166° MG - Inferno (Divina Commedia) di Dante Alighieri

momi

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sono d'accordo con voi che Dante in questi ultimi canti è particolarmente comprensivo e bendisposto verso i dannati "tutti personaggi eccellenti" che incontra nel girone dei sodomiti; ed è interessante che Dante chiosi gli incontri con Ser Brunetto e gli altri tre degni fiorentini, con uno dei suoi temi più ricorrenti: la presente corruzione di Firenze rispetto ad un "nobile" passato.

Se mi perdonate una personale riflessione; vorrei dire che normalmente Dante (quello che traspare dell'uomo Dante) non attira molto le mie simpatie (a parte la mia ammirazione per il suo talento), ma in questi ultimi canti provo una particolare empatia con il sommo: non deve essere stato facile essere un esule nel 400!

la mia terzina:
"fenno una rota di sè tutti e trei,
qual sogliono i campion far nudi e unti,
avvisando lor presa e lor vantaggio,
prima che sien tra lor battuti e punti;"

posto il prossimo nei prossimi giorni
 

momi

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Ecco la belva con la coda appuntita,
che passa le montagne e spezza muri e difese!
Ecco colei che ammorba tutto il mondo col suo fetore!»
Così iniziò a parlarmi il mio maestro;
e accennò al mostro di venire all'orlo del Cerchio,
vicino alla fine dell'argine in pietra.
E quella sudicia immagine di frode si avvicinò,
e trasse alla riva la testa e il busto,
ma non la coda .
Aveva il volto di un uomo giusto,
tanto rassicurante era il suo aspetto,
mentre il resto del corpo era di serpente;
aveva due zampe pelose che arrivavano alle ascelle;
il dorso e il petto ed entrambi i fianchi
erano dipinti di nodi e rotelle.
Né i Tartari né i Turchi produssero mai tessuti con più colori,
ricami di sfondo e a rilievo,
né Aracne realizzò mai tele siffatte.
Come talvolta i burchielli (imbarcazioni) stanno a riva
e tengono parte dello scafo in acqua e parte a terra,
e come là fra i Tedeschi beoni (nei paesi nordici)
il castoro si prepara a catturare la preda (emergendo in parte dal fiume),
così l'orribile bestia stava sull'orlo,
che è in pietra e circonda il sabbione.
La sua coda guizzava tutta nel vuoto,
volgendo in alto la forbice velenosa
che aveva un pungiglione simile a quello dello scorpione.
Il maestro mi disse: «Ora è necessario che
il nostro cammino devii un poco fino
a quella bestia malvagia, coricata laggiù».
Perciò scendemmo dall'argine sul lato destro,
e facemmo dieci passi sull'orlo del Cerchio,
stando attenti a evitare la sabbia e la pioggia di fuoco.
E quando giungemmo a lei,
vidi poco più lontano dei dannati seduti sulla sabbia,
vicini all'orlo del baratro.
Qui il maestro mi disse: «Affinché la tua esperienza
in questo girone sia completa,
va' e osserva la loro pena.
I tuoi discorsi là non siano lunghi:
aspettando il tuo ritorno, parlerò con questa belva
per convincerla a concederci le sue forti spalle (per portarci in groppa)».
Così me ne andai tutto solo sull'estremo orlo di quel cerchio,
dove sedevano i mesti dannati.
Il dolore prorompeva fuori dai loro occhi (piangevano);
e da una parte e dall'altra cercavano di darsi sollievo con le mani,
per ripararsi dalla pioggia infuocata e dalla sabbia rovente:
non diversamente fanno i cani in estate,
col muso e con la zampa, quando sono morsi
da pulci, da mosche o da tafani.
Dopo che osservai con lo sguardo il viso di alcuni di loro,
sui quali cadeva il fuoco doloroso,
non ne riconobbi nessuno; ma mi accorsi
che a ciascuno pendeva dal collo una borsa,
che recava un certo colore e un certo stemma (quello della famiglia)
e sembrava che il loro occhio traesse nutrimento da essa.
E mentre guardavo tra di loro,
vidi su una borsa gialla una figura azzurra
che sembrava un leone dall'aspetto e dal portamento (lo stemma dei Gianfigliazzi).
Poi, spingendo oltre il corso (carro) del mio sguardo,
ne vidi un'altra di color rosso sangue,
che recava la figura di un'oca più bianca del burro (lo stemma degli Obriachi).
E un dannato, che aveva una borsa bianca
con l'immagine di una grossa scrofa azzurra (lo stemma degli Scrovegni),
mi disse: «Cosa fai tu in questo fosso?
Ora vattene; e poiché sei ancora vivo,
sappi che il mio concittadino Vitaliano del Dente
presto siederà qui alla mia sinistra.
Io sono padovano e sto qui con questi Fiorentini:
molte volte mi urlano nelle orecchie,
gridando: "Venga il nobile cavaliere,
che porterà qui la borsa col simbolo dei tre caproni!" (Giovanni di Buiamonte)».
A quel punto storse la bocca e tirò fuori la lingua,
come un bue che si lecchi il naso.
E io, temendo che il trattenermi oltre irritasse
colui che mi aveva ammonito a restare lì per poco,
mi allontanai dalle tristi anime.
Ritrovai il mio maestro che era già montato
sulla groppa del feroce animale,
e mi disse: «Ora sii forte e coraggioso.
Ormai dobbiamo scendere in questo modo:
sali davanti a me, poiché voglio essere nel mezzo
cosicché la coda (di Gerione), perché non possa nuocerti».
Come colui che ha così vicino il ribrezzo
della febbre quartana che ha già le unghie livide,
e trema tutto solo guardando l'ombra,
così divenni io nell'udire quelle parole;
ma la vergogna mi fece le sue minacce,
che rende il servo coraggioso davanti al buon padrone,.
Io mi sedetti sopra quelle orribili spalle:
avrei voluto dire a Virgilio 'Abbracciami forte',
ma la voce non venne fuori come credevo.
Invece Virgilio, che altre volte mi soccorse in altre situazioni dubbiose,
non appena montai mi cinse con le braccia e mi tenne forte;
e disse: «Gerione, è tempo che tu ti muova:
scendi lentamente, facendo ampi giri nell'aria:
bada al peso che porti e a cui non sei abituato».
Come la navicella lascia la proda
procedendo all'indietro, così Gerione si allontanò dall'orlo;
e dopo che si sentì pienamente a suo agio,
rivolse la coda dov'era il petto e la mosse tendendola,
come un'anguilla, e iniziò a dare bracciate nell'aria con le zampe pelose.
Non credo che Fetonte avesse più paura
quando lasciò le redini (del carro del Sole),
per cui – come ancora appare - il cielo si incendiò;
né (ebbe più paura) il misero Icaro,
quando si sentì spennare la schiena dalla cera surriscaldata,
mentre il padre gli gridava: «Stai sbagliando strada!»,
rispetto alla paura che ebbi io, quando vidi che mi trovavo
nell'aria da ogni lato e non vidi più nulla eccetto la belva.
Essa procedeva, nuotando lentamente:
girava e scendeva, ma io non me ne accorgevo
se non per il fatto che sentivo il vento sul viso e sotto le gambe.
Io udivo già alla mia destra la cascata (del Flegetonte)
che faceva un orribile scroscio sotto di noi,
per cui sporsi la testa in basso e guardai.
Allora ebbi più paura di cadere,
perché vidi dei fuochi e udii dei lamenti;
allora, tremando, strinsi di più le cosce.
E vidi poi ciò che prima non vedevo,
cioè che stavamo scendendo e ruotando,
perché si avvicinavano da diversi lati i grandi tormenti dei dannati.
Come il falcone che ha volato a lungo,
e che non avendo visto né il logoro né un uccello
induce il falconiere a dire: «Ahimè, devi scendere!»,
e quello scende stanco nel luogo da cui si muove agile,
facendo cento giri nell'aria e si posa lontano
dal suo padrone, disdegnoso e riottoso;
così Gerione ci depose a terra,
proprio sul fondo di quel baratro a strapiombo,
e una volta che ebbe scaricato i nostri corpi,
svanì come una freccia scoccata da un arco.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Gerione non è un demone ricordato troppo spesso, anche se in realtà è di notevole importanza per l’intreccio e la “morale” della Commedia. Ha la coda appuntita e lunga e con quella può afferrare tutto e ovunque.

Mentre circa l’identità degli altri demoni fin qui incontrati non c’erano dubbi, Gerione si presenta con il viso di un uomo “pulito”. E' il secondo traghettatore, questa volta non armato di remi, ma di ali. Non si tratta di traversare un fiume di sangue, me di scendere nelle tetre viscere delle Malebolge.

Il suo corpo però non lascia spazio a perplessità, visto che ha l'aspetto di un grosso serpente o di un gigantesco scorpione, sempre pronto a colpire con quella coda lunga e imprevedibile.

Dante scende nella bolgia sottostante, nella prima appena di sotto e conosce gli usurai, peccatori tanto immondi nei modi in vita quanto nella forma qui all'Inferno. Si leccano il visto come i buoi e scacciano le fiamme come i canei fanno con le mosche. Qui Dante si toglie ancora qualche sassolino dalla scarpa, mettendo tra questi peccatori bestiali alcuni suoi conoscenti.

Quando poi torna indietro, affronta l’ultima avventura della prima parte dell’Inferno, salendo sulla groppa di Gerione, il quale guidato da Virgilio, vola sempre più in basso verso il centro del burrone, disegnando cerchi concentrici sempre più stretti, fino a toccare il suolo, laddove il buio più totale li avvolge. Tutto intorno, durante la discesa, le urla dei dannati e lo scroscio del fiume infernale quasi fanno impazzire Dante, protetto e calmato da Virgilio. Il quale addirittura, teneramente, lo abbraccia. Un amico vero che in un momento così cupo, ama profondamente.

I due sembrano ormai uniti da un sentimento di vera amicizia oltre che da quel vincolo di reciproca stima che già dall’inizio era così saldo.

Questo è dunque un canto “di mezzo”. Se nella prima parte Dante ha affrontato “alla luce” (si fa per dire) i peccati di “incontinenza” (gola, accidia, violenza, eresia, eccesso). Ora, nelle viscere delle Malebolge, sta per affrontare la seconda parte del suo viaggio, quella più scura e tetra, proprio nel momento in cui il rapporto con il suo maestro pare essersi così rinsaldato.

La Malebolge sono l’inferno più tetro e più profondo, fatto di cerchi concentrici sempre più piccoli, fatti di intercapedini all’interno dei quali si muovono i peccatori che vedremo da adesso in avanti.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
La mia terzina coincide con quella di apertura, con la quale Virgilio descrive in modo implacabile questo "tenero" mostro alato:


«Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi!
Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!».
 

wolverine

New member
Mi piace l'inizio e la descrizione della belva che appare come un uomo buono del genere 'mai fidarsi delle apparenze'.in questo girone sono gli stessi dannati a cacciare Dante,egli e il suo maestro si avvicinano sembre più al fondo.
 

wolverine

New member
Canto XVIII inferno

All'Inferno c'è un luogo chiamato Malebolge, tutto fatto in pietra del colore del ferro come la parete rocciosa che lo circonda.
Proprio nel mezzo della piana malefica si apre nel vuoto un pozzo molto largo e profondo, di cui a suo tempo spiegherò la conformazione.
Quella striscia che resta tra il pozzo e la parete rocciosa è dunque tonda ed è suddivisa in dieci valli (le Bolge).
Là dove molteplici fossati circondano i castelli per custodirne le mura, l'immagine che essi rendono è del tutto simile a quelle Bolge; e come in quelle fortezze ci sono dei ponticelli di legno che uniscono le loro soglie alla riva dei fossati, così dalla base della roccia partivano dei ponti di pietra che tagliavano trasversalmente gli argini e i fossati, fino al pozzo centrale che li interrompe e li riunisce.
Ci trovammo in questo luogo, una volta che Gerione ci ebbe deposti dalla sua schiena; e Virgilio si mosse verso sinistra, così io lo seguii.
Alla nostra destra vidi una nuova angoscia, una nuova pena e nuovi diavoli frustatori di cui la I Bolgia era piena.
I peccatori erano sul fondo della Bolgia, nudi; nella parte vicina all'orlo esterno del fossato camminavano verso di noi, in quella interna procedevano nella direzione opposta, ma più in fretta di noi,
come i Romani hanno trovato un modo per far passare la gente sul ponte (di Castel Sant'Angelo) nell'anno del Giubileo, a causa del grande afflusso (di pellegrini), i quali da un lato procedono verso San Pietro, dall'altra parte vanno verso il monte Giordano.
Da un lato e dall'altro in quella roccia scura vidi dei diavoli cornuti armati di frusta, che li percuotevano crudelmente sul fondoschiena.
Ah, come facevano loro levare le calcagna alle prime percosse! nessun dannato aspettava di essere colpito una seconda o una terza volta.
Mentre camminavo, il mio sguardo si incrociò con uno dei dannati; e io dissi subito: «Non è la prima volta che vedo costui».
Allora mi fermai per guardarlo meglio; e la mia dolce guida si fermò con me e acconsentì che tornassi un poco indietro.
E quel frustato pensò di nascondersi abbassando il viso, ma gli servì a poco perché io dissi: «O tu che abbassi lo sguardo a terra, se le tue fattezze non sono false tu sei Venedico Caccianemico. Ma quale peccato ti ha condotto a questa aspra pena?»
E lui a me: «Lo dico malvolentieri; ma mi spinge il tuo parlare chiaro, che mi fa ricordare del mondo terreno.
Io sono colui che condussi mia sorella Ghisolabella a soddisfare le voglie del marchese (Òbizzo d'Este), comunque si racconti questa sconcia notizia.
E non sono l'unico Bolognese a piangere qui; anzi, questa Bolgia ne è tanto piena che altrettante lingue non hanno ancora imparato a dire 'sipa' tra Sàvena e Reno; e se vuoi di ciò testimonianza sicura, pensa alla nostra indole avara».
Mentre parlava, un diavolo lo colpì col suo scudiscio e gli disse: «Va' via, ruffiano! Qui non ci sono donne di cui fare mercato».
Io mi ricongiunsi alla mia guida; dopo, in pochi passi, giungemmo al punto in cui un ponte di pietra usciva dalla roccia.
Salimmo su di esso molto facilmente; e rivolti verso destra ci allontanammo da quell'eterno girare, salendo lungo di esso.
Quando fummo là dove il ponte forma un vuoto per dare spazio ai frustati (nel punto più alto), il maestro disse: «Sta' attento e fa' in modo di figgere lo sguardo su questi altri dannati, di cui non hai ancora visto la faccia poiché procedevano nella nostra stessa direzione».
Da quell'antico ponte osservavamo la fila che veniva verso di noi dall'altra parte e che era spinta in modo simile dalle frustate.
E il buon maestro, senza chi io domandassi nulla, mi disse: «Guarda quel grande che avanza e che non sembra versare lacrime per il dolore:
quale aspetto regale conserva ancora! Quello è Giasone, che col coraggio e con l'astuzia privò i Colchi del vello d'oro.
Egli passò per l'isola di Lemno, dopo che le ardite e spietate donne avevano messo a morte tutti i loro uomini.
Qui, con gesti e parole eleganti, ingannò Isifile, la giovinetta che per prima aveva ingannato tutte le altre.
La lasciò qui, sola e incinta: questa colpa lo condanna a tale pena e viene punito anche per l'inganno ai danni di Medea.
Con lui procede chi inganna in questo modo: e ti basti sapere questo della I Bolgia e dei dannati che essa punisce».
Ormai eravamo giunti al punto in cui lo stretto ponte roccioso si congiunge con il secondo argine, da dove ne parte un altro.
Da qui sentimmo gente che si lamentava nell'altra Bolgia e che soffiava forte con naso e bocca, colpendosi con le sue stesse mani.
Le pareti della Bolgia erano incrostate da una muffa, per i miasmi che provengono dal basso e vi si attacca impastandosi, tali da provocare irritazione ad occhi e naso.
Il fondo era così scuro che non avevamo modo di vedere senza salire sul punto più alto dell'arco, dove il ponte sovrasta maggiormente il fossato.
Giungemmo qui e vidi sul fondo dannati immersi in uno sterco che sembrava uscito dalle latrine degli uomini.
E mentre scrutavo giù con lo sguardo, vidi un dannato che aveva il capo così pieno di escrementi che non si capiva se fosse chierico o laico (se avesse o meno la tonsura).
Quello mi gridò: «Perché ti attardi a guardare me più degli altri dannati?» E io a lui: «Perché, se ben ricordo, ti ho già visto coi capelli asciutti (da vivo) e sei Alessio Interminelli da Lucca: per questo ti fisso più di tutti gli altri».
E allora lui, colpendosi la testa, disse: «Mi hanno sommerso quaggiù le lusinghe di cui la mia lingua non fu mai stanca»
Dopodiché la mia guida mi disse: «Fa' in modo di spingere lo sguardo un po' più avanti, così che tu veda bene con l'occhio la faccia di quella donna sudicia e scapigliata che si graffia là con le unghie piene di sterco, e ora si china sulle cosce e ora è in piedi.
È Taide, la prostituta che al suo amante, quando le chiese "Ho io grandi meriti presso di te?, rispose: "Anzi, grandissimi!" E di questo siano soddisfatti i nostri sguardi».
 

momi

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canto XVII

canto con un'importante funzione narrativa, in quanto segna il passaggio dal medio inferno al basso inferno: regno della frode; ed è proprio la mitica figura di Gerione a simbolizzare concretamente la frode che appare con una faccia benevola (di uomo giusto), ma sempre pronta a colpire alle spalle con una coda velenosa.

Molto bello l'episodio del volo di Dante sulle spalle di Gerione, e pieno di emozioni e sensazioni che aumentano col procedere del volo,
ed è proprio una terzina legata al volo che adotto come favorita:

"Ella sen va notando lenta lenta:
rota e discende, ma non me ne accorgo
se non ch'al viso e di sotto mi venta."
 

wolverine

New member
Mi piace soprattutto per la descrizione che dà dell'Inferno, si può benissimo immaginare il luogo con i chiari e precisi dettagli che Dante dà.
 

Zingaro di Macondo

The black sheep member
Momi e wolw. ..abbiate pazienza..è un periodo molto intenso per me...possiamo sospendere fino alla seconda settimana di maggio ancora? Poi spero di potermi riprendere i giusti tempi...
 

wolverine

New member
canto XIX

O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci

per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
però che ne la terza bolgia state.

Già eravamo, a la seguente tomba,
montati de lo scoglio in quella parte
ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.

O somma sapienza, quanta è l’arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
e quanto giusto tua virtù comparte!

Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la pietra livida di fóri,
d’un largo tutti e ciascun era tondo.

Non mi parean men ampi né maggiori
che que’ che son nel mio bel San Giovanni,
fatti per loco d’i battezzatori;

l’un de li quali, ancor non è molt’anni,
rupp’io per un che dentro v’annegava:
e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni.

Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
d’un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l’altro dentro stava.

Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe.

Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,
tal era lì dai calcagni a le punte.

«Chi è colui, maestro, che si cruccia
guizzando più che li altri suoi consorti»,
diss’io, «e cui più roggia fiamma succia?».

Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti
là giù per quella ripa che più giace,
da lui saprai di sé e de’ suoi torti».

E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:
tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto
dal tuo volere, e sai quel che si tace».

Allor venimmo in su l’argine quarto:
volgemmo e discendemmo a mano stanca
là giù nel fondo foracchiato e arto.

Lo buon maestro ancor de la sua anca
non mi dipuose, sì mi giunse al rotto
di quel che si piangeva con la zanca.

«O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,
anima trista come pal commessa»,
comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».

Io stava come ’l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
richiama lui, per che la morte cessa.

Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.

Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».

Tal mi fec’io, quai son color che stanno,
per non intender ciò ch’è lor risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno.

Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:
‘Non son colui, non son colui che credi’»;
e io rispuosi come a me fu imposto.

Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: «Dunque che a me richiedi?

Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
che tu abbi però la ripa corsa,
sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;

e veramente fui figliuol de l’orsa,
cupido sì per avanzar li orsatti,
che sù l’avere e qui me misi in borsa.

Di sotto al capo mio son li altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per le fessure de la pietra piatti.

Là giù cascherò io altresì quando
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi
allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.

Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
e ch’i’ son stato così sottosopra,
ch’el non starà piantato coi piè rossi:

ché dopo lui verrà di più laida opra
di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.

Novo Iasón sarà, di cui si legge
ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge».

Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,
ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:
«Deh, or mi dì : quanto tesoro volle

Nostro Segnore in prima da san Pietro
ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?
Certo non chiese se non ‘Viemmi retro’.

Né Pier né li altri tolsero a Matia
oro od argento, quando fu sortito
al loco che perdé l’anima ria.

Però ti sta, ché tu se’ ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta
ch’esser ti fece contra Carlo ardito.

E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
la reverenza delle somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta,

io userei parole ancor più gravi;
ché la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi.

Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;

quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque.

Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento;
e che altro è da voi a l’idolatre,
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!».

E mentr’io li cantava cotai note,
o ira o coscienza che ’l mordesse,
forte spingava con ambo le piote.

I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,
con sì contenta labbia sempre attese
lo suon de le parole vere espresse.

Però con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
rimontò per la via onde discese.

Né si stancò d’avermi a sé distretto,
sì men portò sovra ’l colmo de l’arco
che dal quarto al quinto argine è tragetto.

Quivi soavemente spuose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto
che sarebbe a le capre duro varco.

Indi un altro vallon mi fu scoperto.
 

wolverine

New member
canto XIX parafrasi

O Simon mago, o suoi miseri seguaci che, avidi, prostituite in cambio d'oro e d'argento le cose di Dio che devono essere spose della bontà, ora è necessario che per voi suoni la tromba, visto che siete nella III Bolgia.
Ormai eravamo saliti, nella Bolgia seguente, sul ponte fino al punto in cui la perpendicolare cade esattamente al centro della fossa.
O suprema sapienza, quanta perfezione dimostri in cielo, in terra e nell'Inferno, e con quanta giustizia la tua virtù distribuisce premi e castighi!
Io vidi la roccia scura, lungo le pareti e sul fondo della fossa, piena di buchi, tutti della stessa larghezza e di forma circolare.
Non mi sembravano né meno ampi né maggiori di quelli che servono come fonti battesimali nel bel battistero fiorentino di San Giovanni;non molti anni fa ne ruppi uno per salvare una persona che vi stava annegando, e questa sia la testimonianza che corregga l'errore di chi è male informato.
Fuori dall'orlo di ogni buca emergevano i piedi e le gambe di un peccatore, fino alle cosce, mentre il resto del corpo stava dentro.
Le piante dei piedi erano entrambe accese, per cui i dannati scalciavano con le articolazioni con tale forza che avrebbero spezzato le funi più resistenti.
Come una fiamma di solito lambisce solo la superficie delle cose unte, muovendosi sull'estremità, così facevano quelle fiammelle dal calcagno alla punta dei piedi.
Io dissi: «Maestro, chi è quel dannato che soffre e scalcia più degli altri suoi compagni di pena, e che è consumato da una fiamma più rossa»?
E lui a me: «Se tu vuoi che io ti porti laggiù, scendendo lungo la parete meno ripida, saprai da lui stesso chi è e quale colpa ha commesso».
E io: «Ciò che a te piace per me va benissimo: tu sei la mia guida e sai che la mia volontà è conforme alla tua e sai anche ciò che non dico».
Allora giungemmo sul quarto argine: ci girammo e scendemmo verso sinistra, fino al fondo della Bolgia pieno di buchi e stretto.
Il buon maestro non mi fece scendere dal suo fianco, finché non mi portò alla buca dove quel dannato si lamentava con le sue gambe.
Io iniziai a dire: «Chiunque tu sia, tu che sei capovolto, anima triste come un palo conficcato nel terreno, se puoi, parlami».
Io stavo lì come il frate che confessa il perfido assassino, il quale, dopo essere stato messo nella buca, lo chiama per ritardare l'esecuzione.
E quello urlò: «Sei già lì in piedi, sei già lì in piedi, Bonifacio? Il libro del futuro mi ha mentito di diversi anni.
Ti sei già saziato di quelle ricchezze per le quali non avesti scrupoli a prendere con l'inganno la bella donna (la Chiesa) e poi farne scempio?»
Io divenni allora come quelli che non capiscono cosa è stato loro risposto, per cui sono confusi e non sanno cosa ribattere.
Allora Virgilio disse: «Digli subito: 'Non sono colui che tu credi'»; e io risposi come mi fu ordinato.
Allora lo spirito storse completamente i piedi; poi, sospirando e con voce lamentosa, mi disse: «Dunque cosa vuoi sapere da me?
Se ti preme sapere chi sono al punto di essere sceso fin quaggiù, sappi che io vestii il manto papale; e fui figlio legittimo dell'orsa, talmente avido per avvantaggiare i miei parenti che in vita misi in borsa il denaro, qui ho messo in borsa me stesso (mi sono dannato).
Sotto la mia testa sono conficcati gli altri che mi hanno preceduto praticando la simonia, tutti appiattiti nelle fessure della roccia.
Laggiù finirò anch'io quando verrà colui (Bonifacio VIII) che credevo fossi tu, quando ti feci quell'improvvisa domanda.
Ma il tempo che ho passato a cuocermi i piedi e in cui sono stato così capovolto è maggiore di quello che passerà lui coi piedi rossi:infatti dopo di lui verrà da occidente un altro papa (Clemente V) senza legge, che compirà azioni ancor più infamanti e tale che ricoprirà me e lui.
Sarà un nuovo Giasone, di cui si legge nel libro dei Maccabei; e come il suo re fu accondiscendente con lui, così sarà verso il papa il re di Francia (Filippo il Bello)».
Io non so se a questo punto fui troppo irriverente, poiché gli risposi in questo tono: «Ora dimmi: quanto denaro volle nostro Signore da san Pietro prima di affidargli le chiavi del regno dei cieli? Certo gli disse solo 'Seguimi'.
Né Pietro né gli altri presero da Mattia oro o argento, quando fu sorteggiato per prendere il posto perso da Giuda.
Allora sta' qui, perché sei ben punito; e custodisci il denaro preso con l'inganno, che ti rese ardito contro Carlo d'Angiò.
E se non fosse per il rispetto che devo alle somme chiavi (della Chiesa) che tu tenesti nella vita terrena e che mi frenano, userei parole ancor più severe: infatti la vostra avarizia rattrista il mondo, calpestando i buoni e sollevando i malvagi.
Di voi cattivi pastori si accorse l'Evangelista (Giovanni) quando vide la meretrice che siede sopra le acque (la Chiesa) fare la prostituta con i re;quella che è nata con sette teste e ha tratto forza dalle dieci corna, finché al marito (il papa) piacque la virtù.
Vi siete fabbricati un dio d'oro e d'argento: e che differenza c'è tra voi e il pagano, se non che quello adora un dio solo e voi ne adorate cento?
Ahimè, Costantino, quanto male ha causato non la tua conversione, ma quella donazione che da te ebbe il primo ricco papa (Silvestro)!»E mentre io gli rivolgevo tali parole, il dannato scalciava forte con entrambe le gambe, o perché adirato o per rimorso di coscienza.
Io credo che il mio maestro approvasse, visto che ascoltò il mio discorso veritiero con volto sempre sereno.
Allora mi prese con entrambe le braccia; e poi che mi strinse tutto al suo petto, risalì per la via da cui era sceso.
Non si stancò di tenermi stretto finché non mi portò sul punto più alto del ponte, che unisce il quarto al quinto argine.
Qui pose dolcemente a terra il carico, che era dolce da portare attraverso la roccia ripida e scoscesa e che sarebbe un duro sentiero anche per le capre. Da lì mi fu mostrata un'altra Bolgia.
 

wolverine

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Il canto diciannovesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella terza bolgia dell'ottavo cerchio, dove vi sono i simoniaci ed è la mattina del 9 aprile 1300 (Sabato Santo).
Il termine Simonia o simonaci viene utilizzato in generale per indicare l'acquisizione di beni spirituali in cambio di denaro o prestazioni sessuali e deriva dal nome di Simon Mago, egli era taumaturgo samaritano convertito al cristianesimo che volendo aumentare i suoi poteri offrì a san Pietro, apostolo, del denaro volendo di ricevere in cambio le facoltà taumaturgiche concesse dallo Spirito Santo agli apostoli.
 

wolverine

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«Ciò che a te piace per me va benissimo: tu sei la mia guida e sai che la mia volontà è conforme alla tua e sai anche ciò che non dico».
Questa parte non mi è mai piaciuta perché Dante afferma che a lui piacerà qualunque cosa scelga la sua guida, proprio perché è la sua guida a condurlo e non può decide cosa è bello e cosa no!


Comunque qui siamo un po' fermi!
 
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