Commento copiato dal GdL con spoileroni
Anch'io mi sono fatta qualche pippa mentale It è Derry, con le sue fogne malfunzionanti - materiali e metaforiche -, la sua mentalità ristretta e il mondo degli adulti che la abitano, indifferente ai bambini o, peggio, crudele con loro (ho appreso che King si riferisce alle caratteristiche della sua città e le ha cambiato solo il nome). It è, soprattutto, la paura. Non quella relativamente razionale dei grandi, ma quella spontanea dei bambini, che non sanno ancora elaborarla, per quanto svegli (e qui parliamo di ragazzini decisamente intelligenti e intraprendenti). Ma questa paura scompare, quando si cresce? No, perché una telefonata che dice "è ricomparso" è sufficiente per farla riaffiorare, mostrandosi anche a livello fisico soprattutto in alcuni (la ritrovata balbuzie di Bill, le fitte agli occhi di Richie, per non parlare di Stan che non riesce proprio ad affrontare la cosa). Quando invece It viene sconfitto definitivamente, sembra che ognuno trovi come per incanto la sua strada e la gioia. Questo mi è piaciuto, ma non l'idea che i protagonisti dimentichino tutto, per me poco verosimile anche in un libro come questo, e soprattutto non mi è piaciuto che, così si intuisce, pian piano si scorderanno l'un l'altro. Non sarebbe stato più bello se una vicenda così significativa fosse rimasta nella memoria di tutti e, anzi, avesse suggellato un'amicizia eterna? Boh, forse sono troppo romantica e, lo so, particolarmente attratta dalle storie d'infanzia e soprattutto dalle storie di amicizia tra bambini o persone molto giovani, tanto, in questo caso, da avere, durante la lettura, invidiato irrazionalmente la compattezza del gruppo e il coraggio collettivo. (Ehi, It, sto scherzando eh! Ho detto "irrazionalmente", bada bene!)
In questo bel romanzo - non saprei se definirlo un capolavoro, ma l'ho trovato molto bello - l'horror classico (soprannaturale) - talvolta, per me, terrificante, in particolare nelle scene orrorifiche in cui It non compare, come quella della foto di George che prende vita o quella delle voci nello scarico del lavandino di Beverly - si fonde in maniera spaventosamente perfetta con l'horror terreno. It sceglie bambini fragili, non per niente detti Perdenti; ciascuno di loro vive in un contesto disagiato o ha dei complessi legati all'immagine, come Bill per la balbuzie o Ben per la sua mole. Sono, a loro modo, perdenti anche le persone di cui It si "impossessa" per fare del male, come Henry Bowers o il padre di Beverly, o Tom. E' l'unione tra i Perdenti "buoni" a sconfiggere il male, anche se concordo sul fatto che la scena del "sacrificio" è eccessiva e in parte maschilista - ma forse non poi troppo, perché in fin dei conti è stata Beverly a decidere e a condurre il "gioco" - oltre che poco utile ai fini del racconto, sebbene sia descritta in modo delicato e in parte anche poetico. Ci sarebbero potuti essere tanti altri modi per suggellare la loro unione...non bastava il patto di sangue?
Mi è piaciuto anche lo stile, apparentemente semplice e scorrevole - persino nelle infinite descrizioni in fin dei conti spesso necessarie e comunque sempre utili, volte per lo più a creare suspence ma anche a permettere allo spettatore di immergersi in una realtà ben delineata - ma in realtà studiato, anche se non letterario; un modo di raccontare efficace, aderente alla realtà che si vuole rappresentare - nel senso che ogni parola evoca la giusta immagine -, vivo.
Ottima la caratterizzazione dei personaggi, sempre coerenti e percepibili quasi fisicamente, confermo la mia preferenza per Ben sebbene il vero protagonista sia Bill. Credo che col fatto che quasi tutte preferiamo Ben in qualche modo c'entri la biblioteca
Perfetta la struttura con i salti temporali, che ha fatto sì che conoscessimo i personaggi e le vicende infantili in contemporanea con i personaggi e le vicende nella vita adulta, così da poter percepire il confronto anche inconsapevolmente. Finale della battaglia un po' troppo da film americano, ma in un libro così ci sta.