Che capolavoro!
Per pagine e pagine Poe riesce a far scorrere una trama come un'altra, una storia di avveture di mare come tante altre - qualcosa di decisamente "surrogabile" - con il suo stile perfetto e 'saturo'. Per pagine e pagine convince il lettore di voler trattare di navi, vele, venti, legni, criminali, cannibalismo, crudeltà e baleniere; di voler essere uno scrittore che, come tanti, sappia scrivere anche una godibile avventura di mare sotto la traccia di certe scelte stilistiche. Per pagine crediamo di voler credere che Gordon Pym sia solo tutto questo e per pagine non dimentichiamo la strana inquietudine o irrequetezza instillata goccia dopo goccia, sin dall'incipit.
Tale è il senso dell'aver appena perso qualcosa, del non aver visto o toccato per un soffio: il diabolico trabocchetto del Tantalo. Qualcosa sfugge al lettore; qualcosa - oltre le descrizioni, oltre i selvaggi, oltre l'avventuroso, oltre la sabbia - è deliberatamente taciuto dall'autore per l'interezza del romanzo: una parola che definisce l'assenza di parole - il non esserci del liquido nero sulla pagina. La pagina stessa. Entro le ultime dell'opera, la tensione trasmuterà in puro, bianco orrore.