Ripensare l'Economia

lillo

Remember
Da qualche tempo ragionando tra me e me ho iniziato a considerare il fatto che l'economia non è più al servizio dell'uomo, ma è l'uomo al servizio dell'economia. La teoria liberista ha sempre più scavato un solco tra l'uomo ed il bisogno di incrementare continuamente i profitti di aziende e stati, al punto che il taglio dei costi fissi (leggi lavoratori) è diventato un obbligo nei momenti di crisi economica. La grave crisi del 2007-2008 ne è un classico esempio.
Io che non sono assolutamente un economista ho ragionato sul fatto che nuove visioni economiche debbano essere possibili.
Girando per il web ho trovato questo sito dedicato all'economista Paolo Sylos Labini, morto pochi anni orsono. Molto interessante il Manifesto pubblicato; cerco di riassumerlo.

  1. La teoria dominante è in crisi. Le teorie dominanti hanno partecipato alla edificazione del regime di accumulazione liberista, favorendo la finanziarizzazione dell’economia, la liberalizzazione dei mercati finanziari, il deterioramento delle tutele e delle condizioni di lavoro, un drastico peggioramento nella distribuzione dei redditi e l’aggravarsi dei problemi di domanda.
  2. E’ urgente riaprire il dibattito economico. Occorre respingere l’idea – una giustificazione di comodo per tanti economisti e commentatori economici mainstream – che esista una sola verità nella scienza economica.... Le concentrazioni di potere (nelle università, nei centri di ricerca nazionali e internazionali, nelle istituzioni economiche nazionali e internazionali, nei media), come quelle che hanno favorito nella fase più recente l’accettazione acritica del fondamentalismo liberista, debbono essere combattute.
  3. Un’economia al servizio delle persone.L’obiettivo della ricerca (economica) dovrebbe consistere nella comprensione della realtà sociale che ci circonda, come premessa per scelte politiche dirette a migliorare la condizione di vita delle persone e il bene comune.
  4. Un metodo non più fine a se stesso: A questo fine va indirizzato l’utilizzo delle tecniche disponibili, dall’analisi storiografica a quella econometrica, dall’analisi delle istituzioni alla costruzione di modelli matematici, senza preclusione verso alcuna tecnica.


Molto interessanti ho trovato le proposte di lavoro e di studio presentate nel Manifesto; ve le riporto integralmente perchè chiare ed incisive (almeno per me).



  1. Una nuova agenda: Vengono suggeriti cinque temi su cui promuovere studi e iniziative:
    a. Mercato, stato e società. Dopo decenni in cui il mercato e la sua presunta “mano invisibile” hanno invaso gli spazi dell’azione pubblica e delle relazioni sociali, è necessario pensare nuove forme di integrazione tra mercato, stato e società, con attenzione per i temi della democrazia, della giustizia, dell’etica, in un quadro di sostenibilità ambientale dello sviluppo;
    b. Una globalizzazione dal volto umano. Dopo una mondializzazione dei mercati trainata dalla finanza e priva di regole, è necessario pensare a un’integrazione internazionale tra i popoli che sia democraticamente governata, che alimenti i flussi di conoscenze e di persone accanto a quelli di merci, e che promuova la cooperazione sociale anziché la feroce competizione globale.
    c. Un nuovo umanesimo del lavoro. E’ necessario ripensare il ruolo del lavoro nelle società moderne, come fonte di reddito dignitoso per tutti, di conoscenze, di relazioni sociali e come strumento di formazione ed emancipazione civile dei cittadini.
    d. La riduzione delle disuguaglianze. Le differenze di reddito e di potere, tra paesi e – al loro interno – tra gruppi sociali e persone sono cresciute in modo inaccettabile ed è necessario quindi pensare ad un modello di organizzazione delle relazioni che punti realmente a ridurre le disuguaglianze sociali, territoriali, tra uomini e donne e tra le singole persone. Questo è necessario anche per individuare una credibile via d’uscita dalla crisi, che richiede un rilancio dei consumi individuali e collettivi e degli investimenti pubblici, e l’emergere di una nuova domanda da parte di paesi e gruppi che in passato erano rimasti al margine dello sviluppo e del benessere sociale.
    Senza tali cambiamenti il rischio concreto è che si punti a ripristinare il regime di accumulazione neoliberista fondato sulla speculazione finanziaria, e che si alimentino per questa via crisi ulteriori ed ancora più gravi dell’attuale.
    e. Uno sviluppo più equilibrato. Va favorita la transizione da una crescita quantitativa senza limiti verso uno sviluppo più equilibrato basato sulla qualità. Occorre impegnarsi per costruire degli indici alternativi al prodotto interno lordo che è inservibile e fuorviante dal momento che non riesce a rappresentare diverse attività economiche, i costi ambientali e il reale benessere della popolazione.


Insomma sono stato assolutamente felice di poter leggere che, non solo un ignorante come me, ma anche fior di economisti sono convinti del fatto che bisognerebbe recitare un bel De Profundis alle teorie economiche liberiste che ancora dominano la nostra vita.


Per chi fosse interessato a leggere il Manifesto integralmente
http://www.syloslabini.info/online/?page_id=864
 

Mizar

Alfaheimr
E' divertente notare e ricordare come quel pilastro costitutivo della nostra storia, cultura, identità di occidentali e, forse, di uomini sia vivo, vegeto ed in costante, perpetua, immortale riproposizione e modificazione (tenendo sempre presente il nucleo originario di senso). Il flusso (non certo "modello") liberista è attualmente preso in considerazione/attuato/prefigurato/inseguito da vari paesi extraeuropei ed extranordamericani. Un osservatore alieno forse parlerebbe di naturale tendenza umana o di condizione connaturale.
Ancora più spassoso è considerare quella che è la più moderna, oltre che più bella, entità politica della contemporaneità: la (oggi) Unione Europea. Chiunque abbia dato una pur disinteressata scorta a qualche articolo (a caso) dei Trattati, si sarà avveduto del fatto che questo mostro pelasgico che il liberismo è, permea di sé il tessuto della Comunità; si sarà avveduto del fatto che l'impronta storico-tradizionale del liberismo costituisce, costruisce, letteralmente: da senso all'Unione.

Non rinnegherò mai il ruolo tonificante, driftante, intrattenitivo, corroborante ed incredibilmente ridicolo dei discorsi anti-liberali ed anti liberisti di un certo tipo [è sempre aperta la possibilità, per ognuno, di stamparne in profusione e di spassarsela a leggerli in una serata di alcool tra amici]. Nella specie, non mi esimo dal ricordare l'utilizzazione (in anno domini 2010) di costrutti quali il deterioramento delle tutele e delle condizioni di lavoro, un drastico peggioramento nella distribuzione dei redditi [non si comprende bene in relazione a cosa ]; di ammiccanti termini on-the-groove come "mainstream"; di fologoranti asserzioni (senza possibili scampi) definite da contorni preconfezionati: "l’accettazione acritica del fondamentalismo liberista" richiamanti chiaramente la poetca di un certo intellettualismo approssimativo da quattro soldi facente perno sul richiamo a sentimenti e sentimentalismi facili facili (vd. anche il punto successivo); del farneticante ma lapidario - e sempre vincente - ricorso alle armi: "debbono essere combattute"; di ulteriori schemi pre-dati: "della realtà sociale che ci circonda" che ognuno di noi ha ascoltato quantomeno 267 alla ventisettesima volta nell'arco di una vita; nonché un abbozzo ben costruito (anni addietro…oggi del tutto datato) di sano buonismo da bar: "come premessa per scelte politiche dirette a migliorare la condizione di vita delle persone e il bene comune" [per la serie: meglio commentare il posticipo di A]; di esternazioni varie e commiste dello stesso ordine qualitativo delle precedenti, quali i vari "i temi della democrazia, della giustizia, dell’etica, in un quadro di sostenibilità ambientale dello sviluppo", "una globalizzazione dal volto umano", "che sia democraticamente governata", "e che promuova la cooperazione sociale anziché la feroce competizione globale" (questa, secondo il mio parere, perla quasi incontrastata nel suo genere !), "un nuovo umanesimo del lavoro" (...come direbbe A. Paert: silentium), "riduzione delle disuguaglianze"; di amabili ricorsi alla più becera e mistificante vigliaccheria argomentativa di un "che si alimentino per questa via crisi ulteriori ed ancora più gravi dell’attuale", di formularismi dal tipo "sviluppo più equilibrato" fino all'impareggiabile - in geniale mix di profondità/intelligenza con il solito appello buonista (che mai fa male) - "occorre impegnarsi per costruire degli indici alternativi al prodotto interno lordo che è inservibile e fuorviante dal momento che non riesce a rappresentare diverse attività economiche, i costi ambientali e il reale benessere della popolazione".

Insomma, al di là di...questo, sarebbe interessante, secondo me, scoprire in che modo si possa concretamente pretermettere/evitare/ridurre)far a meno de l'apporto liberista senza:

a) uscire a calci nel sedere dall'Unione europea - derisi e scherniti anche dai - non dico altro - francesi (o_O);

b) dover non solo eliminare l'intera Costituzione italiana (non prospettabile al di là di una eliminazione del 3) ma qualsiasi prospettiva costituzionale occidentale moderna;

c) esser costretti a tradire un quantità innumerevole di trattai internazionali;

d) doversi affidare al buon cuore "umanista", a gente che "comprende la realtà" e a fantomatiche organizzazioni che riducano diseguaglianze (mi scompiscio);

e) [cd. "clausola reazionaria" o del "buon conservatore"] tradire lo spirito e la storia illuminista che sono il nostro (europeo) portato.

Suvvia ragazzi ! Non buttatevi giù ! Prendete Smith, Ricardo, Locke e compagnia e argomentate seriamente, nel merito, approntando schemi economico-matematici, ricordando formule, citando passi u.s.w. …
Il resto è, piaccia o meno, chiacchiera da bar.


Mia personale opinione è che, considerando che il "liberismo" non è affatto entità statica ma in costante rinnovamento, pretermettere il suddetto 'momento' sarebbe come rinunciare al principio di eguaglianza formale.
Forse, sarebbe esattamente la stessa cosa.
 

lillo

Remember
beoni d'osteria

Infatti alcuni dei firmatari del Manifesto sono noti per riunirsi all'osteria a bere ed ubriacarsi :D

Alessandro Roncaglia Ordinario di Economia Politica “La Sapienza”

Giorgio Ruffolo Laureato in giurisprudenza, economista, esperto economico presso l'ufficio studi della Banca Nazionale del Lavoro, passa poi all'OCSE. É al fianco di Enrico Mattei, all' ENI dal 1956 fino alla sua morte, avvenuta nel 1962. Nello stesso anno viene incaricato nel dal ministro del Bilancio Ugo La Malfa di riorganizzare gli uffici della programmazione presso il Ministero del Bilancio, assumendo l'incarico di segretario generale per la Programmazione economica, che svolgerà fino al 1975. Dal 1975 al 1979 Ruffolo ha presieduto la FIME (Finanziaria Meridionale) per lo sviluppo di nuove iniziative industriali nel Mezzogiorno. Più volte deputato, senatore e parlamentare europeo ha aderito successivamente ai Democratici di Sinistra, è stato ministro dell'Ambiente (1987-1992).


Marcella Corsi Laurea in Scienze Statistiche e Demografiche (indirizzo economico), Università di Roma “La Sapienza”. Ph. D. in Economia, Università di Manchester (Gran Bretagna); lavora presso il Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Roma “La Sapienza”,

Luciano Gallino Uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all'istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l'accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale. È considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono la teoria dell'azione e teoria dell'attore sociale; le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia; gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione.

Giacomo Becattini socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei, dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, dell’Accademia dei Georgofili. Presidenzte della Società Italiana degli Economisti, dal 1992 al 1995, Società della quale è stato vicepresidente per un triennioe membro del Comitato direttivo per oltre 10 anni.

Pier Luigi Porta è titolare come professore ordinario della Cattedra di Economia politica nella Facoltà di economia della Università degli Studi di Milano-Bicocca. E’ membro del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo per il triennio 2009-12.
 

Vladimir

New member
Infatti alcuni dei firmatari del Manifesto sono noti per riunirsi all'osteria a bere ed ubriacarsi :D

Alessandro Roncaglia Ordinario di Economia Politica “La Sapienza”

Giorgio Ruffolo Laureato in giurisprudenza, economista, esperto economico presso l'ufficio studi della Banca Nazionale del Lavoro, passa poi all'OCSE. É al fianco di Enrico Mattei, all' ENI dal 1956 fino alla sua morte, avvenuta nel 1962. Nello stesso anno viene incaricato nel dal ministro del Bilancio Ugo La Malfa di riorganizzare gli uffici della programmazione presso il Ministero del Bilancio, assumendo l'incarico di segretario generale per la Programmazione economica, che svolgerà fino al 1975. Dal 1975 al 1979 Ruffolo ha presieduto la FIME (Finanziaria Meridionale) per lo sviluppo di nuove iniziative industriali nel Mezzogiorno. Più volte deputato, senatore e parlamentare europeo ha aderito successivamente ai Democratici di Sinistra, è stato ministro dell'Ambiente (1987-1992).


Marcella Corsi Laurea in Scienze Statistiche e Demografiche (indirizzo economico), Università di Roma “La Sapienza”. Ph. D. in Economia, Università di Manchester (Gran Bretagna); lavora presso il Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Roma “La Sapienza”,

Luciano Gallino Uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all'istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l'accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale. È considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono la teoria dell'azione e teoria dell'attore sociale; le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia; gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione.

Giacomo Becattini socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei, dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, dell’Accademia dei Georgofili. Presidenzte della Società Italiana degli Economisti, dal 1992 al 1995, Società della quale è stato vicepresidente per un triennioe membro del Comitato direttivo per oltre 10 anni.

Pier Luigi Porta è titolare come professore ordinario della Cattedra di Economia politica nella Facoltà di economia della Università degli Studi di Milano-Bicocca. E’ membro del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo per il triennio 2009-12.

Direi proprio dei beoni da osteria:mrgreen: che non sanno quel che dicono. Comunque, io sono sostanzialmente d'accordo: se vogliamo uscire da questo pantano bisogna ripensare profondamente l'economia. Non credo sia pensabile continuare a vivere in un mondo dove ognuno fa quello che vuole e che qualsiasi cosa venga comunque dopo il dogmi del mercato, della concorrenza, della competitività. Come può esserci una crescita infinita su un pianeta finito? Perché dovrei essere competitivo? A che pro? Dov'è il vantaggio per me? Per avere un'auto in più, il cellulare più nuovo, una casa ancora più grande? Gli oggetti. E la qualità della vita, dove la mettiamo? Io credo che valga la pena fare un tentativo per conciliare esigenze d'economia ed esigenze di vita.
Ultimamente parlavo di crisi con una cara amica laureata con master in economia e responsabile di un ufficio investimenti presso la Banca Carige (prima banca della Liguria): lei non sarà un premio nobel, ma da "addetta ai lavori", anche lei sostiene che se vogliamo uscirne bisogna cambiare rotta. I mercati sono diventati incontrollabili, pensa che le variazioni dei titoli sono questione di secondi. Inoltre mi spiegava che la prossima a crollare sarà la Cina (sinceramente ora non so rifarti il discorso che m'ha fatto), e secondo molti farà un bel botto. Chi vivrà vedrà!
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Probabilmente un tentativo di riparazione andrebbe fatto, probabilmente (e non è così stupido, guardando alla storia dell'economia) le modifiche necessarie si introdurranno da sole quando il sistema nella sua totalità ne avvertirà l'esigenza; esempio banale le attuali leggi concorrenziali, unico strumento valido, oggi, a mantenere l'equilibrio entro il mercato: questo non significa che siano la panacea per tutti i mali economici, per cominciare sono un buon riparo.
Già, il sistema intero - il quale è anche lobby, multinazionali, sempre accanto al panettiere od all'edicolante - sembra prendere le mosse, come totalità, contro singole parti (sue stesse) improvvisamente imbizzarrite; insomma, se dai giorni del feudalesimo siamo al liberismo una ragione ci sarà, la si può chiamare dialettica della storia, sempre quella rimane. E' certo, però, che il dissolversi e il costituirsi di modelli economici ha avuto un suo continuum storico, qualche volta per diretta continuazione, altre per opposizione, eppure era quella la scaturigine, quella la sorgente: nuove teorie per nuove esigenze interne della totalità, da sempre così.

Soltanto, per ogni volume di economia politica aperto, ho sempre trovato tanto di teorie accompagnate da formule ben precise passibili di verifica o smentita. Questi esimi signori cosa propongono in termini scientifici? Hanno posto assiomi e dedotto teoremi sulla realtà economica? Se sì, quali?

Finché non si vedrà qualche teoria avallata da apparato matematico non avremo alcun ripensamento dell'economia;
al massimo qualche critica da improvvisati (almeno per me) sociologi, del tutto sterile nel contesto cui si vuole impiantarla.
 

Mizar

Alfaheimr
Soltanto, per ogni volume di economia politica aperto, ho sempre trovato tanto di teorie accompagnate da formule ben precise passibili di verifica o smentita. Questi esimi signori cosa propongono in termini scientifici? Hanno posto assiomi e dedotto teoremi sulla realtà economica? Se sì, quali?
Chissà !:mrgreen::mrgreen::mrgreen:
Ma che ce frega D ! L'importante è (solo) che siano professori laureati (con tutto ciò che ne consegue in termini di affidabilità, qui in Italia :mrgreen:).
Sicuramente avranno approntato nuovi modelli oltrekeynesiani. Ma che dico ! Sicuramente avranno sanato l'abisso neoclassici-keynes, proposto un modello per ricondurre l'economia ad umanesimo, trovato una pillola contro la cattiveria umana e composto una sinfonia del nuovo millennio uber-dodecafonica.
E' chiaro no ! Ma a noi non è dato sapere :mrgreen:

P.S. Non ci nascondiamo dietro gli specchietti: non si voleva (comunque) certo dire che a far discorsetti da bar sono i plurilaureati, ma chi li ascolta non capendoci un ficus e ripetendo/copincollando/mimando a pappagallo
1145539421-Diavoli (9).gif
 

Zefiro

da sudovest
piccolo contributo

Contribuisco a questa discussione segnalando –per chi fosse interessato- gli approcci a le metodologie di analisi consolidate in alcuni dei principali atenei del centro Italia. In particolare ritengo siano degni dei menzione i contributi di:

Giorgio Coresio, ordinario di lingua e letteratura greca-Università di Pisa
Vincenzo Di Grazia, ordinario di filosofia-Università di Pisa
Arturo Pannocchieschi, matematico (credo), Rettore dell’ Università di Pisa
Cosimo Boscaglia, cattedra di logica-Università di Pisa
Lodovico delle Colombe, cattedra di filosofia teoretica-Università di Firenze
Francesco Ingoli – astronomo e giurista, ordinario di Diritto Civile-Università di Roma

Appena ho un attimo di tempo posto qualche link.
 

Zefiro

da sudovest
"S" (le "P" le ho usate qui sotto)

PS Ah! Nella fretta nel post qui sopra ho dimenticato d’accennare al fatto che gli intellettuali che ho menzionato sono solo alcuni dei cattedratici, la lista è lunga, -per tacere sulla quasi unanimità del corpo accademico europeo- che formavano l’equipe scientifica di Bellarmino sul caso Galilei (che invece si muoveva in pressoché totale solitudine). Posso assicurare che stiamo parlando del top, il gotha intellettuale del tempo. Un piccolo sforzo di contestualizzazione dai: potete sostituire a questi nomi qualsiasi mostro sacro dei nostri giorni per immaginare il livello di coloro di cui si sta parlando. E non inganni la sinistra fama a posteriori dello stesso Bellarmino. Era in realtà un raffinatissimo intellettuale di cultura vasta e pensiero affilatissimo. Insomma, niente beoni d'osteria :wink:

PPS Beh… Perdonate l’innocente divertissement, non sto entrando (per il momento almeno) nel merito della discussione nemmeno un po’. E’ solo che mi viene sempre un colpo quando a sostegno di una qualche tesi si elenca una lunga teoria di intellettuali e cattedratici a supporto. E’ una cosa istintiva: mi vengono i brividi. Sarà che a me piace studiare, magari faticare un po’ se l’argomento mi interessa e farmi un’idea mia. Volete mettere il gusto di sbagliare da solo? :mrgreen:

PPPS (ti stanno finendo le “P” Zef, mi sa che devi stringere il brodo…) Se qualcuno troverà meritevole di un qualche commento o considerazione questo post (non che lo sia, ma potrebbe capitare..) voglio anticipare un punto, così, per risparmiare tempo. :wink: Dunque. NON sto sostenendo che non si debba tenere in più che dovuto conto chi ad un certa disciplina ha dedicato una vita, badate bene, sarebbe un ben sciocco atteggiamento. Per imparare del resto è proprio gli esperti che bisogna studiare. Chi altro? Non mi si sollevi il punto quindi. Mi dichiaro concorde fin d’ora. Sto ben più banalmente osservando che una lista, qualsiasi lista, da sola non dimostra nulla.
 

Sir

New member
Non trovo grande utilità nel parlare di un cambiamento nell'economia in questi termini; principalmente perchè, nell'anno 2010 e con svariati miliardi di persone su questa Terra, l'unico cambiamento che vedo come veramente rilevante nell'economia sarebbe piccola e non calcolata parte in un più generico e importante cambiamento dell'uomo con conseguente rivisitazione della cultura che lo ha portato ad oggi.
Non entro nel merito se questo possa e/o debba accadere; di sicuro però questa strada di teorie/adattamenti/accomodamenti porta a un lavoro di lima, spostare i confini, salire o scendere qualche gradino; è tutt'altro.
 

Mizar

Alfaheimr
PS Ah! Nella fretta nel post qui sopra ho dimenticato d’accennare al fatto che gli intellettuali che ho menzionato sono solo alcuni dei cattedratici, la lista è lunga, -per tacere sulla quasi unanimità del corpo accademico europeo- che formavano l’equipe scientifica di Bellarmino sul caso Galilei (che invece si muoveva in pressoché totale solitudine). Posso assicurare che stiamo parlando del top, il gotha intellettuale del tempo. Un piccolo sforzo di contestualizzazione dai: potete sostituire a questi nomi qualsiasi mostro sacro dei nostri giorni per immaginare il livello di coloro di cui si sta parlando. E non inganni la sinistra fama a posteriori dello stesso Bellarmino. Era in realtà un raffinatissimo intellettuale di cultura vasta e pensiero affilatissimo. Insomma, niente beoni d'osteria :wink:

PPS Beh… Perdonate l’innocente divertissement, non sto entrando (per il momento almeno) nel merito della discussione nemmeno un po’. E’ solo che mi viene sempre un colpo quando a sostegno di una qualche tesi si elenca una lunga teoria di intellettuali e cattedratici a supporto. E’ una cosa istintiva: mi vengono i brividi. Sarà che a me piace studiare, magari faticare un po’ se l’argomento mi interessa e farmi un’idea mia. Volete mettere il gusto di sbagliare da solo? :mrgreen:

PPPS (ti stanno finendo le “P” Zef, mi sa che devi stringere il brodo…) Se qualcuno troverà meritevole di un qualche commento o considerazione questo post (non che lo sia, ma potrebbe capitare..) voglio anticipare un punto, così, per risparmiare tempo. :wink: Dunque. NON sto sostenendo che non si debba tenere in più che dovuto conto chi ad un certa disciplina ha dedicato una vita, badate bene, sarebbe un ben sciocco atteggiamento. Per imparare del resto è proprio gli esperti che bisogna studiare. Chi altro? Non mi si sollevi il punto quindi. Mi dichiaro concorde fin d’ora. Sto ben più banalmente osservando che una lista, qualsiasi lista, da sola non dimostra nulla.
A te vene un colpo. A me l'orticaria. Forse liste e cataloghi cattedr...ali potranno dar fiducia alle vecchie generazioni. Purtroppo, a noi ccccciofani post Berliner Mauer, a noi ccccciofani delle oscenità delle università contemporanee, a noi ccccciofani della destrutturazione del romanzo, a noi ccccciofani del Lindberg e dell'Husa e dell'Harrison [in luogo di un Guccini o De Gregori qualunque] ... queste robette non convincono proprio. Ma proprio per nulla.

Come ho detto, sarebbe bello avere delle risposte alle domade che ho esposto sopra. Come abbiamo detto (in più d'uno) sarebbe bello avere lumi sul merito, sullo specifico della questione.
Insomma, vogliamo vedere le carte, le formule, i grafici, le argomentazioni. Ché chiunque può citare una serie di studiosi - dell'una o altra sponda :mrgreen: - sterilizzando e radicalizzando, per questa via, il discorrere. Ché un mondo "senza egoismi, senza sfruttamenti, senza cupidità" non pare concretamente all'orizzonte...ed i soliti boni discorsetti da hosteria goethiana non ce bastano più.
Ma, ahimè, non è dato sapere :mrgreen:


Non trovo grande utilità nel parlare di un cambiamento nell'economia in questi termini; principalmente perchè, nell'anno 2010 e con svariati miliardi di persone su questa Terra, l'unico cambiamento che vedo come veramente rilevante nell'economia sarebbe piccola e non calcolata parte in un più generico e importante cambiamento dell'uomo con conseguente rivisitazione della cultura che lo ha portato ad oggi.
Non entro nel merito se questo possa e/o debba accadere; di sicuro però questa strada di teorie/adattamenti/accomodamenti porta a un lavoro di lima, spostare i confini, salire o scendere qualche gradino; è tutt'altro.
Concordo
 

lillo

Remember
Direi proprio dei beoni da osteria:mrgreen: che non sanno quel che dicono. Comunque, io sono sostanzialmente d'accordo: se vogliamo uscire da questo pantano bisogna ripensare profondamente l'economia. Non credo sia pensabile continuare a vivere in un mondo dove ognuno fa quello che vuole e che qualsiasi cosa venga comunque dopo il dogmi del mercato, della concorrenza, della competitivit�. Come pu� esserci una crescita infinita su un pianeta finito? Perch� dovrei essere competitivo? A che pro? Dov'� il vantaggio per me? Per avere un'auto in pi�, il cellulare pi� nuovo, una casa ancora pi� grande? Gli oggetti. E la qualit� della vita, dove la mettiamo? Io credo che valga la pena fare un tentativo per conciliare esigenze d'economia ed esigenze di vita.
Ultimamente parlavo di crisi con una cara amica laureata con master in economia e responsabile di un ufficio investimenti presso la Banca Carige (prima banca della Liguria): lei non sar� un premio nobel, ma da "addetta ai lavori", anche lei sostiene che se vogliamo uscirne bisogna cambiare rotta. I mercati sono diventati incontrollabili, pensa che le variazioni dei titoli sono questione di secondi. Inoltre mi spiegava che la prossima a crollare sar� la Cina (sinceramente ora non so rifarti il discorso che m'ha fatto), e secondo molti far� un bel botto. Chi vivr� vedr�!

Concordo assolutamente, nel fatto che il mondo non pu� essere pensato solo in termini di sudditanza al mercato ignorando completamente il fatto che dietro alcune scelte ci siano uomini che poi pagano anche in termini di posti di lavoro. Ti faccio un esempio (alla fine mi stufa discutere del sesso degli angeli); alcuni giorni fa mi � venuto a salutare un ex informatore scientifico di una ex multinazionale farmaceutica la quale � stata acquisita da un'altra multinazionale americana, il tizio di 35 anni si � trovato da un giorno all'altro senza lavoro; e con la storia delle fusioni di questo mercato, migliaia di lavoratori italiani si sono trovati da un giorno all'altro disoccupati, riducendo drasticamente il numero degli occupati nel mercato farmaceutico (basta vedere i dati di Farmindustria); senza considerare che queste acquisizioni hanno mandato a pallino il concetto della concorrenza; cosicch� oggi il mercato farmaceutico mondiale � controllato da un numero di aziende che puoi contare sulle dita di una mano.
Concordo con Bobbio quando scrive che stiamo assistendo ad un genocidio morale determinato da certi aspetti del neocapitalismo individualistico.
Non so quale possa essere la soluzione a questa realt� di fatto (non sono un economista) ma osservo il mondo che mi circonda e vedo sempre pi� gente che non vive il lavoro come momento di espressione delle proprie capacit�, di realizzazione nella societ�, ma ormai come fonte di continuo stress che in molti non riescono pi� a gestire in maniera adeguata, cadendo in forme di depressione, nevrosi se non addirittura malattie fisiche.
 
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