Trovo difficilissimo recensire questo libro, perché, come hanno scoperto a loro spese le mie compagne di viaggio, per me non si tratta solo di un libro: Via col vento è stata la mia passione/ossessione di bambina! Non si contano le volte in cui ho visto il film, e la prima volta che lessi il romanzo mi meravigliai che potesse essere ancora più bello del film.
E ora, dopo 25 anni, ho pensato bene di rivivere questa esperienza, nel dubbio che, ormai cresciuta, mi facesse un effetto meno “devastante”... quanto sono stata contenta di scoprire che mi sbagliavo! Immersa nella storia, sono tornata la ragazzina innamorata persa di Rhett e piena di ammirazione per un personaggio così odioso e allo stesso tempo così eroico come Rossella.
C'è persino da chiedersi per quale motivo la Mitchell abbia fatto di tutto per far risaltare gli aspetti peggiori della protagonista: ogni volta che una sua azione può far credere di essere dettata dalla benevolenza, ecco che l’autrice mette le mani avanti, sottolineando che assolutamente no, i sentimenti di Rossella sono sempre ignobili e i suoi fini doppi. E se un risvolto benefico c’è, questo ci viene presentato quasi come un effetto collaterale! Ammetto che ne ho incontrati pochi di personaggi letterari a cui il proprio autore abbia concesso così poco e che ciononostante ne siano usciti così vincenti.
Detto questo, la rilettura da donna ormai “matura” è stata molto più arricchente e mi ha permesso di apprezzare aspetti che, all’epoca, rappresentavano per me poco più di un intermezzo fra una comparsa di Rhett e l’altra... Mi riferisco innanzitutto al racconto della guerra, inteso non tanto come azioni militari, quanto all’illusione e poi alla consapevolezza del suo vero significato. Ma soprattutto ad avermi totalmente affascinato è stata la descrizione della gente del Sud, del suo ostinato attaccamento al passato, dei suoi principi antiquati e “politicamente scorretti”, della sua incapacità di riconoscere la sconfitta nonostante l’evidenza. E non parlo solo della guerra: i sudisti raccontati dalla Mitchell sono caparbi nel voler continuare a venerare la loro “diletta bandiera”, la loro Santa Causa, anche quando è chiaro che non tanto l’esercito federale, ma la Storia stessa li ha spazzati via. Si può essere più stolti di così?
Forse anch’io, come Rhett, amo le cause perse "quando sono proprio perse" e non posso fare a meno di ammirare la passione con cui Margaret Mitchell racconta tutto questo. Ed è per questo che riesco a perdonarle il suo essere terribilmente parziale e persino esplicitamente razzista: sento che, come per me, il suo approccio a questo libro non è stato oggettivo, ma viscerale, emotivo.
Io penso che la Mitchell appartenga a un’epoca successiva a quella della guerra, ma forse non sufficientemente lontana da darle la giusta prospettiva storica, tanto che è persino difficile capire quale sia la sua posizione. Dalla parte di Rossella, che disprezza l’incapacità dei suoi connazionali di reagire, di guardare al futuro? Ho qualche dubbio. Dalla parte dei nostalgici fedeli alla patria e alla cultura natìa? In parte credo di sì, anche se il mondo che traspare dalle pagine del romanzo è un mondo agonizzante, un mondo che, come lucidamente comprendono due personaggi così diversi come Ashley e Rhett, sta morendo. Non si può restare fermi a contemplare la tomba di un intero popolo.
Tornando a Rossella, interrogandomi su quello che potrebbe essere stato il fine della Mitchell rendendocela così “odiosa”, mi sono risposta che probabilmente voleva sottolineare come la conseguenza buona di un’azione valga più del sentimento che l’ha suscitata. Tutto ciò che fa Rossella sembra dettato dall’egoismo e dall’opportunismo, ma tante sue scelte hanno garantito la salvezza di chi le stava intorno... di quasi tutti, a parte lei stessa. Incapace di amare, quello che le resta alla fine è la conquista arida di ciò di cui non aveva davvero bisogno; ma il coraggio e la forza di ricominciare non le fanno difetto, ed ecco che, pur davanti a un finale che potrebbe sembrare tetro, noi anime romantiche non smettiamo di sognare: l’importante è non arrendersi mai.