Garcia Marquez, Gabriel

velmez

Active member
credo di essermi commossa per la prima per la morte di un personaggio che non conoscevo personalmente...
l'idea che fosse ancora vivo mi dava la speranza che potesse scrivere ancora, pronunciare frasi magiche o semplicemente coesistere nel mio stesso mondo...
mi dispiace davvero tantissimo...
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Non aggiungo altro, avete già detto tutto...
ciao Gabo :)
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Mi sono accorta che in tutto il forum c'è un errore tecnico.
Questo buon uomo, come vuole la tradizione catalana, tipica del sud-america, si chiama Gabriel (nome) Garcia (cognome del padre) Marquez (cognome della madre).
Non è solo Marquez il cognome, bensì Garcia Marquez!

Questa discussione dovrebbe chiamarsi Garcia Marquez, Gabriel .
E anche tutti i libri inseriti nella Piccola Biblioteca sono segnati in maniera errata.

Moderatori, buon lavoro di sistemazione! :mrgreen:

Lavoro completato :wink: !

Adios Gabo :ARR... ti ho conosciuto attraverso loro e con loro ti lascio l'ultimo saluto.


Modena city ramblers - Cent'anni di solitudine - YouTube
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Non metto in dubbio le sue qualità di scrittore, ma nessuno (forse perchè era bravo nel suo mestiere e perchè dei morti non si parla male?) ha scritto due parole due sull'uomo (che non scinde dallo scrittore), amico del dittatore Castro, uccisore di moltissimi innocenti e del quale condivideva le idee politiche. Storica la rottura dell'amicizia con Mario Vargas Llosa il quale gli procurò un bell'occhio nero a causa di divergenze ideali e politiche.
Garcia Marquez è sempre rimasto fedele a Cuba e allo pseudo socialismo latino americano di Castro del quale non ha visto il cambiamento da quando questi è salito al potere ed è sempre rimasto lontano dalla gente comune e dai cittadini che da decenni subiscono sorprusi, torture e uccisioni (vedi gli innocenti fucilati o imprigionati per anni solo per aver comprato carne di manzo!). Non ha mai scritto, essendo vicino a quel modo di vivere, di come vivono i cittadini del suo grande amico Castro, con una manciata di riso, qualche sacchettino di zucchero e poche altre cose che dovrebbero sfamarli per un mese. Non ha mai descritto come i cubani investono le vacche guidandole sotto le automobili o treni per poi poter appropriarsene da morte e poter mangiare carne che non sia di maiale. Non ha mai detto nulla sulle condizioni di vita di un popolo tanto a lui vicino, che vuole uscire dall'isola in un viaggio di sola andata (o la va e si arriva a Miami in zattera in fin di vita o la spacca e si ritorna e si affronta il plotone di esecuzione).
Uno scrittore dovrebbe essere attento a quello che vede e vive e metterlo nero su bianco... Ma forse io sono all'antica. Mi tengo i miei Steinbeck, Levi, etc. Capisco il primo Castro, quando ancora c'era Batista. Ma se volete proprio piangere il vostro Gabo, piangetegli le sue opere ma non l'uomo che, visto l'influenza che avrebbe potuto avere per un intero popolo, se n'è rimasto a guardare e ha anzi abbracciato una politica dittatoriale e genocida criticando duramente Chavez il quale in Venezuela sta riproponendo la stessa politica che il suo amico Castro da anni attua contro il suo popolo. E non parlo solo di privazioni dei diritti civili.
Non intendevo scendere in commenti di questo genere, ma non ho resistito e spero non me ne vogliate. Non volevo nemmeno fare politica e forse mi sono fatto prendere la mano, ma molti leggono buoni libri senza cercare di conoscere chi li ha scritti e dunque ignorando cosa avrebbero potuto scrivere e fare per chi ha avuto la sfortuna di nascere in parti scomode del mondo. In pratica non hanno sfruttato appieno la loro capacità artistica.
Rispetto grande per gli ammiratori di Garcia Marquez, ma ripeto, ricordate che lo scrittore e l'uomo è un tutt'uno. Nessuno lo obbligava a scrivere su ciò che circondava il suo amico dittatore, ma molti hanno avuto le palle pur non essendo stati testimoni così diretti!
 

pitchblack

New member
Non metto in dubbio le sue qualità di scrittore, ma nessuno (forse perchè era bravo nel suo mestiere e perchè dei morti non si parla male?) ha scritto due parole due sull'uomo (che non scinde dallo scrittore), amico del dittatore Castro, uccisore di moltissimi innocenti e del quale condivideva le idee politiche. Storica la rottura dell'amicizia con Mario Vargas Llosa il quale gli procurò un bell'occhio nero a causa di divergenze ideali e politiche.
Garcia Marquez è sempre rimasto fedele a Cuba e allo pseudo socialismo latino americano di Castro del quale non ha visto il cambiamento da quando questi è salito al potere ed è sempre rimasto lontano dalla gente comune e dai cittadini che da decenni subiscono sorprusi, torture e uccisioni (vedi gli innocenti fucilati o imprigionati per anni solo per aver comprato carne di manzo!). Non ha mai scritto, essendo vicino a quel modo di vivere, di come vivono i cittadini del suo grande amico Castro, con una manciata di riso, qualche sacchettino di zucchero e poche altre cose che dovrebbero sfamarli per un mese. Non ha mai descritto come i cubani investono le vacche guidandole sotto le automobili o treni per poi poter appropriarsene da morte e poter mangiare carne che non sia di maiale. Non ha mai detto nulla sulle condizioni di vita di un popolo tanto a lui vicino, che vuole uscire dall'isola in un viaggio di sola andata (o la va e si arriva a Miami in zattera in fin di vita o la spacca e si ritorna e si affronta il plotone di esecuzione).
Uno scrittore dovrebbe essere attento a quello che vede e vive e metterlo nero su bianco... Ma forse io sono all'antica. Mi tengo i miei Steinbeck, Levi, etc. Capisco il primo Castro, quando ancora c'era Batista. Ma se volete proprio piangere il vostro Gabo, piangetegli le sue opere ma non l'uomo che, visto l'influenza che avrebbe potuto avere per un intero popolo, se n'è rimasto a guardare e ha anzi abbracciato una politica dittatoriale e genocida criticando duramente Chavez il quale in Venezuela sta riproponendo la stessa politica che il suo amico Castro da anni attua contro il suo popolo. E non parlo solo di privazioni dei diritti civili.
Non intendevo scendere in commenti di questo genere, ma non ho resistito e spero non me ne vogliate. Non volevo nemmeno fare politica e forse mi sono fatto prendere la mano, ma molti leggono buoni libri senza cercare di conoscere chi li ha scritti e dunque ignorando cosa avrebbero potuto scrivere e fare per chi ha avuto la sfortuna di nascere in parti scomode del mondo. In pratica non hanno sfruttato appieno la loro capacità artistica.
Rispetto grande per gli ammiratori di Garcia Marquez, ma ripeto, ricordate che lo scrittore e l'uomo è un tutt'uno. Nessuno lo obbligava a scrivere su ciò che circondava il suo amico dittatore, ma molti hanno avuto le palle pur non essendo stati testimoni così diretti!

Non condivido la tua impostazione, e credo sia un grave errore mischiare l'uomo e l'artista. Vi sono state molte polemiche, talvolta al vetriolo, che confondevano la biografia e l'arte. Negli anni immediatamente successivi alla 2^ guerra mondiale una certa parte della comunità filosofica scorgeva contaminazioni naziste nell'opera di Heidegger. La conseguenza, molto spesso, era una condanna indiscriminata e ingiustificata degli scritti del più grande filosofo del '900. Oggi capita con una certa regolarità di leggere delle apologie del filosofo sui quotidiani, inchieste storiche che negherebbero un suo effettivo coinvolgimento nel partito nazionalsocialista tedesco. Si è andati dalla denuncia tutta politica della sua opera, fino alle improbabili apologie finalizzate a salvare la faccia del filosofo.
Altro caso clamoroso fu la dichiarazione lapidaria di Kierkegaard, secondo il quale l'opera di Schopenhauer, di cui si conosceva l'amore per le donne e il libertinaggio, avrebbe dovuto essere gettata nella spazzatura perchè non in linea con l'atteggiamento che il suo autore aveva nella vita. Impostazioni che hanno portato a esiti ridicoli e misconosciuto il valore del pensiero dell'artista. Mischiare cose non miscibili ti impedisce di apprezzare il reale contributo che un artista porta al suo tempo. "Cosa avrebbe potuto scrivere o fare" è un ragionamento che non ha alcun senso, la scrittura non è a comando, quanto più è ideologica, tanto più limita la riuscita artistica.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
...la scrittura non è a comando, quanto più è ideologica, tanto più limita la riuscita artistica.

mmh... potrei nominare decine di grandi scrittori che spingerebbero nella tazza del cesso questa ultima tua affermazione, ma sono sicuro che li conosceresti anche tu. Rispetto ovviamente la tua opinione ma non credi che fondamentalmente uno scrittore sia influenzato da ciò che ha vissuto più o meno in prima persona o visto con i propri occhi? Questo critico a Garcia Marquez. Non lo condanno, mi ha solo deluso come uomo.
Di cosa avrebbe potuto scrivere Bukowski se non avesse fatto quella vita o Kerouac se non avesse scorrazzato in lungo e in largo per l'America o Primo Levi se non fosse stato internato nei campi?
Opere di pura fantasia. Romanzi come quelli che scrivono gli scrittori di best seller. Libri da vetrina, come li chiamo io. Quelli che trovi in tutte le vetrine delle librerie, che vendono milioni di copie il primo anno o due. E poi vengono dimenticati, i libri e gli scrittori.

E poi ritengo, rifacendomi all'esempio che facevi di Heidegger, la filosofia alquanto subdola, soprattutto la sua. La filosofia, credo, dovrebbe essere un approfondimento della conoscenza; la conoscenza dell'uomo e dei suoi pensieri e l'evoluzione degli stessi. Cosa che Heidegger ha potuto fare ben poco nella vita in quanto per quello che ne so non si è mai mosso dalla Germania (ma mi posso sbagliare... non l'ho letto recentemente e non ho letto molto su di lui in passato) e tutto ciò che ci ha dato (che per moltissimi è un sacco, per carità) è filosofia che deriva dallo studio di chi ha filosofato prima di lui. Ma non mi addentro in tutto questo perché non è il mio campo. Però mi sembra che la scrittura se non fosse ideologica non direbbe nulla se non nelle opere di pura fantasia, nei thriller e in tutti quei generi che poco hanno a che vedere con le sensazioni e con le emozioni personali degli scrittori. L'ideologia esprime proprio le passioni e le credenze morali dell'uomo e personalmente è ciò che mi piace nei romanzi perché poi confronto tutto questo con la mia visione personale di ciò che ho letto, e spero inoltre di arrivare a conoscere l'autore almeno un po', prima di approfondire per conto mio su chi è e come è giusto a scrivere le sue opere. Da che esperienze le ha ricavate.

Non posso ignorare come ha vissuto Hemingway dopo aver letto le sue opere o dove ha vissuto Steinbeck quando scrive della vallata di Salinas. Ha vissuto il periodo della Depressione e ciò non poteva star fuori dai suoi scritti. Moravia nacque da una famiglia borghese agiata e il suo romanzo di formazione è il romanzo della borghesia per antonomasia.
Graham Greene e il suo periodo cattolico hanno sfornato capolavori come Il Nocciolo della Questione e Il Potere e la Gloria, fra i tanti.

Concludo dicendo che Gabriel Garcia Marquez, a mio parere, si discosta un pochetto :? da Kierkegaard, Schopenhauer e Heidegger. Credo anzi che non abbia niente a vedere con loro e forse, è sempre una mia opinione, non volermene, un esempio come quello del tuo intervento, abbia poco a che vedere con il mio post e tanto meno con il dibattito che ho involontariamente sollevato ma mi fa piacere discutere con voi, amici del forum, per imparare a capire i vostri punti di vista.

Un salutone!

st

PS: Dimenticavo... Io parlavo di romanzieri, non di filosofi.
 
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pitchblack

New member
mmh... potrei nominare decine di grandi scrittori che spingerebbero nella tazza del cesso questa ultima tua affermazione, ma sono sicuro che li conosceresti anche tu. Rispetto ovviamente la tua opinione ma non credi che fondamentalmente uno scrittore sia influenzato da ciò che ha vissuto più o meno in prima persona o visto con i propri occhi? Questo critico a Garcia Marquez. Non lo condanno, mi ha solo deluso come uomo.
Di cosa avrebbe potuto scrivere Bukowski se non avesse fatto quella vita o Kerouac se non avesse scorrazzato in lungo e in largo per l'America o Primo Levi se non fosse stato internato nei campi?
Opere di pura fantasia. Romanzi come quelli che scrivono gli scrittori di best seller. Libri da vetrina, come li chiamo io. Quelli che trovi in tutte le vetrine delle librerie, che vendono milioni di copie il primo anno o due. E poi vengono dimenticati, i libri e gli scrittori.

E poi ritengo, rifacendomi all'esempio che facevi di Heidegger, la filosofia alquanto subdola, soprattutto la sua. La filosofia, credo, dovrebbe essere un approfondimento della conoscenza; la conoscenza dell'uomo e dei suoi pensieri e l'evoluzione degli stessi. Cosa che Heidegger ha potuto fare ben poco nella vita in quanto per quello che ne so non si è mai mosso dalla Germania (ma mi posso sbagliare... non l'ho letto recentemente e non ho letto molto su di lui in passato) e tutto ciò che ci ha dato (che per moltissimi è un sacco, per carità) è filosofia che deriva dallo studio di chi ha filosofato prima di lui. Ma non mi addentro in tutto questo perché non è il mio campo. Però mi sembra che la scrittura se non fosse ideologica non direbbe nulla se non nelle opere di pura fantasia, nei thriller e in tutti quei generi che poco hanno a che vedere con le sensazioni e con le emozioni personali degli scrittori. L'ideologia esprime proprio le passioni e le credenze morali dell'uomo e personalmente è ciò che mi piace nei romanzi perché poi confronto tutto questo con la mia visione personale di ciò che ho letto, e spero inoltre di arrivare a conoscere l'autore almeno un po', prima di approfondire per conto mio su chi è e come è giusto a scrivere le sue opere. Da che esperienze le ha ricavate.

Non posso ignorare come ha vissuto Hemingway dopo aver letto le sue opere o dove ha vissuto Steinbeck quando scrive della vallata di Salinas. Ha vissuto il periodo della Depressione e ciò non poteva star fuori dai suoi scritti. Moravia nacque da una famiglia borghese agiata e il suo romanzo di formazione è il romanzo della borghesia per antonomasia.
Graham Greene e il suo periodo cattolico hanno sfornato capolavori come Il Nocciolo della Questione e Il Potere e la Gloria, fra i tanti.

Concludo dicendo che Gabriel Garcia Marquez, a mio parere, si discosta un pochetto :? da Kierkegaard, Schopenhauer e Heidegger. Credo anzi che non abbia niente a vedere con loro e forse, è sempre una mia opinione, non volermene, un esempio come quello del tuo intervento, abbia poco a che vedere con il mio post e tanto meno con il dibattito che ho involontariamente sollevato ma mi fa piacere discutere con voi, amici del forum, per imparare a capire i vostri punti di vista.

Un salutone!

st

PS: Dimenticavo... Io parlavo di romanzieri, non di filosofi.

Invece io potrei nominare decine di grandi scrittori che spingerebbero nella tazza del cesso le tue affermazioni. Il bello di una dialettica democratica sta nel confrontare punti di vista diversi. Dici che la filosofia di Heidegger è subdola e immediatamente dopo riconosci di avere letto poco di lui. Quindi non sai di che parli?
E' ovvio che ogni scrittore è influenzato in maniera determinante dalle proprie esperienze, e che per penetrare un po' più approfonditamente la sua scrittura occorre conoscerne la biografia. Quello che ho ribadito nel mio post è che il processo di creazione artistica è meno artificioso, schematico, rigido, inquadrato di come hai fatto intendere. Vi sono implicazioni non solo razionali, ma soprattutto irrazionali. Per questo motivo non ha alcun senso immaginare cosa avrebbero potuto scrivere o fare se... La finalità del mio intervento è indurti a riflettere su ciò che hai scritto, tutto qui. Sarebbe pretenzioso in un forum mostrare che una cosa, nel nostro caso come nasce un'opera d'arte, il che è argomento abbastanza complesso, può essere ben diversa da come crediamo. Se sono riuscito a instillare una curiosità e una volontà di approfondimento minimo sugli elementi che stanno alla base della nascita del fenomeno estetico, per me è sufficiente e questa conversazione può terminare. Se invece ti senti appagato del tuo punto di vista, me ne duole ma nel libero confronto delle opinioni può accadere anche questo.
 

luke

New member
Uhm, ritengo il mio parere molto incompleto, visto che ho letto solo due dei romanzi maggiori (Cent' anni e L' autunno del patriarca) più Cronaca di una morte annunciata, anche se ho intenzione di recuperare anche altro materiale...
E' un autore che apprezzo discretamente, ma non riesco ad essere pienamente convinto dalle sue opere, in cui trovo pagine meravigliose, da leggere e rileggere, alternate a pagine davvero pesanti.
Non mi sono mai informato sul suo metodo di scrittura, ma soprattutto leggendo L' autunno ho avuto la decisa impressione che sia uno di quegli scrittori che raramente o addirittura mai rileggono quello che scrivono, visto che ho avuto durante la lettura la costante sensazione di trovare ripetizioni o continue nuove spiegazioni superflue degli stessi concetti, già perfettamente esemplificati nel corso dell' opera (ovviamente ora arriveranno le smentite dei suoi studiosi, sono i rischi di dare un giudizio su un autore senza informarsi adeguatamente:mrgreen:). Non il mio ideale, ma gradisco lo stesso, anche se con dei limiti.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Invece io potrei nominare decine di grandi scrittori che spingerebbero nella tazza del cesso le tue affermazioni. Il bello di una dialettica democratica sta nel confrontare punti di vista diversi. Dici che la filosofia di Heidegger è subdola e immediatamente dopo riconosci di avere letto poco di lui. Quindi non sai di che parli?
E' ovvio che ogni scrittore è influenzato in maniera determinante dalle proprie esperienze, e che per penetrare un po' più approfonditamente la sua scrittura occorre conoscerne la biografia. Quello che ho ribadito nel mio post è che il processo di creazione artistica è meno artificioso, schematico, rigido, inquadrato di come hai fatto intendere. Vi sono implicazioni non solo razionali, ma soprattutto irrazionali. Per questo motivo non ha alcun senso immaginare cosa avrebbero potuto scrivere o fare se... La finalità del mio intervento è indurti a riflettere su ciò che hai scritto, tutto qui. Sarebbe pretenzioso in un forum mostrare che una cosa, nel nostro caso come nasce un'opera d'arte, il che è argomento abbastanza complesso, può essere ben diversa da come crediamo. Se sono riuscito a instillare una curiosità e una volontà di approfondimento minimo sugli elementi che stanno alla base della nascita del fenomeno estetico, per me è sufficiente e questa conversazione può terminare. Se invece ti senti appagato del tuo punto di vista, me ne duole ma nel libero confronto delle opinioni può accadere anche questo.

Mi sa che ho toccato un nervo scoperto. 😊
Sono molto più che appagato dal mio punto di vista. Non dolertene, amico mio.
Continui a portare la discussione sui filosofi. E Garcia Marquez non lo era. Il 3D è su di lui, quindi già il tuo primo intervento mi risultava off topic sin dall'inizio; poi dici che è ovvio che ogni scrittore è influenzato dalle proprie esperienze, e che per penetrare un po' più approfonditamente la sua scrittura bisogna conoscerne la biografia. Parole tue. Ma nel tuo primo intervento dicevi il contrario: che l'uomo e l'artista non devono essere mischiati. Se leggi quella di Heidegger di biografia (che non capisco cosa centri con Garcia Marquez...) vedrai che di esperienze ne ha avute ben poche e che, come dicevo, non è addirittura quasi mai uscito dal proprio paese. Pare ovvio che diversi usi, costumi, ideologie etc. etc. le ha imparate sui libri di chi faceva filosofia prima di lui. Vedi quindi che quando ti sei contraddetto (leggi dove ti ho quotato) involontariamente tu stesso ammetti che l'uomo e lo scrittore è un tutt'uno. L'uomo È lo scrittore. Anche quando scrive di fantasia (e qui mi contraddico io) perchè pensandoci bene, il suo subconscio lo influenza comunque.
Tutto questo, di nuovo, va contro ciò che sembri asserire nel tuo primo intervento". Attrito stridente. Quindi non sai di cosa parli? 😜

È evidente inoltre che hai capito esattamente il contrario se dici che io faccio intendere che la scrittura di un romanzo sia un processo rigido e inquadrato. Dove andrebbe a finire allora quel fantastico viaggiare nei reami dell'intelletto che emoziona tutti noi quando uno scrittore mette nero su bianco? Quando racconta nella fiction o altro l'arte del farci conoscere le sue esperienze o qualcosa d'altro che derivi da quelle?
Sono d'accordissimo con te invece quando scrivi che la conversazione a questo punto può terminare. Se ritieni opportuno aprirne una sui filosofi, la leggerò con interesse. C'è sempre da imparare. Questa per me è durata anche troppo in quanto ritengo di essermi lasciato trascinare troppo a lungo in un discorso che con un romanziere ha ben poco a che fare, se non assolutamente nulla. Mi spiace che tu ti sia alterato come si evince quando mi accusi di non sapere quello che dico. Ma, sai, cercavo di rimanere in tema e non di spostare la conversazione dove la si potrebbe ramificare infinitamente.
Ammetto ad ogni modo che è stato divertente. Le reazioni umane quando qualcuno viene contraddetto sono sempre interessanti. Se mi permetti ti consiglio di leggere una cosa di Shalom Auslander. È una raccolta di racconti e s'intitola A Dio Spiacendo. Esilarante e divertente, nonché molto intelligente ed elegante. Infine, per citare Mazzini, pregna di pensiero e di verità.

Buona serata.

st

Edit: typos
 
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Ursula

Member
Secondo me ogni autore porta il suo punto di vista, sia che racconti fatti e vicende storiche, sia che racconti cose del tutto fantasiose.
Non giudicherei pensando a che cosa ha raccontato o cosa arebbe potuto raccontare. Potrebbe anche essere stato personalmente un testimone importante di vicende storiche complesse, e aver deciso comunque di scrivere di argomenti totalmente diversi slegati dalla realtà, e allora?
Ognuno sceglie il motivo per cui scrive, e il fine della sua scrittura, e non penso che tutti debbano per forza avere le stesse ragioni o gli stessi scopi.
Alcuni libri hanno un grande valore perchè sono opere di denuncia, hanno un valore sociale e politico perchè portano alla luce la verità, ma non tutti i libri lo devono essere per forza.

Posso dare la mia opinione su quello che ha scritto, e personalmente posso dire che mi è sempre piaciuto seguirlo nelle tracce della sua fantasia. Alcuni spunti presi dai suoi libri me li porto sempre dietro, e mi capita di ripensarci.
Ignoro la sua posizione politica, e in effetti ammetto di ignorare anche molto della sua vita e il contesto in cui ha scritto. Tutto questo, mi permetterebbe di avere un'opinione sull'uomo, non sullo scrittore. E forse sarebbe parte di un giudizio molto più complesso da esprimere.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Secondo me, se non si tratta di un testo tecnico o come dice Ursula di un'opera di fantasia, di fantascienza o di ricette di cucina, la vita che fai incide comunque, anche inconsciamente, sul romanzo. Magari non ti descrive direttamente, ma le persone che ti hanno accompagnato nella vita e la vita stessa che hai condotto spuntano fuori da qualche parte. Leggi i racconti di Pavese, le cose di W. Burroughs o i romanzi di J. London, di Conrad, i libri di J. Green... Tanto per saltare da un genere all'altro. Hemingway, Steinbeck etc. Tutti i più grandi romanzieri hanno scritto quello che hanno visto o vissuto. In altri, non si coglie il loro punto di vista solo perché è magari mascherato dalla storia che stiamo leggendo. Poi, chiaramente se uno scrive di un fatto di cronaca tipo, che ne so, A Sangue Freddo di Capote, l'autore si anonimizza (passatemi il termine 😊). Sebbene il fatto stesso può averlo incuriosito per dei motivi personali (vedi la vita di Capote). Ma questo è solo il mio parere...

Buona lettura a tutti!

st
 

Kasparlo

New member
Di Marquez avevo iniziato a leggere cent'anni di solitudine, libro di gran moda, almeno negli anni passati ma che ho trovato noioso e prolisso. Non so darne quindi un giudizio, mi stupisce un pò la considerazione letteraria di cui gode (forse il mio è un giudizio ingiusto o forse ignorante), ma trovo incomparabilmente superiore Borges.
2 parole sulle contraddizioni tra vita ed opere di artisti e scrittori. Heiddegger aderì al nazismo (all'inizio) e Wagner credo che fosse fortemnte antisemita.
Non trovo traccia né di nazismo e né di antisemitismo neppure un'ombra nelle loro opere (per quello che posso capire di heiddegger non mi pare proprio che esalti superiorità di razza o cose simili...) e stesso dicasi per Wagner, le cui opere certamente parlano di saghe nordiche, ma non fanno menzione di ebrei o cose del genere... mah
 

Lark

Member
Non metto in dubbio le sue qualità di scrittore, ma nessuno (forse perchè era bravo nel suo mestiere e perchè dei morti non si parla male?) ha scritto due parole due sull'uomo (che non scinde dallo scrittore), amico del dittatore Castro, uccisore di moltissimi innocenti e del quale condivideva le idee politiche. Storica la rottura dell'amicizia con Mario Vargas Llosa il quale gli procurò un bell'occhio nero a causa di divergenze ideali e politiche.
Garcia Marquez è sempre rimasto fedele a Cuba e allo pseudo socialismo latino americano di Castro del quale non ha visto il cambiamento da quando questi è salito al potere ed è sempre rimasto lontano dalla gente comune e dai cittadini che da decenni subiscono sorprusi, torture e uccisioni (vedi gli innocenti fucilati o imprigionati per anni solo per aver comprato carne di manzo!). Non ha mai scritto, essendo vicino a quel modo di vivere, di come vivono i cittadini del suo grande amico Castro, con una manciata di riso, qualche sacchettino di zucchero e poche altre cose che dovrebbero sfamarli per un mese. Non ha mai descritto come i cubani investono le vacche guidandole sotto le automobili o treni per poi poter appropriarsene da morte e poter mangiare carne che non sia di maiale. Non ha mai detto nulla sulle condizioni di vita di un popolo tanto a lui vicino, che vuole uscire dall'isola in un viaggio di sola andata (o la va e si arriva a Miami in zattera in fin di vita o la spacca e si ritorna e si affronta il plotone di esecuzione).
Uno scrittore dovrebbe essere attento a quello che vede e vive e metterlo nero su bianco... Ma forse io sono all'antica. Mi tengo i miei Steinbeck, Levi, etc. Capisco il primo Castro, quando ancora c'era Batista. Ma se volete proprio piangere il vostro Gabo, piangetegli le sue opere ma non l'uomo che, visto l'influenza che avrebbe potuto avere per un intero popolo, se n'è rimasto a guardare e ha anzi abbracciato una politica dittatoriale e genocida criticando duramente Chavez il quale in Venezuela sta riproponendo la stessa politica che il suo amico Castro da anni attua contro il suo popolo. E non parlo solo di privazioni dei diritti civili.
Non intendevo scendere in commenti di questo genere, ma non ho resistito e spero non me ne vogliate. Non volevo nemmeno fare politica e forse mi sono fatto prendere la mano, ma molti leggono buoni libri senza cercare di conoscere chi li ha scritti e dunque ignorando cosa avrebbero potuto scrivere e fare per chi ha avuto la sfortuna di nascere in parti scomode del mondo. In pratica non hanno sfruttato appieno la loro capacità artistica.
Rispetto grande per gli ammiratori di Garcia Marquez, ma ripeto, ricordate che lo scrittore e l'uomo è un tutt'uno. Nessuno lo obbligava a scrivere su ciò che circondava il suo amico dittatore, ma molti hanno avuto le palle pur non essendo stati testimoni così diretti!

Ti rispondo con ritardo, ma ho letto solo ora questo post e la conversazione che ne è scaturita, e vorrei contribuire. Sono d'accordo su molto di quello che hai scritto, ma basandomi sull'istinto e su alcune considerazioni personali vorrei suggerire qualche spunto diverso.
Il mio presupposto è che è mia impressione che ogni artista, quale che sia il suo ambito, nel creare la propria arte ne da un significato che poi è autonomo dal suo artefice. Così un quadro vive per la prima volta nell'opera del pittore, ma presenta successivamente una propria indipendenza (non ricordo quale filosofo dell'arte la chiami "formatività") che rivive nuovamente nell'azione, nel viverla dell'interprete. Così i libri, specie i romanzi. E' l'esperienza attualizzante del lettore a ridare vita al romanzo, che però esiste di per sé, anche al di là delle intenzioni originali dell'autore.
E' un pensiero forse banale e minoritario, sicuramente controtendenza, ma ne sono convinto. Un artista, nella fattispecie uno scrittore che lo faccia per amore della letteratura, compie la propria opera che assume poi una propria indipendenza dalla volontà stessa del suo autore, e questa è l'opera d'arte. Per questo farei questo tipo di distinzione, tra libro ed autore - personalmente non apprezzo le ricostruzioni di senso di un libro risalendo alla volontà dello scrittore, sebbene sia il più titolato e siano sacrosante (una sorta di interprete autentico dell'opera d'arte) penso che sia qualcosa di riduttivo, e svilente, dell'opera stessa. Un solo significato può essere molto limitativo.
Secondo presupposto, convinzione personalissima, è che inevitabilmente un artista - uno scrittore - mette nella sua opera parte della sua "anima", o mente, o quel che più possa avvicinarcisi. E' un contatto di intenzioni, di coscienze, ed in questo contatto l'autore rivive. Tutti i grandi hanno lasciato quest'impronta, e leggere un loro libro è un po' come dialogare con loro. Un regalo fatto ai posteri, a chiunque voglia usufruirne, la massima espressione di dialogo. Io leggendo Marquez ho avuto l'impressione di un uomo vero e tormentato, forse cinico, ma non ipocrita. Quello che è definito realismo magico è - forse - solo l'esaltazione delle contraddizioni umane in un contesto come sospeso, che le accentua. Da quello che mi sembra di aver "assorbito" - nel senso che ho spiegato prima, ma forse si tratta solo di una mia sega mentale - posso poter dire qualcosa di lui, della sua personalità.
Detto questo penso che sia stato consapevolmente cieco davanti agli orrori della dittatura di Castro, in nome forse di un sogno vissuto di cui non ha voluto ammettere il fallimento, o forse più semplicemente succube di fama e comodità della sua posizione di privilegiato. E' stato, in vita, un debole che non ha voluto combattere per ideali giusti, nonostante - come hai detto - sarebbe stato nella posizione ideale per farlo. Io non ne conosco la ragione, ma qualcosa mi dice che non sia stato per cordardia o ipocrisia. Vedo alcune persone a me vicino estremamente intelligenti rifiutarsi di vedere la realtà delle cose, talvolta, per non dover affrontare la propria disillusione, e forse è stato questo il caso. Persone che hanno bisogno di credere in qualcosa, o in qualcuno, e per amore dell'idea o per semplice incapacità non vogliono rimettersi in discussione - specie in certe fasi della vita.
Concludo dicendo che è giustissimo condannarlo per quel che non ha fatto, ed io ci sono rimasto veramente di merda quando ne sono venuto a conoscenza - in occasione della morte, peraltro. Però ecco... mi sono sentito di condividere il mio pensiero al riguardo, anche se non porta a nessuna posizione precisa, né aiuta me. Penso solo sia più complicato di così.
Sono dolorosamente consapevole che non scriverei quel che ho scritto se non si trattasse di un autore che ammiro. Ma sono anche convinto che la mia ammirazione si fondi su una qualche consapevolezza ulteriore, che ho provato ad esprimere.
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Grazie Lark!
Rifletterò su quando da te esposto. Mi fa piacere, sempre, leggere punti di vista differenti.

Il fatto che scrivi "...penso che sia stato consapevolmente cieco davanti agli orrori della dittatura di Castro, in nome forse di un sogno vissuto del quale nn ha voluto ammettere il fallimento, o forse più semplicemente succube di fama e di comodità della sua posizione di privilegiato. È stato, in vita, un debole che nn ha avuto il coraggio di combattere per ideali giusti..." mi porta a quanto detto nell'intervento di kasparlo riguardo la mancanza di antisemitismo sui testi di Wagner e di nazismo su quelli di Heidegger. Quanto sarebbe stato conveniente per loro scriverne? Mica erano scemi! Chi è codardo nn è quasi mai stupido. E cmq continuo a nn capire perchè si seguiti a paragonare personaggi che con gli scrittori di romanzi nn hanno nulla a che vedere.
Ecco quindi che la debolezza e la codardia di Garcia Marquez, o di chiunque altro in una posizione simile, torna ad uscire. Probabilmente c'è in ognuno di noi tranne che in alcuni uomini che si sono contraddistinti per cercare di cambiare le cose, trovandosi in una posizione per poterlo anche minimamente fare.

Ma dovremmo parlare di letteratura, no?
Bene, secondo voi quando assegnarono il Nobel per la letteratura a Toni Morrison e glielo diedero per aver dato vita ad un aspetto essenziale della realtà americana, perchè cavolo hanno considerato le sue "lotte" per l'uguaglianza se era un premio letterario? Potrei citare molti altri vincitori del più ambito premio letterario che l'hanno vinto nn solo per la loro opera puramente artistica. Molto spesso è stato considerato essenziale lo sforzo per far riflettere sulle giuste cause, all'interno dell'opera stessa. Nn dico che sia giusto così. Capisco anche io che l'arte della letteratura nn deve per forza avere dei risvolti paladini. La ragione per cui ho seguitato ad intervenire in questo thread è per cercare di spiegare che quasi sempre in un certo tipo di romanzi l'uomo e il suo io traspare fra le righe.
Ho, ad inizio discussione, criticato l'uomo Garcia Marquez (e nn lo scrittore nel senso stretto e limitato del termine) per nn aver fatto conoscere, sebbene nn fosse obbligato, naturalmente, delle situazioni che i suoi occhi avevano osservato a lungo.
Nn parlavo d'arte, e forse anche poco di letteratura. Mi ero incazzato e me ne scuso con coloro ai quali ho rovinato l'atmosfera di lutto stile RIP Gabo perchè sembrava che fosse morto un eroe dei nostri tempi. Nn lo era e nn lo sarà mai.
L'analisi di Lark è stata a mio parere la più vicina al mio pensiero, sebbene io nn abbia la capacità di esprimermi così chiaramente (vedi la mia firma in fondo ai miei post :mrgreen:), e questo possibilmente ha fatto sì che molti travisassero le mie intenzioni nel dire ciò che ho scritto.
Nn disdegno, ne mai lo farò, opere di pura fantasia.
Continuerò cmq a considerare come esempi quel genere di scrittori, i miei preferiti - ma spero di scoprirne molti altri con il vostro aiuto e i vostri consigli - che mi faranno leggere loro stessi fra le pagine dei loro romanzi dimostrando, assieme a bravura, coraggio e verità.

Buona lettura a tutti (e un like a Lark!)

PS: chiedo scusa per le abbreviazioni, ma con un mini ipad nn riesco a scrivere meglio e nn so come eliminare gli accorciamenti automatici delle parole.
 

Kasparlo

New member
mi porta a quanto detto nell'intervento di kasparlo riguardo la mancanza di antisemitismo sui testi di Wagner e di nazismo su quelli di Heidegger. Quanto sarebbe stato conveniente per loro scriverne? Mica erano scemi! Chi è codardo nn è quasi mai stupido.

Credo che Heiddegger abbia preso una cantonata nell'aderire al nazismo, e questo credo che dimostri come anche un grande intellettuale, un filosofo esistenzialista possa capirne di società e di vita reale meno di un salsicciaio.

Forse non ne hanno scritto perché non ne avevano interesse, tutto qui. C'è da dire che comunque H. non è certo l'unico intellettuale che aderì al regime. Von Brown, progettava le V2 per bombardare Londra, non so se consapevolmente o meno, quando fu preso dagli americani andò in America e progettò il Saturn che andò sulla Luna...
Forse non gli importava niente ( o forse non aveva tempo) tranne che di progettare razzi che andassero da qualche parte...:mrgreen:
(giusto pour parler...)
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Credo che Heiddegger abbia preso una cantonata nell'aderire al nazismo, e questo credo che dimostri come anche un grande intellettuale, un filosofo esistenzialista possa capirne di società e di vita reale meno di un salsicciaio.
Infatti... Vedi che ho scritto di Heidegger alcuni post fa. Chissà, appunto, come faceva a capirne di vita vera e di società visto quanto scrivono di lui a riguardo, nelle biografie. Oh, se era un grande filosofo, chi sono io per dire nn è vero. Solo nn capisco come possa esserlo diventato, visto la vita che ha fatto e ciò che è o dovrebbe essere la filosofia moderna.

Cmq quando avrò 65 anni starò seduto per terra a gambe incrociate tutto il tempo, mi farò venire una pancia da budda e diventerò un pensatore incallito. Viaggerò con la mente ovunque e chissà, forse mi verrà in mente qualche aforisma interessante.

La filosofia è buona cosa, ma di filosofi temo ce ne siano troppi.
 

Cocci

New member
La solitudine dell'America Latina

Oggi per la prima volta ho letto il discorso di Marquez alla cerimonia di consegna dei Nobel del 1982. Secondo me è bellissimo e vale la pena leggerlo:

<<Antonio Pigafetta, un marinaio fiorentino che accompagnò Magellano nel primo viaggio attorno al mondo, durante il suo passaggio attraverso la nostra America meridionale scrisse un resoconto rigoroso che tuttavia sembra un’avventura dell’immaginazione.

Raccontò di avere visto maiali con l’ombelico sulla schiena e uccelli privi di zampe, le cui femmine covavano le uova sul dorso del maschio, e altri come pellicani senza lingua, i cui becchi sembravano cucchiai. Raccontò di avere visto un mostruoso animale con testa e orecchie di mulo, corpo di cammello, zampe di cervo e nitrito di cavallo.

Raccontò che il primo nativo incontrato in Patagonia fu messo davanti a uno specchio, e che quel gigante esagitato perse l’uso della ragione per paura della propria immagine. Questo libro breve e affascinante, nel quale già si intravedono i germi dei nostri attuali romanzi, non è affatto la testimonianza più stupefacente sulla nostra realtà di quei tempi. I cronisti delle Indie ce ne lasciarono innumerevoli altre. L’Eldorado, il nostro illusorio paese tanto conteso, figurò in numerose mappe per lunghi anni, cambiando luogo e forma secondo la fantasia dei cartografi.

Cercando la fonte dell’eterna giovinezza il mitico Álvar Núñez Cabeza de Vaca esplorò per otto anni il Nord del Messico, con una spedizione stravagante i cui membri si divorarono gli uni con gli altri e dalla quale ritornarono solo cinque dei seicento uomini che la componevano. Uno dei tanti misteri che non furono mai decifrati è quello delle undicimila mule, ognuna carica di cinquanta chili d’oro, che un giorno partirono da El Cuzco per andare a pagare il riscatto di Atahualpa e non arrivarono mai a destinazione. Più tardi, nel periodo coloniale, venivano vendute a Cartagena delle Indie galline allevate in terre alluvionali nelle cui interiora si trovavano pietruzze d’oro. Questo delirio aureo dei nostri fondatori ci ha perseguitato fino a poco tempo fa. Ancora nel secolo scorso, la missione tedesca incaricata di studiare la costruzione di una ferrovia interoceanica sull’istmo di Panama giunse alla conclusione che il progetto era realizzabile a condizione che i binari non fossero fatti di ferro, un metallo che scarseggiava nella regione ma d’oro.

L’indipendenza dalla dominazione spagnola non ci salvò dalla follia. Il generale Antonio López de Santa Anna, che fu tre volte dittatore del Messico, fece seppellire con magnifici funerali la gamba destra che aveva perso nella cosiddetta guerra dei Pasticcini. Il generale Gabriel García Moreno governò l’Ecuador per sedici anni come un monarca assoluto e il suo cadavere fu vegliato, in uniforme di gala e con la corazza delle decorazioni, seduto sulla poltrona presidenziale. Il generale Maximiliano Hernández Martínez, il despota teosofo del Salvador che fece sterminare in una barbara mattanza trentamila contadini, aveva inventato un pendolo per verificare se i cibi fossero avvelenati e fece ricoprire di carta rossa l’illuminazione pubblica per combattere un’epidemia di scarlattina. Il monumento al generale Francisco Morazán, eretto sulla plaza Mayor di Tegucigalpa, è in realtà una statua del maresciallo Ney comprata in un magazzino di sculture usate.

Undici anni fa, uno degli insigni poeti del nostro tempo, il cileno Pablo Neruda, illuminò con le sue parole questa sala. Da allora, nelle buone coscienze d’Europa, e a volte anche nelle cattive, hanno fatto irruzione con impeto sempre maggiore le spettrali notizie dell’America Latina, questa immensa patria di uomini visionari e di donne memorabili, la cui infinita ostinazione si confonde con la leggenda. Non abbiamo avuto un attimo di tregua. Un presidente prometeico trincerato nel suo palazzo in fiamme è morto combattendo da solo contro un intero esercito, e due disastri aerei sospetti e mai chiariti hanno tolto la vita a un altro presidente dal cuore generoso e a un militare democratico che aveva ristabilito la dignità del suo popolo.

Ci sono state cinque guerre e diciassette colpi di Stato, ed è venuto alla ribalta un dittatore luciferino che in nome di Dio ha compiuto il primo etnocidio dei nostri tempi nell’America Latina. Nel frattempo, sono morti prima di compiere un anno venti milioni di bambini latinoamericani, che sono più di quanti ne siano nati in Europa dal 1970. I desaparecidos a causa della repressione sono quasi 120mila, che è come se oggi non si sapesse dove siano finiti tutti gli abitanti della città di Uppsala.

Numerose donne, arrestate quando erano incinte, hanno partorito nelle prigioni argentine, ma si ignora ancora l’identità e il luogo di residenza de loro figli, che le autorità militari hanno dato in adozione clandestina o hanno internato negli orfanotrofi. Per essersi opposti a questo stato di cose, sono morti circa duecentomila uomini e donne in tutto il continente, mentre più di centomila sono stati ammazzati in tre piccoli e volenterosi paesi dell’America centrale: Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Se ciò fosse avvenuto negli Stati Uniti, la cifra proporzionale sarebbe di un milione e seicentomila morti violente in quattro anni. Dal Cile, paese tradizionalmente ospitale, sono fuggite un milione di persone: il dieci per cento della sua popolazione. L’Uruguay, una minuscola nazione di due milioni e mezzo di abitanti che veniva considerato il paese più civilizzato del continente, ha perso nell’esilio un cittadino su cinque.

La guerra civile nel Salvador ha prodotto, dal 1979, quasi un rifugiato ogni venti minuti. Il paese che si sarebbe potuto creare con tutti gli esuli e gli emigranti forzati dell’America Latina avrebbe una popolazione più numerosa di quella della Norvegia.

Oso pensare che sia stata questa realtà fuori dal comune, e non soltanto la sua espressione letteraria, a meritare quest’anno l’attenzione dell’Accademia svedese delle Lettere. Una realtà che non è quella di carta, ma vive con noi e determina ogni istante delle nostre innumerevoli morti quotidiane, alimentando una sorgente creativa insaziabile, piena di sventura e di bellezza. Della quale questo colombiano errante e nostalgico non è nulla di più che un numero maggiormente segnalato dalla sorte.

Poeti e mendicanti, guerrieri e poco di buono, tutte noi creature di quella realtà esagerata abbiamo dovuto chiedere molto poco all’immaginazione, perché la sfida maggiore per noi è stata l’insufficienza delle risorse convenzionali per rendere credibile la nostra vita. È questo, amici, il nodo della nostra solitudine.

E se queste difficoltà confondono noi, che ne condividiamo l’essenza, non è difficile capire perché i talenti razionali di questa parte del mondo, estasiati nella contemplazione della propria cultura, si siano ritrovati senza un metodo valido per interpretarci. È comprensibile che insistano nel valutarci con lo stesso metro col quale valutano se stessi, senza ricordare che le ingiurie della vita non sono uguali per tutti, e che la ricerca dell’identità è difficile e sanguinosa per noi quanto lo è stata per loro.

L’interpretazione della nostra realtà con schemi che non ci appartengono contribuisce soltanto a renderci sempre più sconosciuti, sempre meno liberi, sempre più solitari. Forse la venerabile Europa sarebbe più comprensiva se tentasse di vederci nel suo stesso passato. Se ricordasse che a Londra occorsero trecento anni per costruire le prime mura e altri trecento per avere un vescovo; che Roma si dibatté nelle tenebre dell’incertezza per venti secoli prima che un re etrusco la innestasse nella storia; e che ancora nel XVI secolo i pacifici svizzeri di oggi, che ci allietano con i loro formaggi mansueti e i loro orologi impavidi, insanguinavano l’Europa come soldati di fortuna. Ancora all’apogeo del Rinascimento, dodicimila lanzichenecchi al soldo degli eserciti imperiali saccheggiarono e devastarono Roma, passando a fil di spada ottomila dei suoi abitanti.

Non pretendo di incarnare le illusioni di Tonio Kröger, i cui sogni di unità fra un Nord casto e un Sud appassionato Thomas Mann esaltava cinquantatré anni fa in questa sala, ma credo che gli europei dallo spirito illuminato – quelli che lottano anche qui per una grande patria più umana e più giusta – potrebbero aiutarci meglio se riconsiderassero a fondo il loro modo di vederci. La solidarietà con i nostri sogni non ci farà sentire meno soli finché non si concretizzerà in atti di sostegno legittimo ai popoli che coltivano l’illusione di avere una vita propria nella ripartizione del mondo.

L’America Latina non vuole essere una pedina senza libero arbitrio, e non c’è ragione perché lo sia. E non ha nulla di chimerico il fatto che i suoi propositi d’indipendenza e originalità diventino un’aspirazione dell’Occidente. Ciò nonostante, i progressi della navigazione che hanno tanto ridotto le distanze fra le nostre Americhe e l’Europa sembrano invece averne aumentato la distanza culturale. Perché l’originalità che ci viene riconosciuta senza riserve nella letteratura ci viene negata con ogni tipo di sospetti nei nostri difficilissimi tentativi di cambiamento sociale? Perché pensare che la giustizia sociale che gli europei d’avanguardia tentano di imporre nei proprio paesi non possa essere anche un obiettivo latinoamericano con metodi diversi in condizioni differenti? No: la violenza e il dolore smisurati della nostra storia sono il risultato di ingiustizie scolari e amarezze inenarrabili, e non una congiura ordita a tremila leghe da casa nostra.

Tuttavia, molti dirigenti e pensatori europei lo hanno creduto, con l’infantilismo dei nonni che hanno dimenticato le proficue follie della loro giovinezza, come se non fosse possibile altro destino se non quello di vivere alla mercé dei due grandi padroni del mondo. È questa, amici, la dimensione della nostra solitudine. E tuttavia, di fronte all’oppressione, al saccheggio e all’abbandono, la nostra risposta è la vita. Né i diluvi né le pestilenze, né le carestie né i cataclismi, e nemmeno le guerre eterne attraverso i secoli dei secoli sono riusciti a ridurre il tenace vantaggio della vita sulla morte.

Un vantaggio che aumenta e accelera: ogni anno ci sono settantaquattro milioni di nascite in più rispetto alle morti, una quantità di nuovi esseri viventi in grado di accrescere di sette volte ogni anno la popolazione di New York. La maggior parte di loro nasce nei paesi con meno risorse, compresi, naturalmente, quelli dell’America Latina. I paesi più prosperi, invece, sono riusciti ad accumulare abbastanza potere di distruzione da annientare cento volte non solo tutti gli esseri umani che esistono oggi, ma la totalità degli esseri viventi che sono passati per questo sfortunato pianeta.

In un giorno come quello di oggi il mio maestro William Faulkner disse in questa sala: «Mi rifiuto di ammettere la fine dell’uomo». Non mi sentirei degno di occupare questo posto che fu suo se non fossi pienamente consapevole che, per la prima volta dall’inizio dell’umanità, il colossale disastro che egli si rifiutava di ammettere trentadue anni fa è ora soltanto una semplice possibilità scientifica.

Di fronte a questa sconvolgente realtà che nel corso di tutto il tempo umano è dovuta sembrare un’utopia, noi inventori di racconti, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non sia troppo tardi per iniziare a creare l’utopia contraria. Una nuova e impetuosa utopia della vita, in cui nessuno possa decidere per gli altri perfino sul modo di morire, dove sia davvero reale l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cent’anni di solitudine abbiano, finalmente e per sempre, una seconda opportunità sulla Terra.
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elesupertramp

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Il Cineforum de idioma espanol che frequento ha appena terminato un ciclo di pellicole tratte da alcuni romanzi di gabo.
Di seguito inserisco i riferimenti dei film, per chi fosse interessato a vederli .

Apreciados seguidores del Cine en Español,

El lunes 06 de octubre 2014, entre vuelos de mariposas amarillas, reanudaremos las Citas del Cine en Español con un programa muy especial, en homenaje a la persona y gran obra del premio Nobel de literatura, Don Gabriel Garcia Márquez. A continuación les adelantamos algo de la programación
.




PROGRAMA 2014:

Octubre 06.
DEL AMOR Y OTROS DEMONIOS
. Dira. Hilda Hidalgo. Colombia-Mexico- Costa Rica. 2009. 95 min.

Basada en la obra homónima de Gabriel García Márquez
Reparto: Pablo Derqui, Eliza Triana, Joaquin Climent, Margarita Rosa de Francisco, Jordi Dauder y Damián Alcázar.

Sinopsis: En una época de inquisición y esclavitud, Sierva María quiere saber a qué saben los besos. Tiene 13 años, es hija de marqueses y fue criada por esclavos africanos en la Cartagena de Indias colonial. Cuando un perro rabioso la muerde, el obispo la cree endemoniada y ordena a Cayetano, su pupilo, que la exorcice. El cura y la niña serán seducidos por un demonio más poderoso que la fe y la razón...



Octubre 13.
EL CORONEL NO TIENE QUIEN LE ESCRIBA. Dir. Arturo Ripstein. Mexico. 1999. 118 min.

Basada en la obra homónima de Gabriel García Márquez
Reparto: Fernando Luján, Marisa Paredes, Salma Hayek, Rafael Inclán, Ernesto Yáñez, Daniel Giménez Cacho, Patricia Reyes Spíndola, Odiseo Bichir, Esteban Soberanes, Julián Pastor.

Sinopsis: Al Coronel le prometieron una pensión, que espera inútilmente desde hace muchos años. Viernes tras viernes, trajeadito y solemne, se para ante el muelle aguardando la carta que anuncie la concesión de su pensión. Todos en el pueblo saben que espera en vano. Lo sabe también su mujer, que cada viernes lo mira prepararse ante el espejo para recoger la carta que nunca llegará. Pero el Coronel prefiere cerrar los ojos ante la evidencia y se aferra a su sueño. Y es que, si no, ¿qué le queda?...



Octubre 20.
TIEMPO DE MORIR. Dir. Jorge Alí Triana. Colombia. 1985. 94 min.

De este guión escrito por Gabriel García Márquez en 1964, el mexicano Arturo Ripstein realizó una primera versión cinematográfica en 1965.
Reparto: Gustavo Angarita, María Eugenia Dávila, Sebastián Ospina, Jorge Emilia Salazar, Reynaldo Miravalles, Lina Botero, Carlos Barbosa, Edgardo Román, Lucy Martínez.

Sinopsis: Juan Sáyago sale de la cárcel luego de pagar una condena de dieciocho años por haber matado en duelo a Raúl Moscote. Quiere recuperar el tiempo perdido y volver a vivir. Busca a su novia que se cansó de esperarlo y debe enfrentar el acoso implacable de los hijos de Moscote¸ criados en la obsesión de venganza. Es otra vez el tiempo de morir o de matar...




Comité Organizador
Associazione Culturale Arcobaleno affiliata ARCI
via Pullino,1 (fermata metro B Garbatella )



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