Ginzburg, Natalia - Lessico Famigliare

Holly Golightly

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Concordo con chi dice che non è né un capolavoro, né particolarmente profondo, ma è un libro molto bello e che ha una sincerità, una schiettezza, e una "libertà", mi si lasci passare il termine, che pochissimi libri hanno. Credo sia questo un motivo sufficiente per leggerlo. È il ritratto di una famiglia torinese fra gli anni '30 e gli anni '50, ripresa nella sua quotidianità, nei piccoli gesti che ci sono in ogni famiglia.
Credo che l'interesse principale dell'autrice fosse proprio quella quotidianità, sembra altre volte sorvolare con decisione sia su se stessa - il personaggio della famiglia di cui si sa di meno - sia sulla sua vita privata. I personaggi sono ritratti così bene da sembrar quasi inventati, specie il padre, la madre e Alberto.
4/5 :D
 

IlLettoreComune

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recensione di "Lessico Famigliare", Natalia Ginzburg

Che se ne dica, "Lessico famigliare" di Natalia Ginzburg lo trovo un capolavoro. Certo il suo stile è così anticonvenzionale che disorienta, all'inizio, e che sembra quasi calare il romanzo nei bassifondi della letteratura. Ma credo che l'autrice, in fondo, attraverso questo suo linguaggio da ragazzina, disinvolto e spensierato, ci voglia coinvolgere nel gioco. Nel suo gioco. Perchè il romanzo sta in piedi a suo di filastrocche. Eppure si parla di guerra, sullo sfondo, si parla di rifugiati e di persone che devono persino cambiare la propria identità e tacere le proprie idee, per non essere scoperti. in fondo si tratta del periodo tra la nascita del fascismo in Italia e la seconda guerra mondiale.
Nell'ironia sta il segreto di questo libro, un'ironia che si dispiega in un lungo flusso di ricordi libero e anticonformista, mai spezzato dalla forma del capitolo. è un dialogo portato quasi all'ossessione, un botta-risposta che costruisce abitudini, piccoli aneddoti quotidiani che tengono legati assieme i componenti della famiglia Levi. Una famiglia benestante e intellettualmente vivace, ricca di interessi e con un profondo animo antifascista.
La signora Ginzburg non si racconta mai, è sempre raccontata. Tutti sono dipinti dal proprio stesso lessico scelto non dall'autore dal personaggio che riveste la giovane Natalia Levi.
Leggendo "Lessico famigliare" è facile disegnare con gli occhi l'interno della casa dei Levi, luogo dove avviene l'immenso scambio verbale: ci si siede sul grande divano, nel salotto, e si assiste alla costruzione della vita dei Levi. Li si ascolta, semplicemente. Il tempo scorre ma si è sempre seduti lì, come se lo scorrere del tempo fosse fittizio: ogni tanto ci si imbatte nel signor Olivetti oppure il quello che Natalia racconta dell'amico del marito, Cesare Pavese. Un pover'uomo che, in fondo, è rimasto solo col suo scrivere.
Il vero protagonista di questo romanzo è proprio "il lessico": mai ho visto titolo più adatto. Attraverso espressioni gergali entriamo dalla porta di un appartamento torinese e ci troviamo davanti una numerosa famiglia che discorre, canta, legge, telefona, scrive. Per anni. Certo, qualcosa nelle dinamiche famigliari cambia: qualcuno se ne va, qualcun altro torna, qualcuno nasce e qualcun altro muore: ma tutti rimangono "presenti" nel qui e ora del loro personalissimo lessico famigliare.
 

emiliob

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Lessico famigliare

Fra i libri della Ginzburg , che ho letto, è quello che mi è piaciuto di più (assieme a "Le piccole virtù").
Ho trovato altri suoi romanzi un po' leziosi e assolutamente non memorabili.
 

Ugly Betty

Scimmia ballerina
Questo libro mi ha deluso.
L'ho trovato arido, secco, la lista della spesa di tutto quello che è accaduto in quarant'anni. Tizio ha fatto questo, Caio ha fatto quell'altro. E la sarta di qui, e mio padre di lì. Un bello spaccato della realtà sociale e culturale di quegli anni, certo, ma mi aspettavo di più, mi aspettavo più partecipazione, più emozione, un po' più di calore familiare!
I suoi matrimoni sono 'Io e Leone ci siamo sposati' senza un minimo di spiegazione, di descrizione di stati d'animo, come e perchè si sono sposati etc etc...
Bah! :boh:
 

ayuthaya

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Per poter spiegare il modo in cui mi è piaciuto questo libro, non posso fare a meno di ripercorrere le diverse fasi del mio apprezzamento.
Partendo dal presupposto che forse non mi sarei mai decisa a leggere questo romanzo e questa autrice se non avessi trovato il titolo fra gli audiolibri a disposizione nella mia biblioteca, appena iniziato ho pensato subito che avevo fatto bene a essere reticente: non amo le ambientazioni esclusivamente familiari e, dopo qualche “pagina”, stavo già per concludere che se non altro questo libro non sarebbe mai diventato uno dei miei preferiti. Tanto più che, trattandosi di un ascolto e non di un lettura “indipendente”, non avevo la possibilità di fermarmi, tornare in dietro di qualche pagina per cercare un nome già citato e capire a chi si riferisse... nemmeno rallentare il ritmo per assimilare i diversi e numerosi personaggi.
D’altra parte ammetto che il tono intimistico usato dalla Ginzburg e (a mio avviso) ben interpretato dalla lettura di Margherita Buy, rendeva perfettamente l’idea di una madre, o una nonna magari, che racconti ai propri figli e nipoti la storia della sua famiglia, che è anche la loro: un racconto che si compone di ricordi, aneddoti, “pettegolezzi”... e soprattutto di espressioni “tipiche”, indissolubilmente legate a una determinata persona... insomma, ciò che costituisce il “lessico famigliare” grazie al quale una persona, chiunque essa sia, è "radicata" anche linguisticamente alle proprie origini.
É stato così che, se da una parte provavo una certa difficoltà a districarmi fra i tanti nomi e le tante relazioni di parentela e amicizia, dall’altra ero sempre più ammaliata da questo racconto che fin dall’inizio ho sentito appartenere a un tempo che non è più il nostro, e questa sensazione mi ha fatto persino soffrire.
Mi spiego: la severità del padre di Natalia, i suoi continui rimbrotti e rimproveri, l'autorità con cui si intrometteva nella vita della famiglia dettando le proprie rigide regole mi hanno fatto certamente pensare che è una fortuna che oggi le cose non siano più così: che si conceda libertà, che si insegni a pensare con la propria testa, che si permetta di coltivare le proprie inclinazioni e i propri interessi.
Al contrario, però, la naturalezza con cui la Ginzburg dimostra di riconoscere se stessa e la propria famiglia fino al legame con parenti anche molto lontani, magari personalmente sconosciuti ma di cui comunque ella è in grado di tracciare un ritratto quanto mai dettagliato, affidandosi solo ai racconti dei propri genitori, mi ha fatto chiaramente sentire come questa dimensione profondamente “famigliare” sia ormai quasi del tutto scomparsa. Penso alla mia di famiglia, a quella dei miei genitori, dei miei nonni... Forse questi ultimi, sì, con i loro numerosi fratelli e sorelle potevano ancora offrire a mia mamma e a mio papà una discreta quantità di “materiale” con cui imbastire le loro storie... Ma quali aneddoti legati alla mia infanzia e che coinvolgano altri personaggi potrò raccontare ai miei figli?
Non voglio essere fraintesa, non voglio fare la disfattista: le famiglie, più o meno numerose (certamente meno di una volta), ci sono ancora. Ma anche ammesso che ci siano i “numeri” e ci siano i “legami”, non siamo tutti più globalizzati? Esiste ancora, oggi, un “lessico famigliare” di cui farci eredi e custodi, che ci faccia riconoscere come facenti parte di una determinata famiglia, diversa da tutte le altre, unica e irripetibile?
Questo, paradossalmente, per farvi capire quanto e come mi sia piaciuto il romanzo della Ginzburg, che, senza voler essere (come infatti lei stessa precisa) una biografia, resta una testimonianza preziosissima di una famiglia, di un momento storico, di una posizione politica. E quale famiglia, quale momento storico, quale posizione politica.
L’altra cosa che mi è piaciuta moltissimo di questo romanzo, infatti, è stata l’aver potuto associare i ricordi, gli aneddoti, i “pettegolezzi” , le espressioni del “lessico famigliare” a personaggi che, ho scoperto, essere tutt’altro che anonimi... E, se ho riconosciuto facilmente da sola nomi come quello di Turati, Pavese, Olivetti, già con uno sforzo di memoria in più altri come Balbo o Casorati, ammetto di aver dovuto cercare su Internet i nomi della maggior parte degli altri personaggi che gravitavano intorno alla famiglia Levi: la Kuliscioff, Terni, Paglietta, Caffi, Chiaromonte, Giua... Leone Ginzburg stesso. Una carrellata davvero strepitosa di personaggi che (dovevo scoprirlo grazie a questa scrittrice? Colpa della mia immensa ignoranza...) hanno fatto la storia dell’antifascismo in Italia o che comunque hanno lasciato un’impronta spesso indelebile nella cultura del nostro Paese. Lo stesso Giuseppe Levi, il grande protagonista (insieme alla moglie Lidia, che gli fa da contraltare) di questo romanzo – lui e lei genitori di Natalia –, è stato un personaggio di enorme rilevanza nel panorama scientifico italiano. Lui che dava così facilmente degli “sempiezzi” e degli “sbrodeghezzi” a quello che facevano gli altri, lui di cui sorridiamo così spesso durante la lettura e con cui a volte ci siamo arrabbiati (io di sicuro), lui è stato uno di quei “grandi” di cui, grazie al racconto della Ginzburg, scopriamo la “banale” umanità, la “normalità”, ma, soprattutto, l’irripetibilità.
 
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estersable88

dreamer member
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Opinioni discordanti per questo “Lessico famigliare” molto famigliare: c’è chi lo definisce senza riserve “un capolavoro assoluto”, chi lo trova non particolarmente profondo ma comunque molto bello, chi lo trova deludente. Io, mio malgrado, devo inserirmi in quest’ultima categoria.
Questo libro non mi è piaciuto, non ne ho capito l’intenzione, non ci ho trovato né coinvolgimento né un messaggio, mi aspettavo di più: sapevo che non si trattava di un vero e proprio romanzo, ma piuttosto di una raccolta di ricordi; tuttavia mi sarei aspettata, da parte dell’autrice che questi ricordi li ha vissuti, più emozione o partecipazione. Natalia Ginsburg, invece, racconta fatti, misfatti, manie ed esperienze vissute da persone che, nonostante siano presenti in tutto il libro, non arriviamo mai veramente a conoscere. E’ come se arrivassimo in una stanza dove una vecchia signora sta raccontando della sua famiglia e del periodo che va dal primo al secondo dopoguerra, ma vi arrivassimo a racconto già iniziato. E purtroppo le tante espressioni gergali non bastano, a parer mio, a creare quell’intimità e quella conpartecipazione che sarebbero necessarie ad entrare nelle vicende e ad appassionarsi al racconto. Mi sento quasi in colpa nel non consigliarlo, ma purtroppo questo libro non mi ha lasciato nulla: ho concluso la lettura così, in modo troppo liscio, senza sobbalzi né coinvolgimenti di sorta. Mi dispiace, ma purtroppo per me è un no.
 

ayuthaya

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Proprio incredibile che si possano avere opinioni così discordanti... :paura: Ma è il bello dell'arte! TUNZZZ
 

Spilla

Well-known member
L'ho letto troppi anni fa, e certamente troppo da giovane per poterne dare un giudizio.
Ricordo che la mia sensazione di allora fu di delusione.
Oggi potrebbe di sicuro essere diverso :boh:, ma non ho particolare desiderio di rileggerlo.
 

ayuthaya

Moderator
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L'ho letto troppi anni fa, e certamente troppo da giovane per poterne dare un giudizio.
Ricordo che la mia sensazione di allora fu di delusione.
Oggi potrebbe di sicuro essere diverso :boh:, ma non ho particolare desiderio di rileggerlo.

Molto secondo me dipende dalle aspettative: quando non abbiamo particolare desiderio di leggere un libro perché non pensiamo che possa piacerci, è lì che può succedere di essere smentiti... Mi sta succedendo (in forma molto maggiore) anche con Kundera che sto leggendo adesso.
Al contrario se abbiamo grosse aspettative il rischio di essere delusi è dietro l'angolo...
 
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Spilla

Well-known member
Molto secondo me dipende dalle aspettative: quando non abbiamo particolare desiderio di leggere un libro perché non pensiamo che possa piacerci, è lì che può succedere di essere smentiti... Mi sta succedendo (in forma molto maggiore) anche con Kundera che sto leggendo adesso.
Al contrario se abbiamo grosse aspettative il rischio di essere delusi è dietro l'angolo...

Quando l'ho letto mi nutrivo di classici, ero abituata a frasi complesse, pensieri sminuzzati all'infinito, indagine dell'animo umano in stile entomologico... hai presente i Russi? Ovvio che una prosa alla Ginzburg non mi dicesse niente :mrgreen:
Infatto sono convinta che ora, comunque, lo leggerei con una capacità di comprensione diversa. Poi non è detto che mi piaccia comunque :wink:, di sicuro il mio sarebbe... uno sguardo nuovo :)
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Molto secondo me dipende dalle aspettative: quando non abbiamo particolare desiderio di leggere un libro perché non pensiamo che possa piacerci, è lì che può succedere di essere smentiti... Mi sta succedendo (in forma molto maggiore) anche con Kundera che sto leggendo adesso.
Al contrario se abbiamo grosse aspettative il rischio di essere delusi è dietro l'angolo...

In effetti è vero, forse l'aver tanto sentito parlare - e parlare bene - di questo libro nel tempo lo aveva caricato ai miei occhi di molte aspettative. Poi non mi è piaciuto e la delusione è stata maggiore che se fosse stato un libro sconosciuto.
Kundera mi piace, non è facilissimo, ma è profondo. Di suo ho letto solo "L'insostenibile leggerezza dell'essere" ed ho in lista "Il valtzer degli addii".
 

LettriceBlu

Non rinunciare mai
La parola spontanea che mi è venuta pensando a come poter definire questo libro è “arido”. In primis, la scelta di narrare i ricordi senza alcun filo conduttore ha diluito non poco la percezione del tempo di lettura. Non è un mattone, ma è stato così lento che mi è sembrato durasse almeno il triplo. Tra l’altro non ha neanche variato le modalità di presentazione dei ricordi, tutto il libro è stato un: mio padre diceva, mia madre si comportava, mio fratello pensava. Inoltre, le vicende che riguardavano la Ginzburg personalmente erano anch’esse descritte come se le avesse sentite raccontare da qualcuno che le aveva a sua volta sentite raccontare. I sentimenti erano inesistenti, sia quando parlava della guerra, ma soprattutto quando descriveva il rapporto col marito.
Forse non ha aiutato il fatto che la famiglia descritta è troppo diversa da quelle che mi circondano, sicuramente per i tempi diversi, ma non solo. Ho mal sopportato entrambi i genitori: il padre a cui non andava bene niente e nessuno e si lamentava in continuazione (e ci credo che i figli abbiano voluto stargli il più lontano possibile); la madre che molti definiscono briosa e ottimista, ma che a mio parere era un’oca giuliva in piena regola, sempre a confrontarsi con le persone che la circondavano, scimmiottando ogni tre per due i loro modi di fare, intimamente convinta di essergli superiore, e gelosa della figlia maggiore in maniera morbosa, così come era morboso e inquietante l’attaccamento ai figli della minore.
Per non parlare poi di quanto mi abbiano sconcertato i ricordi dei vari arresti: non capirò mai, per fortuna, quel clima politico, ma trovo inconcepibile che qualcuno possa essere lusingato di avere un membro della famiglia in prigione e lo sfoggi apertamente, (che ok, questo si può comprendere considerando la situazione dell’epoca), me ancor di più che si desideri che ci rimanga perché “ora che è libero la vita ridiventa noiosa”.
Sarò strana io ma non vedo nulla di così lodevole in questo libro. È vero che si citano molte persone reali anche importanti, ma ciò mi ha lasciata completamente indifferente considerato che i ritratti che emergono sono così poco curati che alla fine non si apprende nulla di concreto su queste grandi figure storiche.
 

Carcarlo

Nave russa, vaffanculo!
Sarò strana io ma non vedo nulla di così lodevole in questo libro.
Non per forza.
E' che forse è un libro che - oggi giorno - potrebbe esser definito per vecchi, per coloro che si appagano di cose semplici ma ordinate, a misura d'uomo, senza alcuna grandiosità... quasi banali.
Riaprilo tra 30 anni o magari un giorno che ce l'hai con la società che ti circonda: la normalità del mondo descritto (che non implica che fossero normali le esperienze vissute) potrebbe sollevarti non poco.
 

elisa

Motherator
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Sincero e profondo nella sua realtà e semplicità, l'autrice vuole raccontare e non raccontarsi e ne esce qualcosa di potente, di vissuto che tutti noi condividiamo. I personaggi si stagliano con una chiarezza e una definizione che rimane impressa. Nulla di retorico o di finto in questo romanzo diario che proprio per questa caratteristica rimane una lettura ancor oggi valida. La tragicità di quei tempi viene smorzata dall'ironia e dal distacco del racconto vissuto in prima persona. Ma non dobbiamo dimenticarci gli eventi tragici che descrive.
 
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