La felicità sociale: l'importanza dell'apparire e dell'essere accettati dagli altri.

SALLY

New member
Io credo che utopicamente la felicità non debba dipendere dagli altri,ma nessuno è fatto per star solo e non condividere.Perdonatemi ma non credo a nessuno quando dice che non si aspetta l'accettazione degli altri perché tutti ce l'auspichiamo,non deve essere una limitazione e un vincolo alla nostra libertà altrimenti ci rende schiavi ma concordo con Ila un pò tutti la cerchiamo,solo grandi personaggi "finiti e conclusi" la trovano in se stessi,come Gandhi e pochi altri.:wink:Altrimenti non si avrebbe tanta paura di star soli.Non mentiamoci!:wink::mrgreen:

ah ah Mare....io ho una fifa blu a stare in compagnia....o almeno, non la sopporto più di tanto .:mrgreen:

@Ila sai che io non guardo il GF, ma i nostri cari Angela :wink:

@ Quoto Yamanaka!
 
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ila78

Well-known member
ah ah Mare....io ho una fifa blu a stare in compagnia....o almeno, non la sopporto più di tanto .:mrgreen:

@Ila sai che io non guardo il GF, ma i nostri cari Angela :wink:

@ Quoto Yamanaka!

Evviva gli Angela!!!! Che Dio ce li conservi per un pezzo, ultimo baluardo di una TV guardabile! :wink:
Fine OT
 

apeschi

Well-known member
Secondo me e' un argomento molto complesso che non puo' essere risolto semplicemente essendo d'accordo oppure non d'accordo con il tema del post.
Bisogna distinguere l'ideale dal reale.
Inoltre, essendo la persona umana in perenne crescita, evoluzione e mutamento, cio' che puo' andar bene in certi periodi e con certi stati d'animo potrebbe non andar bene in altre occasioni. Siamo uomini, non robot.

Io penso che ciascuno dovrebbe imparare a vivere per se' stessi (non nel senso egoistico del termine ma imparando a non badare alle critiche degli altri).
Penso che statisticamente, ci sia un 50 % di persone che ci apprezza ed un 50 % di persone che ci detesta (per semplificare, in realta' ci sono mille sfumature ma ho voluto dividere in due il mondo di chi ci apprezza e di chi ci detesta).

Penso che da un lato sia molto triste pensare che sia fondamentale apparire per essere accettati (e basare la nostra felicita' sul fatto di essere accettati).
Accettati da chi? Non esiste che il 100 % delle persone possa accettarci, ci sara' chi ci accetta e ci sara' chi non ci accettera' mai (o che potrebbe fingere falsamente di accettarci).

Se uno si veste, si atteggia, si comporta sempre solo per essere accettato dagli altri, conduce una vita meschina (secondo me).
Penso che ciascuno dovrebbe imparare, cercare sempre di essere se' stesso in ogni circostanza ed imparare ad essere felice per il fatto stesso di vivere, per il fatto di essere consapevole delle proprie possibilita'.
La maturita' e' il fatto di saper prendere coscienza dei propri valori e dei propri limiti, dei propri punti di forza e dei propri difetti e vivere la propria vita non cercando sempre e solamente l'accettazione univoca ed incondizionata degli altri (anche perche' per poter avere l'accettazione degli altri dovremmo ogni volta adeguarci a cio' che gli altri vorrebbero che noi fossimo e cio' porterebbe ad una inevitabile schizofrenia, adeguandoci a cio' che gli altri vorrebbero da noi per accettarci).

Mi sembra un atteggiamento che porterebbe o alla totale falsita', o alla pazzia, o a un continuo cambiare atteggiamento (nel senso piu' ampio del termine) in funzione delle persone che ci stanno vicine.

D'altro canto, penso che sia naturale che l'essere umano, quindi ciascuno di noi, possa trovare gratificante l'essere accettato dagli altri.
Penso che il bambino per prima cosa voglia essere accettato dalla madre, dai genitori e se non viene accettato penso che cio' sia fonte di problemi e di insicurezza. D'altro canto quando cresce, spesso si mette in contrapposizione con i genitori e non gli importa piu' di essere da loro accettati (magari ha spostato i propri interessi sugli amici e vorrebbe essere accettato dalla compagnia).

Penso che il sentirsi accettati possa essere comunque un fattore positivo.

Facendo una media tra il ricercare la propria felicita' in se' stessi, senza badare di essere accettato o non accettato, oppure l'essere felici solo se si e' accettati, personalmente mi sento di concludere che ciascuno di noi dovrebbe imparare a non ricercare sempre e solo l'accettazione degli altri, dovrebbe essere in grado di trovare dentro di se' la molla che possa produrre la propria felcita', debba essere in grado di superare le proprie difficolta' in tutti quei momenti in cui non si senta accettato, sapendo comunque di avere delle risorse immense in se' stesso, cio' pero' non deve diventare un alibi per chiudersi ed evitare gli altri, ma la capacita' di vivere bene la propria vita anche in solitudine.

Se uno non sa stare bene con se' stesso, in solitudine, non puo' pensare di stare bene con gli altri.
Chi meglio di se' stessi puo' sopportare se' ? Se ciascuno non e' in grado di accettare se' stesso come puo' pretendere che gli altri lo accettino?

D'altro canto il fatto di sentirsi accettati penso sia comunque un valore e come tale sia assolutamente positivo. L'importante e' essere accettati per quello che si e', non cercare di cambiare se' stessi per essere accettati dagli altri.

L'importante e' non vivere la propria vita solamente in funzione di questo.
 
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M

maredentro78

Guest
ah ah Mare....io ho una fifa blu a stare in compagnia....o almeno, non la sopporto più di tanto .:mrgreen:

@Ila sai che io non guardo il GF, ma i nostri cari Angela :wink:

@ Quoto Yamanaka!

Sally ma io ti considero "finita"!:mrgreen::ABBB
L'argomento è assai complesso è vero,credo solo che esistano le sfumature..:wink:
 

Apart

New member
Dico la mia sulla discussione:

abbiamo testimonianze di un tale illustro individuo dell'Oriente che ha scelto il vuoto, e ha trovato la pace e la serenità.
La sensazione di vuoto capita nella nostra vita, la avvertiamo talvolta. Sono quelli i momenti più difficili, quando ci troviamo a relazionarci con essa. E' dura fare i conti con la possibilità che nulla abbia un senso. Nel vuoto così si può capitolare, oppure allontanarlo aggrappandoci agli altri, alla fede, così da dare un senso a tutto quello che ci circonda ed essere felici, temporaneamente.
 
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Reid

Member
Mah, penso che non si possa semplificare in questo modo la felicità.

La felicità, secondo me, è multifattoriale; è la conseguenza di parecchi elementi che il nostro “io” riceve dall’esterno e dell’ interno.
Penso che l’accettazione da parte degli altri sia una componente indiretta della felicità; indiretta perché passa dalla gratificazione… accettazione -> autogratificazione -> “felicità”.

Penso inoltre che in questo contesto, ne fa da padrona la quantità e dipendenza di questi elementi; se un individuo percepisce la gratificazione solo dall’accettazione altrui, allora è patologico, viceversa, se un individuo riceve gratificazione dalla sola non accettazione, siamo di nuovo del patologico… ci deve essere una buon compromesso tra “io” e “mondo”.

Un altro elemento, secondo me fondamentale, sta nella considerazione che noi abbiamo del gruppo in cui cerchiamo o meno gratificazione; per maggiore chiarezza faccio un esempio: inserisco me medesimo nel contesto e gruppo “ufficio colleghi”; personalmente in questo caso trovo gratificazione nella non accettazione del gruppo poiché io stesso non provo nessuna considerazione per le persone che lavorano nel contesto, anzi, nel momento in cui vedo che c’è una minima considerazione da parte di alcune persone all’interno dell’ufficio, cerco di capire cosa c’è che non va in me.

Successivamente penso che la stragrande maggioranza delle persone sia dipendente dell’accettazione da parte della società (vedete il successo dei social network ed gli esempi di ila).

Penso inoltre, che ormai ci siano delle tacite regole in ogni ambito per essere accettati e considerati;

es: lavoro in una grossa società finanziaria dove il 90% delle persone veste in giacca e cravatta, mi è capitato parecchie volte di incontrare persone con cui ho dei rapporti di lavoro via mail o via software, dove da parte loro ho ricevuto anche dei complimenti per lavori svolti, che però quando ho incontrato nell’azienda di persona (e loro non sanno ricondurre il mio nome alla mia persona fisica) magari ti guardano anche storto perché sei con una felpa e un paio di jeans; ciò è meraviglioso!!! Fa pensare parecchio a quanto ormai siamo condizionati dai nostri pregiudizi inculcati da falsi stereotipi.
 

Reid

Member
Un Up per questo topic condividendo questa immagine :)

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SALLY

New member
Sally ma io ti considero "finita"!:mrgreen::ABBB
L'argomento è assai complesso è vero,credo solo che esistano le sfumature..:wink:

ahhhh...grazie Mare!!!:ABBB:ABBB:ABBB
Si, l'argomento è di quelli che toccano tutte le tonalita che ci sono tra il bianco e il nero.
Poi penso che molto dipenda da chi teniamo a farci accettare, se è qualcuno che stimo mi dispiacerebbe, di conseguenza mi faccio qualche domanda...altrimenti...non me ne può fregar di meno, anzi, come dice sopra Reid...c'è da preoccuparsi!:mrgreen:
 

CheshireCat

New member
Io credo che il tutto sia soggettivo alla propria personalità, c'è chi ha bisogno di essere accettato in un gruppo e appunto ne trae una sorta di felicità e soddisfazione, c'è chi nella solitudine si sente protetto e non giudicato, anche perchè quando ti esponi o comunque fai parte di una cerchia di persone, vai incontro si a tanti momenti gratificanti ma anche a dei giudizi, che non tutti hanno la forza di accettare o comunque farseli scivolare addosso.
 
P

ParallelMind

Guest
"L'intima soddisfazione di piacere agli altri, rispondere ai loro desideri. E riceverne in cambio il plauso, la lode. Il dono dell'altrui approvazione... che meraviglia! Era una particolare forma di felicità, che secondo lei si poteva dire sociale, per distinguerla da quella estemporanea e balzana che era invece solo individuale, legata a momenti transitori e labili dell'esistenza, unicamente riferibile all'individuo e alle sue immotivate, e tutte personali, pulsioni. La felicità sociale prende avvio dagli altri, e poi dagli altri riverbera sull'individuo, e dall'individuo rimbalza ancora sugli altri: una specie di onda che, nel suo incessante andirivieni, infonde benefici tutt'intorno, contribuendo a quella reciproca soddisfazione tra esseri umani che poi consolida gruppi, crea appartenenze, insomma riempie di senso tutto un vivere che correrebbe il rischio di parere, altrimenti, vuoto. E insensato."
Paola Mastrocola, Non so niente di te

Leggendo questo frammento, ho dovuto constatare che effettivamente è proprio così: abbiamo bisogno dell'approvazione degli altri per essere felici, almeno un po'. E più o meno consapevolmente.

Che ne pensate?
Si,ma e`sbagliato,siamo troppo dipendenti dagli altri.
Tutto cio`che facciamo quasi sempre viene compiuto con l'aspettativa del riconoscimento positivo degli altri,particolarmente in un contesto.
Il rischio,la paura e`di apparire altrimenti asociali,inetti,stonati e fuori dal coro.
C'e`una totale mancanza di coraggio e di carattere nel vivere moderno comune.
Tutti si fanno il verso a vicenda,tutti concorrono ad appartenere ad uno schema di comportamento e di sentirsi parte di quella fetta di societa`che se la passa bene,che"domina".
La colpa in buona parte e`dei VIP e tutti coloro che sentono di farne parte.
Si devono sentire in qualche modo speciali nell'essere parte della casta piu`privilegiata che tutto puo`permettersi dall'alto della loro eccelsa posizione.
Questa malattia si ripercuote a carattere ciclico a vari livelli sociali e negli ambienti piu`disparati.
Cosi`l'isteria di massa diventa assoggiettamento e norma di vita per la maggiore,quelli che scelgono di non appartenervi diventano "deviati",gente strana e sfigati,derelitti.
Si perde completamente il senso sano e giusto della realta`.
La nuova realta`totalizzante e frustrante diviene pericolosamente vessativa per la liberta`del singolo.
E il singolo che resta ancorato alla vecchia strada,quella sana,una minaccia per la casta e l'ideologia dominante.
 

Woland_

New member
Non bisogna però confondere la semplice natura dei rapporti umani (che comprende ovviamente l'approvazione da ambo le parti) con la ricerca ossessivo-compulsiva della visibilità e appunto dell'approvazione degli altri. La società odierna cerca di spingere l'uomo a questa ricerca, cerca di farlo esporre (con i social network, ma non solo) al resto della sua specie (che si comporta come lui) in modo da puntare i riflettori sull'apparire piuttosto che sull'essere. La presa di coscienza di tutto ciò non è un invito alla solitudine ma un rendersi conto che gli antichi valori umani di sincera amicizia e consapevolezza della socialità stanno scomparendo per lasciare posto alla mera apparenza e visibilità dietro una scatola di latta.
 

Reid

Member
Io, se mi permettete, prenderei in esame un altro punto di vista.

Con chi, quotidianamente, cerchiamo di manipolare il nostro comportamento per avere l'accettazione altrui ? con chi invece non badiamo al nostro "io" e ci comportiamo normalmente ?

Io penso che quando ci troviamo in un contesto sia famigliare che sia di amicizia, parlo dell'amicizia stretta, profonda, vera, noi non adottiamo maschere e ne manipoliamo in nostro comportamento per essere accettati.
In determinati contesti, con le persone che veramente ci amano per quello che siamo, noi siamo noi stessi.

Adottiamo invece un comportamento magari falso, mascheriamo il nostro carattere, depauperiamo la nostra personalità invece con il resto delle persone, il "resto" che di noi non gliene frega niente, se non per quell'attimo che vivono insieme a noi.
Siamo frenetici dell'accettazione altrui con le persone non veramente importanti della nostra vita.

Quindi la domanda è: Ne vale la pena stare a tribulare con l'accettazione altrui, modificando in modo camaleontico il nostro comportamento?
 

Grantenca

Well-known member
L'uomo è un animale sociale, non è fatto per vivere in solitudine: il rapporto con gli altri (famiglia, lavoro, svago) è fondamentale per mantenere un accettabile equilibrio psicologico. L'approvazione e il riconoscimento delle nostre capacità nel contesto sociale in cui operiamo è fondamentale per accrescere la nostra autostima e da qui la possibilità di affrontare la dura quotidianità con più coraggio. Per quanto riguarda poi il concetto di felicità è vero che i soldi, come l'autostima, non danno la felicità, ma comunque aiutano. la felicità poi è fatta di momenti, più o meno lunghi (forse soprattutto attimi) è le sue cause sono assolutamente individuali, persona per persona, e molto spesso non hanno assolutamente alcuna relazione con la stima e l'approvazione della società che ci circonda.
 

Sopraesistito

Black Cat Member
Penso che più dell'approvazione si è in cerca di una risposta emotiva che corrisponda a ciò che vogliamo.
Sicuramente per alcune persone è l'approvazione, ma per altre può essere anche il fastidio, ad esempio nel caso di anticonformisti estremi che fondamentalmente godono nel differenziarsi e nel sentirsi quindi "disapprovati" dalle masse.
In breve ci piace riuscire a manipolare gli altri, direttamente o indirettamente, in modo che rispondano alle nostre azioni e parole esattamente come vorremmo.
 
P

ParallelMind

Guest
Yamanaka ha scritto:
Quello che invece c'è bisogno è di un ritornare alla conoscenza autentica e diretta, e quella si che è fondamentale per una vita sana. Ma a volte per avere una singola gemma bisogna sacrificare molte monetine da dieci centesimi. Quindi quella che si chiama "accettazione sociale" oggi non solo è inadatta a capire l'interiorità di una persona ma nemmeno può cogliere la sua dimensione sociale autentica nè tantomeno ha alcun peso per sondarne la profondità dello spirito. E' un termine vuoto e ingannatore.

Il punto e`che tu parti dal preconcetto(forse errato)che queste doti interiori siano considerate per l'umanita`di oggi un plus-valore e non un dis-valore.
Dal mio punto di vista,siamo sempre piu`vicini alla socialita`dei primati che a quella evoluta idealizzata che in molti crediamo di vivere.
La verita`e`che forse sebbene con qualche gingillo in piu`e una medicina migliore rispetto ai tempi dei movimenti filosofici umanistici postrinascimento-Risorgimento,siamo andati piu`indietro che avanti.
 

Monica

Active member
Se la felicità e l'autostima dipendono dall'essere accettati dal "branco" sei fregato,perchè se all'improvviso ti vengono a mancare non hai più punti di riferimento.
Credo che la prima cosa sia accettare se stessi,poi se c'è anche il resto ben venga.Non si può piacere a tutti e ricercare l'approvazione di tutti: è un illusione ed è la causa di molte frustrazioni.Bisogna capire chi siamo e qual è il nostro valore ,sviluppare interessi che ci facciano stare bene,poi qualcuno saprà apprezzarci.Non importa la quantità ma la qualità di chi vorrà stare con noi, che ci farà stare bene.
Naturalmente è una mia opinione.....
 

~ Briseide

Victorian Lady
Come già detto da qualcun altro, trovo che l'accettazione altrui sia solo una delle possibili sfaccettature che può avere la felicità: se ripenso ai momenti più intensi di gioia che ho provato nella mia vita, essi prescindono quasi sempre dal consenso altrui. Sono spesso frammenti emozionali di natura strettamente personale, risoluzioni di battaglie vinte con me stessa, il piacere di riuscire a carpire ed assaporare il vero miracolo della vita nella natura, in una canzone, in un sentimento, in un gesto gentile.
Più che pensare all'approvazione come un fattore che la correli alla felicità, io l'ho sempre pensata all'altro estremo: come un tassello dell'infelicità. Una sorta di nebbia che impedisce di apprezzare tutto il fulgore di una gioia vera. E' come se generasse una temporanea refrattarietà agli stimoli che colpiscono la nostra sensibilità. Ma l'unica forma di disapprovazione che può condurre a questa forma di infelicità ossessiva è secondo me quella della propria famiglia, perchè correlata ad un amore ed a un legame incondizionato, e che rifugge la razionalità.
Estendendo il discorso a tutti gli altri contesti, da quello amicale, a quello dei conoscenti, trovo poi che esso assuma fattezza fortemente soggettive, e correlato agli aspetti caratteriali di ogni individuo: ognuno nasce e viene plasmato dall'ambiente in cui cresce con stimoli, aspirazioni, vigore e sensibilità molto diversi. E' chiaro come questi fattori siano tutti strettamente correlati nel dipingere un quadro di integrazione sociale estremamente variegato, e di quanto l'approvazione in un contesto più ampio si possa rendere così differente sotto tutti gli aspetti, dalla sua estensione alla sua importanza, da renderlo un discorso che necessita di una trattazione soggettiva per comprenderne tutti gli aspetti. Ma oserei dire in maniera assolutistica, che le forme di approvazione sociale che passano per le vie dell'apparenza, siano tutte correlate ad una forma di insicurezza personale più o meno marcata.
 
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