Suite francese fa un effetto particolare sul lettore, se si pensa che il motivo per cui è rimasto incompiuto è l’improvvisa deportazione dell’autrice in un campo di concentramento, alla quale è seguita, dopo brevissimo tempo, la morte per malattia.
Erano previste cinque parti, intanto la Nemirovsky ha fatto in tempo a scrivere almeno queste due che immagino riflettano il suo stato d’animo nei confronti della guerra, ovviamente senza, ahimé, sapere quanto in seguito sarebbe successo a lei personalmente.
La prima parte, che descrive l’esodo di massa delle famiglie francesi in previsione dell’occupazione dei tedeschi, è interessante perché racconta le differenti reazioni di persone e famiglie molto diverse tra loro; con poche parole scritte al posto giusto la scrittrice tratteggia una serie di personaggi mostrando tutte le loro debolezze anche in maniera cruda, sottolineando l’egoismo e la spietatezza dell’essere umano nelle situazioni in cui è in gioco la sopravvivenza. Il racconto sfocia in diversi punti in tragedia ma, a mio parere, questa parte è un po’ evanescente, e non mi riferisco allo stile di scrittura, lieve e crudo allo stesso tempo, ma al fatto che i fatti descritti, anche i più terribili, non so per quale motivo non mi hanno particolarmente coinvolto, pur se la lettura è stata piacevolissima. Nella seconda parte la mia sensazione legata alla mancanza di pathos è, pian piano, totalmente svanita. La scrittrice racconta qui l’effettiva occupazione della Francia da parte dei tedeschi, che si rivelano, per lo più, tutt’altro che mostri, bensì giovani esseri umani che, in fin dei conti, non hanno gran che di diverso dai francesi; uomini che in qualche modo distraggono le donne dall’assenza dei loro compagni, incuriosendole e talvolta facendole innamorare profondamente, ricambiate; non distraggono però le madri dall’assenza dei figli, madri che, come la signora Angellier, odieranno qualsiasi essere vivente tedesco fino a perdere la ragione. In questa parte del romanzo la Nemirovsky, con la sua scrittura candida e spiazzante, sembra sottolineare continuamente e in maniera implacabile (forse proprio perché tanto semplice) la pochezza e l’inutilità della guerra.
Un romanzo in fin dei conti molto bello, da leggere anche perché fotografa uno dei momenti più drammatici della nostra storia da un punto di osservazione insolito.