Quasi inutile dire che, leggendo Collins, centinaia di pagine scorrono via come se non fossero che poche decine, e una corposa e minuziosa narrazione tiene incollati al libro (nel mio caso agli auricolari del mio cellulare!) quasi si trattasse di un racconto, da finire tutto d’un fiato. C’è poco da fare: questo autore di metà Ottocento sapeva cosa vuol dire tenere avvinti a sé i propri lettori!
Metto subito le mani avanti: pur non volendo fare una classifica, dirò che ritengo La signora in bianco quasi ineguagliabile, non tanto perchè sia tecnicamente superiore, ma perchè la sua ragion d’essere è proprio nei colpi di scena che si susseguono l’un dopo l’altro e rendono la narrazione più avvincente che mai. Ne La pietra di luna, invece, che è un antesignano del romanzo poliziesco in senso stretto, i presupposti sono diversi: non abbiamo a che fare (per fortuna) con rapimenti, assassinii, scambi di persona: sul piatto della bilancia c’è il “semplice” furto di un diamante dal valore inestimabile, non solo dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto come oggetto di venerazione religiosa. Per questo motivo la cosiddetta “pietra di luna” o “diamante indiano” si porta con sè la fama superstiziosa di una maledizione lunga secoli.
La narrazione, come quella de La signora in bianco, è corale: un espediente molto efficace perchè i fatti e la spiegazione degli stessi siano svelati poco a poco da chi ne è stato diretto testimone. In questo modo non è l’autore ad arrogarsi il diritto di nasconderci degli “indizi”, come farebbe qualsiasi bravo maestro del giallo, bensì, molto più onestamente, il lettore viene messo a conoscenza di ciò che materialmente accade oppure di ciò che, essendo prima un mistero, viene di volta in volta intuito, rivelato e alla fine compreso.
La parte che assomiglia di più a un giallo vero e proprio è quella che racconta la sparizione della gemma, l’indagine e soprattutto la vicenda della povera Rosanna Spearman, le cui azioni sono sempre più misteriose e sospette. Ecco, secondo me è questa la parte più appassionante del romanzo, quella che ha che fare con dei veri e propri “indizi” da interpretare per giungere alla soluzione. Ma, paradossalmente, questa parte ricopre uno spazio piuttosto piccolo: su quasi 600 pagine infatti, oltre la metà sono dedicate alle vicende “post-furto” e “post-indagine”. Persino dopo aver risolto la prima parte del mistero, e cioè chi abbia materialmente “rubato” il diamante, ancora non sappiamo dove esso sia...
Perchè questo? Perchè, secondo me, la soluzione dell’enigma in quanto tale riveste solo un interesse minimo nell’economia complessiva del romanzo: il vero scopo, come dicevo all’inizio, è ammaliare il lettore, avvincerlo, trascinarlo nel vortice degli eventi. Inutile dire che per quanto mi riguarda ci è riuscito perfettamente.
D’altra parte l’ironia che avvolge i due narratori principali: Gabriele Betteredge, accompagnato dal suo fedele Robinson Crusoe, e la signorina Drusilla Clack, con i suoi beneamati libretti edificanti per la morale, vale da sola la lettura di tutto il libro. Non perdetevelo.