Marcuccio, Emanuele - Per una strada (ed altre storie)

joetiziano

Autore/Curatore Editorial
Introduzione alla poesia

mio dio...ma e' mai possibile?

Il termine “poesia”, è una parola che deriva dal verbo greco “ποιέω” (poiéo), che significa “faccio”, “costruisco”, quindi, il poeta è colui che fa, costruisce (con le parole).
Ma come è nata la poesia?
Come nasce nell’uomo il bisogno di poesia e quindi di fare poesia?
A mio modesto parere, la poesia nasce per un bisogno intimo di celebrare, di cantare costruendo con le parole, infatti, il primo componimento poetico della letteratura italiana è il Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi (XIII sec. d. C.), in questa poesia, in questo cantico il poverello di Assisi celebra, loda Dio attraverso tutte le sue creature.

Ma, andiamo a monte, come nasce la poesia in genere, almeno la poesia occidentale?
Le prime testimonianze di poesia nella letteratura greca ci arrivano dai poemi omerici (Iliade e Odissea), risalenti a ca. un millennio prima della nascita di Cristo, dapprima tramandati oralmente attraverso gli aedi e i rapsodi, cioè i trovatori, i cantastorie del tempo e, in seguito, trascritti, anzi si pensa che, l’alfabeto greco sia stato inventato proprio per trascrivere i poemi omerici, di questo autore Omero che, è probabile non sia mai esistito ma, sia il risultato di una collezione di autori anonimi e proprio per questo è nata la cosiddetta “questione omerica” che è ancora ben lungi dall’essere risolta.

L’Iliade, con le sue migliaia di versi, vuole celebrare, in particolare, gli ultimi cinquantuno giorni della decennale guerra di ***** e i suoi signori, vuole anche cantare i sentimenti più profondi dei protagonisti.
Mentre, l’Odissea vuole celebrare il periglioso viaggio di ritorno di Odisseo (Ulisse), leggendario re dell’isola di Itaca, dopo la caduta di *****, in particolare gli ultimi 38-40 giorni escludendo i racconti di flash-back. Nel suo significato profondo, penso voglia celebrare la lotta dell'uomo con se stesso per poter vincere i fantasmi della guerra che lo attanagliano e per poter finalmente ritornare a casa ritrovando la pace dopo un’ultima lotta.

A differenza dell’Iliade, nell’Odissea abbiamo una celebrazione, un canto più intimo, quello del cuore umano, che combatte con se stesso ed è continuamente messo alla prova sopportando tutto con pazienza e agendo con astuzia.
Quindi, l’intento della poesia è sempre quello di celebrare, costruendo un’architettura di parole nei più vari registri, dai più intimistici e introspettivi ai più altisonanti.

Cosicché, se la poesia fa parte del nostro essere, anche noi possiamo celebrare, in questo caso è più corretto dire “cantare”, i più intimi sentimenti, le nostre emozioni; possiamo celebrare anche cose astratte ma che nascondono in sé cose umanissime ricorrendo al concetto poetico del correlativo oggettivo, diffusissimo nella poesia moderna ed elaborato dal poeta statunitense e naturalizzato inglese T. S. Eliot (1888-1965) nel 1919, di modo ché, anche i concetti e i sentimenti più astratti vengono correlati in oggetti ben definiti e concreti. Eliot dichiarò che il correlativo oggettivo è “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che saranno la formula di quella emozione particolare, in modo che, quando siano dati i fatti esterni, che devono condurre ad un’esperienza sensibile, venga immediatamente evocata l’emozione”.
Nella poesia italiana questo concetto troverà la sua più alta espressione nella poetica di Eugenio
Montale (1896-1981), che utilizzò un correlativo oggettivo per intitolare una sua raccolta Ossi di seppia; infatti, tutti gli elementi della natura possono essere messi in correlazione a condizioni spirituali e morali.

Possiamo celebrare un personaggio storico, un letterato, un accadimento contemporaneo, un personaggio letterario o un suo episodio, in una parola “tutto”. Ogni poesia, però, dovrà scaturire dall’ispirazione, da quella scintilla creativa che ci fa prendere la penna in mano e ci fa scrivere quello che il cuore detta. Perché la poesia sia vera e sincera deve esserci questa scintilla iniziale, dopodiché possiamo scrivere di getto, in maniera spontanea o, fare un lavoro di lima ricercando la rima più adatta o la parola, o il suono e starci tutto il tempo che ci è necessario. In caso contrario, diventerebbe solo qualcosa di artificioso che non è espressione dei nostri sentimenti; come scrivo in un mio aforisma: “La poesia non è puro artificio, non è sterile costruzione ma piacere per gli occhi e per il cuore, qualcosa che ci meraviglia e ci colma d'interesse, che ci spinge a ricercar nuovi lidi, dove far approdare questo nostro inquieto nocchiero che è il nostro cuore”.
E in un altro: “Il poeta sogna, si emoziona, si meraviglia; in caso contrario, tutto sarebbe puro artificio, sterile e fredda creazione, come voler scrivere su di un foglio di vetro”.

Questo, nella sua essenza, è in definitiva la poesia: un canto dell’anima, un canto senza l’ausilio di strumenti musicali, la musica è data dalle parole (con o senza rima) che cercano di esprimere quello che l’anima detta, che è sempre un cercare di esprimere, come ci insegna Ungaretti in una famosa intervista televisiva del 1961, non potremmo mai arrivare all’espressione compiuta della propria anima.

© Emanuele Marcuccio

Da: http://www.joetiziano.it/Introduzione alla poesia.htm

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(Emanuele Marcuccio) / CC BY-NC-ND 2.5



P. s. Sono anche membro dell'Ufficio stampa di questa casa editrice, prima del suddetto articolo ho scritto la prefazione ad una raccolta di poesie, che sarà pubblicata entro l'anno e grazie alla mia collaborazione editoriale, raccolta di una poetessa, sarà la sua quinta raccolta. :D
 
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joetiziano

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Volevo precisarvi che il bando l'ho scritto io, però, la scelta del primo premio, delle biblioteche e dell'antologia, con tutto quello che ne consegue, è tutta del presidente e fondatore dell'associazione Romantic Museum. :)
 

joetiziano

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Primo libro di poesie pubblicato a mia cura

È uscito il primo libro di poesie pubblicato con la mia collaborazione editoriale e con la mia prefazione:
Maristella Angeli, Il mondo sottosopra, Rupe Mutevole Edizioni, Bedonia (Pr), 2010. Quest'ultima è la quinta raccolta della Angeli.
http://www.rupemutevoleedizioni.com/novità_gennaio_2010.htm
Non avevo mai fatto il collaboratore editoriale, è la prima volta; già avevo espresso questo desiderio nell'intervista che la stessa autrice mi avevi rivolto mesi fa su un forum letterario «cercando di essere sempre rispettoso dei colleghi, di promuovere nuovi talenti, se ne avrò la possibilità e il tutto cercando di mettere in pratica un mio aforisma, che mi è stato ispirato da una battuta del film "Il postino": "Sono i suoi lettori che creano l'autore e, in particolare, il poeta; un poeta non esiste senza i suoi lettori, che si servono della sua poesia per emozionarsi ed emozionare altri lettori.».
Ringrazio l'autrice per avermi permesso di scriverne la prefazione ed ecco la copertina.



Da sottolineare che, il progetto grafico del titolo è della stessa Maristella Angeli.
Questa è quella che mi ha maggiormente emozionato:

Un etereo sogno (a mia madre)


Un fremito
come fragile foglia
una lama
come spada tagliente
a fendere l’aria
nel silenzio
e nel vuoto

l’assenza
la mano
non accarezza
la foto
e il volto caro

quell’aria
sospesa
in un soffio di vita

quel sorriso
ormai spento
il volto di cera
non rintocca quel battito
di cuore malato

un etereo sogno
riveste quel corpo
sospeso il tempo
in eterno


Ecco il commento che ne ha fatto il critico letterario Luciano Domenighini dopo, con il consenso dell'autrice, la sua lettura: «Utilizza al meglio pochi e semplici elementi linguistici, con una nettezza, un'essenzialità, una misura e un gusto davvero singolari. Non spreca una parola, anzi le valorizza tutte. Poi ha il respiro lirico giusto.
Mentre il primo e l'ultimo periodo sono appena appena enfatici, il secondo periodo, con l'elegante soggetto in sineddoche ("la mano") e con il verbo in negazione ("non accarezza") a sostenere un oggetto astratto e doloroso ("l'assenza") avendo come eco "la foto / e il volto caro", ha veramente, secondo me, una forma eccellente.

Luciano Domenighini»


Ed ecco la mia prefazione: «Il poetare di Maristella Angeli in quest'ultima raccolta, per la precisione la quinta, è essenziale, scorrevole, fluido, musicale, mi ricorda molto quello del grande poeta Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970), nell'essenzialità del frammento, dell'ellissi e nell'incedere profondo del verso che respira. Lo stile della Angeli è così essenziale che, i segni d'interpunzione sono pressoché assenti e, questo avviene per poter conferire un più ampio respiro, per poter dotare la sua poesia di maggiore profondità rendendola aperta a molteplici interpretazioni e sfumature di significato, in sintesi, per far respirare il verso. Il suo poetare è maturo e si caratterizza per l'ampio uso dell'infinito sostantivato rendendo così il verso semanticamente più profondo e, per l'anticipazione del complemento rispetto al soggetto e al predicato apportando così al verso più fluidità e musicalità; il grande poeta americano Ezra Pound (1885 - 1972) diceva che, il poeta più completo è quello la cui poesia poggia su un tripode ben bilanciato tra logopea, fanopea e melopea, questa è la poesia perfetta. Infatti, in questa silloge ho potuto notare una logopea molto fluida, ricca di parole e sfumature molteplici di significato, una melopea dotata artisticamente di musicalità e di cadenze, che si sposa magnificamente alla fluidità del verso, infine, ho notato una fanopea fantasticamente immaginifica, che abbonda di correlativi oggettivi e che rimandano, quindi, ad una sfera semantica più profonda. Non so dirvi, se il tutto sia ben bilanciato ma, certamente la sua lettura mi ha procurato forti emozioni, le stesse che, spero, proverete anche voi, cari lettori! Infine, le chiuse, che hanno un'importanza basilare in una poesia, sono semplicemente meravigliose, respirano, lasciano una profonda eco e invitano il lettore a sostare e a rileggere.

Emanuele Marcuccio»


In questo forum il ringraziamento della stessa autrice.
Il libro lo trovate già su aNobii dopo mia richiesta di aggiunta.
Tra non molto uscirà una seconda raccolta, l'autore è alla sua seconda raccolta di poesie e l'editore, d'accordo con l'autore, ha deciso di inserire anche un mio commento all'inizio del libro. :) :D
 
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joetiziano

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Secondo libro di poesie, pubblicato a mia cura

È uscito il secondo libro di poesie, pubblicato con la mia collaborazione editoriale e con una mia nota di commento:
Marco Nuzzo, Non ti piacerei, vestito dell'inverno appena trascorso, Rupe Mutevole Edizioni, 2011.

marconuzzonontipiacerei.png


Questa è la mia preferita del libro.

Ulisse

Infiniti mari
dove poetano le sirene,
e sui porti
in tempesta,
implacabili predatori
sfidano onde
sul perdermi
in catartiche assenze
da queste spiagge,
inquiete,
deserte e primordiali,
stuprate
da tempeste ed eoni
che costanti rimangono...
ma io aspetto,
solitario e immobile
sopra isole lontane
intriso
di anima nera
che m’infiamma,
il sapore del sale
ed il tuo miele
mi mancano...
il calore,
l’ardire le labbra
e giacere sui prati;
senza una rotta
e con gli dei avversi
affronto il mio inferno
e non lo so
se più mai
conoscerò
il tuo viso pulito.


Notevole al venticinquesimo verso l'impiego della raffinata figura dell'accusativo alla greca "l’ardire le labbra".

Di seguito inserisco la mia nota di commento, pubblicata a pag. 7 del libro, il secondo, pubblicato con la mia collaborazione editoriale, uscito lo scorso febbraio.

«Ringrazio l'autore Marco Nuzzo per la preferenza accordatami, in sintesi, una raccolta di valenza letteraria; anche se la musicalità è quasi del tutto assente, in compenso abbonda di contenuti e immagini davvero profondi.
L'autore adotta, in questa sua seconda silloge, un linguaggio piuttosto complesso e ricco di correlativi oggettivi, di artifici formali e lessicali, utilizzando ben poche figure retoriche ma raffinate, come in “Ulisse”, dove degna di nota è la ricercata figura dell'accusativo alla greca “l’ardire le labbra”.
Davvero significative le quattro liriche in progressione intitolate “Apnea”, con cui l’autore ha cercato di esprimere le emozioni e le sensazioni profonde che prova quando si immerge in apnea.
Penso che questa raccolta non sarà direttamente comprensibile ad un vasto pubblico, infatti, i contenuti letterari non sono mai direttamente comprensibili ad un vasto pubblico.»
.

Vivissimi complimenti all'autore.
 

joetiziano

Autore/Curatore Editorial
Terzo libro di poesie, pubblicato a mia cura

A ottobre 2011 è uscito il terzo libro di poesie, pubblicato a mia cura, a mia cura anche la prefazione.
Calzari, Donatella, Petali d'acciaio, Rupe Mutevole Edizioni, 2011.
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Questa è la lirica, a mio giudizio, più significativa del libro.

INSIDIE

Dal fondo del giardino
mi scruta un anacardio
invitandomi ad assaporare
le sue dolci mandorle indiane.
Accanto a me
una tenera, gentile piantina
all’improvviso
fagocita gli insetti
catturati dai suoi tentacoli.
Avviluppata da un groviglio
di dubbi
mi allontano,
migliarino
dal triste colore,
e ritorno alla mia palude
con il sogno
di risvegliarmi
vilucchio.

Di seguito il testo della mia prefazione.


Donatella Calzari ha iniziato a scrivere poesie fin da bambina, dai tempi della scuola elementare, periodo in cui si occupava anche della scrittura di testi teatrali da mettere in scena con i suoi compagni di classe, in occasione delle feste di Carnevale.
Dopo una pausa durata parecchi anni, nei quali ha comunque mantenuto e sviluppato costantemente l’amore per la poesia e la letteratura in generale, nel 1988 ha ripreso a scrivere poesie e brevi racconti. Soltanto nel 1992, però, ha avuto l’audacia, come riferisce, di inviare una sua poesia al concorso “Alla scoperta dei poeti lodigiani”, col risultato che la poesia è stata pubblicata e, negli anni la cosa si è ripetuta con altre poesie, ricevendo premi e segnalazioni a concorsi nazionali e internazionali.
Alla domanda su cosa significa al giorno d’oggi scrivere poesie, ecco come si è espressa l’autrice: «Personalmente sono convinta che la poesia abbia, oggi, una vera e propria funzione sociale. A prescindere dal valore artistico che la poesia possa avere, essa si riveste di una nuova identità, di una dignità propria. Smettendo del tutto i panni di stucchevole afflato dell’anima, che ancora in troppi le attribuiscono, riveste quelli di pregnante e, direi, vigorosa espressione del ricco mondo interiore del poeta, il quale trova il coraggio di aprire la “gabbia” lasciando che le sue parole si librino nell’aria e che si posino sul cuore di chi si ferma ad ascoltarle».
Il poetare di Donatella è profondo, essenziale, è un poetare che preferisce fare a meno del predicato (in particolare del verbo essere) e posporre spesso il soggetto (per conferirgli un maggiore risalto) rispetto al complemento; come nella sua lirica “Visione”, in cui il soggetto è posposto e ripetuto più volte utilizzando così ben due figure retoriche, l’iperbato e l’epanalessi: “Distesa sconfinata di alberi / Il vento li tormenta / Il vento”, “Il vento strappa / Dilania / Conduce / Disperde / Il vento”.
Un poetare intimo ma ricco di figure retoriche, di metafore, di sinestesie, di iperbati, di ellissi, di ossimori e correlativi oggettivi.
La cifra distintiva del suo dettato poetico e di questa sua prima raccolta è un continuo metaforizzare la vita nel suo risvolto doloroso, servendosi dei vari elementi della natura, come fauna, flora, condizioni atmosferiche, non facendo mai tracimare il tutto nel pessimismo e nella disperazione.
A questo proposito, esemplare è la sua lirica “Insidie”, visionaria, profonda, a tratti metafisica e dal respiro cosmico, che unisce in sé fauna e flora: un’immagine, un sogno, un rifugio; l’autrice si immagina migliarino, un piccolo uccello di palude, dal triste colore, che osserva una gentile piantina che, fagocita gli insetti testé catturati e, sogna di risvegliarsi vilucchio, una pianta rampicante, dai fiori bianchi.
Esemplare è anche “Oblò”, dove abbiamo un’immagine profondamente poetica: “Rubino prigioniero / di una conchiglia / il cuore / scorge bufere / nelle spire / di un eluso mare.”, il cuore (abilmente disposto in iperbato), come rubino, prigioniero di una conchiglia, scorge bufere nelle spire di un obliato dolore.
O come “Bassa marea”, in cui la vita è rappresentata in un alternarsi di gioie e di dolori, di alta e di bassa marea ma, solo la bassa marea “rivela meravigliose terre sommerse/ altrimenti celate allo sguardo.”, solo la conoscenza del dolore è in grado di rivelarci il senso della nostra vita, altrimenti perduto nell’euforia della gioia passeggera.
O come “Altalena”, in cui è presente un’altra immagine profondamente poetica: “Stanno gli alberi / come spade conficcate / nella bianca spuma / del cielo.”
Un’opera prima che ha significativamente intitolato Petali d’acciaio, un ossimoro che ben esprime il dualismo, il carattere di dolcezza e forza della sua poesia. Una raccolta da leggere e rileggere, soprattutto per le folgoranti chiuse, che invitano il lettore a sostare e a rileggere, per scoprire sempre nuove interpretazioni.
Proprio perché ogni vera poesia non è mai mera imitazione della realtà, non è mai sua fredda riproposizione, come ad esempio l’uso dei vari termini e verbi indecorosi, espedienti fin troppo facili per esprimere rabbia e quant’altro.
Ogni vera poesia è “rappresentazione”, nel senso di interpretazione soggettiva della realtà, di sua ri-creazione e trasfigurazione, quindi, aperta a molteplici interpretazioni.
E il grande poeta, scrittore e drammaturgo francese Victor Hugo (1802–1885) già scriveva che la poesia non appartiene al poeta, portando il concetto di interpretazione alle estreme conseguenze: «Fino a che punto il canto appartiene alla voce e la poesia ai poeti? / La poesia non appartiene solo al poeta / perché non è lui a decidere il senso, / perché il poeta sa soltanto in parte, / ciò che la poesia finirà col dire».
Anche dello stesso termine “poesia” non si potrà mai dare una definizione definitiva ma solo innumerevoli interpretazioni, lo stesso verbo “definire” vuole tracciare dei confini ma, la poesia non conosce confini, il suo spirito vivrà sempre e la sua voce cavalcherà i millenni.
E, il famoso pittore Pablo Picasso (1881–1973), a proposito della pittura, ha scritto: «La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto».
Infatti, un poeta non è mai mero cronista di ciò che attentamente osserva, non è mai impersonale messaggero, bensì è interprete soggettivo, che ri-crea, trasforma, trasfigura sogni, storie, emozioni, e Donatella, in questa sua prima raccolta, ce lo dimostra ampiamente.

I miei vivissimi complimenti all'autrice! :)
Lieto di ospitare nel mio canale YouTube il video di questa presentazione, finora il più bel frutto della mia collaborazione editoriale.


 
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