De Roberto, Federico - I Viceré

lincemiope

New member
Infatti, come diceva Sciascia credo, "I vicerè" è un capolavoro del verismo italiano. In quell'epoca come ora, la verità infastidisce. Dovrò cercarmi il film...
anche secondo me De Roberto è un eccelso scrittore.
i vicerè lo porterei nella classica isola deserta.
davvero c'è il film?

potete indicarmelo? anche se non so se lo vedrò....il mio DonBlasco è troppo delineato nella mia mente.
 

Marzati

Utente stonato
Mi sono approcciato con un po’ di diffidenza a questo romanzo. Temevo fosse troppo prolisso e noioso, invece è stato sì lungo, ma mai stancante e poi il linguaggio, contro ogni mia aspettativa, si è rivelato facilmente comprensibile, sembra quasi italiano moderno. Non mi dilungo troppo ripetendo quanto già da altri detto, è interessantissimo seguire le vicende della famiglia Uzeda, veramente corrotta (e non solo moralmente, ma anche fisicamente), disunita, egoista, folle, …. Poi c’è la grande storia, quella dell’ Italia e, soprattutto, della Sicilia pre e post unitaria, e qui De Roberto dà del suo meglio, riuscendo a raccontare in modo disincantato e spesso anche ironico questo turbinoso periodo fatto di ideali, di sacrifici, e dei soliti che salgono al potere, o meglio: che ci rimangono, e della miseria dei miseri che peggiora, e degli imbrogli, ma anche delle strade costruite, della partecipazione delle persone alla cosa pubblica, delle novità. Alla fine ci rendiamo conto che l’ Italia disunita era veramente quella mostruosità fatta di re e privilegi, feudi e contadini, e che l’ unità ha portato vantaggi, progresso, ma ha alimentato la povertà, non ha diminuito i soprusi. Forse ogni progresso, ogni passo ha un costo, e degli ostacoli non previsti.
 

Grantenca

Well-known member
Un “mattone” senza dubbio, oltre seicento pagine, ma di qualità. E’ la saga familiare di una nobile famiglia siciliana ai tempi dell’impresa garibaldina dei “mille” e la successiva annessione dell’isola al regno d’italia dei re Savoia.
E’ una descrizione di quel mondo nobiliare molto dettagliata (qui prende 2 generazioni), dove l’obbiettivo principale era tenere unito il patrimonio familiare, con l’eredità al solo primogenito e con gli altri figli obbligati alla vita monacale e, per le femmine, o il monastero o matrimoni vantaggiosi dal punto di vista economico. In questo caso non va’ proprio così perché la principessa, che ha preso il posto dell’imbelle marito morto prematuramente, al momento del decesso divide l’eredità tra il primogenito che pur manterrà il titolo di principe, che non ha mai amato, e il cadetto che ha adorato. E qui inizia la descrizione di questi nobili, che disprezzano “il sapere” “gli studi” che quasi non sanno leggere, ma sanno bene far di conto.
Sono avidi, gretti, insensibili ad ogni affetto, solo “la roba”, la ricchezza muove le loro azioni. Falsi, bugiardi, traditori, una mala razza di predoni spagnoli arricchiti….così li definisce un borghese ambizioso entrato nella famiglia. Ora la figura del primogenito Giacomo (il nuovo principe) a pensarci bene è contemporanea del principe Fabrizio Salina del “Gattopardo” ma quale abisso tra i due! Forse perché questa famiglia è catanese (provincia) mentre i Salina sono palermitani, della capitale, ma queste due figure, pur ambedue interessate a tenere unito il patrimonio familiare come missione, sono del tutto opposte. Certo De Roberto è nato molto prima di Tomasi di Lampedusa e forse può aver avuto qualche testimonianza diretta più vicina a quel mondo, ma forse non tutte le famiglie nobiliari erano uguali. Qui ci sono invidie, tra fratelli, sorelle, zii e cugini, odi profondissimi, e le famiglie si ritrovano molto unite (agli occhi esterni) solo in occasioni di funerali, matrimoni e battesimi. Solo nei due figli del principe si può intravvedere, in prospettiva, qualcosa di nuovo. E’ un quadro completo della Sicilia di quei tempi dove l’autore descrive le azioni più grette, i caratteri più egoisti, senza far pendere la bilancia da nessuna parte. Descrive,… secondo me in modo mirabile. C’è un funerale che, per me, vale la lettura del libro, e dissertazioni sulla funzione della politica, nell’ultima parte del libro, che sembrano scritte ieri e non centocinquant’anni fa. Opera comunque diversissima dal “Gattopardo”, che per me è un capolavoro, non solo per le dimensioni. Una considerazione però secondo me accosta le due opere: tutto deve cambiare per non cambiare niente. Certo non è un libro che, dati gli argomenti, al giorno d’oggi possa interessare tutti, ma chi sceglierà di leggerlo non resterà deluso.
 
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