elena
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Regia: Paolo Sorrentino
Anno di produzione: 2008
Durata: 110'
Tipologia: lungometraggio
Genere: drammatico/politico
Paese: Italia/Francia
C'è un uomo che soffre di terribili emicranie e arriva anche a contornarsi il volto con l'agopuntura pur di lenire il dolore. È la prima immagine (grottesca) di Giulio Andreotti ne Il divo.
Siamo negli Anni Ottanta e quest'uomo freddo e distaccato, apparentemente privo di qualsiasi reazione emotiva, è a capo di una potente corrente della Democrazia Cristiana ed è pronto per l'ennesima presidenza del Consiglio. L'uccisione di Aldo Moro pesa però su di lui come un macigno impossibile da rimuovere. Passerà attraverso morti misteriose (Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli) in cui lo si riterrà a vario titolo coinvolto, supererà senza esserne scalfito Tangentopoli per finire sotto processo per collusione con la mafia. Processo dal quale verrà assolto.
Paolo Sorrentino torna a fare cinema direttamente politico in Italia (Il caimano essendo un'abile commistione di politico e privato). Compie una scelta difficile pur decidendo di colpire un obiettivo facile: Andreotti. L'uomo di Stato che è stato definito di volta in volta, la Sfinge, il Gobbo, La Volpe, il Papa nero, Belzebù e, giustappunto, il Divo Giulio si prestava sicuramente a divenire simbolo di una riflessione sui mali del nostro Paese. Sorrentino riesce nell'operazione. Dichiara, consapevolmente o meno, i propri debiti nei confronti degli autori citati nella fase iniziale del film che innerva però sin da subito con una cifra di grottesco che diventa la sua personale lettura del personaggio e di coloro che lo hanno circondato e sostenuto. Proprio grazie a questa scelta stilistica può permettersi, nell'ultima parte del film, di proporci le fasi processuali per l'accusa di mafia grazie a una visione in cui surreale e reale finiscono con il coincidere.
L'Andreotti di Sorrentino è un uomo che ha consacrato tutto se stesso al Potere. Un politico che ha saputo vincere anche quando perdeva. Un essere umano profondamente solo che ha trovato nella moglie l'unica persona che ha creduto di poterlo conoscere. La sequenza in cui i due siedono mano nella mano davanti al televisore in cui Renato Zero canta "I migliori anni della nostra vita" entra di diritto nella storia del cinema italiano. È la sintesi perfetta (ancor più degli incubi ritornanti con le parole come pietre scritte a lui e su di lui da Aldo Moro dalla prigione delle BR) di una vita consacrata sull'altare sbagliato.
Una vita in cui, come afferma lo stesso Andreotti (interpretato da un Servillo capace di cancellare qualsiasi remota ipotesi di imitazione per dedicarsi invece a uno scavo dell'interiorità del personaggio), è inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene. That's Life? Forse non necessariamente.
Veramente un gran bel film, sia per l'ottima interpretazione di Servillo sia per la sceneggiatura sia per la chiave di lettura di questo enigmatico personaggio: chiave di lettura che, di fatto, non esiste.......perché tutti i dubbi e le incertezze sul reale ruolo di Andreotti nella politica italiana tra gli anni '70 e '90, nonostante i numerosi processi a suo carico chiusi con piena assoluzione, rimangono vivi nell'immaginario collettivo.
Sorrentino, in effetti, non si erige a ruolo di ennesimo giudice ma lascia aperta ogni possibilità di giudizio.......
Ho avuto la sensazione di rivivere le burroscose vicende di quel periodo costellato di ambigue figure politiche (a mio giudizio, molto ben tipizzate dal regista) e caratterizzato da un turbine di omicidi, per i quali ancora oggi (e forse anche domani, visto che sono coperti dalla superiore ragion di Stato) non si ha la certezza degli effettivi mandanti.
Sono uscita dal cinema con la sensazione di aver assistito a un vero capolavoro e, nello stesso tempo, con una miriade di domande senza risposte.
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