Capitolo decimo
Sono arrivata al capitolo dieci.
Mi sta divertendo, si, ma sto aspettando che spicchi il volo. Gli manca qualcosa...uhm! :?
Vi lascio qualche pezzetto che ho apprezzato particolarmente.
L'essere o il nulla, ecco il problema. Salire, scendere, andare, venire; tanto fa l'uomo che alla fine sparisce. Un tàssi lo reca, un metró lo porta via, la torre non ci bada, e il Pànteon neppure. Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un'ombra (incantevole), Zazie il sogno d'un'ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l'ombra di un'ombra, poco piú di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota (oh! mi scusi). Laggiú, oltre, un po' oltre, Place de la République, si accatastano le tombe dei parigini che furono, che salirono e scesero scale, andarono e vennero per le vie e tanto fecero che alla fine sparirono. Un forcipe li introdusse, un carro funebre li porta via e la torre si arrugginisce e il Pànteon si screpola piú presto di quanto le ossa dei morti fin troppo presenti non si dissolvano nell'humus della città tutto impregnato di affanni. Ma sono vivo, io, e qui s'arresta la mia scienza perché del tassimane sparito nel suo trespolo a tassametro o di mia nipote sospesa a trecento metri nell'atmosfera o della mia sposa, la dolce Marceline, rimasta presso il focolare domestico, in questo preciso momento io non so, e qui non so, se non questo, endecasillabicamente: eccoli quasi morti perché assenti. Ma che veggo oltre le crespute cucuzze della brava gente che mi circonda?. (capitolo ottavo)
Allora? Perchè vuoi fare la maestra?
Per rompere le palle alle bambine - rispose Zazie. - Quelle che avranno la mia età tra dieci anni, tra vent'anni, tra cinquant'anni, tra cento anni, tra mille anni. Aver sempre da rompere le balle a qualcuno. (capitolo secondo)