Masetto
New member
<< Il film è una trasparente analisi del funzionamento del capitalismo. E in questo è una lettura lucidissima della storia moderna. Kubrick sceglie il 700 come paradigma chiudendolo sì nel 1789, quando la Rivoluzione Francese sta per sconvolgere alcuni valori consolidati, ma chiarendo perfettamente come i meccanismi sociali e i rituali in base ai quali l'individuo conquista (o perde) il proprio posto nel mondo siano rimasti i medesimi. D'altronde, siamo in Inghilterra, nel regno di Giorgio III: gli inglesi, la loro rivoluzione borghese, l'avevano fatta nel '600, e nel '700 ne stavano facendo un'altra, altrettanto importante, quella industriale, il '700 è il «luogo» dove si forma il mondo moderno: sì, sarà il secolo dei Lumi, ma soprattutto è il secolo delle fabbriche, del denaro, dei rapporti di produzione, degli imperi che toccano il proprio apogeo (dalla fine della Guerra dei Sette Anni, 1763, alla rivoluzione americana, 1776, quello inglese raggiunse il massimo della sua estensione). Ed è anche il secolo in cui nasce l'industria culturale che oggi conosciamo, con i giornali, i primi romanzi a grande tiratura, la pittura accessibile ai borghesi: un tema magari «di sfondo», ma che a Kubrick interessa moltissimo. Basti vedere come insiste sui quadri che Barry acquista per rendersi socialmente rispettabile, e come costruisce il film su un vero e proprio catalogo di citazioni pittoriche (se siete appassionati di pittura settecentesca questo film vi stregherà: ci sono tutti, da Gainsborough a Reynolds, da Zoffany a De La Tour, per non parlare di Hogarth che con i suoi «cicli», come The Rake's Progress, è anche una fonte tematica, oltre che figurativa). >> Da L'Unità
<< Dietro il ritratto di un eroe ambiguo c’è la descrizione di una società violenta, classista, che nasconde profonde miserie con la maschera dell’eleganza e del perbenismo. Basato su un romanzo di William M. Thackeray ( sceneggiato da Kubrick ), fu quasi un disastro al botteghino: dietro l’eccelso splendore formale ( straordinari i suoi lenti zoom all’indietro che a partire da un particolare svelano il panorama o la scenografia che lo circonda ) non fu apprezzato il pessimismo diffuso sulle possibilità dell’uomo di conquistare un reale progresso. Ogni scena è stata girata con luce naturale, compresi gli interni rischiarati solo da candele e lumi a olio: per farlo, Kubrick ha adattato alla macchina da presa un obiettivo creato dalla Zeiss per le foto scattate dai satelliti Nasa. >> Dal Mereghetti
<< Kubrick studia i suoi personaggi come un entomologo analizza le sue farfalle al microscopio. Non c'è partecipazione, né pietas verso i protagonisti del film e alla fine il cartello con cui si conclude il film (I fatti narrati accaddero durante il Regno di Giorgio III: belli o brutti, ricchi o poveri, buoni o cattivi, tutti hanno avuto la stessa sorte) appare come un commento sardonico e disperatamente nero sulle miserie umane. >> Da tempimoderni.com
<< Portentosa ricostruzione d'ambiente. La fotografia, ormai leggendaria, di John Alcott, la scenografia, i costumi, la scelta ma soprattutto la collocazione degli attori, il montaggio tagliato sulla musica di Bach, di Haendel, delle cantate irlandesi e delle marce militari. Una ricreazione d'epoca come raramente il cinema ci ha dato: i paesaggi di Constable, i ritratti di famiglia di Reynolds, il grottesco di Hogarth, la natura fremente di Gainsborough. E ancora l'intimismo di Chardin, la celebre luce di candela di Georges de la Tour, i colori freddi e ritagliati delle battaglie della pittura tedesca. In questi spazi ideali e carichi di rinvii classicamente ideali, Kubrick colloca i personaggi. Con una precisione millimetrica, i gesti composti esattamente, le espressioni dettate, la luce (sia essa solare o di un interno) che viene a ammorbidire tanta perfezione, a riagganciarla con la realtà: il dettaglio di una bava di brezza che increspa lo stagno, lo sguardo perduto dell'avventore di una taverna. La bellezza assoluta. Ma mai, ed ecco la chiave di lettura di Barry Lyndon, fine a se stessa. Perché questa bellezza è l'arma per un discorso ben preciso. L'estasi contemplativa alla quale c'incita Kubrick non è altro, infatti, che l'immagine perfetta che un'epoca ha voluto darsi. Non si tratta, dapprima, che dello splendore esterno dei paesaggi. Ma in questi s'inserisce ben presto l'immobile staticità dei gesti, il conformismo dei comportamenti. Poi l'impassibilità delle espressioni dietro le maschere. Le ciprie, le parrucche, i nei ed i belletti che, progressivamente, cancellano l'uomo. E il trionfo del perbenismo e dell'ipocrisia, delle belle maniere dietro alle quali si nasconde tutta la volgarità e la corruzione dell'uomo. >> Fabio Fumagalli
Non mi ha convinto l'interpretazione di Ryan O'Neal, che trovo piuttosto legnoso. Ma forse è Kubrick che l'ha voluto così, "gelido" come tutto il film.
<< Dietro il ritratto di un eroe ambiguo c’è la descrizione di una società violenta, classista, che nasconde profonde miserie con la maschera dell’eleganza e del perbenismo. Basato su un romanzo di William M. Thackeray ( sceneggiato da Kubrick ), fu quasi un disastro al botteghino: dietro l’eccelso splendore formale ( straordinari i suoi lenti zoom all’indietro che a partire da un particolare svelano il panorama o la scenografia che lo circonda ) non fu apprezzato il pessimismo diffuso sulle possibilità dell’uomo di conquistare un reale progresso. Ogni scena è stata girata con luce naturale, compresi gli interni rischiarati solo da candele e lumi a olio: per farlo, Kubrick ha adattato alla macchina da presa un obiettivo creato dalla Zeiss per le foto scattate dai satelliti Nasa. >> Dal Mereghetti
<< Kubrick studia i suoi personaggi come un entomologo analizza le sue farfalle al microscopio. Non c'è partecipazione, né pietas verso i protagonisti del film e alla fine il cartello con cui si conclude il film (I fatti narrati accaddero durante il Regno di Giorgio III: belli o brutti, ricchi o poveri, buoni o cattivi, tutti hanno avuto la stessa sorte) appare come un commento sardonico e disperatamente nero sulle miserie umane. >> Da tempimoderni.com
<< Portentosa ricostruzione d'ambiente. La fotografia, ormai leggendaria, di John Alcott, la scenografia, i costumi, la scelta ma soprattutto la collocazione degli attori, il montaggio tagliato sulla musica di Bach, di Haendel, delle cantate irlandesi e delle marce militari. Una ricreazione d'epoca come raramente il cinema ci ha dato: i paesaggi di Constable, i ritratti di famiglia di Reynolds, il grottesco di Hogarth, la natura fremente di Gainsborough. E ancora l'intimismo di Chardin, la celebre luce di candela di Georges de la Tour, i colori freddi e ritagliati delle battaglie della pittura tedesca. In questi spazi ideali e carichi di rinvii classicamente ideali, Kubrick colloca i personaggi. Con una precisione millimetrica, i gesti composti esattamente, le espressioni dettate, la luce (sia essa solare o di un interno) che viene a ammorbidire tanta perfezione, a riagganciarla con la realtà: il dettaglio di una bava di brezza che increspa lo stagno, lo sguardo perduto dell'avventore di una taverna. La bellezza assoluta. Ma mai, ed ecco la chiave di lettura di Barry Lyndon, fine a se stessa. Perché questa bellezza è l'arma per un discorso ben preciso. L'estasi contemplativa alla quale c'incita Kubrick non è altro, infatti, che l'immagine perfetta che un'epoca ha voluto darsi. Non si tratta, dapprima, che dello splendore esterno dei paesaggi. Ma in questi s'inserisce ben presto l'immobile staticità dei gesti, il conformismo dei comportamenti. Poi l'impassibilità delle espressioni dietro le maschere. Le ciprie, le parrucche, i nei ed i belletti che, progressivamente, cancellano l'uomo. E il trionfo del perbenismo e dell'ipocrisia, delle belle maniere dietro alle quali si nasconde tutta la volgarità e la corruzione dell'uomo. >> Fabio Fumagalli
Non mi ha convinto l'interpretazione di Ryan O'Neal, che trovo piuttosto legnoso. Ma forse è Kubrick che l'ha voluto così, "gelido" come tutto il film.
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