XCII GdL - La prigioniera di Marcel Proust

ayuthaya

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Ecco... Elisa ha risposto prima e meglio di me!!!
La sua analisi è perfetta, io mi sarei limitata ad esprimere la consueta perplessità su questo rapporto che tutto sa fuorché d'amore... Io non credo che Albertine sia consapevolmente così "opportunista" da avere un fine esplicito e diretto, credo piuttosto che come dice elisa l'influenza e la "superiorità" sociale e intellettuale di Marcel sia determinante per cui da una parte cerca di "addomesticarsi" pur di prolungare una situazione che comunque le giova e la lusinga, dall'altra è costretta a fare i conti con la propria natura energica e impulsiva... Da qui le continue bugie.
Non voglio dire che la giustifichi, ma le menzogne più "ragionate" di Marcel le vedo molto più gravi.
Comunque sia, non c'è amore da alcuna delle due parti... Se ossessione era anche quella di Swann per Odette, almeno in quel caso mi pareva nascere da una vera, benché folle passione...
 

velvet

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Scusate sono mancata per un po'... Eccomi con il mio commento.

Il fulcro di questo volume è il legame tra il protagonista ed Albertine. Un legame che con l'amore ha poco a che fare, Marcel vuole che Albertine sia sua ed è così che la rende prigioniera, della sua casa, dei suoi capricci da bambino viziato. Non riesce però ad imprigionarne lo spirito: vivace, giovane e spregiudicata, Albertine aguzza l'ingegno e da qui menzogne e tradimenti non mancano, e sono proprio queste bugie a solleticare la gelosia del giovane e a ravvivare il suo interesse, che altrimenti è rivolto solo ed esclusivamente a sè stesso. Pur essendo una bugiarda incallita, eun'abile calcolatrice, Albertine risulta sicuramente più simpatica di quel giovane viziato, pigro, indolente ed egocentrico che si rivela essere Marcel, in questo volume più che mai.
E la sua fuga mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo
 

Spilla

Well-known member
La lettura di Albertine opportunista e bugiarda non mi soddisfa del tutto. Mi pare troppo 'proustiana', e continuo a pensare che Marcel, di lei, abbia capito poco :boh:
Allora mi sono detta (magari proiettandomi un film del tutto falso), che lei in fondo ambisse ad una stabilità, ad una rispettabilità. Che in qualche modo si fosse anche autoconvinta di essere innamorata, e questo spiegherebbe la sua docilità di fronte a richieste assurde. Albertine, come Odette prima di lei (ma in modo meno calcolato, mi pare), ha creduto che Marcel potesse renderla una donna "onesta", affettuosa. Quasi una brava moglie.
Penso che Albertine fosse in contrasto con la sua stessa natura sensuale, con il suo desiderio di essere libera.
Penso che forse avrebbe potuto trovare un aiuto in Marcel, se questi fosse stato una persona matura.
Concordo comunque con Velmez: alla fine la fuga di Albertine è un sollievo e comunque per tutto il libro non ho fatto che parteggiare per lei :mrgreen:
 

ayuthaya

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Una curiosità: ho notato che da tanti tempo non si postano più i mini-commenti di tutti i partecipanti al GdL... Come mai questa scelta?
 

velvet

Well-known member
La lettura di Albertine opportunista e bugiarda non mi soddisfa del tutto. Mi pare troppo 'proustiana', e continuo a pensare che Marcel, di lei, abbia capito poco :boh:
Allora mi sono detta (magari proiettandomi un film del tutto falso), che lei in fondo ambisse ad una stabilitÃ*, ad una rispettabilitÃ*. Che in qualche modo si fosse anche autoconvinta di essere innamorata, e questo spiegherebbe la sua docilitÃ* di fronte a richieste assurde. Albertine, come Odette prima di lei (ma in modo meno calcolato, mi pare), ha creduto che Marcel potesse renderla una donna "onesta", affettuosa. Quasi una brava moglie.
Penso che Albertine fosse in contrasto con la sua stessa natura sensuale, con il suo desiderio di essere libera.
Penso che forse avrebbe potuto trovare un aiuto in Marcel, se questi fosse stato una persona matura.
Concordo comunque con Velmez: alla fine la fuga di Albertine è un sollievo e comunque per tutto il libro non ho fatto che parteggiare per lei :mrgreen:

Sono d'accordo sulla visione su Albertine, sul fatto che ambisse a stabilità e rispettabilità. Credo meno all'autoconvinzione di essere innamorata. Marcel poteva garantirle un futuro, e lei ci prova, ma non ce la fa.
Non ce la fa perchè lui è insopportabile, la tiene prigioniera, ma in realtà è lei che cerca di andare contro la sua natura per costruirsi una posizione. Con qualcun altro probabilmente avrebbe potuto resistere di più, avrebbe potuto sposarlo, ma quanto a diventare una brava moglie!? Forse sarebbe semplicemente riuscita con più faciltà a mantenere una doppia vita.
 

Spilla

Well-known member
Sono d'accordo sulla visione su Albertine, sul fatto che ambisse a stabilità e rispettabilità. Credo meno all'autoconvinzione di essere innamorata. Marcel poteva garantirle un futuro, e lei ci prova, ma non ce la fa.
Non ce la fa perchè lui è insopportabile, la tiene prigioniera, ma in realtà è lei che cerca di andare contro la sua natura per costruirsi una posizione. Con qualcun altro probabilmente avrebbe potuto resistere di più, avrebbe potuto sposarlo, ma quanto a diventare una brava moglie!? Forse sarebbe semplicemente riuscita con più faciltà a mantenere una doppia vita.

Intanto ti chiedo scusa per averti chiamato Velmez (il mio neurone non ce la fa a distinguere due nick così simili :ad: :paura:).
Bello il tuo commento, molto probabilmente più vicino al vero rispetto al mio.
Comunque... ci hai fatto caso? Non esiste una, nemmeno una sola!, prova che tra Albertine ed altre donne ci fossero relazioni equivoche. Nessuno che abbia visto nulla, o affermato nulla. Mi sono chiesta quale senso dare esattamente a questo fatto :?
 

ayuthaya

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Non ne ho idea, ma non mi mancano... :mrgreen: Non sempre estrapolare una frase dal contesto rende il senso del commento intero.

ok... allora pappatevi il commento integrale pure qui! :mrgreen:

Quinto volume della Recherche e, nel mio caso, il secondo dell'anno nel giro di pochi mesi... forse è stato troppo persino per una simil-proustiana (leggi: contorta e logorroica) come me! Non nascondo che ho faticato un po' con questo tomo... non perchè fosse meno interessante di altri (continuo a pensare che Proust o lo si ama o lo si odia, e io lo amo), ma appunto perchè non sono riuscita a conservare intatto il livello di attenzione e di coinvolgimento per, complessivamente, quasi mille pagine.

Detto questo, Proust è Proust: un cervellotico poeta, un cinico vivisezionatore dell'animo umano, un "malato" dotato di straordinaria sensibilità... E con La prigionera aggiungiamo un nuovo tassello alla sua contraddittoria natura: Marcel è un bugiardo e, quel che è peggio, un bugiardo cosciente. Sposo una felice definizione di elisa e ribadisco che La prigionera è non solo un trattato sulla gelosia (che già con Swann ne avevamo avuto un degno assaggio...), ma sulla menzogna in quanto tale. Mentire, secondo Proust, è connaturato all’uomo e, anzi, ciò che temiamo e "accusiamo" come indegno in una relazione sentimentale è ciò che, al contrario, accettiamo e alimentiamo nei rapporti con gli altri e persino con noi stessi. Ma succede che, in amore, la menzogna da “strategia di sopravvivenza” si trasforma in “strumento di dominio”, direi quasi di sopraffazione.
Tuttavia ciò che lascia più perplessi è che, come sottolinea Spilla, il Narratore, pur rendendosi conto di questi meccanismi malefici e pur riconoscendoli in se stesso, sembra non faccia nulla per contrastarli; si limita a prenderne atto, a sviscerarli con la sua consueta minuziosità, ma senza che questo comporti una diversità di condotta. Ciò che mi sorprende non è tanto “l’immoralità” del Narratore, che – folle di gelosia – persegue nel suo intento di castrare la libertà di Albertine per riuscire “possederla” pienamente (cosa che peraltro non riesce a fare, perchè sopravviverà sempre quello scarto di inconoscibilità e di inafferrabilità attraverso il quale le persone che si vorrebbe “imprigionare” ci sfuggono tuttavia)... non mi sorprende più di tanto perchè Proust è tutt’altro che un moralista, il suo intento è “scientifico”, mai etico. Piuttosto mi meraviglia che, esaminatore così attento dell’animo umano e persino di se stesso, il Narratore si ostini a chiamare “amore” il suo sentimento per Albertine, benchè lui stesso si renda conto e ammetta che non provi alcun “piacere” a stare in suo compagnia, anzi, il rapporto si trascina fra una sofferenza e l’altra e, nel mezzo, la banalità. Quando la gelosia del Marcel si acquieta, anzichè gioirne e godere della presenza pura di Albertine, ella ai suoi occhi perde ogni attrattiva, tanto più che –è sempre lui a riconoscerlo – privata della propria libertà la fanciulla ha perso anche la sua originaria freschezza, non è niente più che un “peso” per Marcel, che si vede sottratta, per colpa sua, la possibilità di conoscere e frequentare altre donne.

Tutto questo è terribilmente macchinoso e affascinante... a pensarci bene è molto proustiano, ma non si può fare a meno di chiedersi se è davvero questo il concetto che Proust aveva dell’amore. É vero, lo scrittore ha sempre sottolineato come l’amore (e non solo quello) sia un sentimento rivolto non a una persona reale quanto a un’immagine creata dalla nostra mente, nutrita dalle nostre illusioni e distrutta poi dalla realtà. Ma mai come ne La prigionera, di questo aspetto scopriamo il risvolto più triste e arido: possibile che a stimolare la coscienza di un individuo sia sempre solo un’illusione e mai il “valore” della realtà? Eppure Proust non è un artista che non si sappia far impressionare dalla bellezza del vissuto, della pura esistenza... L’amore vive certamente nella nostra coscienza più che nel mondo reale, così come è vero che qualsiasi sentimento, per quanto ambisca ad essere puro, contiene sempre una certa ambizione al possesso, ma perchè di questa sua doppia natura sembra che l’autore colga quella più negativa?
Sembra che facendo queste considerazioni io stia criticando Proust o questo aspetto del suo carattere (ammesso che in questo frangente realtà e finzione letteraria coincidano)... tutt’altro. Se vogliamo, sono persino ammirata dalla capacità di questo artista di dare voce a tutto ciò, di rendere in modo così sublime questo senso di castrazione, di lucido masochismo, di claustrofobia. Anche perchè, diciamolo, come Re Mida tutto ciò che Proust tocca lo trasforma in qualcosa di prezioso, quindi tanto vale lasciargli il privilegio di sondare anche questi aspetti più meschini e aridi della natura umana.

D’altra parte (è sempre lo stesso problema!) ogni volta che si tenta di “ingabbiare” uno dei capitoli della Recherche in un commento, non si fa altro che privilegiare un solo aspetto, a scapito della bellezza e della varietà della narrazione, che, a dispetto della pesantezza suggerita già dal titolo, anche in questo caso è sempre fresca, vivace, straordinariamente ricca. Basti pensare alla lunghissima digressione dedicata agli argot popolari (le celebri “frasi di Parigi”, come le definisce Raboni) o alle riflessioni sull’unicità degli artisti, sulla loro esistenza quasi “aliena”, grazie alla quale ci consentono vette e rivelazioni che altrimenti non sarebbero accessibili a noi comuni mortali... Proprio queste pagine (che ne La prigioniera vedono protagonista Vinteuil come All’ombra delle fanciulle in fiore celebrava il talento di Elstir) le ho trovate di una bellezza ineguagliabile e mi hanno confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la genialità di questo scrittore.
 
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