Hugo, Victor - I Miserabili

Nerst

enjoy member
Questo è davvero il libro della speranza!
Dopo averlo letto, un calore pervade il cuore e ci si ritrova a pensare che lottando per la vita essa può cambiare in meglio.
Hugo è riuscito ad analizzare i più nobili sentimenti, facendoli rivivere attraverso i personaggi: il sacrificio materno di Fantine, l’ innocenza di Cosette, la caparbietà di Marius, la cattiveria di Thenardier, la cocciutaggine di Javert e la bontà d’ animo di Jan Varjan resteranno impressi in me per sempre.
Accattivanti sono state anche le maestose descrizioni che lo scrittore fa della sanguinosa battaglia di Waterloo, dell’ inutilità della vita delle suore di castità e del dedalo delle fogne di Parigi, come oscura anima della città, per non parlare dei tumulti parigini, che fanno accrescere in chi lo legge il desiderio del diritto ad una vita degna, anche volendo sacrificare la propria! Cosa che oggi viene sempre di più svalutata. Il tutto per un domani migliore.
Consiglio la lettura di questo libro perché ci si sente scuotere e alla fine si ha anche meno paura della morte.
 

swann

New member
Che bel romanzo, tre volumi letti tutti d'un fiato al servizio civile tra una fotocopia e l'altra :D
Trama entusiasmante, approfondimenti storici, caratterizzazione psicologica dei personaggi magistrale, c'è veramente tutto come ha detto un altro utente.
Mi ricordo ancora la scena del suicidio di Javert, la metafora della bilancia che lo fa sprofondare verso il basso...
Magnifico!
 

~ Briseide

Victorian Lady
Assolutamente d'accordo con chi ritiene che questo sia IL romanzo. Hugo ha il potere di farmi appassionare persino alle sue lunghe digressioni (cosa che non posso certo dire valga anche per la letteratura russa, con cui invece ho molti più problemi dal punto di vista della tolleranza :mrgreen:), che sembrano davvero ritratti a tinte calde di un Parigi dipinta sotto l'occhio del lettore... diviene possibile passeggiare per quelle strade, sentire il rumoreggiare della rivoluzione che matura e le grida dei monelli per le vie, vedere la miseria che cresce, le macerie di Waterloo, o sentire gli odori delle fogne mentre al di sopra della strada imperversano morte e distruzione, per lasciare solo un gran silenzio. Non potrei mai immaginare questo libro privato di queste lunghe descrizioni: sono imprescindibili, per carpire l'essenza dello sfondo storico così come dell'animo dei personaggi.
Primo fra tutti, non ho potuto che amare Valjean. Ho imparato ad amarlo pian piano, sino al punto in cui mi sono ritrovata totalmente conquistata da egli, per farne IL mio personaggio preferito di sempre. Inquadrarlo come figlio di uno stereotipo mi sembra quasi riduttivo: Valjean è un uomo il cui tormento è così pulsante tra le pagine, che per quanto la sua redenzione sia stata chiaramente assoluta, fa trapelare sempre quel senso di incompiutezza e di afflizione che rendono impossibile inquadrarlo in maniera netta. E' un uomo vaporoso, sfuggente persino a se stesso probabilmente; e proprio questa profondità d'animo del personaggio, in cui si possono affondare a piene mani tutti i nostri sensori emozionali, sino a farci male noi stessi avvertendo i suoi tormenti, mi rende impossibile catalogarlo come un personaggio retorico.
Dissento anche sull'inquadrare Javert come l'unico personaggio davvero problematico: sin dal primo momento la sua inflessibilità me l'ha fatto avvertire come un personaggio di assoluta coerenza e di precisa fisionomia caratteriale. Così come non ho (quasi) mai dubitato della redenzione di Valjean (pur senza che nulla ne perdessero in termini di efficacia i duri conflitti di coscienza vissuti in quei capitoli che rappresentano per me l'apice del romanzo), non ho mai dubitato del fatto che Javert potesse cambiare atteggiamento nel corso della storia. Ed in effetti, anche nella sua scelta finale di mettere fine alla sua vita, non c'è nessun cambiamento, ma solo l'ennesima conferma, ancora una volta, del restare aggrappato a tutto ciò in cui aveva creduto. E pur di non dover rinunciare al suo credo, pur di non dover rinunciare a se stesso, preferisce rinunciare alla sua vita.
Decisamente stereotipati e un po' fiabeschi ho trovato invece sia Marius che Cosette. Personaggi epici che fanno da sfondo alla storia, e che meritano di essere citati, oltre a quelli richiamati già nei post precedenti, sono sicuramente il piccolo Gavroche e Monsieur Mabeuf. Ho amato molto anche Eponine: non mi sono fidata mai di lei, per tutta la durata del romanzo; aspettavo che da un momento all'altro si mostrasse con un colpo a tradimento per quella che presumevo fosse, sino a che non l'ho vista morire per Marius. Mi ha fatto una grande tenerezza, per la miseria della sua vita e del suo animo, ma soprattutto per il suo coraggio (forse anche inconsapevole). Forse l'unico personaggio che veramente mi ha stupita nelle 1000 e passa pagine del romanzo, e che trovo sfugga agli stereotipi molto più dello stesso Javert.
 
Un giorno dopo ore a rovistare per la libreria, per non far la figura di uscire a mani vuote l'ho preso, praticamente l'ho scelto a caso; la cosa che non avrei mai pensato che un libro acquistato alla leggera senza nemmeno leggere la trama mi entrasse nel cuore in tal modo, è indubbiamente il miglior libro che ho letto sinora.
Questo romanzo lo trovo praticamente perfetto sotto ogni punto di vista, la storia è avvincente e inchioda il lettore alle pagine, tutte le digressioni, dalla battaglia di Waterloo, alla regola del convento alla storia della costruzione delle fogne di Parigi le ho trovate semplicemente splendide e pur rallentando la lettura sono un piacevole intermezzo. La cosa che mi ha colpito di più in questo romanzo è la componente umana, non si parla di principi e conti, ma delle condizioni del popolo che molto spesso vengono ignorate nella letteratura, i personaggi di Fantine e di Cosette (sopratutto da bambina) mi hanno emozionato tantissimo e mi hanno fatto provare un senso di pena e contestualmente di profondo rispetto, pur che siano dei personaggi non realmente esistiti ma nati dalla penna di Hugo, mi hanno fatto molto riflettere e a dirla tutta mi ci sono pure affezionato, le situazioni di miseria e di estrema povertà non sono soltanto delle invenzioni letterarie, ma delle crude realtà che vanno raccontate. Il personaggio di Valjean è a dir poco immenso, possiede a mio avviso una carica incredibile che potrei definire quasi magnetica, mi ha fatto sognare ad occhi aperti nella scena in cui ha regalato la bambola a Cosette, leggendo mi sembrava di essere un avventore seduto al tavolo di fianco ad ammirare la scena.
Che il libro sia lungo non ci piove, ma sinceramente il numero delle pagine non mi è pesato per nulla, ci ho impiegato moltissimo a leggerlo in quanto me lo sono gustato a piccole dosi, e quando l'ho finito ci sono restato quasi male, sono praticamente certo del fatto che in futuro lo rileggerò

Il caso ha voluto che un mio acquisto casuale si rivelasse invece la migliore di tutte le mie scelte letterarie, spero che la cosa possa ricapitare con altre opere.

Potrei riassumere questa opera con una parola: capolavoro, ma credo che detto aggettivo non possa ancora definire correttamente il mio punto di vista relativamente a questo libro
 
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alessandra

Lunatic Mod
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Un piccolo appunto a Hugo devo farlo, e non riguarda le divagazioni, ma il modo in cui descrive i personaggi, o meglio le protagoniste, femminili; che il suo ideale di donna fosse quello di una bellissima che dice sempre di sì? Piuttosto insignificante, se non sciocchina, era Esmeralda in Notre-Dame de Paris, e direi che Cosetta non è poi da meno, non mostra certo una grande personalità...Come personaggi femminili, mi sono invece piaciuti Fantine e Eponine, soprattutto la seconda, donna che immagino con il dolore e la bruttezza dipinti in volto, una bruttezza non dovuta ai suoi tratti, ma alla miseria, non solo materiale ma soprattutto dell'anima, che si respira nella sua famiglia, e poi ad un amore impossibile, fino al dolore nella morte alleviato dalla presenza di Mario. Detto questo, il romanzo è senz'altro un capolavoro sia per la ricchezza della trama, sia per le continue divagazioni, seppure a volte eccessive, sempre acute e istruttive, sia per la profonda analisi, seppur non troppo evidente, dei personaggi o meglio di alcuni, in particolare del protagonista Jean Valjean, uno dei personaggi più belli e interessanti che abbia mai incontrato nella mia vita di lettrice. Il lettore si ritrova nei flussi di pensiero di Valjean, per poi perdersi nei tormenti della sua coscienza e poi riconoscersi ancora, con maggiore consapevolezza. Valjean stupisce forse poco, poiché più o meno si intuisce che prenderà sempre la decisione più eticamente corretta, ma l'autore ci mostra espressamente e magistralmente il modo e il travaglio interiore attraverso cui il protagonista arriva a quella decisione, ed è questo che resta impresso in maniera indelebile, se non nei dettagli, di certo nelle sensazioni del lettore.
Tutti i sentimenti possibili sono presenti in questo romanzo: l'amore in tutte le sue forme - anche se magari quello romantico tra Mario e Cosetta è espresso in maniera un po' ingenua -, anche quello di padre, che non è immune dal sentimento più negativo e naturale del mondo, la gelosia. L'odio, incarnato da Javert, che si toglie la vita quando si rende conto che esiste qualcosa oltre le regole, oltre il motivo per cui ha vissuto fino a quel momento, qualcosa oltre se stesso. La rabbia, il dolore estremo come quello di Fantine, il senso di colpa. La gioia incondizionata di vivere e l'altruismo, tramite Gavroche, uno dei personaggi più belli. La crudeltà e l'avidità, nella persona di Thenardier.
Il titolo, "I miserabili", racchiude in sé il significato del romanzo, e la differenza tra i miserabili nel senso materiale e i miserabili nel senso della povertà dell'anima, due cose che non sempre coincidono. Hugo ripete spesso questa parola, nei momenti cruciali, come a voler sottolineare la duplice valenza del termine.
La parte finale chiude il cerchio, così come ci si aspetta da un romanzo classico, seppure in maniera molto triste.
Bellissimo.
 

Nefertari

Active member
Questo libro mi ha conquistata!!! L'ho letto con il gruppo di lettura e questo mi ha aiutato molto ad affrontarlo con meno terrore. Me lo immaginavo molto complicato e per nulla scorrevole invece mi ha coinvolta moltissimo.
E' vero che le digressioni spezzano la storia ma sono approfondimenti molto dettagliati che rendono a mio parere migliore il libro, senza non sarebbe lo stesso.
Lo consiglio assolutamente!!!
 

MadLuke

New member
La prolissità allo stato dell'arte

Credo di aver appena letto una delle massime espressioni ottocentesche del Romanticismo francese, forse in assoluto la più rappresentativa di questo movimento letterario. L'opera ha un inizio assolutamente accattivante dal mio punto di vista, la narrazione delle prime vicende della vita del protagonista Jean Valjean tengono il lettore incollato alle pagine, e conquistano per lo splendido tratteggio dei personaggi secondari.
La prosa è assai elevata, pare voler far respirare al lettore le estasi che l'autore ascrive a taluni personaggi in particolari momenti, grazie all'impegnata dedizione alle virtù cristiane come la purezza, la gentilezza, la nobiltà d'animo, ecc.
La stessa intensità Victor Hugo sa esprimerla nel dipingere i terrificanti abissi dell'animo degli spregevoli individui che costellano la vita dei personaggi positivi, così come le miserie della carne e del cuore che di tanto in tanto tingono a nero le esistenze dell'uno o dell'altro.
Va da sé però che in queste descrizioni dell'animo, del bene come del male, compie delle digressioni che definire "amplissime" è ancora estremamente riduttivo. Victor Hugo non è solo prolisso, è invece proprio pedante, ripetitivo, noioso nel tornare e ritornare più e più volte sugli stessi concetti, infinite sequenze di metafore, fiumi di parole che ingrossano i capitoli senza aggiungere in realtà nulla.
I pure lunghi capitoli, perfettamente avulsi dall'intreccio, che costituiscono degli autentici e pregevoli saggi di storia, politica o società appaiono assolutamente ingiustificati a sostenere una storia che di per sé avrebbe potuto apprezzare ben più ridotti accenni. I dialoghi infine sono estesi fino a diventare spesso dei noiosi proclami, monologhi, delle conferenze che celebrano la bellezza della vita e della fede religiosa che però sono consistenti proprio e solo nella misura in cui si accettano come verità di fede.
Non posso sconsigliare tout court di leggere questo romanzo: checché se ne dica rimarrà immortale nella storia della letteratura. E al di la del valore letterario, rimarrà sempre come baluardo contro l'imbarbarimento della lingua contemporanea, contro l'inaridimento del sentimento che poi sancisce la fine del Romanticismo e vieppiù il nostro tempo, contro la dittatura sul tempo dettata dall'evoluzione tecnologica. Però neanche si può negare che per i contenuti che offre, che io in realtà non ritengo affatto eccezionali, semmai altamente espressivi del più melenso sentimentalismo religioso, obbliga il lettore a un impegno e una costanza parecchio onerose.
 

Lark

Member
Meno male! Pensavo di essere l'unico ad averlo trovato in alcune parti prolisso in modo insopportabile! Anche se forse sarebbe meglio dire "didascalico". La struttura che ho notato, ripetuta più e più volte, consiste nel descrivere nel capitolo (ad esempio) l'estrema miseria in cui versano alcuni dei personaggi, mi viene in mente la famiglia di Thenardier quando sono costretti a vivere di nulla in una stanza spoglia, mendicanti e tutto il resto: descrizione accattivante, approfondita, chiara. Finisci il capitolo con Marius che aspetta nella stanza accanto con le pistole cariche - et voilà, un capitolo su quanto certe famiglie vivessero in modo miserabile, senza nulla, costrette a mendicare. Ma l'ho appena visto! Perché mi tratti da imbecille? Mi è sembrato come se insistesse e insistesse ancora sullo stesso punto, con parole magari diverse, ritornando sul punto - ma in un libro se non hai ben chiaro un concetto torni indietro e te lo rileggi, non vuoi che te lo si ripeta all'infinito.
Al confronto Dumas, per esempio nel Conte di Montecristo - che pure è un altro romanzo a puntate, seriale, un tanto al rigo - riesce a mantenere molto meglio il ritmo della narrazione.
Capolavoro in ogni caso, per certi passaggi in particolare: meravigliosi i capitoli sull'innamoramento di Marius e Cosette. Però sì, se dovessi dare un consiglio quel che direi è: saltate i capitoli di saggistica (a parte forse quello sulla battaglia di Waterloo che è utile alla trama), saltate le righe che si ripetono, saltate e al limite tornate indietro se avete l'impressione di esservi persi qualcosa.
 

MadLuke

New member
Al confronto Dumas, per esempio nel Conte di Montecristo - che pure è un altro romanzo a puntate, seriale, un tanto al rigo - riesce a mantenere molto meglio il ritmo della narrazione.

Ecco, per me peggio de "I miserabili" c'è solo "Il conte di Montecristo". E se qualcuno prova a farmi leggere un altro grande classico francese, gli sparo alla schiena. :)
 

estersable88

dreamer member
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Vi sono romanzi che, sin dal primo, parziale approccio, ci colpiscono e la voglia di leggerli si annida in noi per anni. A me “I miserabili” di Victor Hugo ha fatto proprio quest’effetto sin da quando, a scuola e poi al liceo, ho avuto modo di leggerne alcuni stralci. I nomi di Jean Valjean, Cosette, Javert, i Tenardier sono rimasti impressi nella mia mente fino a quando, una settimana fa, ho deciso di leggere finalmente questo libro per intero. A lettura ultimata posso ben dire che rimarranno nella mia mente per molti anni ancora.
Comincio col dire che “I miserabili” non è un libro facile né da leggere né da recensire: è un’opera monumentale, sia per la sua complessità che per l’importanza dei concetti espressi. E’ ambientata nella Francia della prima metà dell’Ottocento, immersa fra i postumi della rivoluzione del 1789 e le imprese di Napoleone, osannato e condannato al contempo. La situazione storica e culturale del Paese è tutt’altro che tranquilla, vi sono spaccature interne che faticano ad appianarsi e che esploderanno in una nuova rivoluzione nel 1832. E’ in questo contesto che Hugo inserisce (direi con risultati favolosi vista la complessità dell’operazione) i personaggi di questa storia, i miserabili, una congerie di uomini, donne e bambini che ogni giorno fanno i conti con la vita vera, con la fame, la miseria, la giustizia cieca e la guerra. Hugo ci presenta un’umanità variegata nella sua miseria, diremmo che ci sono tanti tipi di miserabili: c’è Jean Valjean, l’antico forzato perseguitato dalla giustizia, il galeotto che si redime e per quanto bene faccia agli altri deve combattere con la sua ombra; c’è Cosette, la bambina orfana e maltrattata che diviene figlia di Valjean e vive nel benessere e nella gioia; c’è Javert, l’ispettore di polizia irreprensibile nel suo dovere che non riesce a sopportare l’idea che qualcuno possa mettersi al di sopra della legge; ci sono i Tenardier, una famiglia di delinquenti travestiti da albergatori che una volta falliti vivono di espedienti e di inganni ai danni del prossimo; c’è il monello Gavroche, un bambino abbandonato dai genitori e cresciuto troppo in fretta nella strada, che rivela però un’anima luminosa.
Il libro in sé può essere analizzato e letto in due modi: può essere visto come due libri separati, un romanzo ed un saggio storico filosofico, oppure in modo organico, come un unico romanzo all’interno del quale convivono una parte storica ed una storia meravigliosa. A mio modo di vedere, la difficoltà di quest’opera sta proprio nelle ampie digressioni storiche, filosofiche, sociali che l’autore inserisce tra una fase e l’altra della storia e che, a dire il vero, sono preziose perché descrivono un contesto complesso fatto di tanti equilibri precari.
Ad ogni modo, siamo innegabilmente di fronte ad un capolavoro della letteratura francese e mondiale, attuale nonostante parli di cose avvenute duecento anni fa, perché descrive la natura dell’uomo, le sue bassezze e le sue azioni eroiche. Impossibile, perciò, non consigliarne la lettura. E poi come si fa a non appassionarsi alle vicende di questi personaggi? Io, sarà scontato, adoro Valjean! Che lo si chiami Jean Valjean, Papà Madeleine o Ultimo Fauchelevent, è lui la vera anima di questo romanzo! Penso che questo libro, in fin dei conti, resterà nei miei ricordi per molto tempo!
 

TheBlack77777

New member
Cominciamo dal travaglio per rendere l'idea dell'impegno necessario a completare il Dramma di Victor Hugo. Cominciato ormai tre anni fa, ad inizio Università, letto quasi fino alla metà della Parte Seconda e poi abbandonato per lungo tempo, fino a due settimane fa, quando ho deciso di riprenderlo e terminarlo.
E' un'opera monumentale, letta, nella mia personale esperienza, subito dopo Guerra e Pace (Sì, negli ultimi cinque anni ho letto questi due libri! :)), il che, forse a torto, mi ha portato a confrontare in alcuni punti e in alcune circostanze le due opere. Non foss'altro per una da ambo le parti dettagliata descrizione di Waterloo, da ambo le parti, in qualche modo, gloriosa e per un finale così simile da meravigliare considerando i principi primi tanto diversi dai quali gli autori partono. Da una parte le Ragioni della Storia, dall'altra le Ragioni del Fatto, da una parte il Fato, dall'altra l'Uomo. Chiusa digressione.
I Miserabili di Victor Hugo è un'opera maestosa, dicevo, che merita il tempo che richiede. Al netto di 1212 Pagine nell'"Edizioni Crescere", poche di queste risultano essere in sovrapprezzo. Per certi versi, l'interruzione di oltre due anni tra la lettura di ciò che ormai considero una sorta di Prefazione e lo Svolgimento e la Conclusione del Dramma ha avuto l'effetto di immedesimarmi ulteriormente nel racconto. Esso si svolge in un arco temporale piuttosto ambio, di circa quarant'anni. Ciò mi ha permesso quasi di avvertire realisticamente la crescita dei personaggi, di ritrovarli naturalmente più anziani e non artificiosamente a causa del racconto. Scrivo ciò perchè si spieghi la ragione per cui citerò esclusivamente delle digressioni inerenti la Seconda Parte dell'Opera (Da metà della Parte Seconda di Cinque, per intenderci.): La Digressione sui Conventi; la Digressione sulle Fogne di Parigi; la Digressione sul Gergo, sul Fondo Sociale, sulle Sommosse e le Barricate. Di questi, solo la terza potrebbe essere additata come estremamente difficoltosa e superflua, almeno per il tecnicismo che la pervade. Ve ne sono anche altre, ma nessuna di queste mi è sembrata inopportuna. Dunque, se pure il Dramma viene interrotto, ciò non avviene per mezzo di fastidiose pubblicità, ma attraverso interessanti documentari su circostanze e fatti non solo inerenti la storia, ma anche e soprattutto semplicemente interessanti e scritti bene.
L'eccesso di poesia si sposa bene con i Francesi pare (In realtà, affermazione molto deficitaria: Prima di Hugo, solo il Primo Libro di Proust.), ma lì dove vi è la Luce anche gli eccessi si smussano e si conformano alla bellezza complessiva. Il punto di partenza sono i Miserabili, vero. Ma pare poi tutti possano rivelarsi tali, dal Borghese al Re, dal Galeotto al Barone, dal Repubblicano al Contadino. Non vi è distinzione nella vera vita, ognuno con il proprio fato e le proprie azioni può ridursi, può ritrovarsi, può farsi miserabile. Ed allora sì che questo è un Dramma, perchè anche nel Finale che pare un'aurora vi si nasconde l'oscurità o viceversa. la realtà viene dipinta nuda e cruda, ce lo si propone in vari punti del Romanzo, non si esclude ciò che è nero a favore di un falso bianco. E quasi tutto, in realtà, è nero. Vi è salvezza, l'Amore, più e più volte tratteggiato meravigliosamente, vagheggiato, adorato e apertamente addditato come ciò oltre il quale non vi è ulteriore gioia meritevole di esser scoperta. Vi è salvezza, nella Giustizia (Non nella giustizia di Javert, per quanto valida, per quanto l'Ispettore Javert, assieme alla Famiglia Thénardier, rappresenti sì l'antagonismo nell'opera, ma lo rappresentano nella complessità tale per cui divengono uomini e, come tali, sempre un po' almeno biasimabili.), ma nella Giustizia, come per Cristo, vi è la Sofferenza, l'Agonia, la Pena. Salvo poi poter sperare, nell'attimo supremo, non una ricompensa, ma un sorriso, un barlume di Giustizia. Vi è salvezza, ma è sempre come a metà, come la vita, indicibilmente avvinta tra la luce e l'ombra. Verso la prima tendono i protagonisti del Dramma, l'autore, tendiamo noi, ma l'oscurità è un attimo fatale che v'è, sempre. E poi non vi è salvezza alcuna, ma lì dove non la si desidera. Nella nobiltà nella sua accezione più celeste risiede la pace, se non la salvezza, nel momento della morte.
Il retro dell'"Edizioni Crescere" termina con "I Miserabili è il più grande romanzo della speranza.". E io sono daccordo. La speranza è il motore del Dramma e dei suoi attori. Mario, Gillenormand, Cosette, Valjen, Thénardier, Javert. Le loro storie, le loro attenuanti, le loro colpe, le loro ingiustizie e le loro giustizie, il loro destino, quello di molti altri non peggio, non meglio di loro, Gavroche, Enjolras, Combeferre.. Hugo tocca, guarda, studia e dipinge una moltitudine di anime e circostanze differenti nel modo più meticoloso possibile. Il risultato è un'opera decisiva. Nelle sue accuse, nelle sue volontà, il Progresso, la Luce, la Giustizia. Nelle sue accuse si fondano i miserabili, nel Progresso addita la scomparsa di tali e tante atrocità.
Al momento giusto, nell'ora giusta, I Miserabili sono un Dramma che merita di essere vissuto.

Ei dorme. Sebben strana fosse stata con lui la sorte,
Vivea. L'angel suo sparve, ed egli venne a morte.
Così, semplicemente, la vita sua finì,
Come la notte scende, quando tramonta il dì.​

VOTO: 10
 

Grantenca

Well-known member
Ho appena terminato di leggero questo "mattone" certamente molto merito del lockdown se ho preso una decisione simile. Il fatto che però mi ha maggiormente spinto alla lettura è che dopo tutti i film, sceneggiati, ecc...ecc... che sono stati fatti sull'argomento volevo sincerarmi sulla effettiva valenza di tutte queste interpretazioni. Dico subito che rendere personaggi come Jean Valjean, monsigno Bienvenu, L'ispettore Javert, Fantine, Marius, Thenardier, Gavroche ed altri non è un impresa semplice e nei film non sempre ci sono riusciti. Il romanzo è un grande romanzo, non c'è dubbio, ma a mio avviso le eccessive divagazioni storiche a cominciare a da Waterloo per finire alla storia delle fognature di Parigi, unitamente alla esibizione sempre latente della fede politica dell'autore, questa continua celebrazione della grandezza di Parigi e quindi della Francia non hanno giovato alla qualità complessiva di questa grandissima e complessa vicenda, grandissima sia nella parte che si può definire "azione" che nella parte "psicologica" sostenuta in gran parte dai due maggiori protagonisti, Jean Valjean e Javert.
Hugo è un grandissimo, per me non c'è alcun dubbio al riguardo, ma più di questo romanzo che probabilmente e forse giustamente è quello che maggiormente lo celebra, ho ammirato molto di più " l'uomo che ride" e soprattutto "l'ultimo giorno di un condannato." Quest'ultimo testo, lungo meno di 200 pagine, lo metto tra i migliori dieci libri della mia personale classifica.
 
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