Mi sono accostata a questo romanzo insieme con grandi aspettative e una certa diffidenza, dovuta a una serie di motivi. Il primo fra tutti è che sapevo, per averlo letto in più occasioni, che Saramago era un ateo convinto, non sempre “rispettoso” del punto di vista opposto... Cosa aspettarsi dunque da un romanzo scritto da un ateo sulla storia di Gesù, letto da una credente? Dipende dallo scrittore. Dalla sua bravura innanzitutto (e su questo Saramago non ha certo bisogno di convincermi ulteriormente) e dalla sua “onestà” intellettuale e spirituale. D’altra parte, se tutti (o quasi) ne hanno parlato così bene…
Questa la premessa. Poi c’è il “corso d’opera”... che mi ha assolutamente entusiasmato in alcuni punti (tra cui tutta la prima parte fino alla comparsa di Gesù “ragazzino”) e lasciato un po’ più tiepida, per non dire perplessa, in altri.
Innanzitutto ho scoperto con una certa sorpresa che il punto di vista del romanzo era sì quello di Gesù, ma che l’elemento “soprannaturale” era non solo presente ma direi centrale. Non so perchè, mi sarei aspettata una storia totalmente desacralizzata, il cui perno fosse esclusivamente Gesù-uomo. E invece no: Dio c’è. Anzi, precisiamo. All’inizio sembra esserci solo nella gratitudine/venerazione tipicamente ebraica, la quale non vacilla nemmeno di fronte alle contraddizioni più evidenti. La logica non conta: comunque Dio sa tutto, e tutto – anche ciò che ci sembra male – è bene perchè tutto rientra nei suoi disegni imperscrutabili. Se c’è uno “stolto”, siamo noi... non certo Lui. E qui l’ironia è evidentissima, Saramago non la mitiga affatto, anzi! Per il resto Dio, in queste prime pagine, è del tutto assente, indifferente, estraneo. Tanto da avermi fatto pensare appunto che non facesse parte della storia, che l’obiettivo del romanzo fosse dimostrare come tutto si sia svolto “in assenza di Dio”. E invece no, perchè i segni soprannaturali ci sono fin dall’inizio, anche se non sappiamo ancora bene dove collocarli.
Poi alcune trovate quasi geniali: la “colpa” di Giuseppe e la sua “condanna”, l’incubo ereditato da Gesù, la “partenza”... ho apprezzato tutto moltissimo. E ancor di più ho apprezzato la facilità con cui Saramago si è destreggiato all’interno del repertorio biblico: nomi, fatti, riferimenti storici... bisogna ammettere cha padroneggiato tutto con grande competenza. E creatività.
Ecco, magari qui lo si sarebbe anche potuto criticare... perchè – parliamoci chiaro – è evidente, soprattutto da un certo punto in poi, che Il Vangelo secondo Gesù è un’opera di fantasia. Ma in senso proprio assoluto, ovvero gli ingredienti sono tutti più o meno veritieri (rispetto ai Vangeli canonici, non parlo qui di veridicità storica), ma il risultato è pura invenzione; non una diversa interpretazione dei fatti, bensì un racconto che, di questi fatti, conserva solo la “materia prima”.
Però, a dirla tutta, io ho apprezzato anche questo... ma sì, dove sta scritto che il diritto di rielaborare una storia debba essere contenuto entro certi limiti? Mi sono divertita, ho sorriso, ho “ammirato”. Ma un dubbio mi restava sempre: va bene la creatività, la capacità di destreggiarsi e tutto il resto... ma dove vuole andare a parare Saramago? Qual è il significato ultimo di questo azzardo narrativo? Quale il messaggio profondo? E come interpretare questo Dio che, finalmente “personaggio”, si dimostra più che indifferente: avido di “gloria”, vendicativo e quasi crudele?
Inutile negarlo: ho faticato non poco. I miei dubbi iniziali si sono in parte rivelati fondati: io che conosco un Dio di amore, ho mal sopportato questa versione di Dio così autoreferenziale ed egocentrica, così come ho mal sopportato l’evoluzione della figura di Maria, che da donna sensibile e attenta si chiude in se stessa, fino a negarsi al suo (amato?) figlio.
La faccio breve (attenzione! Da qui in poi lievi spoiler): mi sono riconciliata con questo Dio e con questo Saramago in occasione di quello che secondo me costituisce il cuore del romanzo, nonchè le sue pagine più belle: l’incontro fra Gesù, Dio e il Diavolo al largo del mare di Galilea. E il bello è che questa riconciliazione è avvenuta sotto il segno di una condanna senza appello: Dio si conferma proprio quell’avido, vendicativo e crudele personaggio assetato di gloria che si era profilato pagina dopo pagina, e lo è fino alla fine, fino alle estreme conseguenze. E se Dio è questo, il Diavolo, che è pur sempre il Suo contraltare, non potrà essere che colui che farà di tutto, persino “rinunciare a se stesso”, pur di “salvare” l’uomo... Resosi tuttavia conto che niente può andare contro il volere di Dio (per quanto questo volere sia “disumano”), Gesù penserà bene di provare a “fregarlo”... In questa trovata (di cui non dico altro per non rovinare l’effetto “sorpresa”, se così si può chiamare) ho percepito il vero colpo di genio del Nobel portoghese.
E così, a fine libro, ho tirato le somme: il rovesciamento delle figure da quello che sarebbe il loro ruolo originario promuove Saramago e rende questo romanzo davvero unico. Fatte i dovuti distinguo, in alcuni punti (specialmente l’incontro sulla barca a cui ho accennato prima) mi ha ricordato qualcosa del Faust di Goethe e del "Grande Inquisitore" di Dostoevskij... Detto questo, il dubbio mi resta: quale voleva essere l’intento ultimo dell’autore nello scrivere questo libro? Davvero è questa la sua interpretazione definitiva di temi importanti come la sofferenza dell’uomo, la colpa, il castigo, l’apparente indifferenza di Dio, il “fato”, l’impotenza dell’uomo? Fatico a crederlo, non voglio crederlo. Allora preferisco considerare questo libro “solo” uno straordinario esperimento narrativo, con tutti i limiti che questo comporta... un “gioco” non privo di ironia e di una certa dose di malizia, una provocazione. Resta comunque un’opera estremamente interessante per chiunque, credente e non.
P.S. Chiudo rispondendo a Trillo senza in realtà rispondergli... è proprio vero che uno stesso titolo sono tanti romanzi quanti sono i lettori! Riconosco che Saramago dissemina i suoi libri (e questo in particolare) di episodi piuttosto ambigui senza che si riesca a venirne a capo, ma nel mio caso non mi ha disturbato più di tanto. Voglio dire, le tue domande sono tutte lecite, così come le tue “non-risposte”, ma semplicemente... è come se non me ne fossi accorta, perchè la mia attenzione era calamitata altrove. Diciamo anche che tu sei più “attento” di me, focalizzi di più (me ne ero già accorta), ma appunto: ogni lettore è diverso dall’altro, ed è per questo che è così bello leggere commenti su uno stesso libro e trovare opinioni così diverse! :wink: