Mi fa piacere se ho suscitato la tua curiosità, non pensavo di poter generare tanto interesse
Devo ammettere che non è facile rispondere in modo obiettivo a queste domande che mi poni, si tratta chiaramente solo di un mio pensiero. In ogni caso provo a motivartelo cercando di essere il meno soggettivo possibile. Parto dalle tue domande a ritroso.
Spilla ha scritto:
E, se posso chiedertelo, il termine "spirituale" lo riferisci ad una sfera religiosa o ad un più ampio ambito metafisico (tipo energia cosmica o simili)?
Allora, ho usato il termine "spirituale" perché nel libro si distingue tra corpo, anima e spirito in relazione alle tre fasi della Grande Opera. Zenone è riuscito a realizzare la prima fase, quella materiale che concerne il corpo; le altre fasi dell'Opera attengono invece ad una sfera più alta, che va al di là di quella materiale. Ho usato quindi questo termine come contrapposizione al mondo sensibile di cui Zenone è già padrone.
Spilla ha scritto:
Che Zenone abbia tralasciato gli aspetti non-materiali non perché la sua scienza gli avesse dimostrato la loro inutilità, ma, al contrario, perché la sua incapacità di accettarli gli ha impedito una più alta conoscenza?
Non credo che Zenone abbia tralasciato gli aspetti non materiali, al contrario, penso che ne abbia coltivato un profondo interesse ma che non riesca a sentirli propri, ad accettarli e crederci così come fanno altri, per quanto lui ci provi. Ora non so se questo possa portare a ciò che chiamiamo conoscenza, ma ad un altro tipo di consapevolezza forse sì, o comunque ad un particolare stato interiore di ricongiungimento col tutto. In questo senso quindi direi che il termine spirituale possa riferirsi ad un ambito metafisico, come dici tu. Questo però non esclude che possa ugualmente far riferimento ad una sfera religiosa. Infatti, come dice il priore ad un certo punto:
"Qualcuno afferma che i vostri alchimisti fanno di Gesù Cristo la pietra filosofale e del sacrificio della messa l'equivalente della Grande Opera".
Quindi, in definitiva, il termine "spirituale" lo riferisco a tutto ciò che va al di là della materialità, sia esso metafisico o religioso. D’altra parte, nessuna di queste due visioni sembra appartenere a Zenone. Quando infatti si accenna a questi argomenti, Zenone pur essendo egli stesso un alchimista, tende spesso a porre una certa distanza dai suoi "colleghi". Per esempio, in risposta alla prima citata affermazione del priore, lui irisponde iniziando con l’espressione: "Alcuni lo dicono". Oppure, in un'altra occasione inizia dicendo: "I miei fratelli alchimisti usano". Riporto per intero questa frase, perché può essere significativa per capire la sua posizione:
"I miei fratelli alchimisti usano figure come il Latte della Vergine, il Corvo Nero, il Leone Verde Universale e la Copulazione Metallica per designare operazioni della loro arte, là dove la violenza o la sottigliezza di quelle supera le parole umane. Il risultato è che le menti rozze si affezionano a quei simulacri, e che altre più giudiziose disprezzano al contrario un sapere che va sì lontano ma che appare loro come insabbiato in una palude di sogni…".
La posizione alchimista di Zenone quindi non si inserisce all'interno di un quadro di speculazione propria dei suoi "fratelli", ma più entro una visione oggettiva che fa da precursore alla scienza vera e propria. Lui è uno che non si lascia offuscare la mente da certi simbolismi oscuri, ed infatti è uno che si dedica agli esperimenti, di cui ne sono esempi il suo fuoco liquido, le sue prove di trasfusioni di sangue....E' uno che si prende gioco di Aristotele e delle sue speculazioni sull'anima, è uno che nega che l'uomo sia al centro di tutto, è uno di quelli che, seppur relegando l’inspiegabile a una forma di magia, ammette pur sempre che "restavano da dimostrare ancora tante cose." Questa forma di apertura, rende a mio parere anche l'ultimo gesto di Zenone una forma di estremo esperimento o verifica, in qualche modo. Se l’Opera al nero era stato per lui inizialmente una forma ribellione e poi un esperimento di laboratorio, nella sua maturità comprende che si tratta di qualcosa di più complesso, di un'esperienza che abbraccia tutto se stesso, dapprima nella sua mente, per poi infine estendersi ad un esperimento fisico estremo su tutto il suo corpo. Ed è qui che vedo la possibilità o la speranza di realizzare in un'altra dimensione le altre fasi dell'Opera, collegandomi a quanto affermato nel capitolo dell’abisso in cui si dice:
"La prima fase dell’opera aveva richiesto tutta la sua vita. Gli mancavano il tempo e le forze per procedere oltre,
supponendo che ci fosse una strada e che per quella strada potesse passare un uomo."
In questo passaggio, Zenone comincia a dubitare dell'esistenza di una via terrena attraverso cui accedere al compimento dell'Opera. E poi continua dicendo:
"Oppure, quel putrefarsi delle idee, quel perire degli istinti, quella distruzione delle forme sarebbero immediatamente seguiti dalla vera morte e gli sarebbe piaciuto vedere in che modo lo spirito scampato dei domini della vertigine riprenderebbe la sua attività abituale, munito solamente di facoltà più libere, quasi purificate. Sarebbe bello vederne i risultati".
Con questa frase Zenone sembra ammettere la possibilità che ci sia una forma di continuazione dopo la morte, in un’altra dimensione di cui forse non potrà essere coscientemente partecipe.
Spilla ha scritto:
tu pensi che, per quanto dotto e consapevole, la parte spirituale avrebbe dato a Zenone un di più che in realtà è rimasto fuori dalla sua portata?
Non so se la parte spirituale avrebbe potuto dare "un di più" a Zenone senza togliergli al contempo qualcos’altro, ma perchè dubitarlo a priori, in fondo. Sono certo che il fatto di essere dotto non escluda la possibilità di avere un di più da qualcosa che vada al di là del razionale o del conosciuto.
Vorrei azzardare un'analogia/contrasto con Siddharta. Secondo me lui potrebbe rappresentare un esempio di realizzazione completa della Grande Opera, seppur con la differenza che lui non era così profondamente contestualizzato in una realtà storico-sociale così come lo è Zenone, per cui il percorso a cui loro vanno incontro è comunque totalmente diverso.
Vediamo prima l'analogia. Le riflessioni che Zenone fa nel capitolo dell’abisso a proposito di quella sua dissoluzione di tutti i pensieri che si fondono in un tutt’uno senza tempo, assomigliano alle conclusioni di Siddharta. I pensieri di Zenone sono del tipo:
"Ogni cosa ne era un’altra: la camicia che gli lavavano le suore Bernardine era un campo di lino più azzurro del cielo e insieme un mucchio di fibre in macerazione sul fondo d’un canale" oppure "Un’oca sgozzata schiamazzava nella penna che sarebbe servita a tracciare su vecchi cenci idee credute degne di durare nel tempo" o "I muri di mattoni si dissolvevano nel fango che sarebbero tornati ad essere un giorno".
Siddharta in modo analogo dice:
"D’ogni verità anche il contrario è vero! [...] Siamo soggetti alla illusione che il tempo sia qualcosa di reale. Il tempo non è reale[...] Nel peccatore è già, ora stesso, il Buddha potenziale, il Buddha in divenire, il Buddha nascosto [...] Tutti i bambini portano già in sé la vecchiaia, tutti i lattanti la morte, tutti i morenti la vita eterna. La meditazione profonda consente la possibilità di abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è, e ciò che sarà, e allora tutto è bene, tutto è perfetto, tutto è Brahma."
Questa è l’analogia. Mentre però Zenone non riesce ad andare al di là di questi pensieri, di quest'Opera al nero, Siddharta fa quel passo in più, anche se non facilmente comprensibile, che gli consente secondo me di portare a compimento l'Opera:
"Il mondo, caro Govinda, non è imperfetto, o impegnato in una lunga via verso la perfezione: no, è perfetto in ogni istante, ogni peccato porta già in sé la grazia" [...]
"Per questo a me par buono tutto ciò che esiste, la vita come la morte, il peccato come la santità, l’intelligenza come la stoltezza, tutto dev’essere così, tutto richiede solamente il mio accordo, la mia buona volontà, la mia amorosa comprensione, e così per me tutto è bene, nulla mi può far male. Ho appreso, nell’anima e nel corpo, che avevo molto bisogno del peccato, avevo bisogno della voluttà, dell’ambizione, della vanità, e avevo bisogno della più ignominiosa disperazione, per imparare la rinuncia a resistere, per imparare ad amare il mondo, per smettere di confrontarlo con un certo mondo immaginato, desiderato da me, con una specie di perfezione da me escogitata, ma per lasciarlo, invece, così com’è, e amarlo e appartenergli con gioia.[...] Questa è una pietra, e forse, entro un determinato tempo sarà terra, e di terra diventerà pianta, o bestia, o uomo. [...] Oggi invece penso: questa pietra è pietra, ed è anche animale, è anche dio, è anche Buddha, io l’amo e l’onoro non perché un giorno o l’altro possa possa diventare questo o quello, ma perché essa è, ed è sempre stata, tutto."
Io in tutto ciò riconosco quella fusione di corpo, anima e spirito che ricongiunge il sé al tutto in una dimensione sublime, quella che forse è la Grande Opera. Siddharta alla fine del suo percorso riesce ad amare il mondo così com’è, a ritenerlo perfetto, a gioire e a sentirsi un tutt'uno con esso. Questa visione è quindi all'opposto di Zenone, che invece afferma:
"I filosofi dei nostri tempi sono numerosi nel postulare l'esistenza d'una Anima Mundi senziente e più o meno cosciente, alla quale partecipano tutte le cose; io stesso ho sognato le cogitazioni delle pietre... [...] Tutto il resto, voglio dire il regno minerale e quello degli spiriti, se esiste, è forse insensibile e tranquillo, al di là o al di qua delle nostre gioie o pene. Le nostre tribolazioni, signor priore, sono forse solo un'infima eccezione nella fabbrica universale, e ciò potrebbe spiegare l'indifferenza di quella sostanza immutabile che devotamente chiamiamo Dio."
Zenone, al contrario di Siddharta, non riesce a fondersi armoniosamente con il mondo insieme ad i suoi pregi e i suoi difetti, non riesce ad accettarlo così com'è. Lui sogna un mondo diverso, vorrebbe scoprirlo, e vorrebbe cambiarlo. Ma allora il prezzo da pagare per il raggiungimento della Grande Opera nella vita terrena è davvero quello di una piena accettazione e identificazione del mondo in cui viviamo senza far nulla per modificarlo? Oppure effettivamente la Grande Opera non può realizzarsi a pieno entro una cornice esclusivamente terrena? In fondo Siddharta è un personaggio difficile da immaginarsi reale...
Non mi dilungo oltre, perchè poi sarebbero solo speculazioni filosofiche che non mi appartengono, e poi è già venuto un mega papirone (pippone?) che spero non ti/vi abbia annoiato. In tutto ciò, spero di aver colto il senso delle tue domande nel provare a risponderti, e quindi non aver divagato troppo nonostante il lungo messaggio...In caso contrario mi scuso, non era mia intenzione farti/vi perdere tempo