Ho deciso di leggere questo libro, unanimamente considerato il capolavoro di Roth, dopo essere rimasta molto delusa da La macchia umana (letto dopo aver visto il film che invece mi era piaciuto molto), con tante più aspettative in quanto mi è stato fortemente consigliato...
Ora che l’ho finito, provo delle sensazioni contrastanti. Confermo di non amare in modo particolare lo stile dell’autore, troppo denso di troppe cose... spesso inutilmente ostico...
Però quest'opera, così ricca, così pregna, non mi ha lasciato indifferente. Mi ha emozionato, e l’ha fatto in modo crudo, a volte persino violento, in alcuni punti toccando tasti quasi personali.
Certo non è facile “identificarsi” con lo Svedese e con la sua tragedia familiare (non tutti abbiamo parenti terroristi in famiglia, per fortuna!) ma nella drammatica “straordinarietà” della sua vita, non si riflettono i fallimenti dell’umanità intera, l’infrangersi del sogno universale di una vita serena, normale, contro l’irrazionalità della vita reale, così imprevedibile, incomprensibile, inaccettabile?
Come persona che ha sempre avuto una certa difficoltà ad accettare le proprie sconfitte, ho trovato verosimili e intensi gli sforzi dell Svedese per far quadrare sempre e comunque la propria vita anche quando tutto sembrava sfuggirgli di mano, per cercare di dare un senso anche all'assurdo ... Mi sono identificata nel suo amore spasmodico per il dovere, nel suo bisogno di essere sempre “perfetto”, di non deludere nessuno...
Come mamma, ho trovato sublime l’interrogarsi disperato di un padre che non può accettare la propria estraneità alla tragedia di una figlia perduta... Forse è questo aspetto ciò mi ha colpito di più (probabilmente perchè appunto, essendo mamma, mi sono identificata molto): può un genitore non sentirsi responsabile della sorte dei propri figli? Certo, si mette al mondo una creatura e in quello stesso momento già non ci appartiene più: ma è sufficiente questo per metterci l’anima in pace?
Credo che il motore di quest'opera sia il conflitto irriducibile fra l’irrazionalità della vita, della morte, dei rapporti umani, e il desiderio estremo, disperato, ma mai del tutto spento, di voler trovare un senso nonostante tutto... nonostante a volte sia proprio questo bisogno di razionalità “a tutti i costi” che determina, o se nn altro acuisce, il nostro fallimento, il nostro dolore...
Mi è piaciuto da morire il “focoso” dialogo fra lo Svedese e suo fratello: per un momento ci allontaniamo dal punto di vista dello Svedese per immedesimarci in quello, più crudele e disincantato, ma forse più "realistico", del volitivo Jerry: è il punto in cui ho odiato di più il protagonista, il suo rispetto irragionevole per le regole si trasforma in una colpa che non è più scusabile... ("se ami tua figlia, valla a prendere e portala a casa"...)
Infine c’è un ultimo aspetto, apparentemente secondario, ma che fa da cornice a tutto il romanzo: il rapporto “ambiguo” che intercorre fra la mente creatrice e l’oggetto della sua creazione: in questo caso fra Nathan Zuckerman (alter ego dello stesso Roth) e lo Svedese. Questo libro è uno dei pochi in cui la genesi di un romanzo, e in particolare di un personaggio, è sviscerata in modo esplicito e dettagliato, senza lasciare spazio a false illusioni.
“...nonostante questi e altri sforzi (...) sarei stato pronto a riconoscere che il mio Svedese non era lo Svedese originario. “
e poco più avanti “ma se questo significava che avevo immaginato una creatura completamente fanstastica; se questo significava che la mia concezione dello Svedese era più fallace di quella di Jerry (...)... Beh, chi lo sa. Chi può saperlo?”
Non è questo un interrogarsi sul significato e sul valore della letteratura, della finzione letteraria? Con una premessa del genere, il resto della storia diventa quasi una metastoria, e ho trovato questo aspetto molto, ma molto interessante.
Per concludere... be’, non sono brava a concludere. É un libro che è stato capace di “darmi”... Quanto e cosa mi abbia dato, ancora non riesco a percepirlo... Forse non leggerò nient’altro di Roth (il suo stile non mi è congeniale) ma sicuramente sono molto, molto contenta di averlo letto.