Ne metto di più intimi, ma purtroppo sono da contestualizzare alla mia personale situazione. Non ne ho di generali. Di certo non hanno la mia verità, il mio cuore, tanto quanto questi. Spero non vi dispiacciano e possiate comprenderli almeno in parte.
- Ho creduto d'amare, mi sono consumato. Cos'è il vero amore? Scettico dentro osservo, in pessima luce, un'emozione che non può essere spiegata che con la follia. Forse merita di rimanere indefinito, inspiegabile e doloroso, per conservare il suo misticismo. Spina e petalo nel contempo. Sono troppo pieno di mondo per capirlo appieno. Mi rassegno d'attendere la prossima stoccata già ritorto incosapevolmente su me stesso. Come una corda di violino spezzata, attendo le mani sapienti di un'amabile liutaia per tornare a suonare la melodia del mondo.
- Mi chiedo, a volte, se sia meglio tacere e sviluppare il culto del "non detto", del "tutto e niente" (infondo sintomo di un pragmatismo animale sconfinato), oppure esprimersi senza freni, in preda ad una bulimia verbale continua e minuziosa, ora divagante ed ora concentricamente focalizzata al punto. Ma non esiste equilibrio quando c'è emozione. Quella totale, avviluppante. Non dovrebbe subire la censura del pudore quando ancora il concetto è neonato nella fibrillante materia grigia, ma talvolta l'occasione impone un silenzio rigoroso, magari non condiviso, investendo l'attimo di un'aura cinematografica da fermo immagine. Come rendere giustizia ad un sentimento, come rendere perfettamente fendente l'arte della comunicazione d'un amore?
- Accontentarsi non è sconfitta. E' consapevolezza. E' raggiungere e stringere l'equilibrio tra il proprio mondo ed il mondo la fuori, quello della prostituzione del bene più prezioso: Il tempo. Un male necessario che dilaga e ghermisce, illudendo e consumando il piccolo e perfetto regno dell'io. Dopo rimane solo amarezza, pensieri ipotetici, macerie d'affetti, solitudine spietata.
- Viaggiando senza respiro in solitudine forzata, esiliato dagli affetti, perennemente incatenato ad una linea telefonica troppo stretta per trasformare in combinazioni di uno e di zero un'emozione, mi percepisco e confondo con il mio stesso bagaglio. Qualcuno, invisibile, mi tiene il capo immerso, ed io sento entrarmi acqua infuocata nel bronchi, nei polmoni. Mi dimeno con energia, ma non ho mani da combattere. Mi esaurisco progressivamente e prematuramente in un destino che non sento mio. Una scelta letale. Libero arbitrio. Eppure ho la consapevolezza che mi basterebbe volerlo per smettere di uccidermi. Perché il mio stesso male, sono io. Carnefice e giudice, spietato!