"Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un'infanza infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irlandese è peggio di un'infanzia infelice qualunque e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora".
Così parte il bellissimo libro Le ceneri di Angela di Frank McCourt su cui avevo delle titubanze per due motivi: parla di povertà (non che la tematica mi disturbi ma temevo un libro-lagna) e secondo, ma non meno importante motivo, la voce narrante è un bimbo. Felice di essere stata smentita alla primissima pagina in cui Frank fa capire come condurrà la narrazione. La sua è la storia di una famiglia che ritorna in patria, in Irlanda, dall'America quando lui ha solo 4 anni insieme ai suoi fratelli più piccoli. E' la storia di una povertà estrema: niente da mangiare per giorni, il pavimento duro e gelido al posto di un letto e se il letto c'era era pieno di zecche e pulci, le morti di ben tre fratellini per gli stenti e la tisi.
"Da ottobre ad aprile i muri di Limerick luccicavano di umidità. I vestiti non si asciugavano mai; i cappotti di lana e tweed ospitavano organismi viventi e a volte ci cresceva una vegetazione misteriosa."
Ed ancora: "...io che a Limerlick ci sono cresciuto, giù a Irishtown, che là le pulci ce n'erano così tante e sfacciate che ti si mettevano sedute sulla punta dello scarpone a discutere della dolorosa storia d'Irlanda", poi c'è il padre alcolizzato che non sa tenersi un lavoro e che spende tutta la paga o il sussidio in birre e che sarà la rovina di questa famiglia disgraziata "Io penso che mio padre sia come la santa Trinità e abbia dentro di sè tre persone: quella della mattina con il giornale, quella della sera con le storie e le preghiere e quella che la combina grossa, torna a casa con la puzza di whiskey e vuole che moriamo per l'Irlanda".
A ciò si aggiungono i parenti acidi, i maestri violenti ed i preti boriosi eppure nelle parole di Frank non c'è mai piagnisteo o vittimismo. Mai. Quanta tenerezza muovono le pagine in cui il piccolo autore, ritornato a casa dopo una lunga degenza a causa del tifo che stava per ammazzarlo e causata dal fatto che accanto alla sua abitazione vi era l'unico cesso di tutto il vicolo infestato da topi ed insetti, si dispiace di non essere più in ospedale dove c'era un letto, delle lenzuola pulite ed un pasto caldo ogni giorno.
"La camicia con cui vado a dormire è la stessa con cui vado a scuola e che porto tutti i giorni. E' la camicia per giocare a calcio, per scavalcare i muri, per rubare nei frutteti. Con quella camicia ci vado a messa e alla Confraternita e la gente annusa l'aria e si scansa".
Insomma è un libro che mi ha appasionato non per le vicende in sè ma per come sono state narrate, perchè mi ha fatto scoprire qualcosa in più dell'Irlanda e mi ha permesso di mettere a paragone la loro povertà con quella della nostra Italia negli stessi anni. La differenza sostanziale credo sia nel fatto che anche quì si crepava di fame e i bimbi anche quì morivano di tisi, polmonite e stenti ma i padri ubriaconi erano eventi eccezionali (dai racconti di Frank gli irlandesi erano così quasi tutti).