uno e poi l'altro, richiuse in fretta la porta e si gettò a terra con loro aspettando l'esplosione.
E esplosione fu.
La struttura della corvetta vibrò forte per il boato, in plancia altre spie d’emergenza si aggiunsero a quelle già accese durante l'assalto con l'ascia. Fuori, nello spazio, le quattro scariche azzurre si interruppero di colpo e l'abbordatore, senza più guide, finì alla deriva.
Attraverso il monitor interno, il commissario urlò di rabbia.
«Voglio sapere cosa diavolo è successo! Chi ha sbagliato pagherà!»
Non ebbe il tempo per una risposta. Procedendo per inerzia l'abbordatore finì addosso al Conestoga, fracassandosi. Il commissario morì all'istante con tutti i suoi uomini, i corpi straziati per l'effetto atmosfera zero uscirono lentamente fuori, poco dopo.
«È successo qualcosa» disse esultante il pilota del cargo «le catene magnetiche si sono spezzate, possiamo fare il salto!»
«Qualcuno, su quella nave, ci ha dato un aiuto» sospirò sottovoce Larsson.
Il pilota azionò la sequenza di tasti per il salto e una lunga scia di led si illuminò sulla consolle, poi, il Conestoga sfrecciò via, più veloce della luce.
La sala magnetica era in fiamme, Castillo si alzò a fatica e chiamò la plancia col suo comunicatore.
«Incendio in sala magnetica, ho con me due feriti. Togliete ossigeno alla sezione e inviate soccorsi».
«Ricevuto capitano, arriviamo subito».
Il capitano Alejandro Castillo pensò a quello che aveva fatto: si chiese se ne era valsa la pena. Poi sorrise, il solo sapere che il commissario politico era diventato un “corpo celeste” che vagava nello spazio gli mise il buon umore.
Metto qui di seguito il prologo del mio libro: ARCHON - edito da Runa Editrice.
Ho aperto anche un blog, in cui ho inserito tutte le illustrazioni relative ad ARCHON, insieme ad altri contenuti.
ecco il link: ARCHON
Archon Preludio
Il corridoio dell'Hangar, della stazione commerciale Taurus era deserto. Ossian Larsson teneva sotto tiro l'entrata rimanendo coperto dietro alcune casse. Chiunque fosse entrato, con intenzioni ostili, sarebbe finito fulminato. Dietro di lui nella stanza, legati e imbavagliati, c'erano i due custodi; quelli incaricati di catalogare la merce: li guardò per un attimo.
«Mi dispiace, sarete liberi fra poco, quando ce ne saremo andati».
L'uomo che arrivò correva, era emozionato. L'atteggiamento era del tipo “ce l'abbiamo fatta!”
«Siamo quasi pronti, Ossian!» urlò.
«Ma quanto ci vuole a far salire tutti? Più tempo passa e più si moltiplicano i rischi».
«Hanno le loro cose, lo sai che è gente comune, non sono mica soldati».
Soldati! Questa parola fece rabbrividire Larsson. Lui che aveva convinto tutti a seguirlo. Lui che si era preso sulle spalle la responsabilità delle loro vite.
Lui, ora, sentiva una forte fitta al cuore. Sentiva che qualcosa stava per andare storto e tutti forse, sarebbero morti per colpa sua.
No! Non doveva finire così. Era finita male per molti, per tanti che avevano dei conti in sospeso col governo come alcuni di loro.
Ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente.
Il piano era stato messo giù con attenzione, non poteva fallire: era in atto una tremenda battaglia con Luyten e quasi tutte le forze imperiali erano fuori dal sistema solare. Le poche corvette spaziali lasciate al controllo in entrata e uscita le aveva ingannate Wilson.
Il vecchio Wilson era veramente troppo vecchio per scappare e si stava sacrificando per loro. A bordo del suo “Fendi Stelle” modificato si era già tirato dietro tutti i mastini dell'Imperatore che pattugliavano quel quadrante. E non l'avevano ancora preso.
Se la fortuna avesse proseguito su quei binari loro avrebbero avuto l'ambita via di fuga.
Certo, la nave che stavano rubando era solo un cargo. Ma il vantaggio accumulato sarebbe stato sufficiente per trasformare la Terra in un brutto ricordo.
Ossian scrutò oltre il vetro del corridoio: la sagoma del trasporto mercantile che sarebbe diventato la loro “Arca della salvezza” si stagliava sullo sfondo. Il suo nome, “Conestoga”, gli faceva venire in mente i pionieri che erano partiti alla conquista dell'America, quando ancora si chiamava America.
Rivolse l'attenzione all'uomo accanto a lui. La radio cantò proprio in quel momento.
«Tutti a bordo: possiamo partire».
«Arriviamo. Dì a Zac di attivare i motori» i due iniziarono a correre. Erano importanti anche i secondi.
«Corvetta di Sorveglianza 23 a stazione Valhalla. Abbiamo quasi raggiunto la posizione. Potete fornirci ulteriori informazioni?».
«Non ce ne sono, capitano Castillo. È solo una precauzione. Sulla Taurus sono confluite troppe piccole navette private. Temiamo un concentramento di dissidenti per un tentativo di fuga».
«Eravamo impegnati in un'operazione di inseguimento. Una missione concreta. Così si dividono le poche forze disponibili».
«Seguiamo gli ordini della Polizia Speciale. In questi casi la loro competenza è superiore a quella della Marina Spaziale».
«Ricevuto, Valhalla. Raggiungeremo le coordinate fra quindici minuti».
Il capitano Alejandro Castillo chiuse la comunicazione e tornò a sedersi sulla sua poltrona di comando. Davanti a lui, sullo schermo video, le stelle venivano incontro, vomitate dal cosmo nero.
«Dobbiamo prenderli vivi, colpite la nave solo per fermarla. Intesi, capitano?».
L'uomo che aveva parlato stava in ombra alle spalle di Castillo. Occupava una delle poltrone per gli osservatori ed era l'unico non impegnato con gli strumenti di navigazione.
Il capitano si voltò. Non cercò neppure di nascondere la sua espressione di disappunto di fronte al commissario politico. Ogni nave pattuglia che faceva operazioni di polizia ne aveva uno.
«Non avevo intenzione di distruggerli, commissario».
«Qualche capitano troppo zelante l'ha fatto. Non è uno sbaglio: in fondo sono dei fuorilegge. Ma io devo interrogarli, possono parlare e denunciare qualcun altro che ancora sfugge ai nostri controlli».
Castillo gli dette le spalle, senza rispetto. Sapeva quali erano i metodi dei commissari per far parlare i prigionieri. E lui, questo, non riusciva a digerirlo. La guerra, imbarcato come primo ufficiale sulla Chronos, l'aveva tenuto lontano dal lavoro sporco che veniva fatto sulla Terra per mantenere l'ordine. Ma poi, appena passato di grado, era stato assegnato a questo servizio nelle retrovie. Eppure, una cosa era lottare contro guerrieri insetto Arghass armati e pericolosi, un'altra cosa era perseguitare civili che coltivavano idee diverse, sogni di libertà nelle decisioni, utopie forse... ma niente che meritasse di finire nelle mani di quei macellai della Polizia Speciale.
Mantenendo le spalle al suo interlocutore rispose con tono secco.
«Li prenderemo vivi, non tema...».
Gli ormeggi del Conestoga “saltarono” e la nave iniziò a muoversi; dapprima lentamente, poi acquistando sempre più velocità.
«Cargo Conestoga, non avete l'autorizzazione al lancio! Voglio il comandante in comunicazione» urlò qualcuno via radio dalla torre di controllo.
Naturalmente non ricevette risposta.
Larsson e i suoi compagni, attraverso i finestrini del trasporto guardarono sfilare l'immensa stazione, con le sue dodicimila persone che la popolavano. Con le sue trenta navi commerciali ormeggiate e con la miriade di piccoli velivoli di assistenza che si muovevano intorno.
«Motori al massimo. Dobbiamo allontanarci in fretta per fare il salto».
Zac abbassò tutte le leve di potenza e una luce intensa abbagliò il retro della nave.
«Fatto Ossian, ce ne andiamo».
Il Conestoga accelerò in modo impressionante, lasciandosi alle spalle la stazione e la sua gente, che si parava gli occhi accecata. E soprattutto, lasciandosi dietro la Terra.
Marte, Giove, Saturno... la fuga era iniziata, Wilson aveva fatto la sua parte e nessun mastino arrivava alle calcagna. Tutto filava liscio.
Troppo bello per durare.
Una luce rossa si illuminò sulla consolle.
«Ossian... ci sono problemi».
«Imperiali?».
«Una corvetta... distanza 2.3 in avvicinamento».
La faccia di Larsson divenne funerea, come avevano fatto ad anticiparli in quel modo? Tutto il vantaggio che sperava di aver accumulato se ne andava in fumo. Stavano per prenderli.
«Imposta le coordinate per il salto, presto!».
«Ma è rischioso, con questa ferraglia... senza essere usciti dal sistema solare...».
«Meno rischioso che farsi raggiungere». L'espressione scura in volto di Ossian convinse il pilota che non c'era altro da fare. Subito le sue dita corsero veloci sulla tastiera e la sua fronte s'imperlò di sudore.
Attraverso il vetro della plancia, quello che all'inizio sembrava solo un puntino diventò qualcosa di più grosso, metallico... fino a definirsi come una corvetta imperiale. Ormai troppo vicina per riuscire a scappare.
Due lampi saettarono micidiali. La struttura del cargo fu scossa dai colpi andati a segno, forse non avrebbe retto a un secondo attacco. I fuggiaschi fermarono la nave sperando di evitare la prossima scarica.
«Catene magnetiche!» ordinò Castillo. E una serie di fulmini azzurri scaturirono dalla corvetta e avvolsero il Conestoga.
«Ci hanno presi! Non posso fare il salto bloccati in questo modo: metà della nave resterebbe qui, ancorata a loro» gridò Zac.
Larsson si sentiva addosso gli occhi di tutti quelli che aveva portato in una trappola, girò di poco la testa per guardarli: uomini, donne e bambini. Lesse nelle loro facce la disperazione e questo lo devastò.
«Esplodere è l'ultima cosa che voglio. Prendiamo le armi e prepariamoci a difenderci» fu tutto quello che riuscì a dire.
«Bene capitano. I fuggitivi sono stati catturati» disse vittorioso il commissario «come al solito non potremo trasferirli sulla nostra nave... non c'è abbastanza spazio. Prepari l'abbordatore, andrò io con i miei uomini».
«Quei disperati si difenderanno» ribatté Castillo, visibilmente tirato per dover sottostare agli ordini di quell'essere traboccante di sadismo.
«Siamo incredibilmente più forti, quei folli cercano l'inferno e l'hanno trovato. E pensare che potevano continuare a vivere sulla Terra: bastava non farsi domande e seguire la legge... invece pretendono di pensare. La nostra società non gli piace. Cercano di scappare, per ricominciare da un'altra parte» sbuffò. «Folli!» questa volta rise di gusto.
Castillo entrò nella sua cabina, si fermò davanti all'ampio specchio. Guardò serio se stesso chiedendosi chi fosse l'uomo riflesso sul vetro. Un ufficiale dell'Impero terrestre, quello di sicuro. Ma poi nient'altro? Un guerriero che aveva combattuto mille battaglie, contro nemici che avevano la possibilità di difendersi; anche questo era lui. Ma ultimamente, da quando comandava la corvetta, avevano intercettato solo tre navi cariche di civili. Era il lavoro sporco che aveva sempre cercato di evitare. Ogni volta, il commissario politico e i suoi sgherri avevano abbordato il vascello dei fuggitivi e coloro che non erano morti subito, tentando di resistere, avevano subito torture ingiustificabili inflitte senza neppure l'obiettivo di estorcere informazioni. I superstiti, e fra questi non aveva mai visto bambini, erano stati inviati sulla Terra per un processo farsa seguito dalla fucilazione.
Questa volta sarebbe stato lo stesso. E lui che avrebbe fatto? Niente, perché opporsi significherebbe finire davanti alla corte marziale.
Si lavò forte la faccia con acqua fresca. Osservò ancora il suo viso riflesso e si rese conto che non bastava per pulire la sua coscienza.
L'abbordatore era un'unità sganciabile dalla corvetta. Sostituiva la navetta che non avrebbe trovato posto su un vascello così piccolo. Non aveva nessun sistema di propulsione e nessuna possibilità di essere guidata. Funzionava scorrendo in mezzo ai quattro fulmini azzurri, le “catene magnetiche”, che portavano l'abbordatore come gli antichi binari dei treni, dalla corvetta al mezzo abbordato. Una ventosa permetteva l'attracco e un perforatore meccanico apriva il varco nella struttura permettendo l'ingresso dei soldati.
L'abbordatore si staccò dalla corvetta, lentamente iniziò ad avvicinarsi al Conestoga. Gli uomini della Polizia Speciale controllarono le armature leggere e caricarono le armi a raggi, il commissario accese il monitor interno.
«Voglio il capitano Castillo sul comunicatore. Deve inviare alla Terra il mio rapporto e le prime immagini dei prigionieri».
«Non è qui, signore» rispose imbarazzato il secondo pilota «non riusciamo a trovarlo».
La porta pneumatica della sala magnetica si aprì scorrendo. Castillo entrò e fece fuoco con la sua pistola; gli addetti all'arma, colpiti dal raggio regolato a bassa intensità, caddero a terra tramortiti.
Lucido nella sua azione disperata, afferrò un'ascia dalla sezione antincendio e poi si avventò sulle tubazioni dell'energia. Colpi decisi e fendenti micidiali tranciarono anche i cavi più grossi, scintille divamparono ovunque.
Alla fine, tutto il sistema andò in crisi. Il capitano abbandonò l'ascia e trascinò fuori gli uomini svenuti. Prima uno e poi l'altro, richiuse in fretta la porta e si gettò a terra con loro aspettando l'esplosione.
E esplosione fu.
La struttura della corvetta vibrò forte per il boato, in plancia altre spie d’emergenza si aggiunsero a quelle già accese durante l'assalto con l'ascia. Fuori, nello spazio, le quattro scariche azzurre si interruppero di colpo e l'abbordatore, senza più guide, finì alla deriva.
Attraverso il monitor interno, il commissario urlò di rabbia.
«Voglio sapere cosa diavolo è successo! Chi ha sbagliato pagherà!»
Non ebbe il tempo per una risposta. Procedendo per inerzia l'abbordatore finì addosso al Conestoga, fracassandosi. Il commissario morì all'istante con tutti i suoi uomini, i corpi straziati per l'effetto atmosfera zero uscirono lentamente fuori, poco dopo.
«È successo qualcosa» disse esultante il pilota del cargo «le catene magnetiche si sono spezzate, possiamo fare il salto!»
«Qualcuno, su quella nave, ci ha dato un aiuto» sospirò sottovoce Larsson.
Il pilota azionò la sequenza di tasti per il salto e una lunga scia di led si illuminò sulla consolle, poi, il Conestoga sfrecciò via, più veloce della luce.
La sala magnetica era in fiamme, Castillo si alzò a fatica e chiamò la plancia col suo comunicatore.
«Incendio in sala magnetica, ho con me due feriti. Togliete ossigeno alla sezione e inviate soccorsi».
«Ricevuto capitano, arriviamo subito».
Il capitano Alejandro Castillo pensò a quello che aveva fatto: si chiese se ne era valsa la pena. Poi sorrise, il solo sapere che il commissario politico era diventato un “corpo celeste” che vagava nello spazio gli mise il buon umore.
FINE ?...